Consiglio superiore della magistratura, 09.05.2007



Nota in data 20 febbraio 2007 del Ministro della giustizia con la quale trasmette, per il parere, copia del d.d.l., approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 22 dicembre 2006, concernente: "Misure di sensibilizzazione e prevenzione, nonché repressione dei delitti contro la persona e nell'ambito della famiglia, per l'orientamento sessuale, l'identità di genere ed ogni altra causa di discriminazione."

Nota in data 20 febbraio 2007 del Ministro della giustizia con la quale trasmette, per il parere,
copia del d.d.l., approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 22 dicembre 2006,
concernente: "Misure di sensibilizzazione e prevenzione, nonché repressione dei delitti contro
la persona e nell'ambito della famiglia, per l'orientamento sessuale, l'identità di genere ed
ogni altra causa di discriminazione."

(Deliberazione del 9 maggio 2007)

Il Consiglio superiore della magistratura, nella seduta del 9 maggio 2007, ha approvato il seguente parere:
«Con nota del 20 febbraio 2007 il Ministro della giustizia trasmetteva per il parere, ai sensi dell'articolo 10 della legge 24 marzo 1958 n. 195, il testo del disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri nella riunione del 2 dicembre 2006 concernente "Misure di sensibilizzazione e prevenzione, nonché repressione dei delitti contro la persona e nell'ambito della famiglia, per l'orientamento sessuale, l'identità di genere ed ogni altra causa di discriminazione".

Occorre premettere come l'interlocuzione del Consiglio superiore della magistratura debba limitarsi ad osservazioni che riguardino la compatibilità dell'intervento normativo con i principi costituzionali, soprattutto in materia di giurisdizione, nonché le possibili ricadute della previsione legislativa sul sistema organizzativo giudiziario anche se non si presenta come eccentrico rispetto alla prassi della rispettosa collaborazione istituzionale con il Ministro della giustizia un eventuale giudizio su aspetti tecnici della proposta che riguardano la sfera applicativa delle norme da parte della magistratura.
Il disegno di legge, predisposto e proposto congiuntamente dal Ministro per i diritti e le pari opportunità, dal Ministro della giustizia e dal Ministro delle politiche per la famiglia, evidenzia una apprezzabile sensibilità politica rappresentata attraverso un intervento organico nella materia, nel tema della violenza contro i soggetti socialmente deboli quali i minori, gli anziani e le donne. In questo quadro devono intendersi anche le disposizioni relative alla violenza cosiddetta "di genere", definibile come tutte le forme di violenza - fisica, morale, sessuale - che sottendono modelli portatori di rapporti asimettrici tra i generi e le generazioni; violenza, come tale, direttamente aggressiva del principio di uguaglianza e l'universalità dei diritti umani e che quindi non interessa una determinata categoria di cittadini o la sola sfera privata ma la società nella sua interezza.
Invero già l'impianto normativo esistente in tema di violenza sessuale e maltrattamenti in famiglia (L. 15 febbraio 1996 n. 66, L. 4 aprile 2001 n. 154 in materia di violenza nelle relazioni familiari che ha introdotto nell'ordinamento civile e penale lo strumento dell'ordine di protezione della vittima, art. 572 c.p.) assicurava - nella più recente applicazione ed interpretazione giurisprudenziale delle singole norme demandata, grazie anche all'intervento, che comunque deve essere rivitalizzato, sul piano della organizzazione degli uffici giudiziari da parte del Consiglio superiore della magistratura che ha previsto una specializzazione della magistratura inquirente e giudicante anche nel settore della violenza in famiglia e su soggetti minorenni, ad operatori giudiziari opportunamente sensibilizzati e formati - una risposta adeguata ad un fenomeno particolarmente insidioso ed ancora troppo profondamente sommerso.
Tuttavia il disegno di legge in esame ha il pregio di introdurre una serie di disposizioni di natura sociale (capo I e capo II del testo) - con grande valenza di messaggio culturale - finalizzate a tutelare la dignità delle vittime nonché di intervenire con specifiche previsioni normative - per esempio in materia di atti persecutori (c.d. stalking) o di sottrazione e trattenimento di minore all'estero - in frequenti e crescenti situazioni di condotte illecite non aggredibili penalmente per l'assenza di qualsiasi riferimento legislativo efficace sul piano della tutela della vittima e della repressione del comportamento deviante. Proprio nelle situazioni sopra indicate, la magistratura inquirente e giudicante ha dovuto fornire risposte totalmente insoddisfacenti che hanno comportato l'aggravamento dello stato antigiuridico prodotto dall'azione del colpevole fino, addirittura, al decesso della vittima in situazioni di progressiva gravità di attività persecutorie non interrotte. Nei primi due capi del DDL si prevedono una serie di interventi, rientranti nella sfera di valutazione politica propria dell'Esecutivo, per la sensibilizzazione e la prevenzione contro la violenza in famiglia, di genere e contro le discriminazioni nonché a sostegno delle vittime dei reati.
In particolare:
- è previsto un impegno generale di tutte le amministrazioni statali a realizzare interventi di informazione e di sensibilizzazione per concretizzare l'impegno a varare un piano d'azione nazionale di carattere complessivo contro la violenza sessuale e di genere nonché per ragioni di orientamento sessuale (art. 1 );
- nel sistema di istruzione e di formazione ed in quello sanitario, assieme a un intervento di principio per rimuovere tutte le discriminazioni (compresa quella relativa all'orientamento sessuale) si prevedono interventi formativi rivolti ai docenti e al personale sanitario realizzati di concerto col Ministero per i diritti e le pari opportunità (artt. 2, 3);
- in ambito comunicativo si introduce per la prima volta una norma finalizzata a proibire l'utilizzazione in modo vessatorio o discriminatorio a fini pubblicitari dell'immagine della donna o dei riferimenti all'orientamento sessuale o alla identità di genere, con la previsione delle sanzioni di cui all'art. 26 D.Lvo 6 settembre 2005 n. 206 (c.d. codice del consumo) (art.4);
- viene affidato all'Istat un monitoraggio costante del fenomeno della violenza e dei maltrattamenti per comprenderne meglio le caratteristiche fondamentali e per individuare i soggetti più a rischio (art. 5);
- viene prevista la possibilità di intervenire sul piano previdenziale per le vittime dei reati di cui agli artt. 572, 609 bis e 609 octies c.p. che si trovino, a causa della situazione delittuosa, nella impossibilità di svolgere la loro attività autonoma (art. 6);
- si realizza una rete integrata col privato sociale, dando vita al registro dei centri anti-violenza presso il Dipartimento per i diritti e le pari opportunità, allo scambio di informazioni con le istituzioni pubbliche e alla gestione condivisa degli interventi del piano nazionale un carattere permanente e strutturato (art. 7);
- si tende a realizzare una sorta di "carta dei diritti" della vittima di violenze fisiche e sessuali volta a garantire dei livelli essenziali delle prestazioni con un supporto psicologico ma anche sociale e familiare, previdenziale, concependo l'aiuto alle vittime anzitutto per ricostruire in positivo una loro piena autonomia;
- si sono progettati dei programmi di reinserimento lavorativo assimilabili a quelli già operanti in materia di tratta degli esseri umani, che aiutano la donna a reinserirsi socialmente e professionalmente riconoscendole nuovi spazi e possibilità anche economiche di mantenersi autonomamente.
In tale ambito si può soltanto osservare che probabilmente una maggiore aderenza a tutti i principi affermati nella Convenzione internazionale sui diritti delle donne promossa dall'ONU nel 1979 e nelle Raccomandazioni emesse dal C.E.D.A.W. (Comitato per la eliminazione della discriminazione contro le donne) di cui l'Italia è componente avrebbe consentito un intervento, sul piano di una più precisa definizione della discriminazione contro le donne e del trattamento sociale della vittima, ancora più penetrante.
A tal fine appare opportuno sottolineare come sia importante inserire un livello di formazione capillare di tutti gli operatori che, in ragione della singola professionalità ricoperta, vengono a contatto con il fenomeno della violenza commessa sui soggetti deboli (segnatamente donne e minori) e ciò per eliminare ogni possibile improvvisazione sul piano dell'accoglienza, dell'intervista e della protezione della vittima.
Altri Paesi europei hanno inoltre normativamente previsto trattamenti personalizzati risocializzanti, su adesione volontaria, per agenti che abbiano commesso fatti di violenza su donne a prescindere dall'instaurazione di un procedimento penale, mentre nel disegno di legge in esame non si prevedono interventi in tal senso. Invero soltanto all'art. 21 del testo si parla come condizione per l'ammissione ai benefici, di una "valutazione positiva alla partecipazione a un programma di riabilitazione specifica" per i detenuti condannati per i reati di cui agli artt. 600 bis, 600 ter, 609 bis e 609 octies, se commessi in danno di persona minorenne, e 609 quater del codice penale. Si rimanda quindi alla emanazione di un decreto ministeriale per la disciplina dei programmi di riabilitazione senza alcuna indicazione quantomeno ai contenuti ed alle modalità dei medesimi. Di tale norma, peraltro, va criticata anche la collocazione sistematica non felice, in quanto inserita all'articolo 4 bis della legge 26 luglio 1975 n. 354 e successive modificazioni - che tratta "del divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti" e non nell'ambito delle disposizioni che riguardano le singole misure alternative.
Sul piano dell'intervento penale occorre rilevare:
1) l'art. 10 del DDL qualifica come maltrattamento in famiglia anche il comportamento lesivo posto in essere nei confronti del convivente. Invero l'intervento normativo consacra un orientamento già ampiamente consolidatosi in giurisprudenza, ma il riconoscimento espresso dell' eguale livello di protezione garantisce il consolidamento dell'orientamento giurisprudenziale ed elimina possibili ombre sul piano del rispetto del principio costituzionale di stretta legalità. L'elevazione dei riferimenti edittali di pena consente, nella parametrazione del limite massimo previsto a sei anni di reclusione, di ricorrere allo strumento delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni ai sensi degli artt. 266 c.p.p. e seguenti come mezzo per l'acquisizione di elementi di prova, strumento che si rileva particolarmente efficace per accertare soprattutto quelle forme di maltrattamento familiare in danno di minori o comunque in fattispecie dove si denota l'assenza di figure genitoriali protettive.
Non vengono, invece, effettuati interventi sulla fattispecie dell'art. 571 c.p., norma che andrebbe invece rivisitata.
2) L'art. 11 introduce il reato di "sottrazione e trattenimento di minore all'estero" aggiungendo l'art. 574 bis c.p. per tipicizzare autonomamente una condotta che attualmente può essere sussunta solo nel delitto di cui all'art. 574 c.p. relativo alla "sottrazione di persone incapaci" punito con la reclusione da uno a tre anni.
Le nuove disposizioni prevedono la pena della reclusione da uno a sei anni nel caso di sottrazione e trattenimento all'estero di minore di quattordici anni o di ultraquattordicenne dissenziente, ovvero da sei mesi a quattro anni nel caso in cui il minore sottratto e trattenuto all'estero sia di età superiore ai quattordici anni e consenziente.
L'intervento appare particolarmente apprezzabile perché disciplina autonomamente - con previsioni di pena per il reato che consentono, al contrario di quanto prevede l'attuale normativa, l'adozione di misure cautelari personali nei confronti del colpevole - dei comportamenti sempre più frequenti, anche a causa della evoluzione multirazziale della società italiana, che non trovano alcuna possibilità di contenimento di natura cautelare preventiva o repressiva. La previsione della pena accessoria, in caso di condanna o di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., della sospensione dall'esercizio della potestà dei genitori rende ancora più adeguata la sanzione ad una condotta che si concretizza sostanzialmente in una grave violazione dei doveri connessi ad un corretto esercizio del ruolo genitoriale nei confronti del figlio minore e dell'altro genitore.
Devono essere avanzate perplessità, sotto il profilo della coerenza sistematica, in tema di previsione di procedibilità a querela del reato laddove non si disciplina una ipotesi di irrevocabilità della stessa per una fattispecie che consente l'adozione di misure coercitive a carico del querelato. In sostanza si  potrebbe verificare una situazione processuale nella quale, dopo che l'indagato abbia sofferto un periodo di custodia cautelare, il giudice non potrebbe più procedere per quei fatti oggetto di intervento sulla libertà personale del reo per intervenuta remissione di querela, con ciò attribuendosi alla parte lesa del reato legittimata alla proposizione dell'istanza punitiva un potere che non trova riscontro nell'ordinamento penale (le fattispecie in tema di violenza sessuale non procedibili d'ufficio prevedono sempre una querela irrevocabile) con la sola esclusione, peraltro minimale ed eccezionale, della violazione dell'art. 570 c.p. rapportata alla possibilità di applicare la misura coercitiva dell'allontanamento dalla casa familiare ai sensi dell'art. 282 bis c.p.p.
3) Nell'art. 12 del testo, tra le cause di aggravamento della pena nei reati di violenza sessuale, viene introdotta una nuova aggravante, sostitutiva di quella originariamente prevista per reati di violenza sessuali posti in essere nei confronti di minore infrasedicenne dal genitore o dall'ascendente ovvero il tutore (art. 609 ter primo comma numero 5) c.p.. La nuova aggravante si estende anche alle ipotesi in cui il reato è commesso nei confronti di persona della quale il colpevole sia il coniuge, il convivente o la persona che sia o sia stata legata da relazione affettiva anche senza convivenza. La violenza commessa dal coniuge, dal convivente, ovvero comunque dal partner non convivente è ritenuta maggiormente lesiva della violenza posta in essere dall'estraneo poiché implica 1'approfittamento della condizione di affidamento che caratterizza le relazioni affettive; il rapporto affettivo abbassa la soglia di difesa, la potenziale vittima è meno vigile poiché non si attende alcun tipo di comportamento violento o aggressivo dalla persona ad essa legata sentimentalmente. L'estensione dell'applicabilità del reato di corruzione di minorenni - art. 609 quinquies c.p.- anche alle condotte di chi "mostra materiale pornografico a persona minore degli anni quattordici al fine di indurla a compiere o a subire atti sessuali" e la introduzione della nuova figura delittuosa di "Adescamento di minorenne" - attraverso l'utilizzazione delle rete Internet - ex art. 609 undecies c.p. (art. 12 commi 7 e 8 DDL) evidenziano il condivisibile intento di prevedere attraverso precise fattispecie di reato condotte che vengono sempre più registrate nell'esperienza giudiziaria ma che difficilmente potevano trovare una risposta efficace sul piano penale proprio per il doveroso rispetto, da parte del magistrato, del principio di tassatività della fattispecie. Invero l'esperienza giudiziaria evidenzia come proprio le forme di adescamento attraverso la rete informatica di soggetti minorenni ai quali vengono effettuate offerte comunicative ed affettive alquanto ambigue - con l'evidente finalità di costruire un rapporto plagiato finalizzato alla consumazione di atti sessuali non liberi perché all'origine condizionati e inquinati - costituisca un fenomeno in forte espansione numerica e di facile diffusione che necessita di un pronto intervento sul piano repressivo.
4) Non appare invece opportuno, sul piano del concreto esercizio della giurisdizione penale e segnatamente nella sussunzione dell'accertamento del fatto storico nel modello legale e quindi nel trattamento sanzionatorio del colpevole ex art. 133 c.p., la limitazione operata dal legislatore con l'introduzione dell'art. 609 duodecies c.p. (art. 12 comma 8 DDL) in tema di esclusione della possibilità per il giudice di valutare prevalenti o equivalenti le circostanze attenuanti rispetto a quelle aggravanti per i reati di violenza sessuale. Proprio l'esperienza maturata dall'entrata in vigore della legge 66/1996 ha dimostrato come sia assolutamente indispensabile, in relazione alla molteplicità di situazioni oggettive e soggettive portate all'attenzione del giudice penale, consentire un maggiore ambito di intervento nel momento di irrogazione della pena al fine di adeguare realmente il trattamento punitivo al disvalore del fatto-reato accertato per evitare condanne esemplari distoniche rispetto a quanto processualmente accertato e comunque contrarie al principio costituzionale del trattamento rieducativi della pena. Peraltro una simile previsione vanificherebbe tutti i tentativi procedimentali posti in essere anche per assicurare una giustizia di tipo riparativo nella forma del risarcimento del danno alla vittima del reato.
5) L'art. 13 del DDL introduce una nuova forma di reato - "Atti persecutori", 612 bis c.p. - colmando una profonda lacuna normativa che ha visto quasi sempre le forze di polizia e la magistratura assenti sul piano dell'intervento in tutte quelle gravi situazioni conosciute con il termine letterario di "stalking" e già oggetto di osservazione e di studio in numerosi Stati esteri. Si tratta infatti di quei comportamenti molesti o minacciosi che, turbando le normali condizioni di vita, pongono la vittima in un grave stato di disagio fisico e psichico, di vera e propria soggezione e che sono capaci di determinare un giustificato timore per la propria sicurezza ovvero per la sicurezza di persona particolarmente vicina alla vittima.
La nuova figura di reato - procedibile a querela revocabile in relazione alle cui problematicità si richiama quanto già espresso sub 2) - prevedendo una pena massima fino a quattro anni di reclusione consente l'adozione di misure coercitive a carico del persecutore e quindi la possibilità di prevedere un piano concreto di protezione della vittima.
6) L'art. 18 ha esteso l'ambito di applicazione dei delitti motivati da forme di discriminazione razziale, etnica e religiosa (articolo 3 legge 13 ottobre 1975 n. 654 ) agli atti discriminatori fondati sull'orientamento sessuale e sull'identità di genere.
Sul piano processuale il DDL ha:
7) (art.16) ampliato la possibilità di ricorso all'incidente probatorio (già previsto per i delitti di riduzione in schiavitù, violenza sessuale e altri) per l'assunzione della testimonianza delle vittime di reati di maltrattamenti in famiglia, atti persecutori, adescamento di minorenne e ciò anche quando la parte lesa sia maggiorenne. Le modalità di protezione della vittima/testimone consentono di evitare che vengano rivissute esperienze tragiche e mortificanti che spesso cagionano al soggetto passivo del reato un nuovo danno (la c.d. vittimizzazione secondaria).
Sul piano costituzionale non si ravvisano violazioni all'art. 111 della Carta anche se l'aumento di situazioni in cui la raccolta della prova avviene in un momento antecedente alla fase dibattimentale e davanti ad un giudice diverso da quello del giudizio può comportare ricadute sul piano della perfetta compatibilità con il principio di immediatezza che regola il dibattimento. E' evidente, infatti, che l'acquisizione della prova in un momento antecedente a quello tipico del dibattimento rappresenta una eccezione nel sistema processuale, e tale deve restare, anche se occorre prendere atto che nella fattispecie il legislatore ha voluto privilegiare l'esigenza di cristallizzare la prova in un momento più prossimo al fatto, anche a tutela del diritto di difesa, e una più adeguata protezione della vittima del reato.
Sotto il profilo delle ricadute organizzative, occorrerà potenziare, nei diversi tribunali, le aule destinate agli ascolti protetti che devono essere attrezzate con specchio unidirezionale, collegamenti citofonici ed impianti di videoripresa e registrazione;
8) (art. 16) introdotto una nuova misura cautelare - il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa ex art. 282 ter c.p.p. - che offre un ulteriore strumento efficace per interrompere quei reati, come gli "atti persecutori", che turbano in maniera assai significativa la normali condizioni di vita delle vittime, rendendo possibile, poi, l'intervento della magistratura prima che si consumino delitti più gravi.
Invero lo stesso obiettivo di tutela della vittima poteva ugualmente essere perseguito con l'utilizzazione dell'attuale misura prevista dall'art. 283 c.p.p. (Divieto di dimora) la cui applicazione consente di ridurre la libertà di circolazione dell'indagato in relazione all'esigenza cautelare di evitare la reiterazione del reato per il quale si procede e quindi in funzione di una dettagliata protezione anche sul territorio della stessa vittima;
9) (art. 17) reso obbligatorio il giudizio immediato nei procedimenti per i delitti di cui agli artt. 609 bis, 609 quater, 609 quinquies e 609 octies c.p. qualora ricorrano le condizioni previste dagli articoli 453 ss c.p.p..
A tal fine si legge nella relazione illustrativa che "la disposizione proposta, che non modifica l'istituto del rito immediato, intende imprimere velocità ai processi per tali delitti, senza tuttavia pregiudicare le esigenze relative alla raccolta delle prove".
Proprio i presupposti tipici del giudizio immediato - la necessaria valutazione della sussistenza di una "evidenza di prova", rimessa inizialmente al Pubblico ministero in quanto soggetto processuale deputato alla scelta iniziale del rito e quindi al GIP- impediscono che possa essere esercitata l'azione penale laddove permangano carenze investigative.
Perplessità invece suscita l'obbligatorietà di procedere con giudizio immediato per le fattispecie sopra richiamate e ciò perché l'introduzione di un rigido meccanismo processuale in vicende personali che non sempre si prestano a schematismi precostituiti potrebbe rappresentare un elemento di irrazionalità. Invero la letteratura e l'esperienza insegnano che quasi mai i tempi del processo e quelli necessari per la riparazione del trauma psicologico sofferto dalla vittima dei reati di violenza sessuali siano armonici, dovendosi tentare di coniugare le esigenze determinate dalla finalità del processo con quella della tutela della parte lesa. La finalità di dare priorità ai processi per i delitti di violenza sessuale può essere meglio raggiunta attraverso il rafforzamento di criteri di organizzazione degli uffici di Procura con l'individuazione di
dipartimenti specializzati nella trattazione di tali tipologie di reato;
10) previsto la possibilità per la Presidenza del Consiglio dei Ministri (presso cui operano realtà dotate di competenze in merito e di stretti rapporti col privato sociale quali il Dipartimento per i diritti e le pari opportunità e il Dipartimento per le politiche per la famiglia) di costituirsi parte civile nei processi per atti discriminatori. Appare ovviamente impregiudicata la possibilità per gli altri enti e associazioni di costituirsi parti civili, ove ne ricorrano le condizioni. Nei processi per violenza nei confronti delle donne potranno altresì intervenire in giudizio gli enti locali e i Centri antiviolenza che abbiano prestato assistenza alla donna.»