INEFFICIENZA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Pubblica Amministrazione: quali tutele?
L'attività di tipo potestativo della pubblica amministrazione si esprime attraverso fatti e atti che certamente devono rispettare il principio di legalità.
Sotto profili diversi il cittadino è sovente costretto alla amara presa di atto di come il comportamento degli uffici pubblici si atteggi in contrasto con ogni più elementare rispetto del principio di legalità appena indicato, disattendendo inoltre ogni valutazione del criterio di buon andamento della pubblica amministrazione; spesso l'azione della pubblica amministrazione è estrememente complessa, lunga, così apparendo incomprensibili i tempi di lavorazione di atti che, diversamente, potrebbero essere svolti in tempi molto più ridotti.
Ancora oggi, anche dopo che il diritto amministrativo è stato oggetto di notevoli approfondimenti e riforme volte anche a snellire l'azione della pubblica amministrazione, il cittadino soffre i tempi esagerati e non spiegabili; ancora, dietro la nozione di discrezionalità amministrativa, che come noto dovrebbe essere l'espressione di una comparazione degli interessi, si rappresentano attività piuttosto informate all'arbitrio del singolo operatore che esercita personalmente un piccolo ma decisivo potere che in molte circostanze va a formare un ingiustificato ma vero impedimento alla realizzazione e soddisfazione delle diverse situazioni giuridiche soggettive attive, fra cui i diritti soggettivi e gli interessi legittimi.
Come appare chiaro l'ordinamento ha introdotto un'importante quadro normativo che almeno sulla carta offre possibilità di tutela non trascurabili e negli ultimi venti anni la possibilità di reazione del privato ovvero di altro ente pubblico o privato coinvolto si è molto allargata e approfondita; tuttavia in concreto la contestazione verso l'azione della pubblica amministrazione recalcitante non appare sempre agevole ed i costi ed i tempi di un giudizio nelle sedi competenti, in alcuni casi, appare scoraggiante.
In via generale rimedi avverso l'immobilismo della pubblica amministrazione si raggiungono attraverso azioni cautelari nonchè per via dell'ammissibilità della domanda risarcitoria che ha condotto le stesse amministrazioni ad avere comportamenti più attenti e meno superficiali.
Nell'ordine di idee appena indicato l'attività amministrativa può poi allora in concreto rilevare come illecito cui si ricollega una reazione sanzionatoria in capo al funzionario inefficente (responsabilità personale del procedimento), ovvero porsi concretamente, appunto, quale causa diun danno economicamente valutabile in favore dell'interessato al soddisfacimento del bene della vita compresso; spesso gli interessi in gioco sono molto rilevanti ed un provvedimento di diniego poi annullato può determinare effetti economici negativi consistenti.
Di particolare interesse dunque è l'analisi dei rimedi legali che possono essere apprestati per prevenire e rimuovere i riflessi negativi e dunque lesivi dell'attività amministrativa, tutto ciò al fine di informare circa la corretta gestione dei rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione ispirata a criteri di efficacia, certezza, semplificazione e trasparenza.
Uno dei primi e più importanti aspetti percepito dai destinatari dell'azione amministrativa contro cui più frequentemente è dato scontrarsi, è rappresentato dall'inerzia della pubblica amministrazione.
La condotta omissiva si presenta al privato a fronte di un'istanza volta ad ottenere provvedimenti amministrativi, atti di accesso, la cui soddisfazione sottende interessi giuridicamente rilevanti.
Il silenzio della pubblica amministrazione ha diversi significati nel nostro ordinamento, potendo assumere i connotati di un c.d. silenzio significativo, cioè valevole, di volta in volta ed a seconda dei casi e dei presupposti del procedimento, come rigetto della istanza del privato, come inadempimento a fronte di attività vincolata, ovvero come un rifiuto a fronte di attività discrezionale.
Un esempio tipico di silenzio amministrativo si ha in presenza di una particolare procedura di commistione tra autonomia privata e pubblica che prende avvio dalla D.I.A., la denunzia d'inizio di attività edilizia.
A mezzo della D.I.A., come noto, si prevede che siano realizzabili gli interventi che, pur non rientrando nell'attività edilizia libera, non sono riconducibili alle ipotesi per le quali la legge richiede il permesso di costruire.
In tali casi il proprietario dell'immobile oggetto dei lavori, o chi ne abbia titolo, deve presentare la denunzia allo sportello unico del Comune, entro 30 giorni prima dell'effettivo inizio, dei lavori stessi ed entro lo stesso termine il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, nel caso in cui riscontri condizioni ostative, deve notificare all'interessato l'ordine motivato di non effettuare l'intervento.
L'interessato ha l'obbligo di comunicare al Comune la data di ultimazione dei lavori.
La denuncia ha una validità massima di tre anni ed i lavori non ultimati entro tale termine possono essere eseguiti solo previa presentazione di nuova denuncia, se ancora possibile, relativa ai lavori ancora da effettuare.
Il punto di interesse è dato appunto dal termine di 30 giorni entro il quale l'amminisrazione ha il potere-dovere di pronunciarsi negativamente qualora non ricorrano i presupposti richiesti dalla legge.
Se l'amministrazione adotta il provvedimento di diniego, dunque, nulla questio: si è dinanzi ad un tradionale esercizio di potere da parte della pubblica amministrazione, con i terzi garantiti dall'emanazione dell'atto finale, che potrà essere impugnato dinanzi al giudice amministrativo, qualora si evidenzi una lesione.
Se, invece, come più spesso accade, il termine entro cui provvedere decorre invano, il privato è autorizzato a porre in essere l'attività denunciata, essendo proprio questo l'effetto giurido caratterizzante l'istituto in questione, che mira in sostanza a semplificare l'esercizio di determinate attività da parte dei privati.
E' facilmente intuibile, dunque, la portata degli effetti dell'inerzia della amministrazione con l'affidamento risposto dal privato in ordine all'avvio ed alla ultimazione dei lavori.
La disciplina normativa non dice nulla circa il possibile silenzio dell'amministrazione e prevede semplicemente che, decorso il termine, il privato è legittimato ad intraprendere le attività denunciate.
Le posizioni della dottrina e della giurisprudenza sulla qualificazione di tale inerzia dell'amministrazione sono diverse, alcuni affermano che si verterebbe in un'ipotesi di silensio-assenso, altri escludono che la denuncia di inizio attività dia origine ad un provvedimento amministrativo in forma tacita, in quanto atto di autonomia privata.
In questi e altri simili casi diviene importante, dunque, comprendere il significato del principio della certezzadell'azione amministrativa perchè da un determinato contegno della pubblica amministrazione deriva un affidamento dei privati sulla possibilità delle proprie azioni ed un coinvolgimento degli interessi di terzi alla conservazione delle posizioni sogettive.
In via generale (in assenza di specifiche previsioni), il termineentro il quale deve concludersi ogni procedimento amministrativo è stato fissato dal nostro legislatore in 30 giorni (art.2 comma 3 legge 241); il comma 2 prevede tuttavia che le amministrazioni possano determinare (per ogni procedimento tipico) il termine entro il quale concludere il procedimento, qualora non vi sia una previsione legislativa o regolamentare che dispone in merito.
Decorso tale termine sono destinati ad acquisire rilevanza l'inerzia ed il silensio serbati dalla pubblica amministrazione.
In tema di certezza dei tempi di conclusione del procedimento, l'articolo 2 della legge n.241/1990 ha appunto generalizzato l'obbligo di provvederedella pubblica amministrazione ed ha fissato il principio per cui ogni procedimentodeve concludersi entro un termine prestabilito con la previsione del diritto al risarcimento dei danni in caso di ritardoe con l'obbligo gravante sulla pubblica amministrazione di comunciare ai soggetti interessati l'avvio del procedimento, il termine entro il quale esso deve concludersi e l'indicazione dei rimedi contro l'inerzia della pubblica amministrazione.
Sotto tale ultimo aspetto, in conseguenza della previsione di un termine espresso per la conclusione del procedimento la giurisprudenza non ha inteso abbandonare del tutto una visione più antica dei mezzi posti a tutela del privato contro l'inadempimento della pubblica amministrazione, conservando il principio della diffida quale eventuale mezzo di una prima reazione del privato.
La diffida stragiudiziale, a provvedere entro un termine non superiore a 30 giorni notificata all'amministrazione procedente, continua a consentire (pur in presenza della attuale previsione di obbligatorietà di un termine di conclusione del procedimento amministrativo) la realizzazione di un'esigenza deflattiva del contenzioso amministrativo, assicurando all'amministrazione un ulteriore termine per evitare l'insorgenza della lite.
Non è da escludersi, infatti, l'eventuale esercizio della potestà della pubblica amministrazione di annullare autonomamente i propri provvedimenti qualora questi siano illegittimi o inopportuni ab origine, oppure lo siano divenuti in itinere (c.d. autotutela amministrativa).
Tuttavia tale possibilità della previa diffida stragiudiziale, atta ad ottnere una risoluzione del conflitto contro la P.A., non rappresenta più una fase obbligata e prodromica all'introduzione del giudizio presso i Tribunali amministrativi, luogo di elezione per la tutela processuale contro l'inerzia amministrativa.
E' dunque possibile ricorrere nel rispetto dei termini processuali direttamente al giudice amministrativo per intraprendere la tutela giurisdizionale avverso il provvedimento emesso.
Alla cognizione di tale giudice è, come noto, devoluto in prima istanza il sindacato sulla legittimità dell'azione amministrativa al cui esito è previsto che il giudice "ordina all'amministrazione di provvedere" e se "l'amministrazione resti inadempiente...il giudice amministrativo, su richiesta di parte, nomina un commissario che provveda in luogo della stessa".
L'ordito normativo in questionedefinisce una disciplina unica ed indifferenziata, valida in tutti i casi in cui l'amministrazione si sottrae al dovere di adottare un provvedimento (in particolare nelle situazioni giuridiche soggettive di diritto soggettivo): la convenienza di proporre il ricorso è stettamente correlata alla facoltà per il giudice amministrativo di conoscere della fondatezza dell'istanza.
Se espressamente richiesto nell'atto introduttivo del giudizio, il giudice dovrà e potrà, quindi, operare una duplice valutazione. In un primo momento si dovrà accertare l'esistenza dell'obbligo a provvedereed il suo effettivo inadempimento; successivamente - verificata l'esistenza e l'inadempimento dell'obbligo a provvedere - il giudice potrà valutare la fondatezza dell'istanza allo stato degli atti e delle risultanze della istruttoria.
Per quanto concerne l'attività c.d. dicrezionaledella pubblica amministrazione il sindacato del giudice è diretto ad una valutazione dell'attività, tenuto conto che la discrezionalità si esprime attraverso la ponderazione degli interessi di gioco, come è noto, il giudice non può sostituirsi all'azione della pubblica amministrazione ma attraverso l'azione di annullamento può ordinale che la pubblica amministrazione esprima una nuova attività nel rispetto del principio di legalità.
Tornando all'esempio della D.I.A. il terzo, che si ritenga leso dall'attività denunciata, oltre ad esprimere le azioni previste dal codice civile a tutela dei diritti reali (in primis la domanda di rstituzione in pristino di cui all'art. 872 c.c.), nonchèricorrere agli strumenti di tutela cautelare (come la denuncia di nuova opera e di danno temuto), e alla tutela d'urgenza di cui all'art. 700 c.p.c., avrà così a sua disposizione la possibilità di contare su una tutela non certo diretta, ma pur sempre effettiva, di fronte al giudice amministrativo, il quale andrà a valutare innanzitutto la legittimità della D.I.A., atto presupposto del silenzio che si impugna.
Sotto un diverso ulteriore profilo, capita spesso nella vita di tutti i giorni di notare come l'inefficienza dell'attvità amministrativa si rilevi anche laddove si assita alla violazione di un criterio programmatico dell'azione amministrativa, pur imposto dalla legge, che prevede il ricorso all'uso della pratica telematicasia tra enti che tra pubblica amministrazione e privati, quale incentivo alla tempestività ed economicità dei procedimenti.
Sul tema della semplificazionee dunque della celerità dell'azione amministrativa è peraltro intervenuto il Consiglio di Stato (V sez., decisione 02.07.2011, n.3602), il quale ha affermato un principio precursore dell'attuale era informatica: quello per cui la diciplina concernente la documentazione amministrativa deve essere intesa nel senso della massima espansione del principio di semplificazione e che le ipotesi dubbie o controverse vanno opportunamente risolte tenedo conto dei principi espressi dall'ordinamento, volti a ridurre il peso degli oneri formali gravanti sui cittadini e sulle imprese.
Ecco duqne l'emergere di un altro principio nei rapporti tra privati e pubblica amministrazione: in un ordinamento moderno e dinamico, caratterizzato dall'innovazione tecnologica e dal complessivo recupero di efficienza delle pubbliche amministrazioni, gli oneri formali e burocratici imposti ai soggetti privati devono essere ridotti alla misura minima (c.d. autocetificazione amministrativa).
Altro cardine, cui nel nostro ordinamenti deve impostarsi l'azione amministrativa, è rappresentato dal principio di trasparenzadel procedimento.
Alla violazione di tale paradigma si connettono due importanti obblighi in grado di rilevare l'illegittimità dei provvedimenti della pubblica amministrazione in danno dei privati: l'obbligo di motivazione e quello di garantire ai privati l'accesso al procedimento amministrativo.
L'obbligo di motivazionedell'atto amministrativo è stato espressamente introdotto dall'art. 3 della legge n.241/1990 e rappresenta il fulcro attorno a cui ruota buona parte della giustizia amministrativa con il sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica della pubblica amministrazione.
Il legislatore, in via generale, ha previsto che tutti gli atti amministrativi debbano indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche assunte a base dell'atto stesso, sulla base delle risultanze dell'istruttoria condotta dall'ufficio amministrativo.
Alla luce di quanto disposto dall'art. 3 della L. 241/1990, può e deve, così, ritenersi invalido per violazione di leggel'atto amministrativo sfornito di motivazione ovverso l'atto amministrativo che non esprima compiutamente i presupposti di fatto e le regioni giuridche alla base dell'atto, ovvero che non indichi l'atto cui fa riferimento per la motivazione o che non lo renda disponibile.
Sempre grazie al medesimo obbligo gravante sulla pubblica amministrazione, è illegittimo per eccesso di potere, invece l'atto la cui motivazione sia perlessa, contraddittoria, incongrua e/o illogica.
Va aggiunto che la L. n.15 del 2005 ha introdotto la c.d. motivazione anticipatanel caso in cui, a fronte di un'istanza del provato, la pubblica amministrazione intenda emettere un provvedimento di rigetto.
In tal caso, l'art.10bis della L. n.241/1990 prvede che la pubblica amministrazione sia tenuta a comunicare anticipatamente i motivi di rigetto dell'istanza.
Successivamente sarà duqnue possibile far emergere un'ulteriore ipotesi di illegittimità dell'atto amministrativo, ogni qual volta il provvedimento conclusivo rechi una motivazione diversa da quella adottata con la comunicazione di preavviso di rigetto.
L'esigenza di anticipare i tempi di tutela del privato è qui evidente, in quanto, a fronte del preavviso di rigetto, l'istante ha facoltà, nel termine di 10 giorni, di presentare memorie e documenti; ove la pubblica amministrazione intenda confermare la preliminare determinazione negativa sull'istanza dovrà motivare in ordine al mancato acoglimento delle ulteriori allegazioni del soggetto promotore dell'istanza.
Si deve precisare come la motivazione dell'atto amministrativo possa essere resa anche per relationem,nel neso che erssa può essere espressa anche con l'allegazione o il mero riferiemtno ad atti del procedimento amminsitrativo; ad esempio pareri o valutazioni tecniche espresse da altri organi coinvolti nel procedimento: in tal caso può così concretamente emergere un ulteriore profilo di illegittimità dell'atto amministrativo, in quanto è necessario che l'atto indicato per relationem sia reso disponibile.
Un esempio è quello della motivazione espressa con valutazione numerica nell'ambito di prove concorsuali: le soluzioni proposte in giurisprudenza sono varie e diversamente articolate. Vi è chi ritiene che la valutazione numerica sia ammissibile solo in caso di esito positivo della prova; altra parte della giurispridenza ravvisa la legittimità della valutazione espressa mediante voto numerico, solo nel caso in cui l'attribuzione del voto dipenda unicamente dall'applicazione di una predeterminata griglia di parametri resa accessibile e disponibile al controllo.
Altro importante profilo dei rimedi concessi contro l'attività amministrativa, è quello concernente la trasparenza ed il connesso diritto del cittadino di prendere visione ed estrarre copia dei documenti del procedimento che lo riguardano.
Il diritto di acco agli atti amministrativiconcerne un'importante conquista nell'ambito dei rimedi apprestabili a tutela del privato contro la pubblica amministrazione.
Esso rigurada tutti i soggetti privati che abbiano un interesse concreto ad attuale collegato ad una situazione giuridicamente tutelata e connessa al documento di cui si chiede l'acquisizione.
La domanda può essere presentata dal soggetto direttamente o da un suo delegato: legale rappresentante, difensore, tutore.
E' possibile richiedere ogni documento amministrativo inteso quale rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromanetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti.
Vi sono dei limiti all'accesso che riguardano i documenti coperti da segreto di Stato, i documenti relativi a procedimenti tributati di terzi, la documentazione inerente l'attività di un ente diretta all'emanazione di atti normativi generali, di pianificazione e di programmazione, i documenti relativi a procedure selettive del personale contenenti informazioni di carattere psico-attitudinale relative a terzi, i documenti che riguardino dati sensibili delle persone fisiche quali appartenenza razziale, religiosa, opinioni politiche, salute, fedi religiose, casellario penale, corrispondenza, stati familiari, rapporti economici e di alimenti.
E' comunque garantito l'accesso anche a quest'ultimi documenti quando siano strettamente indispensabili alla difesa dei propri diritti e siano garantite modalità di anonimato dei soggetti terzi non direttamente coinvolti nella vicenda oggetto di tutela.
Il diritto di accesso può essere esercitato in via informale, dietro semplice richiesta verbale all'ufficio che ha formato o detiene stabilmente il documento, se la tipologia del documento richiesto esclude la presenza di controinteressati.
La valutazione sull'ammissibilità o meno dell'accesso in via informale spetta al responsabile dell'ufficio.
Ove invece sia necessario compiere una valutazione più approfondita sull'interesse manifestato dal richiedende per accedere agli atti, o sulla eventuale presenza di controinteressati all'esercizio del diritto di accesso, è necessario prsentare formale richiesta di accesso agli atti puntualmente motivata.
In tal caso il procedimento deve concludersi entro 30 giorni dalla ricezione dell'istanza di accesso da parte della pubblica amministrazione.
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