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MOBBING

Con la nozione di mobbing si individua una tipologia di condotte perpetrate sul posto di lavoro da parte del datore di lavoro, dei suoi preposti e/o da parte di colleghi nei confronti di un lavoratore. Tali condotte si protraggono nel tempo con le caratteristiche della persecuzione e consistono in una serie di atti e/o fatti che, considerati unitariamente, risultano lesivi della salute psicofisica e della dignità personale e professionale del lavoratore.

Come è ormai noto, il termine deriva dal verbo inglese to mob che significa "assalto di gentaglia" utilizzato, in etologia, per descrivere l'aggressione attraverso la quale un gruppo di animali reagisce nei confronti dell'intruso che ha invaso il loro territorio.

Il mobbing suppone una reiterazione di episodi protratta per più di sei mesi, esprimendosi in un processo persecutorio volto ad arrecare danni più o meno gravi alla persona, con conseguenze negative, anche notevoli, sulla salute ed anche da un punto di vista economico.

Sotto il profilo sanitario, il fenomeno conduce ad una lesione della salute del lavoratore che si concretizza nell'insorgenza di patologie psicosomatiche, sovente di carattere cronico (danno biologico); avvalendosi dell'indagine medico-legale, può stabilirsi quale sia la relazione fra il disagio psicofisico ed il momento ed il luogo (luogo di lavoro) dell'insorgenza della patologia. Quest'ultima spesso comporta incapacità a svolgere l'attività lavorativa, con inevitabili riflessi sull'intero vissuto personale della vittima (per i profili esistenziali del danno alla salute).

La condotta di mobbing si esprime attraverso reiterati comportamenti attivi e omissivi atipici che, isolatamente considerati, possono anche essere leciti e legittimi ma che, intesi complessivamente, esprimono una condotta oggettivamente e/o soggettivamente lesiva capace di emarginare il dipendente nell'ambiente di lavoro e porlo in una condizione di forte disagio.

E' un fenomeno complesso che può assumere svariate forme e manifestarsi in alcuni atti, fatti e contegni che esprimono, in taluni casi, atteggiamenti manifestamente ed immediatamente ostili ovvero, atteggiamenti meno immediati e indiretti che incidono, sul piano funzionale e sulla capacità lavorativa del soggetto (angherie, umiliazioni, diffusione di maldicenze, critiche all'operato professionale, controlli ossessivi, oppressioni disciplinari, disinformazione scientifica, marginalizzazione della normale comunicazione aziendale); in altri casi, invece, siamo di fronte a condotte in grado di concretizzare effetti direttamente produttivi di un danno alla carriera e già di per sè rilevanti per la violazione di una serie di norme (trasferimento in luighi isolati o sedi disagiate, assegnazione in settori diversi rispetto alla propria esperienza e specialità, conferimento di compiti dequalificanti, rimozione da incarichi, forzata inattività).

Le azioni scatenanti coincidono spesso con una strategia di gestione del personale da parte dell'azienda (ad esempio, al fine di indurre il lavoratore a rassegnare le proprie dimissioni per evitare le conseguenze di un licenziamento; secondo la terminologia corrente: bossing), ma possono identificarsi anche in particolari dinamiche relazionali tra colleghi (ambizione, gelosia, rivalsa, antipatia).

Il processo persegue, ma non sempre, l'obiettivo (oggettivamente o soggettivamente considerato) di provocare l'uscita della vittima dal contesto lavorativo, attraverso le sue dimissioni, il prepensionamento, il trasferimento o il licenziamento; nei casi più gravi, come si è detto, a tutto questo consegue l' incapacità lavorativa derivata dalla compromissione dello stato di salute.

Secondo una certa giurisprudenza, la volontà della condotta vessatoria (l'intento specifico, persecutorio o di emarginazione) e la sua durata nel tempo rappresentano le caratteristiche che permettono di configurare e distinguere la fattispecie del mobbing dai singoli fatti che possono concorrere a costituirla (es. dequalificazione). Ma sul punto vi sono, come vedremo, importanti novità sia da parte della giurisprudenza che della dottrina.  

La prova della relativa responsabilità richiede la valutazione dei fatti-episodi dedotti, che devono essere verificati per sistematicità e caratteristiche oggettive, come risultanti da una connotazione emulativa e pretestuosa.

La Corte di Cassazione in diverse pronunce, ha richiesto che l'atto sia intrinsecamente illecito sia dal punto di vista soggettivo che oggettivo e che sussista il rapporto di occasionalità necessaria fra l'attività lavorativa e il danno subito.

Va sottolineato, peraltro, che la responsabilità datoriale sussiste anche quando, pur in assenza di uno specifico intento, il comportamento materiale sia posto in essere da un dipendente, potendosi, in questo caso, invocare anche una responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell'art. 2049 c.c. per aver omesso di rimuovere il fatto lesivo cagionato da un suo sottoposto.

La tutela del lavoratore più frequentemente adottata nelle aule di giustizia è quella civile per equivalente pecuniario, dove la richiesta risarcitoria dei vari profili di danno patrimoniale e non patrimoniale (biologico, morale ed esistenziale) potrà avere natura contrattuale e/o extracontrattuale.

Nonostante nella premessa al disegno di legge n.122, ad iniziativa del Sen. Tommasini, fosse dato di leggere come nel nostro Paese il mobbing  "trovi più che altrove condizioni favorevoli per prosperare grazie ad una crisi economica preoccupante che provoca drastiche riduzioni di personale",  esistono delle ragioni di ordine politico e sociale che impediscono una disciplina normativa organica.

In difettto di una definizione normativa,  anzi, in difetto di una definizione giuridica il termine è stato spiegato e mutato dalle scienze della psicologia del lavoro (in questo senso, notriamente, in Italia, un contributo determinante nell'introduzione allo studio del fenomeno è stato portato da Harald Ege).

Da un punto di vista prettamente giuridico un solido punto di riflessione per l'individuazione del fenomeno si è avuto con la Circolare 17.12.2003 n. 1177 dell'INAIL, ove vennero fornite alcune linee guida per il riconoscimento del mobbing quale malattia di orgine professionale, indennizzabile se si è in presenza di tassative situazioni di c.d."costrittività organizzativa"; la circolare, poco dopo annullata dal giudice amministrativo (con sentenza del TAR Lazio del 4.7.2005 n.5454), è stata sostanzialmente ripresa nei suoi contenuti dal Decreto Ministeriale 27.04.2004, successivamente sostituito dal Decreto Ministeriale 14.1.2008, dove il mobbing continua ad essere raffigurato quale malattia psichica e psicosomatica derivante da disfunsioni dell'organizzione del lavoro per la quale è obbligatoria la denunzia ad opera del medico competente.

Oltre alle singole norme che si avvicinano alla problematica pur senza codificarla, la giurisprudenza sta ormai muovendo passi sempre più consistenti nello sforzo volto ad una rappresentazione convergente degli elementi necessari alla definizione del tema.

 
 
 
 
 
 
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