Delib.G.R. Molise, 13.07.2006, n. 974



APPROVAZIONE "LINEE-GUIDA REGIONALI PER LA RILEVAZIONE E LA PRESA IN CARICO DI BAMBINI E BAMBINE VITTIME DI VIOLENZA" - PROVVEDIMENTI.

DELIB.G.R. 13 LUGLIO 2006, N. 974

APPROVAZIONE "LINEE-GUIDA REGIONALI PER LA RILEVAZIONE E LA PRESA IN CARICO DI BAMBINI E BAMBINE VITTIME DI VIOLENZA" - PROVVEDIMENTI.

Pubblicata nel B.U. Molise 1° agosto 2006, n. 22, suppl. ord. n. 3.


La Giunta regionale
(omissis)
Premesso che la Regione Molise:
- assume, tra le proprie priorità, la promozione di iniziative in favore dell'infanzia e dell'adolescenza e di adeguate strategie di prevenzione primaria, secondaria e terziaria e di contrasto ad ogni forma di abuso, sfruttamento e maltrattamento ai danni di bambini e bambine;
- ha realizzato la costituzione dell'Osservatorio Regionale dei fenomeni sociali di cui fa parte integrante l'Osservatorio regionale sull'infanzia e l'adolescenza;
- ha promosso e sostenuto la realizzazione di un progetto sui temi del maltrattamento e dell'abuso all'infanzia per offrire agli operatori e alle operatrici coinvolti l'opportunità di approfondire la conoscenza di alcuni elementi di base inerenti sia le caratteristiche del fenomeno sia gli interventi di rilevazione e protezione e avviare una riflessione multidisciplinare e interistituzionale sul tema;
Ritenuto di dover emanare un atto di indirizzo per la rilevazione e la presa in carico di bambini e bambine vittime di maltrattamenti, abuso e sfruttamento sessuale;
Dato atto che è stato realizzato un confronto ed un lavoro condiviso con le Istituzioni e i Servizi competenti, la Magistratura minorile e ordinaria che ha permesso di elaborare linee-guida regionali volte a dare coerenza e uniformità agli interventi, perseguendo, altresì, gli obiettivi di:
1. favorire la rilevazione e il riconoscimento precoci delle situazioni di rischio e di violenza conclamata;
2. fornire orientamenti operativi agli operatori dei servizi territoriali, socio-sanitari, scolastici ed educativi, anche indicando modalità organizzative e di integrazione da realizzarsi a livello di Ambito Territoriale;
3. favorire la presa in carico efficace e integrata dei casi nel breve e lungo periodo;
4. facilitare il coordinamento delle politiche e delle prestazioni dei diversi Enti ed Istituzioni locali coinvolti, definendo percorsi e procedure condivisi;
Dato atto, altresì, che il gruppo di lavoro ha approfondito i riferimenti normativi e giuridici, l'azione intrapresa da altre Regioni e l'elaborazione scientifico-culturale sviluppatasi su questi temi a livello regionale e nazionale;
Visti:
- la Convenzione sui Diritti del Fanciullo, di New York del 20 novembre 1989;
- la legge 27 maggio 1991, n. 176: "Ratifica ed esecuzione della convenzione sui diritti del fanciullo";
- la legge 15 febbraio 1996, n. 66: "Norme contro la violenza sessuale";
- la legge 28 agosto 1997, n. 285: "Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza";
- la legge 3 agosto 1998, n. 269: "Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù";
- la legge 8 novembre 2000, n. 328: "Legge-quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali", in particolare l'art. 8 che attribuisce alle Regioni le funzioni di programmazione, coordinamento e indirizzo degli interventi sociali, nonché la disciplina dell'integrazione degli interventi stessi, con particolare riferimento all'attività sanitaria e socio-sanitaria ad elevata integrazione sanitaria e la definizione di politiche integrate in materia di interventi sociali, ambiente, sanità, istituzioni scolastiche, avviamento al lavoro e reinserimento nelle attività lavorative, servizi del tempo libero, trasporti e comunicazioni;
- la legge 28 marzo 2001, n. 149: « Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante: "Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori", nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile»;
- la legge 5 aprile 2001, n. 154: "Misure contro la violenza nelle relazioni familiari";
- il D.P.C.M. 14 febbraio 2001: "Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni sociosanitarie";
- la legge 9 gennaio 2006, n. 7: "Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile";
- la legge 11 agosto 2003, n. 228: "Misure contro la tratta di persone";
- la legge 6 febbraio 2006, n. 38: "Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet";
- la legge regionale n. 1/2000: "Riordino delle attività socio-assistenziali e istituzione di un sistema di protezione sociale e dei diritti sociali di cittadinanza";
- il Piano Sociale della Regione Molise 2004/2006, che individua tra gli obiettivi da raggiungere, per qualificare al meglio l'offerta degli interventi e dei servizi sociali per i minori: la cura del disadattamento; la prevenzione del disagio e qualsiasi azione di esclusione sociale; la promozione di attività rivolte a promuovere opportunttà educative e di aggregazione; la promozione dell'auto-progettualità; la capacità di formare e sostenere un ruolo positivo degli adulti nei confronti dei bambini e degli adolescenti e individua, altresì, tra i possibili interventi di assistenza socio-psicologica, la costituzione presso ogni territoriale dell'Ufficio per la Tutela dei Diritti del Minore, che rappresenti un punto di riferimento sia per il minore, nel caso in cui abbia la percezione che un suo legittimo diritto sia stato leso da una persona adulta o che sia vittima di qualsiasi sopruso, sia per gli adulti;
Considerato che la Regione Molise:
- ha stipulato un convenzione (Reg. (CE) n. 1833/2005) con l'Istituto degli Innocenti di Firenze e ha approvato un progetto curato dall'Istituto stesso sul tema dell'abuso e maltrattamento dei minori;
- ha firmato, in data 3 marzo 2006, un protocollo d'intesa con "S.O.S. Telefono azzurro onlus" per l'attivazione della linea nazionale per la prevenzione dell'abuso all'infanzia per l'esercizio del servizio telefonico connesso al codice di pubblica emergenza 114 nel territorio regionale;
- ha aderito alla sperimentazione del sistema di monitoraggio sull'abuso, attivato dal Centro nazionale di documentazione ed analisi per l'infanzia e l'adolescenza presso l'Istituto degli innocenti di Firenze;
Visto le "Linee-guida per la rilevazione e la presa in carico di bambini e bambine vittime di maltrattamento, abuso e sfruttamento sessuale";
Ritenuto di dover provvedere in merito;
Su proposta dell'Assessore alle Politiche Sociali;
unanime delibera
per le motivazioni espresse in premessa:
> Di approvare le "Linee-guida per la rilevazione e la presa in carico di bambini e bambine vittime di maltrattamenti, abuso e sfruttamento sessuale" allegate e parte integrante e sostanziale del presente atto;
> Di dare mandato alla Direzione Generale V - Servizio Promozione e Tutela Sociale per tutti i successivi adempimenti;
> Di disporre la pubblicazione del presente provvedimento con relativo allegato sul Bollettino Ufficiale della Regione Molise, sul sito web della Regione Molise e nelle pagine web dell'Osservatorio Regionale sull'infanzia e l'adolescenza;
> Di avviare un percorso di sperimentazione a livello territoriale per validare e dare attuazione all'applicazione operativa delle linee-guida;
> Di monitorare l'attuazione delle stesse attraverso il confronto periodico con tutti gli Enti e le Istituzioni, dei settori pubblico e del privato sociale, coinvolti nell'assistenza e nella cura dei minori.
Allegato
Linee-guida regionali per la rilevazione e la presa in carico di bambini e bambine vittime di maltrattamenti, abuso e sfruttamento sessuale - Regione Molise
Premessa
Questo documento propone un approccio integrato e multidisciplinare nella gestione degli interventi per la tutela di bambini e bambine vittime di violenza.
Obiettivi delle linee-guida sono:
- favorire la rilevazione e il riconoscimento precoci delle situazioni di rischio e di violenza conclamata;
- fornire orientamenti operativi agli operatori dei servizi territoriali, sociosanitari, scolastici ed educativi, anche indicando modalità organizzative e di integrazione da realizzarsi a livello di Ambito Territoriale;
- favorire la presa in carico efficace e integrata dei casi nel breve e lungo periodo;
- facilitare il coordinamento delle politiche e delle prestazioni dei diversi enti ed istituzioni locali coinvolti, definendo percorsi e procedure condivisi.
L'approccio proposto si basa su cinque principi fondamentali.
1. Bambino[1]-centrico: il "superiore interesse" di bambini e bambine costituisce il principio guida fondamentale affinché sia loro assicurata l'opportunità di esprimere i loro bisogni, di trovare accoglienza e risposte commisurate al loro sviluppo psico-fisico, in un'ottica di equità intergenerazionale.
2. Contestuale: gli obiettivi e i livelli d'inter vento interessano i singoli individui, le famiglie, la comunità e la società nel suo complesso.
3. Multisettoriale e multidisciplinare: una strategia di prevenzione primaria, secondaria e terziaria della violenza coinvolge molteplici settori del sistema sociale: amministrativo-istituzionale, sociale, sanitario, educativo e giudiziario. L'integrazione intersettoriale e il lavoro di rete sono i metodi di lavoro indispensabili per realizzare azioni efficaci e sostenibili.
4. Empowerment: il rafforzamento e l'ampliamento delle risorse di conoscenza, professionali e strumentali a livello locale è un requisito indispensabile per operare adeguatamente allo scopo di
conseguire concretamente il potenziamento delle risorse individuali, familiari e sociali dei soggetti, adulti e minorenni, beneficiari degli interventi.
5. Costruzione del capitale sociale: la prevenzione multisettoriale e multidimensionale della violenza all'infanzia potenzia la coesione e il capitale sociale di una comunità poiché ne rafforza i legami familiari e sociali, riducendo i costi individuali e collettivi delle conseguenze a breve e lungo termine della violenza all'infanzia.
In considerazione dell'elevata complessità del fenomeno e della necessità di adottare interventi tempestivi e coordinati, secondo l'ambito di competenza istituzionale e disciplinare di ciascun ente, sussiste l'esigenza di disporre di criteri e procedure condivisi che permettano di:
1. rilevare precocemente le situazioni a rischio;
2. differenziare le varie situazioni in termini di specifici fattori di rischio, pericolosità, gravità, attualità della violenze e grado di cronicizzazione, nonché individuare e valutare le risorse e i fattori protettivi esistenti al fine di scegliere gli interventi più adeguati e commisurati ai bisogni e all'entità del danno sul bambino;
3. promuovere il coordinamento e l'integrazione interistituzionale e multidisciplinare;
4. assicurare assistenza sia nel breve che nel lungo periodo per favorire processi di cambiamento e cura per il bambino e, ove possibile, delle relazioni familiari;
5. soddisfare esigenze sia cliniche sia giudiziarie, ovverosia obiettivi di tutela e cura del bambino vittima, e il perseguimento del reato.
Le linee-guida sono un contributo alla riduzione dei fattori di rischio e di acutizzazione del danno prodotto dal trauma poiché costituiscono uno strumento per:
- accrescere la capacità di rilevazione;
- favorire la maturazione di risposte di protezione competenti, tempestive ed efficaci da parte del contesto sociale in cui vive il minore vittima di violenza;
- creare le condizioni per il contenimento del rischio di una vittimizzazione secondaria del bambino derivante da disfunzioni e incompetenza del sistema.
[1] Il termine bambino è qui usato per riferirsi, sebbene impropriamente, a soggetti di sesso maschile e femminile. Le necessità di sintesi hanno imposto l'adozione del genere maschile in un'accezione estensiva come genere non marcato, o "falso neutro". Inoltre, con "bambino" ci riferiamo a individui infradiciottenni ai sensi dell'articolo 1 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo (New York, 20 novembre 1989), recepita nell'ordinamento italiano con la legge 27 maggio 1991, n. 176.
1. Inquadramento generale del fenomeno
1.1. Definizioni
Per violenza all'infanzia si devono intendere:
"tutte le forme di cattiva salute fisica e/o emozionale, abuso sessuale, trascuratezza o negligenza o sfruttamento commerciale o altro che comportano un pregiudizio reale o potenziale per la salute del bambino, per la sua sopravvivenza, per il suo sviluppo o per la sua dignità nell'ambito di una relazione caratterizzata da responsabilità, fiducia o potere", (1999, Consultation on Child Abuse and Prevention -OMS; 2002, Report on Health and Violence, OMS).
La definizione qui assunta riesce a racchiudere un'ampia varietà di comportamenti che pregiudicano il normale percorso di sviluppo sociale, psicologico, cognitivo e fisico di un bambino, a prescindere dall'intenzionalità con la quale essi sono stati attuati. Vi rientrano, infatti, comportamenti che possono avere una natura attiva oppure omissiva, e che possono avvenire in ambiente sia intrafamiliare sia extrafamiliare. La violenza all'infanzia non si presenta mai in una sola modalità, più forme sono sempre copresenti.
A fini illustrativi è utile richiamare la tradizionale classificazione tipologica della violenza all'infanzia:
- abuso sessuale: è il coinvolgimento di un bambino in attività sessuali che non comprende pienamente, e cui non è capace di dare un consenso informato. La violenza può anche non essere esplicita e manifesta, ma è sempre intrinseca all'atto di violazione dell'integrità fisica e psicologica del bambino. Per violenza sessuale s'intende un'interazione (con o senza contatto fisico) tra un bambino e un soggetto, adulto o minorenne, che per età o grado di sviluppo è posto in una posizione di preminenza rispetto alla vittima. Le manifestazioni dell'abuso sessuale sono: atti di libidine occasionali o reiterate (carezze, esibizionismo ecc.), violenza sessuale assistita, induzione alla visione di materiale pornografico, rapporti sessuali (genitali, anali, orali), avvio alla prostituzione, utilizzo del bambino per la produzione di materiale o spettacoli pornografici. La gravità degli effetti è determinata dalle caratteristiche dell'evento, quali precocità, frequenza, durata, tipo di atti sessuali, relazione con l'abusante e dalla qualità delle risorse di protezione e delle risposte da parte dei contesti istituzionale e familiare;
- maltrattamento fisico, è un evento dal quale consegue un danno fisico, concreto o potenziale, a seguito di comportamento attivo oppure omissivo, che non lo previene e permette che avvenga (es. avvelenamento da detersivi perché questi sono conservati completamente alla portata di un bambino). Può manifestarsi come episodio singolo oppure incidenti ripetuti. Manifestazioni del maltrattamento fisico sono punizioni corporali, frustate, ustioni, urti violenti contro pareti e pavimenti. Conseguenze, non sempre direttamente evidenti, sono, per esempio, ecchimosi, lesioni cutanee, lesioni oculari, fratture, traumi cerebrali, traumi interni, sino alla morte.
- maltrattamento psicologico, questa forma di violenza si esprime in atti che producono o hanno un'alta probabilità di produrre danni alla salute fisica e mentale del bambino e al suo benessere sociale ed emotivo. Tali atti includono la limitazione dei rapporti sociali con il gruppo dei pari o altri adulti di riferimento affettivo, aggressioni verbali, minacce, umiliazioni, comportamenti denigranti, discriminanti o che ridicolizzano il bambino e altre forme non-fisiche di trattamento ostile o rifiutante;
- patologia delle cure, riguarda quelle condizioni in cui i genitori, o le persone legalmente responsabili del bambino, non provvedono adeguatamente ai suoi bisogni, fisici e psichici in rapporto al momento evolutivo e all'età. La patologia della somministrazione delle cure comprende tre categorie cliniche:
* l'incuria, o trascuratezza, quando le cure affettive e/o materiali sono carenti, con effetti sullo stato di salute complessivo del bambino;
* la discuria quando le cure sono fornite in modo distorto e non appropriato al momento evolutivo del bambino, da cui derivano anacronismi nelle cure o atteggiamenti accuditivi che impongono ritmi di acquisizione precoci;
* l'ipercura quando le cure sono somministrate in modo eccessivo o sproporzionato, vi si include: il chemical abuse, l'anomala e aberrante somministrazione di sostanze farmacologiche - potenzialmente innocue (es. sale o acqua) al bambino; il medical shopping, l'esagerazione di malattie del bambino da cui derivano continue richieste di consultazioni mediche per cercare rassicurazioni sul suo stato poiché i genitori percepiscono ogni lieve patologia come una forma di minaccia alla vita stessa del bambino; la "sindrome di Münchausen per procura" quando il genitore (spesso la madre), o altra figura di accudimento, segnala malattie del bambino indotte attraverso la somministrazione di sostanze tossiche o alterando campioni di sangue e di urina per ingannare i medici, che sono interpellati continuamente con richieste di cure e analisi.
È una forma di ipercura che può avere gravi conseguenze fisiche sul bambino sino a esiti letali a causa delle sostanze somministrate.
- violenza assistita, secondo la definizione elaborata dal Cismai (2005), "per violenza assistita si intende l'esperire da parte del bambino/a qualsiasi forma di maltrattamento compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative, adulte o minori. Il bambino può farne esperienza direttamente (quando essa avviene nel suo campo percettivo), indirettamente (quando il minore è a conoscenza della violenza), e/o percependone gli effetti. Si include l'assistere a violenze di minori su altri minori e/o su altri membri della famiglia e ad abbandoni e maltrattamenti ai danni di animali domestici".
Alle tipologie classiche sopra elencate è opportuno aggiungere altre categorie che si riferiscono sia a situazioni di deprivazione affettiva e materiale sempre più ricorrenti anche in Italia:
- sindrome da alienazione parentale: è uno stato di malessere psicologico in cui incorrono bambini e bambine coinvolti in gravi conflitti parentali che portano a impedire al bambino di frequentare uno dei due genitori, come accade in separazioni o divorzi caratterizzati da conflittualità patologica e/o violenta;
- sfruttamento illegale e lavorativo: esempio accattonaggio, lavori agricoli, circuiti criminali organizzati;
- tratta: l'indurre mediante inganno o il costringere mediante violenza, minaccia, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità, o mediante promessa o dazione di somme di denaro o di altri vantaggi alla persona che su
di essa ha autorità, un minore a fare ingresso o a soggiornare o a uscire dal territorio dello Stato o a trasferirsi al suo interno;
- riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù: ridurre o mantenere un minore in uno stato di soggezione continuativa, costringendolo a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all'accattonaggio o comunque a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento.
1.2. Caratteristiche del fenomeno
Come scritto nel Documento d'indirizzo elaborato dalla Commissione nazionale per il coordinamento degli interventi in materia di maltrattamenti, abusi e sfruttamento sessuale di minori (1998):
"la violenza, quale che sia la sua connotazione, ma in particolare quella sessuale, costituisce sempre un attacco confusivo e destabilizzante alla personalità in formazione di un bambino, e perciò provoca gravi conseguenze a breve, medio e lungo termine sul processo di crescita. Il trauma, se non rilevato, diagnosticato e curato, può produrre disturbi psicopatologici o di devianza nell'età adulta. Il danno cagionato è in genere tanto maggiore quanto più:
a) il maltrattamento resta sommerso e non viene individuato;
b) il maltrattamento è ripetuto nel tempo;
c) la risposta di protezione alla vittima nel suo contesto familiare e sociale ritarda;
d) il vissuto traumatico resta non espresso e non elaborato;
e) la dipendenza fisica e/o psicologica e/o sessuale tra la vittima e il soggetto maltrattante è forte;
f) il legame tra la vittima e il soggetto maltrattante è di tipo familiare.
Concordemente si riconosce che si tratta di un fenomeno:
- pericoloso, sia per le minacce e le vessazioni, anche non esplicite, cui il bambino è esposto, sia per le conseguenze psicofisiche del trauma che esso produce;
- tende a cronicizzarsi;
- costituisce un comportamento che può trasmettersi tra generazioni;
- è trasversale a tutti i gruppi sociali e culturali;
- è espressione di un disagio e di una patologia familiare;
- è multidimensionale (possono coesistere più forme di violenza);
- può richiedere di agire in un ambiente multiproblematico (può interessare nuclei che presentano anche altre problematiche, ad esempio alcolismo, marginalità sociale, ecc.);
- costituisce un'esperienza traumatica che ha effetti a breve e a lungo termine.
Una particolare vulnerabilità caratterizza l'esperienza di alcune categorie di bambini e bambine che è opportuno richiamare esplicitamente perché sono titolari di specifici diritti e portatori di bisogni che necessitano di un'attenzione particolare:
- i bambini diversamente abili, particolarmente esposti a varie forme di violenza dalla trascuratezza alla violenza sessuale. Come dimostrano le ricerche disponibili a livello internazionale, il rischio di vittimizzazione è dal 1,7 al 3,4 volte più alto per questi bambini, la cui disabilità conduce o contribuisce al maltrattamento subito a causa della difficoltà di accettazione della situazione da parte dei genitori, della loro scarsa preparazione ad affrontare le difficoltà del figlio oppure dell'ostinato mantenimento di aspettative irrealistiche;
- bambini e bambine stranieri la cui presenza è sempre più numerosa nel nostro paese. Il disagio vissuto da questi bambini può restare nascosto per motivi socioculturali inerenti sia alla famiglia di origine, diffidente rispetto all'accesso a strutture pubbliche, talvolta vissute come organi di controllo piuttosto che di aiuto, sia agli stessi servizi sociosanitari presenti sul territorio, talvolta impreparati ad accogliere questo tipo di utenza e comprenderne i bisogni anche dal punto di vista linguistico-culturale.
L'entità degli effetti del trauma e la capacità di resilienza degli individui [2] sono influenzati dal bilancio tra fattori di rischio e di protezione che caratterizza ogni situazione incontrata dagli operatori. Gli eventi, infatti, sono l'esito della combinazione complessa di fattori di rischio e di protezione presenti a livello individuale, familiare e sociale; è pertanto essenziale non sottovalutare né gli eventuali elementi familiari che mettono a rischio il bambino né le potenzialità e le risorse su cui far leva per contrastare o ridurre l'impatto dei fattori negativi.
Nella valutazione dello stato dei bambini è importante considerare l'equilibrio esistente tra le due componenti allo scopo di modulare correttamente gli interventi in conformità alle esigenze di breve, medio e lungo periodo, così come queste sono pronosticabili a partire da una valutazione dinamica dello stato del bambino e delle sue relazioni familiari e sociali.
[2] Resilienza (elasticità-flessibilità) è un concetto che fa riferimento alla capacità di recupero dal trauma o dalle situazioni che creano stress in relazione a variabili moderatrici e protettrici che possono ridurre l'impatto di abusi e/o maltrattamenti in chi ne è vittima.
2. Il contesto dell'intervento
2.1. Caratteristiche del sistema di prevenzione, protezione e tutela
Le motivazioni che sottostanno alla decisione non più procrastinabile di stendere delle linee-guida per la rilevazione e la presa in carico di bambini e bambine vittime di violenza, sono molteplici; partono sicuramente dalla considerazione che ogni bambino vittima di abuso e maltrattamento ha diritto di avere intorno a sé una rete di adulti che lo protegga, lo ascolti, decodifichi le sue richieste di aiuto, lo sostenga in un percorso sereno di crescita.
D'altro canto nell'ultimo decennio abbiamo assistito ad un profondo mutamento del panorama culturale e legislativo che ha rafforzato le misure a tutela dei minori vittime di questi reati e ribadito con maggiore chiarezza il ruolo dei servizi.
Una particolare forma di tutela è quella che attiene al riconoscimento dei loro diritti, dotando lo Stato di strumenti operativi e di conoscenze indispensabili per dare cittadinanza sociale all'infanzia.
2.1.1 Il progetto individualizzato di tutela
La definizione ampia e generica di tutela risente di diverse variabili relative ai significati che gli operatori multidisciplinari attribuiscono a concetti quali: sviluppo adeguato di un minore, validità genitoriale, bisogni primari da garantire, interventi di sostegno e/o vigilanza.
Le predette variabili sono andate individuandosi nel corso dell'evoluzione storica dello stesso concetto di tutela, che partendo da un iniziale sistema di protezione assistenzialistica, realizzata essenzialmente mediante il ricovero in istituto e l'assistenza economica, si è progressivamente sviluppato fino a sancire il principio della tutela psicologica e sociale, attraverso lo strumento del Progetto individualizzato di tutela.
Soprattutto tale ultima acquisizione costituisce un punto di svolta nell'ambito delle strategie mirate all'individuazione di situazioni di pregiudizio e all'assunzione delle azioni consequenziali di effettiva tutela del bambino vittima.
Gli aspetti fondamentali che il Progetto individualizzato di tutela prevede, sono:
- l'osservazione e l'ascolto del bambino,
- le valutazioni diagnostiche e prognostiche delle funzioni genitoriali e degli effetti della violenza sul bambino,
- i micro interventi diversificati: sociali, sanitari, giudiziari per sostenere risorse personali e familiari e promuovere il cambiamento di situazioni disfunzionali allo sviluppo del bambino,
- gli interventi coordinati e condivisi con la magistratura,
- l'adozione di protocolli di intesa tra servizi,
- l'attuazione delle normative vigenti e dei principi previsti nelle Convenzioni europee e internazionali a tutela dei diritti del bambino.
Realizzare un siffatto progetto di tutela ha messo in luce, inoltre, la necessità di istituire un Servizio specialistico di tutela che: preveda la possibilità di avvalersi di un laboratorio di metodologie e interventi efficaci e valutabili; adotti forme di condivisione ed integrazione sia rispetto alla realizzazione di progetti mirati, che riguardo alla operatività tra ASL, Comuni, Scuola e Magistratura; tenga conto dell'agire professionale tra diversi operatori nel rispetto di una propria etica e professionalità; curi la formazione permanente e gli spazi di supervisione; promuova ricerche e studi longitudinali sulla materia.
In particolare, per quanto riguarda l'integrazione operativa e sinergica tra ASL, comuni, scuola e magistratura, si fa riferimento a tutti quegli specifici provvedimenti di tutela giuridica che comportano interventi di prevenzione del deterioramento della qualità della vita familiare, attività di sostegno al nucleo familiare e/o al singolo ed attività di sostituzione del nucleo familiare, qualora gli interventi di sostegno risultino impraticabili e/o inefficaci.
Il ruolo cruciale dei servizi nell'ottica onnicomprensiva della tutela del minore, attraverso il progetto individualizzato, risulta prioritario anche riguardo alla capacità di resilienza.
Il progetto individualizzato di tutela si articola in una presa carico di breve periodo e in una di lungo periodo.
La presa in carico di breve periodo ha come obiettivo la rilevazione precoce della situazione di pregiudizio e l'accertamento nell'emergenza, che può portare all'adozione di misure straordinarie di protezione ai fini dell'interruzione della violenza in atto. In questa fase il sostegno al bambino si realizza anche attraverso gli interventi posti in essere dalla magistratura minorile e ordinaria ai fini della tutela del bambino e dell'accertamento del reato.
La presa in carico di lungo periodo comprende la progettazione per il futuro contesto di vita del bambino ai fini del miglior recupero psicofisico possibile (permanenza o rientro nella famiglia di origine, affidamento eterofamiliare; adozione) e l'attivazione delle prestazioni di trattamento. La presa in carico di lungo periodo è essenziale ai fini della riparazione degli effetti del danno emotivo, psicologico, cognitivo, relazionale e fisico cui il bambino è stato esposto e, non ultimo, ha anche finalità di tipo preventivo perché essa può favorire una comprensione degli eventi utile all'interruzione del ciclo intergenerazionale della violenza.
Alla realizzazione degli interventi di tutela e di presa in carico, così come indicato dalla legge n. 328/2000 (art. 22), possono concorrere anche strutture specializzate del privato sociale che siano in regime di coordinamento e convenzione con gli enti locali e le ASL.
2.1.2 L'integrazione e il coordinamento nel sistema di protezione e tutela
Gli interventi di protezione e tutela possono essere riclassificati in una prospettiva di prevenzione secondo i tre livelli della prevenzione:
- primaria, finalizzata a ridurre l'incidenza del fenomeno attraverso sia la promozione di una nuova e più attenta cultura della tutela e della promozione dei diritti di bambini e bambine sia l'individuazione precoce delle situazioni a rischio prima che la violenza insorga;
- secondaria volta ad interrompere tempestivamente situazioni di violenza già conclamatesi attraverso interventi precoci per un'efficace presa in carico;
- terziaria, finalizzata a favorire il reinserimento sociale delle vittime e il loro recupero psicofisico riducendo i danni fisici e psicologici provocati dall'aver subito maltrattamento e abuso attraverso percorsi riparativi che interrompano la potenziale trasmissione di modelli comportamentali violenti o di vittima.
I tre livelli della prevenzione vedono agire attori appartenenti a molteplici Settori professionali e istituzionali aventi compiti e responsabilità diversi:
* Amministrativo/politico, che definisce i contenuti e le priorità delle politiche nazionali, regionali e locali di settore e le risorse (economiche, umane, strumentali, ecc.) disponibili per l'intervento;
* Sociale, espresso dai Servizi sociali pubblici e del privato-sociale che si occupano, in modo specializzato o generalista, della promozione e della protezione sociale dell'infanzia, e, più in generale, della famiglia;
* Sanitario, pubblico e privato, che contribuisce alla presa in carico attraverso consulenze specialistiche sullo stato psicofisico del bambino, specialmente nelle fasi della valutazione e accertamento, nonché, successivamente, per il trattamento del minore, della famiglia e dei soggetti abusanti, laddove sia possibile ed esista personale specializzato;
* Giudiziario, che costituisce un crocevia di differenti soggetti preposti alla repressione del reato, all'individuazione dell'autore e alla tutela del minore vittima (le Forze dell'Ordine, il Tribunale Ordinario, il Tribunale per i Minorenni, la Procura presso il Tribunale per i Minorenni, eccetera);
* Educativo/Scolastico, la Scuola e altre agenzie educative che intervengono in ambiti di vita importanti dei bambini e delle bambine, collocandosi, poi, sulla scena del maltrattamento e dell'abuso sessuale in quanto fonti di segnalazione e attori, insieme con altri, del supporto al minore.
Occuparsi di maltrattamento e abuso sessuale significa porsi al crocevia di tali settori ognuno dei quali è deputato a svolgere funzioni e compiti specifici alcuni dei quali sono trasversali [3] a tutti i settori che compongono il sistema di protezione e tutela. È quindi necessario che gli attori che agiscono all'interno del sistema operino seguendo un approccio multidisciplinare e interistituzionale; servono pertanto la coerenza nelle strategie e l'esistenza di connessioni sistematiche e stabili tra gli operatori poiché le scelte e le azioni di ciascun attore generano vincoli oppure risorse rispetto all'azione degli altri.
L'approccio al lavoro di rete, il coordinamento degli interventi e l'integrazione intersettoriale nella tutela di bambini e bambine, trovano i loro presupposti giuridici nella stessa Carta costituzionale, laddove agli articoli 97 e 113, nell'ambito dei principi di legalità e buona amministrazione, impongono la collaborazione (interistituzionale e interdisciplinare) per le finalità di pubblico interesse, tra le quali si annovera la protezione del minore.
Riferimenti alla necessità/obbligo di integrazione tra i vari settori, e in particolare in area sociale e sanitaria, sono indicati da:
- la legge 15 febbraio 1996, n. 66, Norme contro la violenza sessuale (art. 11 che ha introdotto l'art. 609-decies nel codice penale);
- la legge 3 agosto 1998, n. 269, Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù (in particolare l'articolo 13) in tema di tutela del minore abbandonato o prostituito;
- la legge 31 dicembre 1998, n. 476, Ratifica ed esecuzione della convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta a L'Aja il 29 maggio 1993. Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in tema di adozione di minori stranieri, articolo 29-bis) che disciplina la nuova adozione internazionale;
- la legge 8 novembre 2000, n. 328 "Legge-quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali";
- la legge n. 149/2001 modificativa dell'adozione e dell'affido (articoli 5, comma 2, e 19 comma 3 e 8 ove è richiamato l'intervento dello psicologo);
- il D.P.C.M. 14 febbraio 2001 (Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio-sanitarie) con particolare riferimento alla tabella Area materno- infantile di cui all'art. 4, comma 1.
Modalità e strutture di coordinamento tra operatori ed enti sono strumenti di lavoro da promuovere a livello locale, provinciale e regionale. In particolare, vengono a configurarsi tre diversi tipi di coordinamento, quello concernente il livello politico-amministrativo (per dare attendibilità politica al problema della violenza all'infanzia, individuare priorità istituzionali e definire linee-guida e protocolli procedurali); quello operativo-interservizi (finalizzato ad armonizzare e rendere coerenti gli interventi e a creare un raccordo interprofessionale volto ad evitare la sovrapposizione e la ripetizione degli interventi) e quello sul singolo caso (una specie di miniéquipe costituita dagli operatori direttamente coinvolti nella presa in carico del caso e detentori dei compiti più direttamente operativi di protezione, vigilanza, valutazione e trattamento).
L'effettiva tutela richiede inoltre di individuare soluzioni e alternative alle conflittualità e alle separazioni che tendono a crearsi tra servizi degli adulti e servizi di tutela minori superando le separazioni che possono prodursi quando un adulto portatore di sintomi, sofferenze o disagio sociale viene seguito da presidi territoriali che possono seguire percorsi operativi diversi da quelli attuati dai servizi per l'infanzia.
Per quanto attiene al settore Amministrativo/Politico, nel quadro della legge n. 328/2000 e della riforma federalista del titolo V della Costituzione (L.Cost. n. 3/2001), che ha demandato alla potestà esclusiva della Regione la materia sociale, l'amministrazione regionale e gli enti locali hanno acquisito nuove competenze e più forti responsabilità rispetto alla determinazione degli indirizzi, delle priorità e dell'organizzazione dei servizi nel settore della prevenzione e del contrasto della violenza all'infanzia. Stato, Regioni ed Enti locali, collaborano alla definizione e alla organizzazione dei servizi in un sistema improntato al principio di sussidiarietà verticale.
Le recenti riforme legislative e costituzionali, nonché l'adeguamento ad esse attuato dalla Regione, hanno valorizzato il ruolo della Regione e degli enti locali nell'ambito delle politiche sociali, assegnando alla Regione potestà legislativa esclusiva in materia, nonché compiti di programmazione, pianificazione, promozione, indirizzo e coordinamento; alle Province di concorrenza nella programmazione sociale regionale e di individuazione dei bisogni socio - assistenziali, di assistenza tecnica e di collaborazione con gli altri enti locali; ai Comuni, titolare delle funzioni in materia socio-assistenziale, di concorrenza alla programmazione regionale in materia socio-assistenziale e sociosanitaria, di erogazione dei servizi e prestazioni relativi a minori, giovani, anziani e famiglie, di accreditamento e di autorizzazione delle strutture erogatrici di taluni servizi socio-assistenziali, nonché di promozione e raccordo con tutte le risorse pubbliche, private,
del privato sociale, del volontariato e di mutuo aiuto che concorrono alla realizzazione del sistema sociale locale, comprese le iniziative finalizzate alla promozione del benessere e alla protezione di bambini e bambine.
[3] Le funzioni trasversali, cioè condivise, prendono la forma di interventi:
- universali, cioè rivolti alla totalità della popolazione per finalità generali di prevenzione primaria, benessere e attuazione dei diritti dell'infanzia. Questo tipo di interventi assicura che tutti i bambini e i nuclei familiari abbiano adeguate risorse per promuovere un pieno sviluppo sociale, emotivo, psicologico, cognitivo e fisico di ogni fanciullo. Questi interventi devono altresì supportare i genitori nell'adempiere ai loro compiti di sviluppo, accudimento e cura. Tutti i settori sono titolari di obblighi di legge e compiti volti alla realizzazione di interventi universali per assicurare una prevenzione primaria globale della violenza all'infanzia.
- Selettivi sui gruppi a rischio, gli interventi selettivi sono rivolti a bambini considerati a rischio di maltrattamenti, trascuratezza, violenza e sfruttamento e agli adulti considerati potenzialmente a rischio di commettere azioni gravemente distorsive e traumatiche rispetto allo sviluppo di un bambino. I servizi e le istituzioni devono impegnarsi nella rilevazione precoce di tali situazioni a rischio al fine di permettere l'interruzione tempestiva degli atti o l'eliminazione del rischio potenziale;
- Specifici, sono indirizzati alle situazioni di violenza in atto al fine di ridurre il rischio di cronicizzazione e dare avvio ad interventi di recupero e trattamento. Lo scopo è minimizzare gli effetti a breve e lungo termine della violenza e favorire processi di reinserimento sociale. Questi interventi sono rivolti anche a maltrattanti e abusanti, ma necessitano di un'attenta valutazione della loro effettiva recuperabilità in un contesto di protezione adeguata delle vittime.
2.2 Le funzioni del sistema
Il singolo operatore quindi non può agire da solo, è indispensabile un'azione congiunta e globale che coinvolge tutti i settori nell'espletamento delle funzioni fondamentali del sistema:
1. Prevenzione primaria e riduzione del rischio
2. Rilevazione
3. Segnalazione/Denuncia
4. Protezione
5. Vigilanza
6. Valutazione
7. Trattamento
Le funzioni sono collegate tra loro da un ordine logico e temporale, sono quindi interdipendenti poiché errori e carenze nell'esercizio di una di esse tendono a ripercuotersi sul grado di efficacia delle altre, anche in forma retroattiva (una valutazione insufficiente potrà portare ad allentare precedenti misure di protezione, riportando il bambino in una situazione di rischio e pregiudizio).
La collaborazione tra enti, istituzioni e operatori è tanto più efficace quanto più i servizi hanno la possibilità di riunirsi attorno ad uno spazio strutturato di confronto (équipe, riunione periodica, tavolo di coordinamento, ecc.) nel quale pensare e costruire insieme il progetto a favore del bambino e della sua famiglia, beneficiando della maggiore conoscenza della situazione determinata dalla circolarità di informazioni tra gli operatori e dal fatto che ogni ente può contribuire a costruire il quadro complessivo, apportando il proprio contributo professionale e la propria specifica competenza.
1. Prevenzione primaria e riduzione del rischio
Potenziamento delle risorse individuali e ambientali per la promozione del benessere dei bambini e delle loro famiglie e riduzione dei fattori di rischio a livello individuale, familiare, sociale e ambientale. La prevenzione deve essere basata su un approccio centrato sui bisogni e le esigenze del bambino. Ogni settore è chiamato a dare il proprio contributo specifico.
Particolare rilievo hanno i servizi di vigilanza sanitaria presenti sul territorio, in primis i servizi di pediatria, materno-infantile e ospedalieri.
Un contributo specifico è dato dalla scuola e dai servizi educativi primari nella direzione del rafforzamento delle competenze educative della famiglia
Obiettivi operativi
Intervenire precocemente
Promuovere reti e legami di solidarietà all'interno della comunità
Incoraggiare la partecipazione attiva di bambine, bambini e adolescenti nei contesti sociali, educativi e all'interno della famiglia
Aumentare le possibilità di inclusione sociale per le famiglie a rischio di emarginazione socioeconomica e culturale
Favorire l'integrazione tra le risorse del settore pubblico e del privato sociale (principio di sussidiarietà)
Rafforzare le capacità genitoriali
Attori
Famiglia
Bambine, bambini e adolescenti
Adulti di riferimento
Scuola e altre agenzie educative pubbliche e private
Servizi socio-assistenziali
Servizi sanitari
Centri di prevenzione della salute (consultori, pediatri, servizi materno infantili, servizi di sostegno alla maternità)
Associazionismo e volontariato
Strumenti
Mappatura delle risorse
Collaborazioni stabili tra i vari servizi e istituzioni
Sensibilizzazione di comunità sui temi della maternità, della crescita e dei diritti dell'infanzia
Programmi di educazione socioaffettiva per ragazzi e ragazze
Servizi di sostegno alla genitorialità e alla maternità
Interventi socioeducativi di comunità e di promozione dell'aggregazione giovanile
Ricerche e studi per una migliore conoscenza del fenomeni del maltrattamento e abuso all'infanzia
Sviluppo di competenze professionali per una maggiore conoscenza dei fattori di rischio
2. Rilevazione
Indicatori fisici, psicologici e comportamentali possono segnalare una situazione di danno potenziale o attuale che interessa un bambino. La loro conoscenza, attraverso iniziative di formazione specifica, deve essere parte del bagaglio culturale e professionale di tutti coloro che hanno compiti professionali di cura, educazione e assistenza a favore dei bambini e delle loro famiglie. Non è responsabilità dell'operatore sociosanitario ed educativo che rileva dimostrare che si sia verificata una violenza, ma deve dare avvio al percorso di tutela in caso di sospetto
Obiettivi per gli operatori
Individuare e comprendere i segnali di disagio secondo l'età del bambino e le varie professionalità
Permettere l'interruzione di violenze in atto su minori
Facilitare l'attivazione di interventi socioassistenziali, educativi e sanitari di sostegno a favore dei nuclei familiari a rischio
Attori
Servizi socio-assistenziali
Servizi sanitari
Scuola e altre agenzie educative pubbliche e private
Forze dell'ordine
Centri di prevenzione della salute (consultori, pediatri, servizi materno infantili, servizi di sostegno alla maternità)
Strumenti
Formazione di base e specialistica degli operatori
Lavoro di equipe
Definizione di indicatori di disagio condivisi
Protocolli operativi
3. Segnalazione/Denuncia
La segnalazione è il coinvolgimento dei servizi territoriali e/o dell'autorità giudiziaria minorile quando i segnali raccolti nella fase di rilevazione fanno ritenere che il minore sia in una situazione di pregiudizio a causa di comportamenti attivi od omissivi, messi in atto dai datori di cure o da altri soggetti adulti o minori. La segnalazione è un atto di responsabilità individuale, che in taluni casi ha natura obbligatoria.
La segnalazione non è la formulazione di un giudizio, ma è un atto che da avvio ad una collaborazione interistituzionale tra servizi territoriali sociosanitari, istituzioni scolastiche ed educative, servizi del terzo settore e Magistratura minorile.
La denuncia è un preciso obbligo in conformità a quanto previsto dal codice di procedura penale (articoli 330 e 331). Gli operatori, che nella loro qualità di pubblici ufficiali o di incaricati di pubblico servizio, abbiano notizia di un reato procedibile d'ufficio sono tenuti a denunciarlo all'autorità giudiziaria, come meglio specificato nella sezione 3 delle linee-guida.
La notizia di reato può essere anche de relato, quando una persona riferisce al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio non quanto visto o subito, ma fatti appresi da un'altra persona.
Quando gli operatori sanitari hanno notizia di reati procedibili d'ufficio sono tenuti a redigere un referto, certificato che assolve al dovere degli esercenti una professione sanitaria di contribuire alla ricostruzione delle prove e dare avvio a misure di accertamento penale.
In presenza di attualità del pericolo e del rischio di reiterazione del reato a danno del minore, l'ascolto dello stesso, la segnalazione e la refertazione d'urgenza senza preavviso dei genitori che si sospettano con ragionevolezza essere responsabili della situazione di pericolo (Cass. n. 5424/86), possono trovare giustificazione nell'art. 40 comma 2 c.p. relativo alla necessità di comportamento attivo da parte dell'operatore, nell'art. 591 c.p. che punisce l'abbandono di minore e nell'art. 593 c.p. relative all'omissione di soccorso.
Obiettivi
Tutelare il bambino a rischio e/o vittima di violenze
Avviare un procedimento civile e amministrativo di accertamento e valutazione del rischio e del danno cui è esposto un bambino
Rimuovere condizioni di pregiudizio
Adottare misure di protezione
Avviare il procedimento penale di accertamento delle responsabilità penali del presunto autore di reato.
Attori
Magistratura ordinaria e magistratura minorile
Servizi socioassistenziali
Servizi sanitari
Scuola e altre agenzie educative pubbliche e private
Forze dell'ordine
Centri di prevenzione della salute (consultori, pediatri, servizi materno infantili, servizi di sostegno alla maternità)
Strumenti
Informazione all'autorità giudiziaria minorile, ordinaria e alle forze dell'ordine
Consulenze legali
Protocolli operativi
4. Protezione
Gli interventi di protezione servono al superamento delle condizioni che pongono a rischio lo sviluppo di un bambino e all'interruzione del maltrattamento e dell'abuso già conclamatosi. Tali interventi devono assicurare sia la protezione fisica del bambino sia quella mentale, cioè devono essere in grado di assicurargli sostegno psicologico e la possibilità di fare esperienze relazionali ed emotive "riparative" e correttive della distorsione prodotta dal trauma dei maltrattamenti e degli abusi subiti. L'accezione di protezione anche in senso mentale vuole sottolineare l'importanza di garantire al bambino un costante supporto nella fase dei procedimenti giudiziari, permettendogli di comprendere ciò che accade, di poter essere ascoltato e di esprimere i propri bisogni. La protezione mentale nei rapporti con le istituzioni è essenziale per prevenire il rischio di vittimizzazione secondaria istituzionale del bambino, derivante da ritardi, disfunzioni e sovrapposizioni dei procedimenti e degli interventi.
Le misure adottate, saranno da commisurare all'entità e alla gravità del rischio e della violenza rilevati; esse potranno essere assunte in situazioni d'urgenza ed emergenza quando si è in presenza di condizioni di grave pericolo per l'integrità fisica e psichica del bambino, con conseguente allontanamento del minore, o del minore con la madre (es. in caso di violenza domestica), dal nucleo familiare. In casi di minore gravità si potrà lasciare che il bambino continui a vivere in famiglia, in questo ultimo caso i servizi dovranno però espletare compiti di vigilanza.
I presupposti giuridici della protezione sono illustrati successivamente nel documento.
L'allontanamento del minore dalla famiglia e la collocazione in strutture di accoglienza costituiscono un'area particolarmente critica degli interventi di protezione che gli operatori sociali sono tenuti a realizzare. La scelta della soluzione più adeguata deve distinguere tra emergenza e presa in carico di medio - lungo periodo, successivamente alla prognosi di recuperabilità o meno della famiglia. Nella fase dell'emergenza è preferibile la collocazione presso case - famiglia o comunità poiché queste strutture si pongono come integrative e non immediatamente sostitutive della famiglia di origine, sulla cui recuperabilità ancora non esiste alcuna prognosi definitiva. Nella fase dell'emergenza la famiglia affidataria, utile risorsa nel medio lungo periodo, può invece essere vissuta in forte contrapposizione con la famiglia di origine sia da questa ultima sia dal bambino stesso, che possono vivere tale scelta come un giudizio implicito di irrecuperabilità.
Obiettivi
Superare le condizioni di rischio evolutivo e interrompere la violenza
Permettere al bambino di vivere in un ambiente sicuro, fuori dal pericolo
Sostenere e appoggiare le risorse di protezione che circondano il bambino
Attori
Magistratura ordinaria e magistratura minorile
Servizi socioassistenziali
Servizi sanitari
Forze dell'ordine
Risorse di accoglienza
Strumenti
Segnalazione/denuncia
Allontanamento del maltrattante o abusante dal nucleo familiare
Allontanamento del bambino, da solo o con il genitore protettivo
Misure civili e penali di protezione
Accordi operativi condivisi per la gestione delle situazioni di emergenza
5. Vigilanza
La funzione di vigilanza si esplica attraverso la verifica dell'effettiva attuazione delle misure di sostegno, di protezione e del progetto individualizzato di tutela, attraverso un monitoraggio costante sull'evoluzione positiva o negativa della situazione del bambino e della famiglia nel corso del tempo. La vigilanza da parte dei servizi può riguardare sia la risposta a interventi di sostegno all'interno di un contesto spontaneo sia, in presenza di segnalazione all'autorità giudiziaria, l'attuazione di prescrizioni attraverso l'esercizio di compiti di controllo in un contesto coatto di intervento.
Quando i bambini sono allontanati dal nucleo familiare, la vigilanza accerterà l'adeguatezza della risorsa di accoglienza individuata (struttura o famiglia affidataria), del soggiorno del minore e delle relazioni instaurate con gli adulti che hanno cura di lui, nonché la qualità e il grado di attuazione del progetto di presa in carico nell'accoglienza.
I servizi sociali sono in genere i responsabili principali dei compiti di vigilanza, ma la verifica del percorso è un compito che spetta a tutti gli attori coinvolti, e deve facilitare la raccolta e lo scambio di informazioni tra i vari operatori ai fini dell'assunzione di scelte motivate e condivise.
Obiettivi
Individuare tempestivamente situazioni di rischio per evitare la cronicizzazione del disagio
Monitorare i cambiamenti, le resistenze e i blocchi evolutivi di bambini e famiglie in carico
Raccogliere le informazioni necessarie per la verifica interistituzionale e multidisciplinare degli interventi e del progetto individualizzato di tutela
Attori
Magistratura minorile
Giudice tutelare e altri legali rappresentanti del minore (es. Tutore)
Servizi socioassistenziali
Servizi sanitari
Risorse di accoglienza
Strumenti
Riunioni di èquipe
Visite domiciliari
Progetto individualizzato di tutela
Colloqui
Relazioni sull'andamento del caso
Prescrizioni
6. Valutazione
La valutazione deve consentire di configurare in modo tempestivo un quadro complessivo delle caratteristiche della violenza subita dal bambino, del danno sociale, sanitario e psicologico e della situazione sociosanitaria del minore e del nucleo familiare. Gli elementi raccolti costituiscono la base per la successiva valutazione di recuperabilità.
È una funzione che investe, in modo particolare, gli operatori dei servizi sanitari e sociali.
- La valutazione medico-sanitaria ha l'obiettivo di individuare segni di maltrattamenti e violenze sessuali.
- La valutazione psicosociale è volta a conoscere, orientare e valutare la struttura familiare (ambiente sociale, relazioni, storia dei singoli); lo stato del minore (sviluppo personale, rilevazione di indicatori generali e specifici di disagio, rapporti con le figure parentali, area della socialità); le condizioni di vita sia del bambino nella famiglia sia della famiglia nell'ambiente sociale, verificando la presenza di indicatori di rischio sociali.
In particolare, la valutazione di minori vittime di violenza intrafamiliare deve interessare tutti i componenti del nucleo, in particolare i fratelli e le sorelle del minore, anche se essi non sono stati
segnalati direttamente poiché la violenza domestica genera traumi e cronicizzazione di adattamenti disfunzionali, che coinvolgono tutti i membri della famiglia.
La valutazione serve a definire le prospettive diagnostico-prognostiche quindi è funzionale a definire il progetto invidualizzato di tutela nel lungo periodo e il successivo trattamento del bambino e del nucleo familiare. Le operazioni valutative devono permettere di raccogliere elementi utili a determinare la possibilità di recupero delle capacità genitoriali, facendo riferimento a criteri e indicatori che individuino sia i fattori di rischio che i fattori di protezione caratterizzanti la relazione genitori-figlio.
Concorrono alla definizione di un quadro valutativo anche le informazioni che possono essere fornite dagli operatori della struttura di accoglienza o dalla famiglia affidataria, se il bambino è stato allontanato dal nucleo.
Una forma particolare di valutazione è l'accertamento giudiziario, che avviene nell'ambito dei procedimenti civili innanzi al Tribunale per i minorenni (in collaborazione con i servizi territoriali) e dei procedimenti penali volti all'individuazione dell'autore dei reati. In ambito giudiziario merita ricordare che la legge n. 66/1996 prevede che l'imputato per i delitti di violenza sessuale sia sottoposto, con le forme della perizia, ad accertamenti per l'individuazione di patologie sessualmente trasmissibili, qualora le modalità del fatto possano prospettare un rischio di trasmissione delle patologie medesime.
La valutazione è da distinguere dalla validazione richiesta nel procedimento giudiziario penale, volta a verificare la compatibilità tra i fatti segnalati e lo stato del minore, nonché la capacità dello stesso di rendere testimonianza e la sua attendibilità. La validazione è disposta dall'autorità giudiziaria in sede penale.
I servizi devono quindi prestare attenzione ad evitare o limitare per quanto possibile la sovrapposizione tra gli interventi valutativi e gli interventi predisposti dall'Autorità Giudiziaria civile e penale (audizione del minore da parte dell'A.G. in fase istruttoria, CTU predisposte dal Tribunale per i minorenni, dal Pubblico ministero o dal Giudice per le indagini preliminari sul procedimento giudiziario penale). Esiste, infatti, il rischio di effetti iatrogeni e di vittimizzazione istituzionale conseguente all'esposizione del minore a ripetuti ascolti e osservazioni diagnostiche.
Obiettivi
Definire e circoscrivere le caratteristiche della sofferenza del bambino vittima di violenza intra o extrafamiliare (valutazione del danno psicologico e/o fisico e delle possibile origini traumatiche della sofferenza accertata)
Raccogliere informazioni e dati utili a scegliere le misure di tutela più idonee che i servizi e la magistratura sono tenuti ad adottare nei termini di legge
Definire le prospettive diagnostico- prognostiche rispetto al bambino e alle figure parentali
Elaborare un progetto di trattamento e recupero psicosociale
Attori
Servizi socio-assistenziali
Servizi sanitari
Risorse di accoglienza
Strumenti
Colloqui individuali o con la coppia genitoriale o con l'adulto di riferimento per la funzione di tutela
Osservazione del minore segnalato e di altri minori presenti nel nucleo
Osservazione della relazione del bambino con le figure parentali, ed eventualmente dell'intero nucleo
Somministrazione di test
Colloqui e scambio di informazioni con altri servizi
Colloqui con la scuola
Visita domiciliare
7. Trattamento
Il trattamento si esplica attraverso il sostegno alla riabilitazione e al recupero psicosociale del bambino e della famiglia e, ove possibile, previa specifica valutazione, dei maltrattanti e abusanti.
Il trattamento è una funzione che si compie nel lungo periodo e ha bisogno di competenze specializzate in ambito psicologico, sociale, sanitario ed educativo.
Il fine principale è la ricostituzione delle condizioni più idonee allo sviluppo del bambino e al suo benessere, siano queste possibili all'interno del nucleo familiare originario o in altri contesti extrafamiliari.
Il trattamento deve assicurare la possibilità di: rielaborare le dinamiche personali e relazionali disfunzionali generate dalla violenza subita; dare al bambino la possibilità di vivere esperienze affettive correttive delle distorsioni emotive generate dagli abusi; proteggerlo dal rischio di riattivazione traumatica. La riabilitazione del minore si costruisce attraverso interventi terapeutici ed socioeducativi, la valenza terapeutica di questi ultimi non deve essere sottovalutata perciò è essenziale che la scuola e gli operatori socioeducativi che affiancano il bambino siano adeguatamente informati e formati per diventare partecipanti attivi e solidali nel percorso di cura.
La funzione trattamentale e di cura deve prevedere anche il sostegno del minore e delle figure parentali protettive durante tutto l'iter giudiziario, favorendo la comprensione di ciò che avviene nei procedimenti in atto e l'assunzione di scelte adeguate a rappresentare l'interesse del minore. È opportuno ricordare che le leggi in vigore prevedono che al minore vittima venga assicurata, in ogni
stato e grado del procedimento, assistenza affettiva e psicologica anche attraverso la presenza dei genitori o di altre persone indicate dal minore e giudicate idonee dall'Autorità giudiziaria che procede. In ogni caso al minore deve essere assicurata l'assistenza dei servizi della giustizia e dei servizi istituiti dagli enti locali (art. 609-decies c.p.).
Obiettivi
Sostenere il bambino nel processo di elaborazione dei traumi e nella ricostruzione della sua integrità psichica, emotiva e relazionale
Favorire il recupero delle responsabilità e capacità genitoriale
Aiutare nel processo di separazione e di ricostituzione di nuovi legami affettivi allorché la prognosi sulle capacità di recupero delle funzioni genitoriali sia negativa
Attori
Servizi socioassistenziali
Servizi sanitari
Risorse di accoglienza
Scuola e altre agenzie educative pubbliche e private
Risorse
Interventi psicoterapeutici per il minore e la famiglia
Percorsi riabilitativi di tipo educativo e sociale
Affidamento eterofamiliare
Adozione
Consulenze legali
2.3 Ruolo degli attori del sistema
La realizzazione e lo sviluppo di un sistema di prevenzione, protezione e tutela di bambini e bambine vittime di maltrattamenti, abusi e sfruttamento sessuale richiedono l'esercizio di compiti previsti dalle normative nazionale e regionale, nonché di quelli attinenti il ruolo istituzionale e la competenza professionale di ciascun ente e operatore. L'azione in questo ambito implica un continuo impegno di formazione, aggiornamento e specializzazione in considerazione della complessità del fenomeno, delle dinamiche familiari e sociali ad esso sottostanti e degli effetti a breve e lungo termine delle violenze. Si offre di seguito una panoramica generale delle finalità e dei
compiti principali dei vari attori del sistema, focalizzando, senza pretese di esaustività e completezza, alcune peculiarità del loro intervento.
2.3.1 I servizi sociali
Finalità principale: sostenere bambini e famiglie in condizioni di disagio, promuovere il benessere psico-fisico, supportare e potenziare la genitorialità, mediare le situazioni di conflittualità, progettare, pianificare e coordinare gli interventi
Compiti funzionali
Titolarità della tutela dei minori
Interventi sociali ed economici di supporto alla famiglia
Interventi socioeducativi di supporto al bambino
Provvedimenti urgenti di protezione (art. 403 c.c.)
Gestione degli interventi prescrittivi e controllo (su mandato del Tribunale per i minorenni)
Sono di competenza dei Comuni le prestazioni di supporto sociale ed economico alle famiglie, la copertura economica dell'accoglienza in comunità educative o familiari, di supporto educativo domiciliare e territoriale sui minori, compresa l'indagine sociale sulla famiglia. Il coinvolgimento diretto dell'ente locale previsto dal legislatore ha trovato conferma anche nella recente legge costituzionale n. 3/2001 di riforma del titolo V della Costituzione, che, affermando il principio di sussidiarietà, prevede l'attribuzione all'ente locale più vicino al cittadino delle funzioni amministrative, incluse quelle inerenti gli interventi di assistenza e sostegno a favore dei minori, delle famiglie e, più in generale, della comunità locale.
In base alla normativa vigente, gli enti locali sono i responsabili delle funzioni socioassistenziali, che includono gli interventi in favore di minorenni esposti a situazioni di rischio, eventualmente soggetti a provvedimenti delle autorità giudiziarie minorili nell'ambito della competenza civile e amministrativa. I servizi socioassistenziali sono tenuti anche ad esercitare la tutela e la rappresentanza dei minorenni nei casi di conflitto di interessi con gli esercenti la potestà.
Il D.P.C.M. 14 febbraio 2001 sottolinea la centralità dei servizi comunali territoriali, rimettendo alla competenza comunale gli interventi di sostegno per le famiglie di minori in situazione di disagio, di disadattamento o di devianza. Tuttavia, il servizio socio-assistenziale del territorio è tenuto ad assicurare interventi di tutela della salute psico-fisica (art. 132 del D.Lgs. n. 112/1998), in collaborazione anche con l'area sanitaria nella presa in carico del bambino, del suo nucleo familiare, nonché - garantendo la protezione dei soggetti vittime-degli autori di tali violenze. L'integrazione tra competenze sociali e sanitarie costituisce uno dei pilastri attorno cui si deve sviluppare il sistema di prevenzione, protezione e tutela per poter valutare, sostenere e trattare efficacemente e globalmente il bambino e il nucleo familiare, e in quanto dimensione strategica e criterio operativo per la realizzazione sul territorio dei sistemi integrati di interventi e servizi sociosanitari (secondo principi enunciati anche nella L. n. 328/2000).
I servizi sociali sono tenuti a collaborare con il Tribunale per i minorenni nelle situazioni di rischio o di pregiudizio, e con il tribunale ordinario nelle situazioni di separazione. Tale collaborazione deve essere svolta in ogni grado e fase del procedimento, compresa la fase degli accertamenti preliminari e delle eventuali prescrizioni.
La legge n. 184/1983 e successive modifiche impone all'ente locale di prestare servizi di supporto economico e più in generale socioassistenziale affinché il minore possa realizzare il diritto a vivere nella propria famiglia; quando ciò non è possibile il servizio deve impegnarsi nell'individuare una famiglia affidataria oppure all'inserimento del minore in una comunità o in una famiglia adottiva.
Il servizio sociale costituisce, insieme alla Scuola, una fonte primaria di informazioni sulle situazioni di rischio attuale o potenziale. Il codice civile attribuisce all'assistente sociale gli strumenti giuridici per attivare specifiche azioni di valutazione sociale e protettive sia in via ordinaria sia in via di urgenza (indagine socio ambientale, provvedimenti ex art. 403 cc.).
Gli operatori del Servizio sociale territoriale sono responsabili del coordinamento delle prestazioni e degli interventi realizzati a favore del bambino, in collaborazione con gli operatori dei servizi sanitari e coordinandosi con le decisioni dell'autorità giudiziaria. Essi, come sarà illustrato in maggior dettaglio in parti successive del presente documento, hanno il compito di segnalare situazioni di pregiudizio o di abbandono all'autorità giudiziaria (Procura presso il Tribunale per i minorenni) e collaborano ad acquisire informazioni sullo stato di un bambino su richiesta del giudice tutelare quando un bambino è sottoposto a curatela o tutela.
2.3.2 I servizi sanitari
Finalità principale : dare attuazione al diritto alla salute e alla cura dei bambini e delle famiglie
Compiti funzionali
Interventi diagnostici e terapeutici a favore di bambini e famiglie ai fini della valutazione e del trattamento
In base alla legge n. 405/1975, alla legge n. 184/1983 e successive modifiche, alla legge n. 66/1996, alla legge n. 269/1998 e al decreto ministeriale 24 aprile 2000 e al D.P.C.M. 14 febbraio 2001, dal D.Lgs. n. 502/1992, alle Asl competono le attività di assistenza di tipo consultoriale alla famiglia, alla maternità e ai minori attraverso prestazioni mediche, sociali, psicologiche e riabilitative, nonché di recupero psicofisico dei bambini vittime di abuso. In base al D.P.C.M. 29 novembre 2001, l'assistenza sanitaria e sociosanitaria ai minori e alle famiglie, l'assistenza ai minori in stato di abbandono o in situazione di disagio e gli adempimenti per affidamenti ed adozioni sono stati inseriti tra le prestazioni comprese nei Livelli Essenziali di Assistenza Sanitaria, garantite dal Servizio Sanitario Nazionale a titolo gratuito o con partecipazione alla spesa.
Le funzioni specialistiche degli operatori sanitari sono il riconoscimento, la diagnosi, la valutazione sanitaria e il trattamento.
La valutazione psicologica delle competenze genitoriali e la valutazione medica possono essere svolte da personale formato presente all'interno dei Servizi della Asl (unità operative materno infantili, consultori, neuropsichiatria infantile, pediatri di comunità, ginecologi, salute mentale, sert,
medici di pronto soccorso) oppure da strutture specialistiche private o del privato sociale in convenzione.
È importante che nell'anamnesi delle situazioni pediatriche l'ipotesi di traumi derivanti da violenza diventi una componente di base di ogni valutazione differenziale. I medici che rilevano segni sospetti, per legge, hanno l'obbligo di procedere al referto del caso e alla denuncia all'autorità giudiziaria.
Il pediatra/ginecologo/medico legale compie la valutazione medica e propone gli interventi di cura. Il pediatra costituisce una chiave di volta del sistema della rilevazione precoce perché la sua posizione professionale lo porta ad essere il naturale destinatario dei controlli sulla salute del bambino, ma anche il referente privilegiato al quale i genitori possono comunicare le loro preoccupazioni riguardanti lo sviluppo del figlio.
Nella prospettiva del lavoro di rete e di un intervento globale a sostegno del bambino e della famiglia, gli operatori sanitari segnaleranno il caso al Servizio sociale territoriale competente. Il ruolo dei servizi sanitari si integra con quello dei servizi sociali nella promozione della protezione e del recupero psicofisico e sociale del bambino vittima di violenza.
2.3.3 I servizi educativi e scolastici
Finalità principale: concorrere alla rilevazione dei casi. Riconoscere, rilevare e raccogliere tempestivamente le richieste di aiuto
Compiti funzionali
Interventi di sensibilizzazione e informazione ai fini della prevenzione primaria del fenomeno
Rilevazione tempestiva dei casi da segnalare alle autorità e ai servizi competenti
Partecipano alla fase di sostegno e trattamento del bambino, nell'ambito delle loro funzioni educative e formative primarie
I Servizi educativi e scolastici garantiscono azioni di prevenzione, oltre che di segnalazione agli organi competenti, relativamente a casi di abuso e di maltrattamento nei confronti dei minori ad essi affidati.
La Scuola proietta ogni sua azione, in modo consapevole e responsabile, alla formazione di ogni alunno/persona, in rapporto alle personali esigenze di crescita, in un'ottica di continuità e di collaborazione con l'extra-scuola.
La formazione del soggetto/educando costituisce una condizione fondamentale per determinare le basi di prevenzione o di supporto, finalizzate ad individuare eventuali casi patologici. La formazione degli alunni, logicamente, è correlata alla professionalità dei docenti e alla possibilità da parte della scuola di rendersi aperta e sensibile alle esigenze del territorio, ricercando opportune strategie di dialogo, confronto ed integrazione.
L'Autonomia delle Scuole, l'elaborazione di uno specifico Piano di Offerta Formativa ed altre forme di azioni strutturate in maniera specifica, quali, ad esempio, l'Educazione alla Cittadinanza, alla Salute, Sessuale etc., rendono la Scuola luogo privilegiato per concorrere alla crescita globale ed armonica di ciascun alunno
I servizi educativi e scolastici possono intervenire su due piani e precisamente per la prevenzione e per la rilevazione e la segnalazione dei casi di abuso e maltrattamento. La prevenzione può essere realizzata attraverso la funzione educativa. Infatti, il sistema scolastico nazionale di formazione ed istruzione attraverso e "Indicazioni Nazionali", il PECUP, il POF e l'Autonomia delle Istituzioni Scolastiche ribadisce il ruolo educativo-formativo della scuola, di ogni ordine e grado, oltre a quello dell'istruzione. Pertanto i docenti elaborano percorsi formativi per l'alunno con l'attuazione di piani di studio personalizzati e si rivelano attenti osservatori dei bisogni collegati alle problematiche degli allievi, alla prevenzione di ogni forma di disagio e di malessere. A tal fine può rivelarsi molto efficace "l'educazione alla convivenza civile", in modo particolare "l'educazione alla cittadinanza" e "l'educazione alla salute" che diventano trasversali ad ogni disciplina ed in relazione al principio dell'ologramma "il tutto nelle parti e le parti nel tutto" contribuiscono alla formazione della personalità integrale.
La rilevazione trova nel contesto scolastico, senza ombra di dubbio il luogo privilegiato in quanto campo di osservazione per il disagio dei bambini e degli adolescenti. L'integrazione e la collaborazione tra scuola e servizi territoriali sociosanitari costituisce al tempo stesso un obiettivo e una modalità di lavoro per assicurare la rilevazione precoce e tempestiva delle situazione di disagio e di rischio.
2.3.4 Le realtà di accoglienza (case-famiglia, comunità e famiglie affidatarie)
Finalità principale: offerta di accoglienza integrative e/o alternative alla famiglia per i bambini vittime di violenza in via di emergenza e nel lungo periodo in fase di recupero psicosociale
Compiti funzionali
Interventi di trattamento sociale ed educativo del bambino e della famiglia
ealizzazione del progetto educativo individualizzato di accoglienza del bambino
Collaborazione con i servizi sociali e sanitari nella fase di accertamento e valutazione
Partecipazione alla presa in carico di lungo periodo dei bambini vittime di violenza
La legge n. 184/1983 e successive modifiche attribuisce allo Stato, alle regioni e agli enti locali, la promozione di iniziative di sensibilizzazione dell'opinione pubblica sull'affidamento e l'adozione e di sostegno all'attività delle comunità di tipo familiare, nonché l'organizzazione di corsi di preparazione ed aggiornamento professionale degli operatori sociali e di preparazione per le famiglie e le persone che intendono avere in affidamento o in adozione minori. Inoltre, lo Stato, le regioni e gli enti locali possono stipulare convenzioni con enti o associazioni senza fini di lucro che operano nel campo della tutela dei minori e delle famiglie per la realizzazione delle attività di affidamento e adozione. Spetta alla Regione, nell'ambito delle proprie competenze, il rilascio dell'autorizzazione di strutture per l'esercizio di attività di accoglienza e la definizione degli
standard minimi dei servizi e dell'assistenza che devono essere forniti da tali strutture, verificando periodicamente il rispetto dei medesimi.
I legali rappresentanti delle comunità di tipo familiare esercitano i poteri tutelari sul minore affidato, secondo le norme del capo I del titolo X del libro primo del codice civile, fino a quando non si provveda alla nomina di un tutore in tutti i casi nei quali l'esercizio della potestà dei genitori o della tutela sia impedito.
Le strutture di accoglienza e le famiglie affidatarie sono tenute a collaborare con il servizio sociale territoriale cui è attribuita la responsabilità del programma di assistenza, nonché la vigilanza durante l'affidamento, avendo l'obbligo di tenere costantemente informati il giudice tutelare o il tribunale per i minorenni, sia rispetto ad ogni evento di particolare rilevanza sia in via ordinaria attraverso la presentazione di una relazione semestrale sull'andamento del programma di assistenza, sulla sua presumibile ulteriore durata e sull'evoluzione delle condizioni di difficoltà del nucleo familiare di provenienza.
La legge n. 184/1983 e successive modiche dispone che le comunità di tipo familiare trasmettano semestralmente al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo ove hanno sede l'elenco di tutti i minori collocati presso di loro con l'indicazione specifica, per ciascuno di essi, della località di residenza dei genitori, dei rapporti con la famiglia e delle condizioni psicofisiche del minore stesso.
Data la complessità degli esiti derivanti dall'esposizione a situazioni di traumatizzazione riconducibili a maltrattamento e abusi, è opportuno che gli operatori delle strutture e le famiglie affidatarie siano adeguatamente formati e sostenuti per riuscire ad affrontare costruttivamente il disagio del bambino. La difficoltà di comprendere e di gestire adeguatamente comportamenti aggressivi auto ed etero diretti, comportamenti sessualizzati, disturbi psicologici, emotivi e alimentari che sono espressioni del disagio del bambino, possono, infatti, portare al fallimento del progetto di accoglienza e di riabilitazione.
2.3.5 Il Terzo settore specializzato
Finalità principale: concorrere alla rilevazione dei casi, alla protezione e cura
Compiti funzionali
Interventi di sensibilizzazione e informazione ai fini della prevenzione primaria del fenomeno
Rilevazione di casi da segnalare alle autorità e ai servizi competenti
Consulenza specialistica sui casi presi in carico dai servizi pubblici
Offerta di prestazioni sociali, psicologiche, psicoterapeutiche e trattamentali specialistici
Messa a disposizione di informazione legale a favore degli operatori, dei bambini e dei familiari protettivi
La legge n. 328/2000 e il D.P.C.M. 30 marzo 2001, nel riaffermare la titolarità pubblica dei servizi (L. n. 328/2000, art. 1, comma 1), assegnano al Privato-Sociale (o meglio, al Terzo settore, cioè organismi non lucrativi di utilità sociale, organismi della cooperazione, organizzazioni di volontariato, associazioni ed enti di promozione sociale, fondazioni, enti di patronato e altri soggetti privati non a scopo di lucro) un ruolo di compartecipazione e complementarietà nella programmazione, progettazione e realizzazione concertata degli interventi attraverso l'utilizzo di forme di aggiudicazione o negoziali, coprogettazione e processi di consultazione, che consentano la piena espressione, secondo il principio di sussidiarietà, della capacità progettuale ed organizzativa dei soggetti del terzo settore.
Dal riconoscimento di un ruolo attivo e propositivo del Terzo settore derivano alcuni compiti anche in ordine alla protezione del bambino esposto a situazioni di pregiudizio all'interno o all'esterno dell'ambito familiare. In particolare, è essenziale che le realtà del terzo settore, che operano a favore di bambini e giovani, collaborino nella rilevazione precoce e nella segnalazione tempestiva delle situazioni ai servizi e alle istituzioni territoriali competenti, in una logica di cooperazione e di integrazione per la realizzazione del superiore interesse del minore e per dare garanzia al suo diritto alla crescita in un ambiente sicuro che ne assicuri il pieno sviluppo psicofisico e sociale.
2.3.6 Il Tribunale per i minorenni
Finalità principale: Protezione e tutela del bambino all'interno o all'esterno della famiglia
Compiti funzionali
Decide sui ricorsi per adattabilità, pregiudizio, allontanamento, decadenza e limitazione della potestà genitoriale, affido ai servizi
Vigila sui bambini in affido familiare giudiziale
Giudica i minorenni accusati di aver commesso un reato
Il Tribunale per i minorenni è un tribunale specializzato che ha funzioni di tutela del bambino in tutte le situazioni di pregiudizio ascrivibili a comportamenti dei genitori o di familiari a cui il bambino è affidato: la situazione di pregiudizio per il bambino è indipendente dalla natura dolosa o colposa del comportamento dei genitori. Il Tribunale per i minorenni può disporre un'indagine per chiarire i contenuti della segnalazione, può dettare prescrizioni alla famiglia, con possibilità, nei casi più gravi, di decidere l'allontanamento del bambino dal nucleo. È costituito da magistrati e da giudici onorari, rappresentanti di diverse professionalità attinenti alle problematiche minorili.
In ambito civile la competenza del Tribunale per i minorenni s'integra con quella del tribunale civile ordinario e con quella del giudice tutelare.
In ambito civile gli competono una serie di funzioni autorizzative in materia di filiazione, potestà del minore, affidamento (esempio a contrarre matrimonio per i minori tra i sedici e i diciotto anni, l'autorizzazione al riconoscimento del figlio nato da un rapporto incestuoso, l'attribuzione del
cognome ad un minore riconosciuto tardivamente da uno dei genitori, l'autorizzazione del figlio minore ad impugnare il riconoscimento e la contestuale nomina di un curatore speciale, eccetera).
Alcuni compiti sono particolarmente rilevanti per la protezione del minore: si ricorre al Tribunale per i minorenni nel caso di caso di contrasto nell'esercizio della potestà parentale in questioni di particolare importanza (art. 316 c.c. come modificato dalla legge n. 151/1975); il tribunale si occupa inoltre dei procedimenti di decadenza della potestà, reintegro, rimozione dei genitori dall'amministrazione dei beni dei figli, e dell'adozione di provvedimenti urgenti e temporanei nell'interesse del minore (articoli 330 - 336 come modificati dalla legge n. 151/1975); la dichiarazione dello stato di adattabilità di un minore (articoli 11 e 14 legge n. 184/1983); la dichiarazione di non luogo a provvedere in caso di inesistenza degli estremi della situazione di abbandono (art. 16, legge n. 184/1983) ; la dichiarazione di adozione (art. 25, legge n. 184/1983); l'assunzione del decreto di affidamento preadottivo del minore in stato di adottabilità e sua possibile revoca (art. 22, legge n. 184/1983).
In ambito amministrativo, secondo il dettato normativo contenuto all'art. 2 del R.D. n. 1404/1934 come modificato da legge n. 888/1956, competono al Tribunale per i minorenni l'affidamento di un minore con condotta irregolare al servizio sociale, il collocamento in un comunità.
Il Tribunale per i minorenni ha anche competenze penali nell'area dei minori autori di reato. La minore età deve sussistere la momento del compimento del fatto anche se il procedimento ha inizio dopo il compimento del diciottesimo anno.
2.3.7 La Procura presso il Tribunale per i minorenni
Finalità principale: valutare la necessità di intervento a seguito di segnalazione da parte di servizi, enti o privati
Compiti funzionali
Vaglia le segnalazioni
Esercita l'azione penale nei casi di reato a carico dei bambini attraverso la trasmissione della notizia di reato alla Procura ordinaria presso il Tribunale qualora ravvisi una fattispecie di reato a danno di un minore e per opera di un adulto, se l'autore è un minorenne la segnalazione è inoltrata al Tribunale per i minorenni
Comunica ai servizi le segnalazioni archiviate
Presenta ricorso al Tribunale per i minorenni in caso di: pregiudizio, ipotesi di adottabilità, decadenza della potestà genitoriale, affidamento ai servizi
Effettua e dispone ispezioni nelle comunità tutelari
In base alla legge, spetta al procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, assunte le necessarie informazioni, chiedere al tribunale, con ricorso, di dichiarare l'adottabilità dei minori - segnalati o collocati presso le comunità di tipo familiare o gli istituti di assistenza pubblici o privati o presso una famiglia affidataria - che risultano in situazioni di abbandono, specificandone
i motivi. Ed è lo stesso procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, che trasmette gli atti al medesimo tribunale con relazione informativa, ogni sei mesi, effettua o dispone ispezioni negli istituti di assistenza pubblici o privati.
2.3.8 Giudice tutelare
Finalità principale: assicurare la rappresentanza legale del bambino
Compiti funzionali
Nomina tutori e sovrintende alle tutele
Rende esecutivo l'affido familiare o l'inserimento in comunità tutelare in un contesto consensuale
Vigila sui minori in affido familiare consensuale
Si occupa delle curatele e delle tutele, esso è anche l'organo di vigilanza sull'esecuzione dei provvedimenti emessi dal Tribunale ordinario e dal tribunale per i minorenni (art. 337 c.c.).
2.3.9 Procura della Repubblica presso Tribunale ordinario
Finalità principale: valutare la notizia di reato e decidere sulla procedibilità o sulla sua archiviabilità
Compiti funzionali
Esercita l'azione penale contro l'adulto imputato di reato a danno di un bambino
Segnala il caso alla Procura presso il tribunale per i minorenni
Quando alla Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario giunge segnalazione in merito ad un reato a danno di un minore - prima dell'apertura della fase processuale-, la raccolta di informazioni (soggette a segreto istruttorio) attraverso l'esame della vittima può avvenire secondo differenti modalità di ascolto:
- raccolta della testimonianza direttamente da parte del Pubblico Ministero, con o senza l'ausilio di un esperto in psicologia infantile;
- raccolta della testimonianza da parte di un'autorità di pubblica sicurezza, su mandato del Pubblico Ministero, anche in questo caso con o senza il supporto di un esperto;
- ascolto effettuato dal consulente tecnico nominato dal Pubblico Ministero che, nella fase di osservazione al fine di rispondere ai quesiti posti dal PM, potrà raccogliere anche ulteriori rivelazioni in merito all'abuso subito.
Il legislatore ha previsto che anche nella fase delle indagini preliminari, inserita dal legislatore nel libro V del c.p.p., il pubblico ministero possa, ai sensi dell'articolo 359, nominare o avvalersi di
consulenti che, se autorizzati dallo stesso pubblico ministero possono assistere a singoli atti di indagine.
Nelle situazioni di violenza ai danni di un minore, il Pubblico ministero è solito nominare esperti in psicologia infantile che svolgono il ruolo di consulenti attraverso l'osservazione psicodiagnostica del minore e la raccolta di informazione dal contesto familiare e sociale di riferimento.
2.3.10 Tribunale ordinario penale
Finalità principale: perseguire chi commette reato
Compiti funzionali
Ha la competenza in sede di incidente probatorio (assunzione di atti non rinviabili al dibattimento) e in sede processuale dei procedimenti giudiziari che riguardano un minore vittima di reati quando l'autore è un soggetto maggiorenne
Giudica adulti imputati di reati ai danni di bambini
Nei procedimenti di riguardano i minori, come esposto più avanti nel documento, la legge prevede che il Giudice per le indagini preliminari possa raccogliere la testimonianza del minore infrasedicenne nella forma dell'incidente probatorio in audizione protetta avvalendosi del supporto di esperti in psicologia infantile. Inoltre, il codice di procedura penale (art. 220/1 c.p.p.) ammette che il Giudice per le indagini preliminari possa avvalersi anche di attività peritale al fine di ottenere cognizioni e chiarimenti tecnici che siano necessari ai fini della decisione, e dei quali questi, a causa della specificità delle questioni trattate, sia sprovvisto.
2.3.11 Tribunale civile ordinario
Finalità principale: disporre l'affidamento dei figli in caso di separazione di genitori coniugati
Compiti funzionali
Decide in merito alle procedure di affidamento dei figli nelle separazioni consensuali e giudiziarie
2.3.12 Forze dell'ordine
Finalità principale: acquisire informazioni di reato, condurre indagini su mandato della magistratura.
Compiti funzionali
Orientamento degli operatori
Raccolta delle segnalazioni
Conduzione delle indagini
Le Forze dell'ordine collaborano alla realizzazione del sistema di prevenzione, protezione e tutela del bambino vittima di violenze attraverso le attività di contrasto dei reati e l'integrazione operativa con gli altri attori del sistema.
Nel libro V del c.p.p., in cui il legislatore ha stabilito le norme che regolano le indagini preliminari, il comma 4 dell'art. 348 dispone che "la polizia giudiziaria, quando, di propria iniziativa o a seguito di delega del pubblico ministero compie atti od operazioni che richiedono specifiche competenza tecniche, può avvalersi di persone idonee le quali non possono rifiutare la propria opera", introducendo così, fin dalle prime fasi delle indagini preliminari, figure professionali che in veste di ausiliari di p.g. possono coadiuvare lo svolgimento delle indagini.
Questa disposizione sottolinea quanto sia opportuno che il colloquio con il minore, specialmente se di età inferiore ai quattordici anni, avvenga alla presenza di uno psicologo che potrà servire da supporto per il minore e coadiuvare l'agente che effettua il colloquio. L'audizione del minore in fase di denuncia di un abuso o della ricezione di Sommarie Informazioni Testimoniali, rimane un atto di polizia giudiziaria il cui verbale, compreso delle eventuali annotazioni dello psicologo, è di responsabilità dell'agente che redige l'atto perciò gli atti compiuti dall'ausiliare sono esclusivamente integrativi rispetto a quelli assolti dalla polizia giudiziaria. La ricezione di una testimonianza il più possibile dettagliata e soprattutto assunta con modalità corrette è però il primo necessario passo per una corretta indagine e allo stesso tempo l'inizio del percorso che il minore dovrà seguire per superare il trauma.
2.3.13 La Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo
Finalità principale: rappresentare del Governo centrale nel territorio della Provincia
Compiti funzionali
Raccordo e mediazione tra le istituzioni pubbliche e private, per la risoluzione di problematiche di carattere sociale.
La Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo è un Ufficio periferico del Ministero dell'Interno.
Sono attribuite al Prefetto funzioni di coordinamento e di impulso di tutta la vita politico-amministrativa della provincia, miranti al potenziamento dell'efficacia e dell'efficienza dell'attività di tutte le pubbliche amministrazioni operanti a livello provinciale, anche nella prospettiva di una maggiore efficienza nelle azioni di contrasto a reati di violenza e pedofilia.
Di tale funzione di coordinamento è espressione sia l'attività di raccordo istituzionale svolta tra le Forze dell'ordine in seno al Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica, cui partecipano anche i rappresentanti degli Enti locali, sia quella svolta, con analoghe finalità, nella veste di principale organo locale dell'amministrazione statale, nell'ambito delle problematiche attinenti l'attività amministrativa degli Uffici periferici dello Stato nella sede della Conferenza permanente, che ha sostituito il Comitato provinciale della pubblica amministrazione.
È da annoverare tra gli attori del sistema di prevenzione, protezione e tutela anche il servizio telefonico connesso al codice di pubblica emergenza "114 - Linea Nazionale per la prevenzione dell'abuso all'infanzia". La Regione Molise ha sottoscritto un Protocollo d'Intesa con l'ente morale "S.O.S. - Il Telefono Azzurro Onlus" in qualità di ente gestore della Linea Nazionale 114, nei cui
scopi rientrano la raccolta di segnalazioni, il primo ascolto e, per le situazioni di rischio, la segnalazione e l'orientamento ai servizi di emergenza e di pubblica utilità competenti del territorio regionale, in un'ottica di integrazione e collaborazione nel superiore interesse dei minori.
3. La normativa e principi di riferimento per la tutela dell'infanzia
3.1. Principi generali
La legislazione italiana a favore dell'infanzia trae i suoi principi ispiratori e prescrittori dalla Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata in Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176. La Convenzione del 1989 supera una concezione del bambino quale ricettore passivo di cure e attenzioni particolari in considerazione di uno status giuridico di minorità assoluta. La Convenzione ribadisce (art. 3) la necessità che il superiore interesse del fanciullo sia tenuto in preminente considerazione "in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi", e che al fanciullo capace di discernimento sia garantito "il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa" (art. 12). Forte è il richiamo a non lasciare che i diritti in essa sanciti siano semplici enunciazioni, si chiede infatti l'impegno non solo a dare riconoscimento formale a tali diritti, ma anche ad adoperarsi a implementarli in modo sostanziale attraverso la creazione e il potenziamento dei servizi e degli strumenti necessari ad assicurare ai bambini e alle loro famiglie i mezzi e le condizioni per poterne godere concretamente (articoli 4, 27 e 34).
L'art. 19, inoltre, fa obbligo agli Stati contraenti di adottare "ogni misura legislativa, amministrativa, sociale ed educativa per tutelare il fanciullo contro ogni forma di violenza, di oltraggio, o di brutalità fisiche o mentali, di abbandono o di negligenza, di maltrattamenti o di sfruttamento, compresa la violenza sessuale, per tutto il tempo in cui è affidato all'uno o all'altro, o a entrambi, i suoi genitori e al suo rappresentante legale (rappresentanti legali) oppure ad ogni altra persona che ha il suo affidamento".
Nella Convenzione, inoltre, è presente il richiamo esplicito alla necessità di provvedere alle esigenze di protezione e cura dei bambini vittime di maltrattamenti, violenza e sfruttamento sessuale, adottando ogni adeguato provvedimento per agevolare il riadattamento fisico e psicologico e il reinserimento sociale. Tale riadattamento e tale reinserimento devono svolgersi in condizioni tali da favorire la salute, il rispetto della persona e la dignità del fanciullo (art. 39).
Gli articoli 2, 3, 30 e 31 della Costituzione sanciscono il diritto del bambino a sviluppare tutte le sue potenzialità e il dovere delle Istituzioni a rimuovere qualsiasi ostacolo che limita il pieno sviluppo della persona umana.
La Carta costituzionale stabilisce precisi obblighi a carico della collettività e della famiglia, affermando il principio secondo il quale i genitori hanno un diritto-dovere all'educazione dei figli, anche se questi sono nati fuori dal matrimonio, e formula l'obbligo da parte dello Stato di provvedere ad assolvere i compiti dei genitori se questi sono incapaci di farlo.
La legge 20 marzo 2003, n. 77, "Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli, fatta a Strasburgo il 25 gennaio 1996", rappresenta un'ulteriore opportunità di rafforzamento e tutela dei diritti dell'infanzia. La Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli mira a promuovere la partecipazione del bambino nei procedimenti familiari che lo
riguardano, sancendo il diritto ad essere sempre ascoltato (art. 3), rappresentato in giudizio da un proprio rappresentante, e a rivestire in taluni casi, il ruolo di parte nei procedimenti che riguardano la sua persona (art. 4).
Il Codice Civile prevede il dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare la prole, tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni dei figli (art. 147-261 c.c.).
L'autonomia sulle scelte educative sul figlio trovano limitazioni giuridiche nella previsione dell'art. 330 e seguenti del codice civile che prevede anche la decadenza della potestà genitoriale da parte del giudice, quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio, richiedendo l'allontanamento del figlio, anche di fronte all'irrilevanza degli elementi di dolo e di colpa da parte dei genitori. Limitazioni della potestà per condotte altrettanto pregiudizievoli sono previste dall'art. 333 del codice civile.
3.2 Le procedure in materia civile
In tutti gli interventi di promozione sociale è necessario informare e ascoltare il bambino coinvolto e ottenere, previa informazione sul progetto di presa in carico, il consenso dei genitori esercenti la potestà. Se i genitori collaborano con il servizio per il superamento del disagio del bambino, la competenza rimane dell'ente locale che agisce nei suoi compiti per legge di assistenza e sostegno ai minori e alla famiglia.
A. La collaborazione con l'autorità giudiziaria
Nei casi in cui, l'intervento a protezione di un minore, proposto dal servizio sociale che ne ha la titolarità, non ottenga il consenso dei soggetti che esercitano la potestà sul minore, e l'intervento sia reputato indispensabile per la tutela del minore stesso, si deve ricorrere al Giudice; in un contesto che presenti tali caratteristiche, si attivano misure di protezione e tutela nei confronti del minore attraverso il coinvolgimento dell'autorità giudiziaria minorile, previa segnalazione della situazione alla Procura presso il Tribunale per i minorenni.
Nel rispetto del principio dell'integrazione cui è importante che si uniformino il metodo di lavoro degli operatori e l'organizzazione dei servizi, l'assunzione della decisione di procedere alla segnalazione è utile, ove possibile, che sia assunta in base agli esiti di una valutazione il più possibile multidisciplinare e accompagnata dalla raccolta di elementi conoscitivi sul bambino e sul nucleo familiare.
B. La segnalazione all'autorità giudiziaria
La segnalazione determina l'apertura di un percorso a tutela e protezione del minore.
Si realizza attraverso una comunicazione relativa ad una situazione di pregiudizio o di pericolo per il minore dovuta a comportamenti negativi, attivi ma anche omissivi, dei soggetti che ne sono responsabili.
Si giunge alla segnalazione all'Autorità Giudiziaria attraverso un percorso così articolato:
- Informazione ai servizi che proviene da singoli (minori, parenti, tutori, vicinato, cittadini) e da soggetti collettivi (scuole, associazioni, strutture di accoglienza, etc.)
- Rilevazione e prima verifica degli elementi di pregiudizio, rischio e/o pericolo cui è esposto il minore e che possono arrecare danno al suo sviluppo psicofisico
- Segnalazione all'Autorità Giudiziaria
La segnalazione all'autorità giudiziaria può rappresentare un passaggio essenziale e ineludibile al fine di procedere a:
- Protezione tempestiva del minore (misure limitative o ablative della potestà genitoriale, allontanamento del minore o del maltrattante/abusante, ecc.)
- Valutazione e diagnosi
- Definizione di un progetto di recupero e sostegno del minore e di intervento sui familiari adulti e minori
La segnalazione all'autorità giudiziaria e le successive misure assunte a tutela e protezione del minore, richiedono che l'ente svolga una funzione di vigilanza sull'attuazione delle stesse in ordine a prescrizioni per il/i genitore/i, andamento del progetto a sostegno del minore, ecc.
Dall'informazione alla segnalazione
Il Servizio, una volta ricevuta l'informazione, effettua l'attenta rilevazione degli elementi conoscitivi disponibili ed una prima verifica degli stessi, predisponendo eventuali e conseguenti azioni dirette al minore ed al suo contesto socio-familiare.
La prima verifica dell'informazione può quindi condurre all'accertamento dell'inesistenza di rischio o pregiudizio per il minore oppure alla necessità di predisporre interventi di protezione e sostegno a favore del minore e del nucleo familiare. Innanzi a situazioni di disagio il Servizio mette in atto ogni intervento di promozione del benessere, che tuteli il fondamentale diritto del minore ad essere allevato ed educato adeguatamente ai suoi bisogni nella famiglia di origine, evitandone il coinvolgimento giudiziario (art. 13 Convenzione di Strasburgo del 1996, ratificata con legge 20 marzo 2003, n. 77).
Il Servizio sperimenta innanzitutto la protezione del minore in un contesto volontario ma, quando si verifica la presenza di situazioni di violenza, o la persistenza o l'aggravamento della situazione di rischio, si procede alla segnalazione del caso alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni, per dare avvio ad un percorso di tutela in contesto coatto.
La segnalazione è un atto di responsabilità individuale e del servizio, che in taluni casi ha natura obbligatoria. La segnalazione non è la formulazione di un giudizio, ma è un atto che da avvio ad una collaborazione interistituzionale tra servizi territoriali socio-sanitari, istituzioni scolastiche ed educative, servizi del terzo settore e Magistratura minorile.
Si procede alla segnalazione alla Procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni quando si è di fronte a situazioni di disagio minorile derivanti apparentemente da violazione dei doveri o da abuso dei poteri da parte dell'uno o dell'altro genitore o da parte di entrambi, in specifico essere possono configurarsi come:
a) situazioni di grave pregiudizio, che configurano la sussistenza di un reato: abbandono, trascuratezza grave, maltrattamenti, abuso sessuale;
b) l'incapacità di utilizzare i progetti di sostegno a favore del nucleo o del minore, e quindi di ridurre l'effetto dei fattori di rischio e di amplificazione del rischio (es. presenza di uno o entrambi genitori con problemi psichiatrici o gravi difficoltà psicofisiche che ne inibiscono la capacità di cura e accudimento, ecc.);
c) il rifiuto immotivato da parte gli esercenti la potestà genitoriale di aderire agli interventi diagnostici, di cura e di sostegno del minore d'età o della famiglia con acquisizione di elementi concreti a conferma della sussistenza di una condizione di pregiudizio per il minore;
d) una diagnosi di grave e persistente alterazione dei rapporti familiari od una prognosi negativa sulle capacità accuditive e genitoriali.
C. Le segnalazioni civili obbligatorie
Alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni
- Legge n. 149/2001 (art. 9) prevede:
a) "chiunque ha facoltà di segnalare all'autorità pubblica situazioni di abbandono di minori di età. I pubblici ufficiali, gli incaricati di un pubblico servizio, gli esercenti di un servizio di pubblica necessità debbono riferire al più presto al procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni del luogo in cui il minore si trova sulle condizioni di ogni minore in situazione di abbandono di cui vengano a conoscenza in ragione del proprio ufficio".
b) "chiunque, non essendo parente entro il IV°, accoglie stabilmente nella propria abitazione un minore, qualora l'accoglienza si protragga per un periodo superiore a sei mesi, deve, trascorso tale periodo, darne segnalazione al procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni. L'omissione della segnalazione può comportare l'inidoneità ad ottenere affidamenti familiari o adottivi e l'incapacità all'ufficio tutelare.".
c) "nello stesso termine di cui al comma 4, uguale segnalazione deve essere effettuata dal genitore che affidi stabilmente a chi non sia parente entro il IV° il figlio minore per un periodo non inferiore a sei mesi. L'omissione della segnalazione può comportare la decadenza della potestà sul figlio a norma dell'art. 330 del c.c. e l'apertura della procedura di adattabilità.".
- Art. 403 c.c. - Intervento della pubblica autorità a favore dei minori:
"Quando il minore è moralmente o materialmente abbandonato o è allevato in locali insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere alla educazione di lui, la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione
dell'infanzia, lo colloca in luogo sicuro, sino a quando non si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione.".
- Art. 25-bis. R.D. n. 1404/1934, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835 (Minori che esercitano la prostituzione o vittime di reati a carattere sessuale). - 1. Il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, qualora abbia notizia che un minore degli anni diciotto esercita la prostituzione, ne dà immediata notizia alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, che promuove i procedimenti per la tutela del minore e può proporre al tribunale per i minorenni la nomina di un curatore. Il tribunale per i minorenni adotta i provvedimenti utili all'assistenza, anche di carattere psicologico, al recupero e al reinserimento del minore. Nei casi di urgenza il tribunale per i minorenni procede d'ufficio.
- L. n. 269/1998, minore d'età vittima di reati di pornografia minorile o di tratta.
- Art. 4, comma 2, L. n. 184/1983 per l'esecutività del provvedimento di affidamento disposto dai servizi sociali.
Al Giudice Tutelare
La segnalazione al Giudice Tutelare è obbligatoria per l'attivazione della protezione giuridica del minore nei seguenti casi:
- i genitori sono morti o, per altre cause, non possono esercitare la potestà, per esempio nel caso dei minori stranieri non accompagnati (art. 343 c.c.);
- affidamenti familiari disposti dal servizio locale per la loro esecutività (art. 4, L. n. 184/1983);
- interruzione volontaria di gravidanza di minorenne nei casi di non consenso da parte di almeno uno dei due genitori o del tutore (articoli 12 e 13, L. n. 194/1978);
- conflitti tra genitori separati o divorziati per l'osservanza delle condizioni stabilite dal giudice per l'esercizio della potestà (art. 337 c.c.);
- necessità della nomina di un amministratore di sostegno. In questo caso la legge attribuisce al servizio anche la legittimazione al ricorso (art. 406 c.c.).
I minorenni stranieri non accompagnati
Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 9 dicembre 1999, n. 535:
a) all'art. 1, comma 2, prevede che "i pubblici ufficiali, gli incaricati di un pubblico servizio e gli enti, in particolare quelli che svolgono attività sanitaria e di assistenza, i quali vengono a conoscenza dell'ingresso o della presenza sul territorio dello stato di un minorenne straniero non accompagnato, sono tenuti a darne immediata notizia al Comitato per i minori stranieri, tramite le Prefetture con mezzi idonei a garantirne la riservatezza".
La notizia deve contenere tutte le informazioni relative alle generalità, nazionalità, condizioni fisiche e mezzi di sostentamento, nonché quelle relative al luogo di dimora provvisoria con l'indicazione delle misure adottate per far fronte alle sue esigenze.
b) All'art. 5 prevede che questa segnalazione non esime dall'obbligo di altre segnalazioni previste dalla legge ed altri fini. In particolare, poiché non sono presenti genitori che possano esercitare la potestà il minorenne dovrà essere segnalato al Giudice Tutelare del luogo ove il minore è stato accolto.
A cura dei Servizi Sociali ed a spese del Comune ove è stato rintracciato, il minore viene collocato in una apposita struttura di accoglienza e ne viene data comunicazione al Comitato per i minori stranieri.
Se a seguito dell'intervento di tutela, in via amministrativa e di assistenza, relativo alla condizione di immigrazione si rilevano violazioni specifiche dei doveri inerenti la potestà o una condizione di abbandono da parte dei genitori, il minore dovrà essere segnalato alla Procura per il Tribunale per i minorenni al fine di consentire l'assunzione dei provvedimenti civili previsti dalla normativa vigente, applicandosi in questo caso la legge italiana in materia di affidamento ed i provvedimenti necessari nei casi di urgenza.
D. I Soggetti obbligati
L'obbligo di segnalazione riguarda il pubblico ufficiale, l'incaricato di pubblico servizio i quali, nell'esercizio delle loro funzioni, sono venuti a conoscenza di situazioni di pregiudizio: ciò comporta che in tali casi la segnalazione deve essere da loro trasmessa all'Autorità competente (art. 331 del codice di procedura penale). Restano escluse le situazioni conosciute per ragioni strettamente private.
Sono da considerarsi pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio tutti gli operatori sanitari assistenziali nelle strutture pubbliche, a prescindere dal tipo di rapporto di servizio instaurato, i dirigenti scolastici, nonché gli insegnanti delle scuole pubbliche o private convenzionate.
La nozione di pubblico ufficiale e di incaricato di pubblico servizio la si rinviene nel codice penale: in particolare l'art. 357 c.p. prevede: "sono pubblici ufficiali coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione o del suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi.".
Per quanto riguarda invece gli incaricati di un pubblico servizio l'art. 358 c.p. recita "sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio. Per pubblico servizio deve intendersi una attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di questa ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale.".
I pubblici ufficiali o gli incaricati di pubblico servizio che omettono di riferire al Tribunale per i Minorenni sulle condizioni di ogni minore in situazione di abbandono di cui vengano a conoscenza in ragione del proprio ufficio sono puniti ai sensi dell'art. 328 c.p. Gli esercenti un servizio di pubblica necessità sono puniti con la pena della reclusione o con la multa.
E. Forma e contenuto della segnalazione
La segnalazione deve avere forma scritta ma può avvenire anche in forma orale nei casi di particolare urgenza.
Nella segnalazione vanno riportati i dati anagrafici del minore e della sua famiglia, notizie sulle condizioni psicofisiche del minore, nonché della situazione familiare, le ragioni della segnalazione stessa con la descrizione dei fatti o degli episodi per i quali si rende necessaria l'apertura di un percorso di tutela. Quando venga a mancare il consenso dei genitori e si evidenziano elementi che abbiano vanificato un precedente percorso assistenziale, va illustrato il progetto di aiuto redatto dal Servizio con la specificazione degli interventi falliti.
F. I destinatari della segnalazione
- Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni.
- Ente Locale per i provvedimenti di allontanamento in via di urgenza.
- Tribunale Civile e Ordinario per segnalazioni di urgenza in materia di affidamento dei figli, quando vi è in corso un procedimento di separazione/divorzio.
- Giudice Tutelare.
G. Aspetti rilevanti per il lavoro dei Servizi territoriali
Quando si agisce in via di urgenza
L'art. 403 c.c. prevede che "quando il minore è moralmente o materialmente abbandonato o è allevato in locali insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere alla educazione di lui, la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell'infanzia, lo colloca in luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione".
L'abbandono ricorre altresì ogniqualvolta si verifichi una obiettiva e non transitoria carenza di quel minimo di cure materiali e di aiuto psicologico necessari per assicurare al minore un ambiente idoneo a consentirgli di realizzare la sua personalità e tale da evitare danni irreversibili all'equilibrio psichico (cass. 1986, n. 7427; Cass. Sez. I, 7.11.1997; Cass. Sez. I, 1.6.1994; Cass. Sez. I, 4.9.98). Anche nelle situazioni di grave abuso sessuale o maltrattamento, pertanto, si possono raffigurare condizioni di abbandono che richiedono l'azione concertata di magistratura ordinaria e minorile.
Gli interventi che possono rendersi necessari in situazioni di emergenza sono: il ricovero in pronto soccorso, il rintraccio dei genitori ed il collocamento in luogo sicuro.
Il collocamento del minore deve essere disposto solo nei casi di necessità ed urgenza ed ha carattere di provvisorietà. Per pubblica autorità si intende oltre all'autorità di pubblica sicurezza anche l'autorità da cui dipende uno degli "organi di protezione dell'infanzia" indicati nella norma vale a dire, il Sindaco o l'Assessore alle Politiche Sociali o all'Assistenza. Il dirigente del servizio dovrà disporre tale provvedimento con atto amministrativo a seguito di intervento conoscitivo e valutativo
del Servizio Sociale. Tale intervento dovrà avvenire tramite il Servizio Sociale locale; ai servizi l'autorità dovrà rivolgersi al fine di ottenere l'indicazione di persone o istituti idonei ad accogliere il minore e dovrà di regola incaricarli dell'esecuzione del provvedimento.
L'autorità che provvede, o i servizi che collaborano con essa, hanno l'obbligo di riferire con urgenza alla Procura presso il Tribunale per i Minorenni sulle condizioni del minore collocato. La Procura, sulla base di tale segnalazione e di ulteriori eventuali indagini, valuterà se richiedere al Tribunale l'apertura di una procedura di volontaria giurisdizione nell'ambito della quale potranno essere emanati provvedimenti che incidono sulla potestà dei genitori ai sensi degli articoli 330, 333, 336 c.c. ed eventualmente, laddove se ne ravvisi la necessità, disposte misure di affidamento familiare o di collocamento del minore in idonea struttura.
L'art. 403 non deve considerarsi superato dalla legge n. 184/1983 poiché esso prevede un intervento d'urgenza della pubblica autorità che può precedere l'affidamento regolato da tale legge.
H. Strumenti di tutela del bambino
- Allontanamento dal nucleo familiare
Considerato che va tutelato, in via prioritaria il diritto del minore ad essere allevato nella propria famiglia, qualora si ritenga opportuna una diversa collocazione, bisogna preliminarmente verificare:
* la sussistenza di una situazione di pregiudizio per il minore;
* che la situazione familiare non sia suscettibile di cambiamenti autonomamente promossi;
* che la diversa collocazione sia meno dannosa della permanenza nel nucleo familiare.
Per gli interventi che prevedono la soluzione dell'affidamento familiare e/o dell'inserimento in comunità, il dirigente del servizio dovrà predisporre tali provvedimenti con atto amministrativo, a seguito degli interventi del servizio sociale. Tale atto dovrà essere trasmesso al giudice tutelare che ha il compito di ratificare il provvedimento.
L'affidamento familiare [4] (residenziale o part-time) è uno strumento caratterizzato dalla temporaneità e dal mantenimento dei rapporti con la famiglia d'origine affinché sia possibile il rientro del minore nel nucleo d'appartenenza. Ne deriva che ogni scelta di affido deve essere accompagnata da un'attenta valutazione dell'abbinamento tra bambino e famiglia ospitante e dall'avvio di un percorso valutativo che coinvolga i genitori naturali. Si deve, infatti, pervenire alla definizione di una prognosi sia sulla capacità dei genitori di superare le difficoltà e i problemi che hanno determinato l'allontanamento del figlio, sia sulla recuperabilità o meno dei rapporti tra bambino e famiglia di origine al fine di impostare criteri e tempi del suo rientro in famiglia, previo ristabilimento delle condizioni di protezione e del coinvolgimento dei genitori in un percorso di sostegno.
[4] L'affidamento è consensuale nel caso sia condiviso e approvato dai genitori o giudiziale nel caso sia disposto dell'Autorità Giudiziaria. L'affidamento si ottiene su richiesta della famiglia naturale ai servizi socio-assitenziali territoriali di residenza e/o su proposta dei servizi stessi o in seguito a disposizione dell'Autorità Giudiziaria.
- Misure prescrittive in raccordo con i servizi territoriali
Le misure prescrittive rientrano tra gli interventi di natura autoritativa del Tribunale minorile, prescrivibili nell'ambito delle competenze civili e penali e sono relative all'imposizione di prescrizioni ai familiari dei minori.
L'obbligo di collaborare con gli operatori sociali, di sottoporsi a trattamenti terapeutici, di rispettare determinati divieti o regole di comportamento sono soltanto alcuni esempi di tali misure.
Esse vengono adottate qualora ci si trovi di fronte a nuclei familiari, in cui, accanto ai primi interventi di tutela del minore vittima di abuso o maltrattamento è necessario trovare forme di sostegno al suo nucleo familiare.
Si delineano, pertanto, come interventi di regolamentazione, contenimento, risanamento o riparatori per avviare nei nuclei familiari "in crisi" processi di cambiamento volti al superamento di un sistema che ha sostenuto il maltrattamento e l'abuso.
A monte delle misure prescrittive imposte ai familiari vi è la consapevolezza che gli interventi di tutela dei minori debbano passare attraverso la riabilitazione del suo sistema familiare.
Per favorire l'applicabilità di tali misure il giudice minorile si avvale dei servizi territoriali e comunali, consultori, centri di igiene mentali, servizi per le tossicodipendenze, chiamati a svolgere nei confronti del minore e delle famiglie funzioni di sostegno e di controllo, miranti a mutamenti nelle interazioni familiari.
L'operatore, pertanto è investito di una grande responsabilità; il suo intervento è teso a recuperare le relazioni tra minore e famiglia e a permettere il rientro del minore nel contesto originario, ogni qualvolta la famiglia abbia accettato di fare un percorso di cambiamento e si è modificata rispetto alla situazione iniziale.
In tal senso i servizi, unitamente al giudice minorile funzionano come "operatori di cambiamento" agendo attivamente sui nuclei familiari per la risoluzione delle situazioni di difficoltà.
- Provvedimenti limitativi della potestà genitoriale
Quando il genitore viola i propri doveri connessi alla potestà o abusa dei relativi poteri, il giudice può decretare:
* la decadenza dalla potestà;
* la sospensione dell'esercizio della potestà;
* l'affievolimento della potestà.
Art. 330 c.c. "Il giudice può pronunziare la decadenza dalla potestà quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio.
In tale caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare l'allontanamento del figlio dalla residenza familiare.".
Art. 333 c.c. "Quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall'art. 330, ma appare comunque pregiudizievole al figlio, il giudice, secondo le circostanze, può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l'allontanamento di lui dalla residenza familiare. Tali provvedimenti sono revocabili in qualsiasi momento.
- Applicazione della legge n. 154/2001 "Misure contro la violenza nelle relazioni familiari"
Tale legge concretizza un sistema di protezione nei confronti dei minori vittime di maltrattamenti e violenza assistita prevedendo, in particolare:
* sotto il profilo penale, che il giudice possa disporre l'allontanamento dalla casa familiare di colui che mette in pericolo l'incolumità dei suoi prossimi congiunti (art. 282-bis c.p.p.). questa misura ha effetto immediato e nell'ipotesi che l'interessato si rifiuti di allontanarsi dalla casa familiare possono essere emesse anche misure più gravi (276, 299, comma 4, c.p.p.). Questa misura può essere sollecitata dalla persona stessa o dai servizi, la richiesta formale deve però avvenire da parte del Pubblico Ministero al Giudice per le Indagini Preliminari, che valuterà se procedere;
* sotto il profilo civile, l'emanazione di ordini di protezione contro gli abusi familiari che potranno assumere la forma:
1. dell'ordine impartito al coniuge o convivente che ha mantenuto una condotta pregiudizievole di cessare da tale condotta
2. dell'allontanamento dalla casa familiare del coniuge o del convivente che ha mantenuto una condotta pregiudizievole di cessare da tale condotta, con l'eventuale ulteriore prescrizione di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dai familiari che si intende proteggere dai suoi abusi (articoli 342-bis e ter c.c.).
La richiesta di adozione di un ordine di protezione può essere presentata anche direttamente al giudice civile dal soggetto vittima. Tali misure potranno essere predisposte dal giudice civile se non si è in presenza di reati perseguibili di ufficio. La durata degli ordini di protezione è di sei mesi.
Oltre all'ordine di cessare la condotta pregiudizievole e di allontanarsi dalla casa familiare, il contenuto della misura civile e penale può consistere nella prescrizione di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima (luogo di lavoro, domicilio della famiglia d'origine, di altri prossimi congiunti o di altre persone) o in prossimità dei luoghi d'istruzione dei figli, salvo che il familiare allontanato non debba frequentare i medesimi per esigenze di lavoro. Il giudice può, inoltre, ordinare il pagamento periodico di un assegno quando le persone conviventi rimangono prive di mezzi adeguati per effetto del provvedimento di allontanamento. Ciò in considerazione del fatto che non raramente le persone accusate di abusi familiari rappresentano la sola fonte di reddito per l'intero nucleo.
In sede penale, la misura patrimoniale si pone quale provvedimento accessorio non solo del provvedimento di allontanamento dalla casa familiare, ma di tutte le misure cautelari coercitive (art. 291, comma 2-bis c.p.p.).
La misura protettiva civile può contenere anche la disposizione accessoria relativa all'intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare, nonché delle associazioni che abbiano come fine statutario il sostegno e l'accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattati. Si tratta di una prescrizione finalizzata al sostegno delle parti durante l'attuazione della misura ed alla preparazione della fase successiva all'esaurimento degli effetti degli ordini di protezione, quando può aversi l'eventuale recupero dei rapporti familiari o il definitivo allontanamento del familiare violento.
3.3 Le procedure in materia penale
A. Quando si segnala. Presupposti giuridici per la tutela del minore in caso di maltrattamento e di abuso:
- reati perseguibili d'ufficio, quelli per i quali l'Autorità Giudiziaria procede indipendentemente da un'istanza di punizione del reo da parte della vittima;
- reati perseguibili a querela di parte, quelli per i quali l'Autorità Giudiziaria non procede, salvo che non vi sia un'espressa richiesta di punizione del reo da parte della vittima.
1. Reati di violenza e sfruttamento sessuale
I delitti contro la persona sono previsti e puniti dal titolo XII del codice penale, hanno rilievo per le finalità del presente documento:
> I Delitti contro la vita e l'incolumità individuale (articoli 575-593) il cui oggetto giuridico è la tutela della vita e dell'incolumità della persona considerata come individuo. Le stesse offese, infatti, se dirette contro un numero indeterminato di persone sono previste e punite nel titolo dedicato ai delitti contro l'incolumità pubblica. Quali specifiche figure criminose il codice prevede:
- l'omicidio nelle sue varie forme (volontario art. 575, aggravato articoli 576-577, del consenziente art. 579, preterintenzionale art. 584, colposo art. 589, infanticidio in condizioni di abbandono morale e materiale art. 578).
- le lesioni nelle loro varie forme (volontarie art. 582, volontarie gravi e gravissime articoli 583-585, colpose art. 590).
- altre offese al bene della vita o dell'incolumità fisica (istigazione o aiuto al suicidio art. 580, percosse art. 581, abbandono di minori o incapaci art. 591, omissione di soccorso art. 593).
> I Delitti contro la libertà individuale (articoli 600-623-bis) che ledono la libertà della persona e si suddividono in:
- delitti contro la personalità individuale, che annullano la personalità della vittima privandola in modo assoluto della capacità di esercitare i propri diritti riducendola in condizioni di schiavitù o che sono ad essa "analoghe" (riduzione in schiavitù, tratta di schiavi o minori, sfruttamento sessuale di minori indotti alla prostituzione o alla pornografia o vittime del c.d. turismo sessuale articoli 600-604)
- delitti contro la libertà personale e la libertà sessuale che limitano la possibilità per la vittima di spostarsi materialmente da un luogo all'altro che comprimono la libertà di agire e di autodeterminarsi nella sfera della sessualità (sequestro di persona, arresto illegale, indebita limitazione di libertà personale, violenza sessuale, anche di gruppo, atti sessuali con minorenne, corruzione di minorenne articoli 605-609-decies)
- delitti contro la libertà morale che comprimono la capacità della persona offesa di prendere le proprie decisioni liberamente (violenza privata, minaccia articoli 610-613)
- delitti contro l'inviolabilità del domicilio e delitti contro l'inviolabilità dei segreti che offendono o mettono in pericolo il diritto di ciascuno alla propria riservatezza nelle sue varie forme (articoli 614-615-quinquies e articoli 616-623-bis).
La ripartizione dei delitti contro la libertà individuale consegue alle importanti modifiche apportate al Codice penale dalla legge 15 febbraio 1966, n. 66 e dalla legge 3 agosto 1998, n. 269 che, hanno rispettivamente inserito tra i delitti in esame quelli contro la libertà e l'intangibilità sessuale (da art. 609-bis ad art. 609-decies) e quelli contro lo sfruttamento sessuale dei minori (da art. 600-bis ad art. 600-septies). Le disposizioni sullo sfruttamento sessuale dei minori attuano impegni internazionali assunti dall'Italia e rappresentano la risposta alla pratica della pedofilia, caratterizzata non solo da violenza ma anche dalla tendenza allo sfruttamento dei minori per fini commerciali. I vari metodi di sfruttamento sessuale dei minori sono considerati dal legislatore come nuove forme di riduzione in schiavitù poiché determinano il completo asservimento delle vittime agli autori del reato o alla loro organizzazione criminale. Per tali ragioni le disposizioni sullo sfruttamento sessuale dei minori sono collocate dopo l'art. 600 che punisce il reato di riduzione in schiavitù o in condizione analoga.
I. Sfruttamento sessuale: legge 3 agosto 1998, n. 269, "Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù" e legge 6 febbraio 2006, n. 38, "Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet".
La tutela di minori sottoposti a sfruttamento sessuale è attuata attraverso la previsione dei reati di:
Prostituzione minorile art. 600-bis che punisce chi induce (cioè rafforza, convince e persuade alla decisione di prostituirsi), sfrutta (cioè specula a scopo di lucro sulla prostituzione altrui), favorisce (agevola, rende più semplice o comodo l'esercizio della prostituzione) la prostituzione di un minore di 18 anni; oppure chi è cliente di un minore tra i 14 ai 18 anni, che si prostituisce in cambio o altra utilità economica (cioè si punisce la condotta di colui che compie atti sessuali con un minore di età compresa tra 14 e 18 anni e che in cambio della prestazione sessuale versa al minore o ad altri un compenso in danaro o in altra utilità economica. Il reato si realizza anche nei casi in cui il cliente compia atti sessuali dietro compenso con un minore che non sia dedito alla prostituzione, nei casi in cui il cliente sia adescato dal minore e nei casi in cui gli atti sessuali siano compiuti dal minore su sé stesso).
Anche se commesso all'estero il reato di prostituzione minorile è incondizionatamente punibile in Italia se il suo autore o la sua vittima è cittadino italiano (art. 604). Gli operatori turistici devono comunicare ai loro clienti che il reato di prostituzione minorile è punibile anche se commesso all'estero, inserendo nei documenti di viaggio una comunicazione obbligatoria.
Il tribunale per i minorenni tutela il minore che esercita la prostituzione o che è vittima di reati di prostituzione minorile. Infatti in via d'urgenza è tenuto ad adottare i provvedimenti per il reinserimento del minore, quando si tratta di minore straniero, a prendere gli opportuni accordi con lo stato di origine o di appartenenza tramite il Ministero degli affari esteri.
Per rendere più efficace la prevenzione e la repressione del delitto di prostituzione minorile, oltre che per tutelare i minori dai negativi effetti che può produrre su di loro la "pubblicità" dei procedimenti penali, il legislatore ha introdotto nel sistema numerose disposizioni speciali che assicurano:
A) Tutela dell'integrità fisica e psichica della vittima del reato, vietando che senza il consenso della persona offesa possa avvenire la divulgazione delle sue generalità o della sua immagine; stabilendo limitazioni all'esame in dibattimento; ampliando i casi di incidente probatorio e prevedendo per esso particolari modalità di assunzione delle dichiarazioni del minore di anni 16; prevedendo che si proceda a porte chiuse e vietando di porre domande sulla vita privata o sulla sessualità del minore, salvo che siano necessarie per la ricostruzione del fatto; vietando la pubblicazione delle generalità e dell'immagine dei minorenni testimoni, persone offese, o danneggiati dal reato fino a quando non siano divenuti maggiorenni ovvero nell'interesse esclusivo del minore consentendo la pubblicazione per decisione del Tribunale per i minorenni.
B) Rafforzamento delle attività investigative di contrasto, attuato consentendo il ricorso ad operazioni sottocopertura e a operazioni controllate. Al fine di acquisire elementi di prova in ordine al reato di prostituzione minorile previsto dal 1° comma è disposto che, nell'ambito di operazioni predisposte dal questore, gli ufficiali di polizia giudiziaria di strutture specializzate per la repressione di delitti sessuali e per la tutela dei minori, possono, previa autorizzazione dell'Autorità giudiziaria, acquistare simulatamene materiale pornografico o partecipare ad iniziative turistiche organizzate per finalità sessuali.
Le strutture specializzate per la repressione dei delitti sessuali e per la tutela dei minori sono anzitutto le unità specializzate costituite dalla Polizia di Stato presso la Squadra Mobile di ogni Questura.
Su richiesta dell'Autorità giudiziaria la polizia delle telecomunicazioni può compiere le attività investigative necessarie a neutralizzare l'azione criminale svolta mediante l'impiego di sistemi informativi, di comunicazione telematica e di reti disponibili al pubblico. Le attività investigative possono essere compiute anche ricorrendo ad indicazioni di copertura, all'attivazione di siti in rete (cc.dd. siti trappola) e alla gestione di aree di comunicazioni o di scambi su reti o sistemi telematici. L'Autorità giudiziaria può ritardare, con decreto motivato, l'emissione o disporre che sia ritardata l'esecuzione dei provvedimenti di cattura, arresto e sequestro quando ciò sia necessario per acquisire rilevanti elementi di prova o per procedere alla individuazione o alla cattura dei responsabili del delitto di prostituzione minorile.
Lo sfruttamento della prostituzione minorile è preso in considerazione anche dall'art. 601 Tratta e commercio di schiavi in cui al secondo comma si punisce chiunque commetta tratta o fa commercio di minori degli anni 18 al fine specifico di indurli alla prostituzione. Tale reato si distingue da quello previsto dall'art. 12, D.Lgs. n. 286/1998 che punisce tra l'altro le attività dirette a favorire le immigrazioni clandestine di minori da impiegare in attività illecite. A differenza di quanto previsto dall'art. 601 in materia di tratta e commercio di minori, come modificato dalla legge n. 228/2003, l'art. 12 non richiede che vi sia stata cattura del minore ma solo un'attività diretta a favorirne l'ingresso clandestino, non richiede che l'immigrazione sia stata
finalizzata a reclutare il minore per indurlo alla prostituzione e non richiede che vi sia stata riduzione in schiavitù.
Lo sfruttamento della prostituzione minorile viene rilevato anche dall'art. 600-quinquies iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile, norma che punisce il c.d. turismo sessuale e cioè l'organizzazione e la propaganda di viaggi finalizzati a fruire della prostituzione minorile o comunque comprendenti tali attività. Il reato non può essere commesso da privati, ma solo da operatori turistici professionali o da soggetti che dispongono di una pur minima struttura organizzativa di tipo imprenditoriale. Del reato rispondono solo coloro che organizzano o fanno propaganda all'iniziativa turistica e non anche coloro a favore dei quali il viaggio viene organizzato. Ricorrendone i presupposti chi fruisce del viaggio e delle prestazioni sessuali di un minore risponde del reato di cui all'art. 600-bis (fatto del cliente) o di più altro grave reato di cui all'art. 609-quater atti sessuali con minorenne. Per il reato di turismo sessuale operano le stesse disposizioni previste in materia di prostituzione minorile.
Altra norma introdotta con lo scopo di tutelare lo sviluppo fisico e psichico del minore da condotte dirette al suo adescamento e al suo sfruttamento sessuale è il reato di cui all'art. 600-ter pornografia minorile. Tale reato può attuarsi mediante quattro forme di condotta:
1) utilizzo di minori per realizzare esibizioni pornografiche o produrre materiale pornografico. Per esibizioni pornografiche si intendono prove, provini, e rappresentazioni dal vivo con pubblico presente. Il materiale pornografico è invece costituito da riviste, giornali, videocassette o reperti biologici oltre che da ogni altro oggetto distribuito al pubblico dopo la sua realizzazione. Determina pornografia minorile ogni manifestazione e ogni materiale audiovisivo che utilizza minori in un contesto che sollecita l'istinto sessuale perché riproduce, rappresenta o esibisce gli organi genitali.
2) fare commercio di materiale pornografico minorile, cioè rivendere e diffondere in maniera estesa e professionale il materiale pornografico minorile precedentemente prodotto. Tale ipotesi non prevede un contatto diretto con il minore e implica necessariamente un comportamento di tipo imprenditoriale.
3) distribuire, divulgare o pubblicizzare materiale pornografico minorile precedentemente prodotto, ipotesi che si realizza solo se l'autore del fatto non agisce a fini di commercio. L'attività può essere svolta con qualsiasi mezzo e anche in via telematica. Distribuire, divulgare di notizie o informazioni finalizzate all'adescamento, è un'ipotesi di reato che punisce le condotte che precedono quelle dirette alla utilizzazione del minore nella produzione del materiale pornografico.
4) cedere materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori. Si tratta di un'ipotesi che si realizza solo se il fatto è commesso da persone che non hanno partecipato alla produzione di questo materiale; che non lo distribuiscono in maniera diffusa e che si "limitano" a fare singole cessioni senza finalità di commercio.
La pornografia minorile è presa in considerazione anche dall'art. 600-quater detenzione di materiale pornografico, in cui si punisce il fatto di chi si limita a procurarsi o a disporre consapevolmente (anche collegandosi soltanto con un sito internet) di materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori di 18 anni.
Nuove previsioni normative sono state di recente introdotte dalla L. 6 febbraio 2006, n. 38 "Disposizioni in materia di lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pedopornografia anche a mezzo Internet". Le principali novità introdotte nel nostro ordinamento, dalle nuove disposizioni in materia di pedofilia prevedono:
- per il reato di prostituzione minorile, è punito chi compie atti sessuali con minore di età compresa tra i 14 ed i 18 anni (nella precedente versione la protezione si arrestava ai 16 anni);
- è stata ampliata la nozione di pornografia infantile prevedendo l'incriminazione anche per la realizzazione, il commercio e la detenzione di materiale pornografico pure nel caso in cui le persone rappresentate non siano minori ma "sembrino" minori e anche in caso di immagini virtuali di minori;
- il reato di pornografia minorile sussiste quando "utilizzando" un minore di anni 18, si realizzano esibizioni pornografiche o si produce materiale pornografico o lo si "induce" a partecipare a tali esibizioni;
- si esclude la possibilità di ricorrere al cosiddetto patteggiamento per buona parte dei delitti in materia di sfruttamento sessuale dei minori nonché per i delitti di violenza sessuale;
- si applica sempre, come pena accessoria, l'interdizione perpetua da qualunque incarico nelle scuole, nonché in strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori. In questo modo si è voluto eliminare il rischio che chi è giudicato colpevole di atti di pedofilia possa continuare a svolgere attività che lo mettano in contatto con i minori;
- si rende obbligatorio, per gli operatori turistici, l'inserimento nei materiali propagandistici della comunicazione sulla punibilità dei reati di pornografia e prostituzione minorile anche se commessi all'estero;
- sono stati creati due nuovi organismi, il Centro Nazionale per il contrasto alla pedopornografia sulla rete Internet e l'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile. Il Centro ha il compito di raccogliere tutte le segnalazioni, provenienti dall'Italia o dall'estero su siti che diffondono materiale pedopornografico al fine di colpire, anche attraverso la collaborazione con il sistema bancario, Ufficio italiano cambi, l'Ente poste, Banca d'Italia, i gestori dei siti e procedere all'oscuramento degli indirizzi pedopornografici in rete.
II. Atti sessuali: legge 15 febbraio 1996, n. 66 "Norme contro la violenza sessuale"
Le nuove disposizioni sulla libertà e intangibilità sessuale hanno sostituito quelle che comparivano nel titolo dedicato alla "Moralità pubblica e Buoncostume" e sono stati collocati dal Legislatore nell'ambito dei delitti "contro la persona". La diversa collocazione dei delitti sessuali ha un preciso valore culturale e simbolico e sottolinea la volontà del Legislatore di punire i reati sessuali poiché offendono il diritto dei singoli di decidere liberamente della propria vita sessuale, e se si tratta di minori, di vedere efficacemente tutelata anche la propria intangibilità sessuale.
Con riferimento alla nozione di atti sessuali il legislatore ha unificato le originarie categorie della congiunzione carnale e degli atti di libidine violenti. Sono state create tre nuove ipotesi di delitto: violenza sessuale, violenza sessuale di gruppo e atti sessuali con minorenne. È stato rielaborato il reato di "corruzione di minorenne", introdotto una causa di non punibilità di rapporti sessuali tra
minorenni e sono state previste anche norme penali e processuali dirette a tutelare più incisivamente la dignità e il diritto alla riservatezza della vittima di delitti sessuali.
L'art. 609-bis c.p. introdotto dalla legge n. 66/1996 recita "chiunque con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità induce taluno a compiere o a subire atti sessuali è punito con la reclusione da 5 a 10 anni.
Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere atti sessuali:
1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto.
2) traendo in inganno la persona per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.
Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi".
Il bene giuridico tutelato è la libertà sessuale della persona, mentre l'elemento caratterizzante la condotta del colpevole è la coscienza e volontà di costringere la vittima a compiere o a subire atti sessuali usando a tal fine minaccia, violenza o abuso di autorità. Il concetto di atto sessuale è ormai comprensivo tanto degli atti di libidine violenta, quanto della congiunzione carnale. Risponde del reato di cui all'art. 609-bis colui che con violenza (cioè costrizione fisica), minaccia (prospettazione di un male ingiusto), abuso di autorità costringe la vittima a compiere o subire atti sessuali. L'abuso di autorità ricorre quando il colpevole si avvalga di una posizione formale di superiorità o preminenza nei confronti della vittima; ricomprende, inoltre, tanto l'abuso di pubblica autorità (es. nei confronti di un detenuto), quanto quello di autorità privata (es. tra il datore di lavoro ed il dipendente). Il comma secondo fa riferimento alle ipotesi di violenza sessuale mediante induzione, poste in essere dal colpevole con la consapevolezza della particolare condizione della vittima (comma 1) e della volontà dell'inganno (comma 2).
L'art. 609-ter c.p. prevede, quali circostanze aggravanti, l'aver commesso il fatto:
1) nei confronti di persona infraquattordicenne (nel caso in cui sia commessa con violenza, minaccia o abuso di autorità, altrimenti ricorre l'ipotesi di cui all'art. 609-quater);
2) con l'uso di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti, ovvero strumenti o sostanze lesive della salute della persona offesa;
3) da persona travisata o che simula la qualità di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio;
4) su persona sottoposta a limitazioni della libertà personale;
5) nei confronti di persona infrasedicenne della quale il colpevole sia l'ascendente, il genitore anche adottivo, o il tutore. Ulteriore aggravante è prevista se il fatto sia stato commesso nei confronti di persona che non abbia compiuto gli anni dieci.
Risponde di atti sessuali con minorenni art. 609-quater (cosiddetta violenza sessuale presunta) colui che, senza violenza, minaccia, inganno o abuso e invece con il suo apparente consenso, compie atti
sessuali con un minore di 14 anni o con un minore di 16 anni quando il colpevole sia l'ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest'ultimo, una relazione di convivenza.
Il delitto di violenza sessuale e quello di atti sessuali con minorenni, quindi, pur essendo puniti allo stesso modo, tutelano beni giuridici diversi:
- il delitto di violenza sessuale tutela la libertà di una persona dalle altrui aggressioni sessuali;
- il delitto di atti sessuali con minorenni tutela invece l'intangibilità sessuale dei minori di 14 anni o anche di 16 anni limitatamente ai casi in cui l'autore del reato compia atti sessuali approfittando della situazione di sudditanza in cui il minore si trova.
Pertanto, il consenso ad atti sessuali dato da un minore di 14 anni o, in specifiche situazioni, da un minore di anni 16 non può mai ritenersi validamente prestato e pertanto gli atti sessuali con lui compiuti costituiscono sempre violazione della sua intangibilità sessuale, poiché ostacolano il normale graduale processo di maturazione del minore.
Più gravemente delle altre ipotesi appena illustrate è invece punita la violenza sessuale di gruppo art. 609-octies che si realizza quando agli atti di violenza sessuale partecipano più persone.
La presenza simultanea di più persone sul luogo ed al momento del fatto, crea nella vittima un effetto psicologico e fisico che ne riduce la reazione rendendo la violenza sessuale oggettivante più grave. Il reato sussiste anche se, presenti i complici, l'atto di violenza è commesso da un solo soggetto essendo rilevante che la vittima percepisca che l'atteggiamento di violenza provenga da tutti.
Oltre a creare le nuove figure criminose della violenza sessuale e degli atti sessuali con minorenni, il legislatore ha ridisegnato la figura criminosa della corruzione di minorenne, art. 609-quinquies, che si realizza solo nei casi in cui l'autore del reato si limita a compiere atti sessuali alla presenza fisica e consapevole di un minore di 14 anni e questi, a sua volta, si limita ad assistere agli atti stessi senza parteciparvi. Infatti, qualora vi sia partecipazione, l'autore del reato risponde, a seconda dei casi, dei più gravi delitti di violenza sessuale e di atti sessuali con minorenne. Ogniqualvolta si compiano atti sessuali alla presenza di persona infraquattordicenne, al fine di farla assistere non assume nessuna rilevanza l'eventuale consenso della vittima.
L'art. 609-nonies c.p. prevede le pene accessorie ai sopraindicati reati di violenza e sfruttamento sessuale che coinvolgono un soggetto minorenne, tra le quali:
1) perdita della potestà genitoriale, quando la qualità di genitore è elemento costitutivo del reato;
2) l'interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela ed alla curatela;
3) la perdita del diritto agli alimenti e l'esclusione dalla successione della persona offesa;
4) l'interdizione perpetua da qualunque incarico nelle scuole di ogni ordine e grado nonché da ogni ufficio o servizio in istituzioni o in altre strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori.
Principi generali ed eccezioni in materia di atti sessuali con i minori.
L'art. 609-sexies (ignoranza dell'età della persona offesa) afferma che quando i delitti previsti negli articoli 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies sono commessi in danno di persona minore di anni quattordici il colpevole non può invocare, a propria scusa, l'ignoranza dell'età della persona offesa.
La legge, così come modificata dalla L. n. 38/2006, prevede che i reati hanno procedibilità d'ufficio:
- se il reato di violenza sessuale (art. 609-bis) è commesso nei confronti di persona che al momento del fatto non ha compiuto gli anni diciotto;
- se il fatto è commesso dall'ascendente, dal genitore, anche adottivo, o dal di lui convivente, dal tutore ovvero da altra persona cui il minore è affidato per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia o che abbia con esso una relazione di convivenza;
- se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio nell'esercizio delle proprie funzioni;
- se il fatto si qualifica come corruzione di minorenne;
- se il fatto è commesso ai danni di un minore di dieci anni;
- se il fatto è connesso con un altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio;
- se il fatto è commesso nell'ipotesi di cui all'articolo 609-quater, ultimo comma
La legge prevede una specifica eccezione alla definizione di reati, questa è rappresentata dalla non punibilità di alcuni casi di rapporti sessuali tra minorenni. La norma stabilisce, infatti, che non sono punibili gli atti sessuali tra minori quando: sono consensuali, il minore più giovane di età ha già compiuto 13 anni tra i due partner la differenza di età non è superiore a tre anni.
B. La tutela delle vittime dei reati sessuali.
Accanto alle disposizioni appena illustrate il sistema prevede, in materia di delitti sessuali, un compreso di altre disposizioni finalizzate a tutelare sia il minore sia la dignità e la riservatezza delle vittime dei delitti sessuali.
Si tratta, in gran parte, di norme analoghe a quelle già esaminate in relazione ai delitti contro lo sfruttamento sessuale dei minori. Pertanto è sufficiente precisare che le disposizioni garantiscono:
- La genuinità processuale delle dichiarazioni rese dal minore stabilendo limiti all'esame in dibattimento;
- L'assistenza processuale del minore attraverso l'immediata informazione-assistenza del genitore, di altre persone idonee e dei servizi minorili;
- La celebrazione del dibattimento a porte chiuse, il divieto di porre domande sulla vita privata o sulla sessualità della persona offesa se non sono necessarie alla ricostruzione del fatto;
- La tutela della riservatezza della persona offesa garantendo dalla curiosità del pubblico le sue generalità e la sua immagine;
- Tutela delle vittime di delitti sessuali da patologie sessualmente trasmissibili ricorrendo ad accertamenti sanitari a carico di chi è imputato di delitti sessuali;
- Incondizionata punibilità dei delitti sessuali commessi all'estero
In ordine alla tutela è importante fare riferimento all'art. 609-decies c.p., intitolato "comunicazione al Tribunale per i minorenni", con il quale il legislatore ha stabilito che nel caso di commissione dei reati in danno di minorenni, il Procuratore della Repubblica ne dà notizia al Tribunale per i minorenni. L'assistenza affettiva e psicologica del minore persona offesa, in detti casi, è assicurata, in ogni stato e grado del procedimento, dalla presenza dei genitori o di altre persone idonee indicate dal minorenne ed ammesse dall'autorità che procede. In ogni caso al minorenne è assicurata la presenza dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia e dei servizi istituiti dagli enti locali. Di detti servizi si avvale altresì l'autorità giudiziaria in ogni stato e grado del procedimento.
Incidente probatorio in audizione protetta
Nel corso del procedimento, ed in particolare nella fase delle indagini preliminari, deputata all'acquisizione degli elementi di prova, il legislatore ha previsto un particolare procedimento di acquisizione della prova mediante l'anticipazione dell'intervento incidentale del giudice. I casi nei quali è previsto l'incidente probatorio sono ipotizzati negli articoli 392 c.p.p. e ss. (oltre che nell'art. 70 c.p.p. e 117 disp. Att. C.p.p.).
- L'ipotesi tipica di incidente probatorio (art. 392, comma 1, c.p.p.) riguarda l'indifferibilità dell'acquisizione di un mezzo di prova, ed in particolare:
a) quando vi è fondato motivo di ritenere che non sia rinviabile al dibattimento l'escussione di un testimone per infermità o altro impedimento;
b) ovvero si ritiene che il testimone possa essere esposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità, affinché non deponga o deponga il falso;
c) nell'ipotesi in cui la prova da acquisire riguardi una persona, un luogo od una cosa il cui stato sia soggetto a modificazione non evitabile;
d) quando particolari ragioni di urgenza non consentano di rinviare l'atto al dibattimento.
- Altra ipotesi di incidente probatorio (art. 392, comma 1-bis., c.p.p.), di particolare rilevanza, introdotta con la L. 15 febbraio 1996, n. 66, riguarda tutte le ipotesi nelle quali, a seguito della
commissione di uno dei delitti di violenza sessuale, di cui agli articoli 609-bis e ss. C.p., "il P.M. o la persona sottoposta alle indagini possono chiedere che si proceda con incidente probatorio all'assunzione della testimonianza di persona minore degli anni sedici, anche al di fuori delle ipotesi previste dall'art. 392, comma 1, c.p.p.". La norma in questione è stata introdotta anche e soprattutto per evitare l'ulteriore trauma della pubblicità dibattimentale al minore vittima di violenza sessuale. Il minorenne, quindi, con tale audizione protetta, rende testimonianza sulle violenze subite in un contesto di riservatezza, in un ambiente nel quale, alla presenza di un genitore, o di altra persona designata, e del giudice, risponde alle domande a lui dirette da parte del P.M. e del difensore dell'indagato. Tutto quello che emerge dalla sua escussione confluisce nel dibattimento, senza che il minore stesso debba nuovamente e a distanza di tempo ripercorrere le stesse vicende che lo hanno visto oggetto di violenza sessuale o di abusi sessuali.
- La terza ipotesi di incidente probatorio riguarda perizie che, se disposte in dibattimento, potrebbero comportare una sospensione dello stesso superiore a sessanta giorni.
L'incidente probatorio rappresenta una vera e propria anticipazione del processo, valgono quindi anche in questo caso, sebbene mitigate dalle prioritarie preoccupazioni di protezione del minore, le regole processuali che prevedono che le prove si definiscano nel corso del processo e il diritto di esame incrociato dei testimoni da parte dei giudici, del pubblico ministero, dei legali della parte civile (se c'è stata costituzione di parte civile da parte dei legali rappresentanti del minore) e della difesa dell'indagato.
Dell'incidente probatorio vengono informati, e hanno quindi diritto di assistervi, generalmente prendendo posto in stanza a attigua a quella nella quale il giudice per le indagini preliminari incontra il bambino: il pubblico ministero, i legali della parte civile (se c'è stata costituzione di parte civile da parte dei legali rappresentanti del minore) e relativi periti di parte, i legali della difesa dell'indagato e relativi periti di parte l'indagato.
L'incidente probatorio è condotto dal giudice per le indagini preliminari, che solitamente ascolta il minore con l'ausilio di un esperto in psicologia infantile. Infatti, nel caso di minori di anni sedici, l'incidente probatorio può assumere la forma dell'audizione protetta e il codice di procedura penale (art. 398, 5-bis) afferma che il giudice, ove fra le persone interessate all'assunzione della prova vi siano minori di anni sedici, stabilisce il luogo, il tempo e le modalità particolari attraverso cui procedere all'incidente probatorio, quando le esigenze del minore lo rendono necessario od opportuno. A tal fine l'udienza può svolgersi anche in luogo diverso dal tribunale, avvalendosi il giudice, ove esistano, di strutture specializzate di assistenza o, in mancanza, presso l'abitazione dello stesso minore. Le dichiarazioni testimoniali devono essere documentate integralmente con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva. Per quanto attiene la fase dibattimentale l'art. 498 c.p.p. (esame diretto e controesame dei testimoni) specifica che nell'esame del testimone minorenne "il presidente può avvalersi dell'ausilio di un familiare del minore o di un esperto in psicologia infantile". Questa norma (che in un comma successivo introduce l'uso dello specchio unidirezionale per l'assunzione di testimonianze relative a casi di violenza sessuale) segnala che il legislatore italiano ha preso atto delle specifiche esigenze del minore e le tutela affiancandolo ad una figura di supporto, ma ne lascia l'utilizzo al potere discrezionale del giudice. Infine, a integrazione dell'audizione, il giudice per le indagini preliminari può richiedere una perizia. Dell'interrogatorio è anche redatto verbale in forma riassuntiva. La trascrizione della riproduzione è disposta solo se richiesta dalle parti.
C. Reati che consistono in forme di maltrattamento e di abbandono
Trattasi di reati tutti perseguibili di ufficio:
A. art. 570 del codice penale, La violazione degli obblighi di assistenza famigliare, questo reato si concretizza quando chiunque, abbandonando il domicilio domestico, ovvero serbando una condotta contraria all'ordine ed alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà di genitore o alla qualità di coniuge. Il reato è procedibile d'ufficio nelle ipotesi in cui il genitore malversi o dilapidi i beni del figlio minore, ovvero quando faccia mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro. Gli atti volti a dissipare il patrimonio dei minori devono essere reiterati. Il concetto di mezzi di sussistenza non coincide con la nozione civilistica di alimenti, ma si riferisce alla nozione di stato di bisogno della persona offesa, nella quale si facciano mancare i mezzi di sussistenza, quali vitto, medicinali, vestiario e canoni di locazione per l'abitazione.
B. art. 571 del codice penale, abuso di mezzi di correzione: «chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragione di educazione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l'esercizio di una professione o di un'arte (...)». Se dal fatto deriva una lesione personale alla persona offesa si applicano le pene previste per le lesioni personali, di cui agli articoli 582, 583 c.p.; se deriva la morte si applica la reclusione da tre a otto anni. Il reato è procedibile d'ufficio. Il presupposto del reato è che si abusi dello ius corrigendi; pertanto, è lecito l'uso dei mezzi correttivi e disciplinari necessari al raggiungimento del fine che il rapporto disciplinare si propone, purchè vengano usati nella misura o nella entità minima richiesta, nonché nel rispetto della incolumità fisica e della personalità psichica e morale della persona sottoposta. Deve ritenersi non consentito il ricorso alla violenza fisica, né sono ammissibili ingiurie e rimproveri violenti. Nell'ambito dei rapporti famigliari e nei confronti dei figli minori conviventi, eccezionalmente ed in caso di necessità, può tollerarsi un ricorso alla vis modicissima, del tutto esclusa però nei confronti del coniuge o dei figli di età maggiore e nei rapporti tra insegnante ed alunno.
C. art. 572 del codice penale, maltrattamenti: «Chiunque (...) maltratta una persona della famiglia o un minore degli anni 14 o una persona sottoposta alla sua autorità (...) è punito (...)». Occorre però che il maltrattamento consista nella ripetizione di episodi di violenza, anche psicologica: un unico episodio violento non è sufficiente ad integrare tale fattispecie penale. Se dal fatto deriva una lesione personale grave o gravissima la pena è aumentata, se ne deriva la morte la pena è della reclusione da dodici a venti anni. Il reato è procedibile d'ufficio. Il concetto di persona di famiglia va considerato in una accezione estesa, quale consorzio di persone tra le quali, per intime relazioni e consuetudini di vita, siano sorti legami di reciproca assistenza e protezione. La condotta deve concretizzarsi necessariamente in più atti, delittuosi o meno, realizzati in tempi diversi con la consapevolezza di ledere l'integrità fisica e quella morale della persona offesa, tanto da costringerlo ad un regime di vita vessatorio. La differenza con il reato di abuso dei mezzi di correzione va ricercata nelle modalità della condotta, ed in particolare alla qualità del preteso mezzo correttivo o disciplinare impiegati, e nell'elemento soggettivo; in particolare se il mezzo correttivo o disciplinare è lecito, nell'abuso di detto mezzo, quando la finalità che si prefigge il colpevole è quella di correzione, si concretizza il reato di abuso dei mezzi di correzione; se invece l'agente pone in essere condotte di abuso anche col proposito di maltrattare la vittima, ovvero utilizza nei confronti di quest'ultima mezzi illeciti di correzione e di disciplina, si configura il reato di maltrattamenti.
D. art. 591 del codice penale, abbandono di minori o incapaci: «chiunque abbandona una persona minore degli anni 14, ovvero una persona incapace per malattia di mente o di corpo (..) o per altra causa di provvedere a sé stessa (...)». L'abbandono di persone minori o di incapaci è il
reato che si configura quando si abbandoni un minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia o altra causa, di provvedere a sé stessa, della quale abbia la custodia o si debba avere la cura; si configura anche nel caso di abbandono all'estero di un minore degli anni diciotto, affidato per ragioni di lavoro nello Stato. Rileva per l'integrazione di detto reato, sia l'abbandono duraturo, sia quello temporaneo che abbia fatto sorgere un pericolo per la vita o l'incolumità dell'abbandonato.
E. art. 593 del codice penale, omissione di soccorso: «chiunque trovando abbandonato o smarrito un fanciullo minore degli anni 10 o un'altra persona incapace di provvedere a sé stessa per malattia di mente o di corpo.... O per altra causa omette di darne immediato avviso all'autorità è punito (...)».
D. Reati di tratta: legge 11 agosto 2003, n. 228" Misure contro la tratta di persone"
La legge n. 228/2003 ha introdotto sanzioni più severe contro gli autori di tratta, siano essi persone fisiche o persone giuridiche, coinvolti nel complesso fenomeno: dal reclutamento al trasporto, dal trasferimento di una persona al darle ricovero. La riduzione o il mantenimento nello stato di servitù o schiavitù si configura quando il comportamento è attuato mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità o approfittando di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità della vittima. Oppure mediante la promessa o la dazione di somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona. La legge ha modificato integralmente l'art. 601 del c.p. già rinnovato dalla legge n. 269/1998 che lo integrò con l'aggiunta del comma "Chiunque commette tratta o comunque fa commercio di minori degli anni diciotto al fine di indurli alla prostituzione è punito con la reclusione da sei a venti anni". Si colpisce tutta la "filiera" del meccanismo della tratta, che coinvolge soggetti e organizzazioni che agiscono in sinergia nei paesi di origine, di transito e di destinazione delle vittime.
La legge affronta anche i nodi della prevenzione e della protezione. In particolare, l'art. 14, Misure per la prevenzione, prevede che per dare efficacia all'azione di prevenzione nei confronti dei reati di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù e dei reati legati al traffico di persone, il Ministro degli Affari esteri definisca politiche di cooperazione nei confronti dei Paesi di origine delle vittime e provveda ad organizzare, d'intesa con il Ministro per le Pari opportunità, incontri internazionali e campagne di informazione.
E. Rappresentanza degli interessi del minore: il curatore speciale.
L'art. 338 c.p.p prevede che qualora la persona offesa sia un minore degli anni 14, o infradiciottenne, sia inferma di mente e non vi sia chi ne abbia la rappresentanza, ovvero chi la esercita si trova in contrasto di interessi con il minore, è questo il caso di violenze intrafamiliari, il codice civile (art. 121) e il codice di procedura penale (art. 338) prevedono la figura del curatore speciale, preposto all'esercizio del diritto di querela.
Il curatore è nominato con decreto motivato dal giudice per le indagini preliminari del luogo in cui si trova la persona offesa, su richiesta del pubblico ministero che a sua volta può essere sollecitato dai servizi territoriali che hanno assistito il minore.
Può procedere direttamente anche il giudice per le indagini preliminari o il giudice procedente ma solo successivamente alla querela per la tutela degli ulteriori interessi del minore.
Sul versante penale la nomina del curatore speciale permette di assicurare una più adeguata rappresentanza processuale del minore sin dall'inizio delle indagini preliminari, specialmente se gli abusanti sono i genitori.
La figura del curatore è in genere nominata tra avvocati esperti, il giudice può scegliere di nominare anche un rappresentante degli enti che hanno per scopo la cura, l'educazione, la custodia e l'assistenza dei minorenni.
Il curatore speciale può procedere alla nomina di un legale che rappresenti il minore nelle fasi processuali attraverso la costituzione di parte civile.
F. Soggetti obbligati alla Segnalazione/denuncia - Competenze degli operatori dei servizi sociali, sanitari ed educativi
Come si è visto nel caso delle segnalazioni civili obbligatorie, secondo l'art. 331 del codice di procedura penale i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che, nell'esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di un reato perseguibile d'ufficio, devono farne denuncia per iscritto, sia quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito sia su segnalazione anonima.
Gli articoli 361 e 362 del codice penale prevedono la punibilità del pubblico ufficiale e dell'incaricato di un pubblico servizio che omettono o ritardano nel denunciare all'autorità giudiziaria, o ad altra autorità che a quella abbia obbligo di riferirne, un reato di cui ha avuto notizia nell'esercizio o a causa delle loro funzioni.
Sono dispensati dall'obbligo di segnalazione: (art. 362, comma 2 c.p.) i responsabili delle comunità terapeutiche socio-riabilitative per fatti commessi da persone tossicodipendenti affidate per l'esecuzione del programma definito da un servizio pubblico; (art. 120, comma 7, D.P.R. n. 90/1990) i dipendenti del servizio pubblico per le tossicodipendenze relativamente a quanto essi hanno conosciuto per ragione della propria professione; (art. 365 c.p.) chi esercita una professione sanitaria se la segnalazione riguarda un paziente presunto autore di un reato o comunque coinvolto attivamente nella commissione di un reato.
G. Forma e contenuto della segnalazione/denuncia
La segnalazione deve avere forma scritta ma può avvenire anche in forma orale nei casi di particolare urgenza. Tuttavia, è opportuno tenere presente quanto previsto dall'art. 331 del codice di procedura penale «(...) I pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio (...) devono fare denuncia per iscritto (..). La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al Pubblico Ministero». La legge non indica un termine entro il quale occorre presentare la denuncia all'autorità giudiziaria; secondo la giurisprudenza prevalente sussiste una violenza dell'obbligo di informazione dell'autorità giudiziaria quando la denuncia è presentata con un ritardo che influisce negativamente sulla pronta perseguibilità del reato.
In conformità a quanto predisposto dall'art. 332 del codice di procedura penale, la segnalazione/denuncia deve contenere l'esposizione degli elementi essenziali del fatto, indicando il giorno nel quale sono state acquisite tali informazioni. Inoltre, quando è possibile, è essenziale che essa riporti le generalità, il domicilio e quanto altro valga alla identificazione del minore, della persona alla quale si attribuiscono i comportamenti di maltrattamento o abuso e di altre persone
informate dei fatti in grado di riferire su circostanze. La conoscenza dei fatti che si segnala può derivare da una conoscenza diretta (chi segnala ha raccolto le rivelazioni del minore oppure ha rilevato indicatori gravi che fanno ipotizzare la sussistenza di una situazione di grave rischio e pericolo) oppure può scaturire dal racconto di terzi.
Secondo la giurisprudenza l'obbligo di segnalazione/denuncia sorge ogniqualvolta emergono circostanze, dichiarazioni del minore o indicatori a livello psicoaffettivo e fisico che fanno supporre come possibile il fatto che il bambino versa in condizioni di pregiudizio raffigurabile come uno dei reati procedibili d'ufficio. Per dare comunicazione all'autorità giudiziaria non si devono condurre indagini preventive, poiché esse spettano all'autorità giudiziaria, né è necessario che l'operatore si ritenga convinto della veridicità e attendibilità delle dichiarazioni formulate dal bambino.
Infine, ai fini della tutela del segreto istruttorio che grava sulle indagini preliminari e onde evitare l'inquinamento delle stesse, il sospetto di abuso e l'invio della segnalazione all'autorità giudiziaria non devono essere comunicati a membri della famiglia del minore.
H. Destinatari della segnalazione
- alla Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario: se il presunto autore - del reato è un adulto.
- alla Procura della Repubblica preso il Tribunale per i Minorenni: se il presunto - autore del reato è un minorenne.
- ad altra Autorità che abbia obbligo di riferirne all'Autorità Giudiziaria.
I servizi socio-sanitari territoriali sono tenuti ad assicurare assistenza affettiva e psicologica del minore persona offesa in ogni stato e grado del procedimento. Secondo l'art. 609-decies di tali servizi e dei servizi minorili dell'amministrazione della giustizia si avvale altresì l'autorità giudiziaria nel corso del procedimento.
I servizi territoriali possono svolgere una funzione di impulso rispetto all'attività del Pubblico ministero e del giudice per le indagini preliminari, aggiornandoli sullo stato del minore e avanzando specifiche richieste quali, per esempio, la nomina di un curatore speciale ove si ravvisino evidenti situazioni di conflitto di interessi tra il minore e chi lo rappresenta.
3.4 Tutela e limiti degli operatori
3.4.1. Il segreto professionale
Art. 622 codice penale - Rivelazione di segreto professionale. «Chiunque avendo notizia per ragione del proprio stato o ufficio o della propria professione o arte di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino ad un anno o con la multa da lire sessantamila a un milione».
Il delitto è punibile a querela della persona offesa.
Trattasi di un delitto (il codice penale raccoglie sotto la nozione reato sia i delitti che le contravvenzioni) contro la persona, la quale viene tutelata in alcune sue particolari esigenze.
Oggetto del segreto è una notizia che non deve essere portata all'altrui conoscenza; quindi vi è un interesse dell'ordinamento giuridico e cioè che la cognizione, la rivelazione, nonché l'utilizzazione delle notizie coperte dal segreto, se rivelate, potrebbero essere nocive ad un interesse pubblico e privato. La legge 3 aprile 2001, n. 119 introduce l'obbligo per gli Assistenti Sociali del segreto professionale, in ordine a quanto da loro conosciuto in ragione della loro professione esercitata sia come dipendenti pubblici o privati sia come liberi professionisti.
Tuttavia un operatore non può appellarsi al segreto professionale nel caso in cui abbia l'obbligo di riferire o repertare all'Autorità Giudiziaria di un reato di cui è vittima un minore, secondo quanto previsto dalla legge, poiché tale obbligo integra la giusta causa che motiva il superamento dell'obbligo di segreto professionale. Pertanto la possibilità che prenda avvio un procedimento penale a carico di un soggetto che risulta aver commesso un fatto che potrebbe integrare gli estremi di reato, motiva la giusta causa e non si può pertanto ravvisare violazione del segreto professionale in una segnalazione all'autorità giudiziaria dei fatti in esame.
3.4.2. Il segreto d'Ufficio
Art. 15 del D.P.R. n. 3 del 1957 - Modificato dall'art. 28 della legge 7 agosto 1990, n. 241 - Segreto d'ufficio: L'impiegato deve mantenere il segreto d'ufficio: non può trasmettere a chi non ne abbia diritto informazioni riguardanti provvedimenti ed operazioni amministrative, in corso o concluse, ovvero notizie di cui sia venuto a conoscenza a causa delle sue funzioni, al di fuori dell'ipotesi e delle modalità previste dalle norme sul diritto di accesso. Nell'ambito delle proprie attribuzioni, l'impiegato preposto ad un ufficio rilascia copie ed estratti di atti e documenti di ufficio nei casi non vietati dall'ordinamento.
Art. 326 del codice penale - Modificato dall'art. 15 della legge 26 aprile 1990, n. 87 - "Rivelazione e utilizzazione di segreti d'ufficio": il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Se l'agevolazione è soltanto colposa, si applica la reclusione fino ad un anno.
Il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio che, per procurare a sé o ad altri un indebito profitto patrimoniale, si avvale illegittimamente di notizie di ufficio, le quali debbono rimanere segrete, è punito con la reclusione da due a cinque anni.
Se il fatto è commesso al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto non patrimoniale o di cagionare ad altri un danno ingiusto, si applica la pena della reclusione fino a due anni.
Il bene tutelato è il buon funzionamento della Pubblica Amministrazione, in ordine al pregiudizio che potrebbe derivare dalla rivelazione del segreto d'ufficio. Non sussiste alcuna violazione di tali norme allorché l'operatore pubblico rivela informazioni sottostanti al segreto d'ufficio ad altro operatore pubblico e per ragioni di ufficio (è il caso della comunicazione di notizie da un'assistente sociale ad una psicologa in merito all'andamento di indagini o a sospetti sul presunto abusante).
Rispetto all'accesso da parte di terzi alla documentazione conservata dal servizio su un minore, la legge n. 241/1990 sull'accesso ai documenti amministrativi condiziona il diritto di accesso alla presenza di un interesse personale e attuale per la tutela della posizione giuridica del richiedente, tale diritto rimane subordinato alla tutela della riservatezza dei terzi in particolare di minori. Quando trattasi di atti diretti alla magistratura o su casi al centro di indagini coperte da segreto istruttorio, poiché la magistratura deve poter godere di riservatezza e non accessibilità agli atti che la vedono coinvolta, tali atti e documenti rimangono al di fuori delle previsioni di accessibilità.
3.4.3. La calunnia
L'art. 368 del c.p. prevede che chiunque con denuncia, querela, richiesta o istanza, anche se anonima o sotto falso nome, diretta all'autorità giudiziaria o ad un'altra autorità che abbia l'obbligo di riferire, incolpa di un reato taluno che egli sa essere innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione da due a sei anni.
Per rispondere del reato di calunnia non è quindi sufficiente che l'operatore che segnala attribuisca un fatto a terzi, occorre infatti che egli sappia che la persona segnalata è in realtà innocente, una conoscenza che deve essere dimostrata dal magistrato per condurre ad una condanna.
4. Funzioni trasversali per il sistema della tutela a livello regionale
Il governo di un sistema complesso di tutela come quello delineato e promosso dalle presenti linee-guida passa attraverso funzioni di tipo trasversale che servono alla manutenzione organizzativa e gestionale del sistema stesso:
- formazione e sensibilizzazione
- coinvolgimento del sistema educativo e scolastico
- monitoraggio del fenomeno e integrazione con il sistema informativo infanzia e adolescenza della Regione
- documentazione e valutazione degli interventi
- organizzazione e protocolli operativi
4.1. La formazione e la sensibilizzazione degli operatori e della comunità
Il Documento di indirizzo per la formazione in materia d'abuso e maltrattamento dell'infanzia, approvato il 6 aprile 2001 dall'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza e dal Comitato di coordinamento per la tutela dei minori dallo sfruttamento e dall'abuso sessuale, individuava la necessità di progettare e realizzare:
a) percorsi informativi e di sensibilizzazione;
b) percorsi formativi di base multidisciplinari e integrati affinché gli operatori pubblici e privati possano individuare quanto più precocemente possibile i casi di maltrattamento, attivando percorsi di protezione e percorsi di presa in carico psicosociale e sanitaria;
c) percorsi formativi specialistici rivolti a gruppi monoprofessionali che intendano approfondire tematiche specifiche;
d) percorsi formativi di analisi di modelli gestionali e organizzativi per l'acquisizione di competenze specifiche relative all'organizzazione dei servizi e al coordinamento interno.
La formazione e l'aggiornamento continui sono indispensabile mezzo per sviluppare competenze professionali e capacità personali necessarie ad affrontare un fenomeno molto complesso che sollecita risposte operative altrettanto complesse.
Nel Documento di indirizzo per la formazione in materia d'abuso e maltrattamento dell'infanzia si distinguono due livelli di formazione:
- la formazione di base, finalizzata a fornire conoscenze generali per l'inquadramento del fenomeno della violenza e le sue caratteristiche, ad informare sulle procedure di intervento e gli obblighi di ciascun operatore in rapporto al suo ruolo professionale e alle responsabilità ad esso attribuite, a stimolare l'adozione di un approccio multidisciplinare ed integrato agli interventi di protezione e tutela;
- la formazione specialistica, volta a favorire una conoscenza più approfondita dei servizi e della loro integrazione nell'intervento e l'acquisizione di competenze monoprofessionali specifiche.
Una strategia formativa e di sensibilizzazione che coinvolga tutti i soggetti chiave del territorio può essere quindi immaginata come un percorso articolato su tre fasi.
1a Fase saper ascoltare e accogliere
Il primo livello di formazione corrisponde alla prevenzione primaria del disagio in generale, ed è rivolta a tutta la popolazione, in quanto ogni "Bambino" può vivere una condizione di malessere.
Questa fase deve avere come obiettivo quello di accrescere la tutela e il rispetto nei confronti di ciascun bambino, sviluppando le capacità di ascolto attivo di tutti gli adulti a contatto con i minori.
"Ascolto attivo" che va appreso attraverso un percorso formativo indirizzato soprattutto a genitori ed educatori.
Ai genitori, agli insegnanti, ai professionisti dell'infanzia e dell'adolescenza vanno trasmesse informazioni e indicatori della sofferenza del minore in modo che essi possono imparare a riconoscere per tempo così da attivare un intervento riparativo capace di evitare l'aggravarsi della situazione di difficoltà.
> Informazione e sensibilizzazione sul fenomeno del maltrattamento rivolto all' intero territorio
Target
Strategie:
Scuola:
Locandine, manifesti e incontri interattivi per area
professionale
Insegnanti, dirigenti, operatori scolastici e
Incontri rivolti alla fascia di età sc. dell'infanzia, primaria,
avranno come tema l'affettività e la cura del SE.
Alunni
Rivolti alla fascia di età della scuola secondaria e sup.
Avranno contenuti quali la sessualità e la tutela del SE
Personale dell'area sanitaria:
Informazione mediata dagli ordini professionali, materiale
Personale del pronto soccorso, Medici di famiglia/pediatri
informativo, incontri interattivi per area professionale
di base e di comunità, personale medico e infermieristico e
ostetrico dei reparti di Pediatria e ginecologia, personale
dei servizi di Psichiatria, SERT, Handicap, Consultori
Familiari, Servizi Sociali ospedalieri.
Operatori dell'area socio-educativa:
Materiale informativo, informazione tramite gli organi
regionali competenti, incontri interattivi con i rispettivi
Operatori del tempo libero ecc., volontariato rivolto alla
referenti regionali
fascia di età in oggetto.
Operatori enti locali:
Materiale informativo, incontri interattivi con i responsabili
dei servizi sociali
Assistenti sociali, assistenti domiciliari, educatori,
insegnanti/educatori asili nido, vigili urbani.
Genitori e/o famiglie
Materiale informativo, Mass media, locandine presso i
luoghi di maggiore aggregazione (parrocchie, gruppi, centri
sportivi, centri commerciali ecc.), adulti di riferimento.
Incontri interattivi sulla genitorialità
2a Fase formazione specifica per area di competenza professionale
Il secondo livello della formazione corrisponde alla Prevenzione secondaria, si rende necessaria quando i minori già segnalano una situazione di sofferenza.
Si realizza attraverso una formazione specifica per area di competenza professionale (Diagnosi) Mira a formare gli operatori che devono accertare il maltrattamento e l'abuso.
Prevede interventi di diagnosi, consulenza giudiziaria, valutazione dell'attendibilità del minore, e della recuperabilità delle famiglie abusanti.
È importante prevedere attività di Supervisione per gli operatori che si occupano sia della diagnosi che del trattamento.
3 a Fase formazione specifica per il percorso di aiuto
Il terzo livello di formazione è rivolto agli operatori che si occupano del percorso di aiuto, corrisponde alla Prevenzione terziaria ovvero della presa in carico delle situazioni già segnate da maltrattamento e violenza, ed è finalizzata al recupero del bambino abusato e maltrattato, al recupero del genitore non collusivo o dello stesso adulto abusante che riesce a chiedere aiuto.
4.2. Il coinvolgimento del sistema educativo e scolastico
Considerato che negli ultimi tempi il fenomeno dell'abuso e del maltrattamento ai minori si è largamente diffuso nei vari strati sociali e se ne parla più spesso grazie alla stampa e ai mass-media, diventa necessario che la scuola ponga particolare attenzione alla problematica attraverso attività di ricerca, formazione e prevenzione.
La scuola è l'unica istituzione dove affluiscono tutti i bambini e ragazzi, e grazie all'insegnante si può attivare una rilevazione precoce di casi di maltrattamento. È necessario, a tal fine, che tutti i docenti siano in grado di comprendere i segnali di aiuto e di essere correttamente informati "su cosa fare e a chi rivolgersi".
La formazione dei docenti comporta competenze particolari sul piano della relazionalità ed una adeguata conoscenza del fenomeno in modo tale da poter prevenire o segnalare casi evitando ritardi.
Obiettivi
- Saper prestare attenzione ai messaggi verbali e non verbali delle bambine e dei bambini che manifestano situazione di abuso e maltrattamento.
- Saper interpretare attraverso gli elaborati grafico-pittorici i tratti che denotano i vissuti di abuso e maltrattamento (Eventuale formazione con un corso specifico sulle identificazioni del bambino attraverso il disegno).
- Saper comunicare e confrontarsi nell'ambito della comunità scolastica, circa la problematica del caso sospetto, con i docenti che lavorano nella stessa classe/sezione, con i collaboratori, con il dirigente nel modo più adeguato possibile e nel rispetto della privacy, a tutela del bambino, evitando confusione o danneggiamenti (Creazione di una rete con gli operatori del territorio e gli organi competenti a tutela dei diritti dell'infanzia).
- Conoscere la procedura riguardante la segnalazione agli organi predisposti per la tutela del minore in caso di abuso e maltrattamento.
- Favorire metodologie con gioco di simulazione che rispecchiano situazioni e modalità di approccio, usate dai pedofili per adescare i bambini.
- Informazione/formazione ai genitori e agli operatori della scuola sulla normativa riguardante l'abuso e il maltrattamento ai minori e relative carte/documenti internazionali e nazionali.
- Segnalare casi sospetti.
- Adeguato sostegno per i disturbi causati dal trauma subito.
4.3. Il monitoraggio del fenomeno e l'integrazione con il sistema informativo infanzia e adolescenza della Regione
Proveniamo da una situazione nella quale, in generale, gli studi condotti sul fenomeno provenivano da ricerche condotte, probabilmente, basate piuttosto su raccolte di dati saltuarie, finalizzate a bisogni contingenti definiti, di volta in volta, da particolari esigenze di differenti enti, e non allo sviluppo di un sistema informativo e di monitoraggio organico. La legge n. 451/1997, istituendo
degli Osservatori Nazionali e Regionali, ha favorito l'esigenza delle Regioni, destinatarie della funzione di programmazione, dell'opportunità di attivare una rilevazione sistematica di dati e informazioni sulla condizione dei minori a livello regionale, e, quindi, di elaborare ed implementare un sistema di flussi informativi derivanti sia dalle statistiche ufficiali sia dalla valorizzazione dei dati e delle informazioni di varia natura reperiti a livello locale.
L'Osservatorio dei Fenomeni sociali della Regione Molise è, e sarà, in grado di definire indagini ad hoc per colmare i vuoti informativi ancora esistenti sul fenomeno, per i quali occorre mettere a punto metodologie operative distinte, caratterizzate da specifiche peculiarità tecnico-organizzative che consentano la rilevazione ed il costante monitoraggio delle condizioni sociali, economiche e psicologiche dell'infanzia e dell'adolescenza su tutto il territorio regionale; nonché l'analisi dei servizi attivati dagli ambiti territoriali e dai Comuni, anche attraverso la sistematica raccolta della documentazione prodotta e della catalogazione.
In particolare, occorre che esso acquisisca i dati relativamente a:
- le condizioni sociali, culturali, economiche, sanitarie e psicologiche dell'infanzia e dell'adolescenza;
- le risorse finanziare e la loro stessa destinazione nell'ambito delle diverse aree di intervento;
- la mappa dei servizi territoriali e le risorse attivate dai privati.
Occorre, in sostanza che diventi un Sistema Informativo dei servizi sociali (Siss) al fine di assicurare una compiuta conoscenza dei bisogni, per poter disporre tempestivamente di dati, compresi gli indicatori di valutazione ex ante, di processo e di risultato, ed ogni informazione necessaria alla programmazione, alla gestione e alla valutazione delle politiche sociali.
Per quanto riguarda la mappatura delle risorse sul territorio regionale, questa deve servire a verificare qualità e quantità delle risorse esistenti per rispondere alle esigenze di tutela dei minori.
Queste informazioni dovranno essere organizzate sistematicamente per diventare patrimonio di conoscenza condiviso a disposizione di tutti gli operatori del settore pubblico e del privato sociale che si occupano di minori. La mappatura e l'analisi delle esperienze fino ad oggi realizzate permetteranno, inoltre, di individuare criteri metodologici trasferibili nelle varie aree della regione, e di definire modelli organizzativi di gestione dei servizi che rispondano a standard minimali in termini di qualità ed efficacia.
Rispetto alla rilevazione del fenomeno, di fondamentale importanza è la definizione di una griglia comune e condivisa per la omogenea raccolta dei dati attraverso un unico modello regionale di "cartella sociale" che i servizi coinvolti nella problematica adottano anche allo scopo di guidare l'operatore e/o l'èquipe, che di volta in volta vengono coinvolti, ad adottare una linea metodologica comune.
4.4. La documentazione e la valutazione degli interventi
L'apposita cartella sociale, informatizzata, deve consentire la registrazione di ogni notizia relativamente ai casi di sospetto abuso/maltrattamento. È importante che in essa vi siano già indicati
la gran parte degli indicatori che possono essere la spia del fenomeno, in questo modo, già in questa fase, può essere effettuata una prima valutazione della gravità della situazione, al fine di:
- verificare se sussistono elementi di tale gravità da rendere opportuno un provvedimento in merito alla collocazione immediata del minore in struttura protetta;
- acquisire ulteriori elementi a sostegno della relazione da inviare, eventualmente, all'Autorità Giudiziaria, fermo restando che la segnalazione andrà effettuata qualora le dichiarazioni del minore o indicatori a livello psico-affettivo e fisico rendano quantomeno possibile che sia stato vittima di un abuso o maltrattamento.
Occorre predisporre un disegno di valutazione completo e comune sia all'interno delle stesse équipe che operano in front line che degli operatori che interverranno, in ogni ambito, in seconda istanza, sia di coloro che sono addetti alla raccolta ed elaborazione delle informazioni.
Ciò favorirà l'elaborazione di una progettazione di interventi preventivi e di linee comuni per il trattamento. Quindi le fasi della valutazione devono accompagnare costantemente sia la rilevazione e la evoluzione del caso singolo, sia la realizzazione degli interventi che si rivolgono alla comunità.
4.5. Organizzazione e protocolli operativi
L'attuazione delle linee-guida ha bisogno di un'ampia e articolata cooperazione tra enti, istituzioni e operatrici e operatori dei vari settori di intervento. Esse rappresentano la cornice di indirizzo per futuri processi di organizzazione del sistema attraverso la sperimentazione di strutture ad hoc, quali ad esempio un servizio specializzato di tutela, e la stipula di protocolli operativi che traducano in procedure puntuali gli indirizzi che sono contenuti nel presente documento. Tali protocolli costituiscono lo strumento tecnico più adeguato per tradurre in realtà le indicazioni delle linee-guida, e potranno rappresentare il punto di arrivo di un processo di concertazione e di riflessione comune tra tutte le istituzioni e gli enti, pubblici e del privato sociale, che hanno compiti specifici rispetto alla promozione del benessere dei bambini, oltre che alla loro protezione e tutela.
La manutenzione di un sistema di prevenzione, protezione e tutela integrato, multidisciplinare e interistituzionale potrà trarre beneficio dalla creazione di un tavolo permanente di coordinamento regionale, con il quale favorire la collaborazione e la condivisione tra i soggetti a vario titolo coinvolti nella presa in carico delle situazioni di abuso, maltrattamento e violenza sui minori. In questo potranno essere rappresentati sia i soggetti istituzionali sia i soggetti del terzo settore impegnati nel sostegno a minori e nuclei familiari in difficoltà al fine di avere un ampio spazio di confronto, proposta e consultazione, che possa contribuire anche alla lettura del fenomeno e al monitoraggio degli interventi messi in atto.
Infine, per quanto riguarda le funzioni di rilevazione, valutazione e trattamento, una maggiore tempestività, specializzazione ed efficacia degli interventi potranno essere conseguite attraverso la messa in comune delle competenze esistenti a livello locale, e verificando la possibilità di costituire nuclei specializzati multidisciplinari che possano fornire consulenza agli operatori e alle operatrici del territorio e prestazioni specialistiche sui casi più gravi in raccordo con i servizi titolari del caso.