VIOLENZA INTRAFAMILIARE
La violenza all'interno delle mura domestiche è un fenomeno sul quale solo grazie ad un lento processo di maturazione storica e culturale, tuttora in corso nella nostra società, si è resa possibile l'analisi delle possibili soluzioni legali. prova
Si tratta di un male che da sempre esiste nella famiglia e lì si consuma in silenzio, distruggendo anima e corpo di chi lo subisce attraverso prevaricazioni fisiche e psicologiche, originate dal conflitto coniugale o familiare, e divenute rapidamente distruttive per la frequenza e la ripetizione nel tempo.
All'interno della famiglia la violenza si attiva quando manca l'elemento affettivo, oppure per un'eccessiva vicinanza nei legami.
I processi comportamentali perversi possono essere costiuiti da manovre ostili, aperte o nascoste, di annientamento morale, o da veri e propri atti di lesione e distruzione fisica, posti in essere da soggetti che si presentano dotati di una forza maggiore (per le loro caratteristiche naturali, socioculturali o economiche) a danno di vittime che si collocano in una posizione di minorata difesa, la quale può essere legata al loro essere di volta in volta donne, bambini, anziani, disabili, etc.., ovvero scaturite da un legame di condizionamento mentale nei confronti dell'aggressore.
Le condotte in cui può esprimersi concretamente la violenza privata all'interno del nucleo familiare possono assumere svariate forme, sviluppandosi nell'arco di mesi o addirittura di anni, divenendo possibile descrivere diversi stadi di evoluzione del fenomeno che riguardano la sfera psicologica, fisica, materiale, economica e sessuale dei mebri della famiglia.
E' un processo di distruzione reale che può tradursi nella commissione di atti delittuosi, oppure rimanere nascosto a livello di violenza sotterranea e condurre alla destabilizzazione psicologica dell'aggredito.
Nell'attuale contesto socio-culturale è un problema che spesso viene nascosto proprio da chi lo subisce a causa della predominanza della lealtà endofamiliare, che induce alla confusione e alla rimozione degli eventi, al timore di denunciare un parente, alla difficoltà nel reperimento delle prove correlate al contesto privato di consumazione degli eventi.
Le vittime raramente si mostrano consapevoli dei loro diritti.
Tuttavia la violenza morale può essere portata all'attenzione dell'avvocato, dei giudici, dei corpi di polizia tramite un'attenta e puntuale opera di raccolta e conservazione delle prove, prima fra tutte la testimonianza.
L'ordinamento italiano pone, infatti, tra i diritti fondamentali dell'uomo il pieno sviluppo della persona umana in tutte le sue manifestazioni sociali, ivi compreso il contesto della famiglia.
La Costituzione sancisce che la libertà personale è inviolabile, prevede il matrimonio fondato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, protegge la maternità, pone la salute psico-fisica dell'individuo come fondamentale diritto dell'individuo.
Il paradigma costituazionale ha consentito al legislatore, nel tentativo di porre un argine al fenomeno e predisporre una concreta tutela della vittima, di concretizzare due leggi fondamentali: la legge n.149 del 18.03.2011 che ha conferito al Tribunale per i Minorenni il potere di emettere un ordine di allontanamento dalla dimora domestica del genitore autore di condotte violente in danno dei minori; la legge n. 154 del 05.04.2011 che ha introdotto una specifica misura cautelare all'art. 282 bis c.p.c. ed una misura denominata "ordine di protezione" agli artt. 324 bie e ter c.c. che appresta una tutela specifica ed immediata a protezione di chiunque sia vittima di episodi di abuso in famiglia (e non solo di minori).
Al di là delle suddette previsioni speciali, il codice penale consente l'individuazione di particolari fattispecie di reato alle quali è astrattamente riconducibile il fenomeno della violenza intrafamiliare:
- reati di ingiuria (ex art. 594 c.p.);
- reati di violenza privata (ex art. 610 c.p.);
- reati di violazione degli obblighi di assistenza familiare (anche nella forma di malversazione dei beni familiari, ex art. 570 c.p. comma 2, n.1);
- reati di minaccia (ex art. 612 c.p.);
- reati di percosse (ex art.581 c.p.);
- rearti di lesioni personali ( ex artt. 582 e 583 c.p.);
- reati di abuso di mezzi di correzione o disciplina ( ex art. 571 c.p.);
- reati di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli ( ex art. 572 c.p.);
- reati di sequestro di persona (ex art. 605 c.p.);
- reati di omicidio (ex. art. 585 c.p.).
La vittima, munita delle prove, può dunque chiedere l'intervento dell'ordinamento per ottenere l'applicazione delle sanzioni penali a punizione dell'aggressore, ma può anche agire innanzi al Giudice civile per ottenre la cessazione del comportamento violento (tutela inibitoria).
Ma il diritto interviene contro le violenze familiari prevedendo anche il risarcimento del pregiudizio subito (tutela risarcitoria).
I giudici hanno infatti riconosciuto anche alcuni illeciti civili che, pur in assenza degli estremi di reato, possono dar luogo al risarcimento del danno configurando una responsabilità civile in capo al loro autore.
Dal punto di vista civilistico è bene tuttativa chiarire come nell'ambito della famiglia il diritto incontri non poche resistenze al proprio ingresso, operando solo a fronte della definitiva compromissione dei vincoli affettivi e laddove dal contrasto intrafamiliare derivi un pregiudizio ai danni di un minore.
Così di fatto la violenza e le molesti morali intrafamiliari vengono ad assumere rilevanza di fronte al Giudice civile soprattutto nel corso di procedimenti di separazione o divorzio.
A cardine del sistema si pone la norma dell'art. 2043 c. c. che - nel sancire il principio per il quale "qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno" - consente a chi subisce una molestia morale di intentare, con l'assistenza di un avvocato, un'azione di risarcimento avanti il tribunale civile ordinario, lamentando gli abusi subiti quand'anche la violenza morale non abbia oltrepassato il livello di soglia del diritto penale.
L'art. 143 c.c. stabilisce che "dal matrimonio deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia e alla coabitazione" e che "i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia".
In particolare, quando si riesca a fornire la prova della condotta colposa o dolosa dell'aggressore, il nesso di causalità con il danno riportato dalla vittima, l'ingiustizia del danno per contrarietà alle norme, la vittima può ottenere il riconoscimento di somme da parte del suo persecutore a titolo di danno anche non patrimoniale.
Ciò significa che non tutte le molestie morali danno diritto ad un risarcimenti del danno, ma solo quelle di cui si riesca a fornire la prova della modificazione peggiorativa derivata alle proprie condizioni psichiche o fisiche.
Il danno, infatti, potrà riguardare il rimborso delle somme spese per le cure e trattamenti medici e psicoterapeutici connessi alle violenze subite, il reddito e le possibilità di guadagno perse per effetto della condotta del molestatore; ma potrà riguardare anche il danno correlato al peggioramento dello stato di salute (per l'insorgenza, ad esempio, di una sindrome depressiva) subito dalla vittima e accertato sotto forma di danno biologico dal medico legale o da uno psichiatra.
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