Delib. G.R. 23.12.2004, n.7/20100



LINEE GUIDA PER IL RIORDINO E L'ORIENTAMENTO DEI SERVIZI DEDICATI ALLA TUTELA DEI MINORI VITTIME DI VIOLENZA

DELIB.G.R. 23 DICEMBRE 2004, N. 7/20100 (1).

LINEE GUIDA PER IL RIORDINO E L'ORIENTAMENTO DEI SERVIZI DEDICATI ALLA TUTELA DEI MINORI VITTIME DI VIOLENZA.


(1) Pubblicata nel B.U. Lombardia 17 gennaio 2005, n. 3.

LA GIUNTA REGIONALE
Viste la legge 15 febbraio 1996 n. 66 «Norme contro la violenza sessuale» e la legge 3 agosto 1998, n. 269 «Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù» che prevedono azioni di tutela e presa in carico dei minori vittime dei reati di abuso;
Vista la legge 18 novembre 2000, n. 328 «legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali»;
Vista la legge 4 aprile 2001, n. 154 «Misure contro la violenza nelle relazioni familiari»;
Vista la L.R. 14 dicembre 2004, n. 34 «Politiche regionali per i minori»;
Richiamata la Delib.C.R. 13 marzo 2002, n. VII/462 «Piano Socio Sanitario 2002-2004» che prevede, tra le strategie di programmazione per la tutela dei minori, azioni finalizzate al miglioramento della conoscenza del fenomeno del maltrattamento e abuso, ad una corretta informazione sul fenomeno nonché interventi di contrasto delle situazioni di maltrattamento e abuso nelle sue diverse forme;
Richiamato il D.Dirett. 18 novembre 2003, n. 19554 «Costituzione di un gruppo di lavoro per la predisposizione di linee d'indirizzo regionali sul tema: maltrattamento e abuso in danno di minori» con il quale sono stati individuati gli esperti che operano nel campo del maltrattamento e abuso a danno di minori, cui è stato affidato il compito di predisporre indirizzi per gli operatori che istituzionalmente intervengono nella prevenzione e/o nella presa in carico delle vittime di abuso e maltrattamento;
Dato atto che il gruppo di lavoro ha elaborato il documento «Linee guida per la presa in carico dei minori vittime di violenza» i cui principi cardine sono:
- necessità di un intervento globale ed efficace sui minori e sulle loro famiglie sia relativamente alla prevenzione che alla cura;
- riconoscimento delle diverse istituzioni ed organizzazioni che operano la presa in carico di minori vittime di violenza;
- imprescindibilità di integrazione tra i diversi attori della rete dei servizi sanitari, socio sanitari educativi ecc.;
Richiamati i contenuti fondamentali del documento di linee guida di seguito riassunti e riguardanti:
- definizione, tipologie e caratteristica del fenomeno;
- obiettivi e contesti degli interventi;
- principi generali relativi alla metodologia organizzativa (principi generali, azioni richieste, modello organizzativo);
- formazione degli operatori dei servizi pubblici e privati;
- fondamenti giuridico-legali in materia di maltrattamento e abuso;
Ritenuto di approvare il documento di linee guida, quale strumento metodologico di indirizzo tecnico ed organizzativo utile a riordinare ed orientare i servizi che attualmente operano a favore dei minori vittime di violenza, che si compone degli allegati A «Linee guida per la presa in carico dei minori vittime di violenza» e B «Fondamenti giuridico-legali in materia di maltrattamento e abuso» parti integranti e sostanziali della presente deliberazione;
Ritenuto inoltre di rinviare a successivi provvedimenti la promozione di azioni volte alla piena attuazione delle presenti linee guida;
Dato atto che la presente deliberazione non comporta impegni di spesa;
Ritenuto di dover pubblicare il presente provvedimento sul Bollettino ufficiale della Regione Lombardia e sul sito web della Direzione Generale Famiglia e Solidarietà Sociale;
Visto il D.P.G.R. 24 maggio 2000, n. 13371 con il quale il Presidente della Giunta Regionale ha conferito a Gian Carlo Abelli l'incarico di Assessore alla Famiglia e Solidarietà Sociale;
Vista la Delib.G.R. 28 giugno 2004, n. 7/17904 con cui è stato determinato il nuovo assetto organizzativo della Giunta Regionale;
Ad unanimità dei voti espressi nelle forme di legge

Delibera

1. di approvare il documento di linee guida, quale strumento metodologico di indirizzo tecnico ed organizzativo utile a riordinare ed orientare i servizi che attualmente operano a favore dei minori vittime di violenza, che si compone degli allegati A «Linee guida per la presa in carico dei minori vittime di violenza» e B «Fondamenti giuridico-legali in materia di maltrattamento e abuso» parti integranti e sostanziali della presente deliberazione;
2. di dare atto che il presente provvedimento non comporta impegni di spesa;
3. di disporre la pubblicazione del presente provvedimento sul Bollettino ufficiale della Regione Lombardia e sul sito web della Direzione Generale Famiglia e Solidarietà Sociale.
Allegato A
Linee guida per la presa in carico dei minori vittime di violenza
1. Quadro di riferimento generale.
1.1. Definizione, tipologie, caratteristiche del fenomeno.
Il fenomeno della trascuratezza, del maltrattamento fisico e psicologico e dell'abuso sessuale nei confronti dell'infanzia è stato oggetto, negli ultimi anni, di costante attenzione da parte delle istituzioni e dell'opinione pubblica, segno della ormai acquisita consapevolezza da parte della comunità sociale e scientifica della necessità di affrontare in modo sistematico e coordinato questo grave e sfaccettato problema. Nel Rapporto Mondiale su Violenza e Salute dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (2002) la violenza viene indicata come il più importante problema di salute del mondo per il quale si sollecitano interventi finalizzati alla prevenzione e alla cura delle sue conseguenze.
L'OMS afferma che «per abuso all'infanzia e maltrattamento debbano intendersi tutte le forme di cattiva salute fisica e/o emozionale, abuso sessuale, trascuratezza o negligenza o sfruttamento commerciale o altro che comportano un pregiudizio reale o potenziale per la salute del bambino, per la sua sopravvivenza, per il suo sviluppo o per la sua dignità nell'ambito di una relazione caratterizzata da responsabilità, fiducia o potere». Si tratta di una definizione che ha il vantaggio di superare i problemi relativi sia alla intenzionalità o meno dei comportamenti commissivi o omissivi, sia quelli circa le cause o le conseguenze delle azioni e che, inoltre, non esclude forme di violenza che possono verificarsi in contesti anche extrafamiliari. È tuttavia fuor di dubbio che la violenza e l'abuso assumono prevalentemente le caratteristiche di fenomeni intrafamiliari che, come è noto, restano spesso inespressi e non visibili e che, a causa della loro cronicità, producono, in coloro che ne sono vittime, gravi e invalidanti conseguenze sul piano fisico e psicologico.
Tali conseguenze possono protrarsi nel tempo dando luogo a patologie che si manifestano dopo mesi, anni o nell'età adulta, sindromi psichiatriche, tossicodipendenza, prostituzione, condotte socialmente devianti hanno frequentemente alla loro radice esperienze di vittimizzazione infantile.
Tenendo presente che la violenza rappresenta un fenomeno composito e multiforme, le cui diverse manifestazioni non si presentano quasi mai separate o scindibili, le principali forme sono: trascuratezza, maltrattamento fisico, abuso sessuale, maltrattamento psicologico, e violenza assistita intrafamiliare.
Va posta inoltre attenzione all'emergenza di forme nuove di violenza quali la riduzione in schiavitù, la prostituzione, il coinvolgimento nella pornografia o la emarginazione derivante dalla immigrazione clandestina.
Per trascuratezza si intende la grave e/o persistente omissione di cure nei confronti del bambino o gli insuccessi in alcune importanti aree dell'allevamento che hanno come conseguenza un danno significativo per la salute o per lo sviluppo e/o un ritardo della crescita in assenza di cause organiche.
Per maltrattamento fisico, si intende la presenza di un danno fisico dovuto ad aggressioni fisiche, maltrattamenti, punizioni corporali o gravi attentati all'integrità fisica e alla vita.
Per maltrattamento psicologico o abuso emozionale, si intende una relazione emotiva caratterizzata da ripetute e continue pressioni psicologiche, ricatti affettivi, indifferenza, rifiuto, denigrazione e svalutazioni che danneggiano o inibiscono lo sviluppo di competenze cognitivo-emotive fondamentali quali l'intelligenza, l'attenzione, la percezione, la memoria.
Per abuso sessuale, si intende il coinvolgimento di un minore in atti sessuali, con o senza contatto fisico, a cui non può liberamente consentire in ragione dell'età e della preminenza dell'abusante, lo sfruttamento sessuale di un minore, prostituzione infantile e pornografia. (cfr. art. 609 c.p.)
Per violenza assistita si intende il coinvolgimento del minore in atti di violenza compiuti su figure di riferimento affettivamente significative per lui cui conseguono danni psicologici pari a quelli derivanti dal maltrattamento direttamente subito.
La violenza a danno dei minori, in tutte le sue forme attive o omissive, è un fenomeno diffuso e trasversale ad ogni classe sociale ed è sintomo di un grave disagio individuale e relazionale che frequentemente colpisce l'intero nucleo familiare, minando le sue funzioni fondamentali di accudimento e cura e che, dunque, richiede di essere affrontato non solo a livello del singolo individuo ma sul piano delle relazioni familiari. Pertanto, il fenomeno della violenza deve essere affrontato globalmente e tempestivamente con interventi e attività di prevenzione primaria, secondaria e terziaria, di cura della vittima e del nucleo familiare, e con modalità operative improntate all'integrazione professionale nonché interistituzionale.
1.2. Obiettivi e contesti degli interventi.
Di fronte all'entità della violenza e alle gravi conseguenze che ne derivano, il sistema dei servizi e gli operatori preposti alla presa in carico delle situazioni a rischio e alla tutela dei minori e delle fasce deboli hanno compiti rilevanti
a) di promozione della salute psicofisica,
b) di individuazione delle situazioni problematiche
c) di riparazione del danno.
Pur consapevoli della difficoltà di valutare situazioni familiari multiproblematiche, instabili ed in cui c'è tendenza a celare i problemi, appare importante non sottovalutare né gli eventuali elementi familiari che mettono a rischio il minore, né le potenzialità e le risorse su cui far leva per contrastare o ridurre l'impatto dei fattori negativi. I servizi, pertanto, devono adottare strategie d'intervento in grado di tener conto e attentamente valutare gli eventuali fattori di rischio e quelli protettivi presenti nel nucleo familiare.
2. Metodologia organizzative.
2.1. Principi generali.
Ai fini della metodologia organizzativa del sistema degli interventi e dei servizi dedicati alla prevenzione del fenomeno della violenza sui minori ed alla cura dei minori vittime di violenza e delle loro famiglie vengono individuate le seguenti funzioni:
- trasversali: funzioni condivise da tutti i servizi, sanitari, socio sanitari, sociali educativi che implicano azioni di prevenzione primaria (riduzione del rischio) e di prevenzione secondaria (rilevazione e protezione ivi comprese segnalazione e/o denuncia);
- specializzate: funzioni di prevenzione terziaria (valutazione e trattamento).
Le normative e i principali documenti di indirizzo, messi a punto negli ultimi anni, convergono nell'indicare come i servizi dedicati alla cura dei minori vittime di maltrattamenti debbano avere delle caratteristiche di specializzazione e debbano essere in grado di svolgere alcune funzioni integrate ad elevata complessità. Un'appropriata sintesi degli orientamenti dell'intervento è contenuta nel modello ecologico (Belsky, 1993), richiamato nel Rapporto su Violenza e Salute dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (2002). Esso considera quattro aree concentriche interagenti sia nell'eziologia del danno sia nell'intervento diretto a contrastarlo e ripararlo:
- livello ontogenetico o delle caratteristiche degli individui;
- livello del microsistema o delle caratteristiche familiari;
- livello dell'esosistema o dei fattori sociali, economici, relativi alla comunità di appartenenza;
- livello del macrosistema dei fattori istituzionali e culturali.
Questo approccio, che viene individuato quale modello utile per la presa in carico delle situazioni di violenza su minori, fornisce una base globale e articolata di opzioni per la rilevazione e per l'intervento.
Si ribadisce quindi la opportunità di connessioni sistematiche e stabili tra i servizi dell'area sanitaria e socio sanitaria (per adulti e per minori), dell'area sociale e dell'area educativa in diretto e costante collegamento con l'Autorità Giudiziaria.
Ai professionisti che operano nei servizi competenti per l'intervento nelle situazioni di violenza sui minori, si richiede alta specializzazione nella conoscenza delle dinamiche familiari maltrattanti e violente, nel trattamento delle conseguenze traumatiche della violenza sulla/e vittima/e, nella contestualizzazione degli interventi che vanno articolati sui diversi piani: sociale, medico, psicologico, giuridico, educativo.
Nell'interesse del minore quando emerge una situazione di violenza i servizi devono:
a) essere in grado di agire con interventi rapidi volti a proteggere il minore e ad aiutare la famiglia ad affrontare la crisi;
b) essere in grado di attivare azioni volte a ripristinare relazioni sane e funzionali all'interno della famiglia;
c) garantire efficacia agli interventi anche attraverso la multidisciplinarietà che prevede la capacità di ogni figura professionale di interagire adeguatamente con i colleghi appartenenti ad altre discipline.
2.2. Le azioni richieste.
Per un intervento globale ed efficace sul fenomeno della violenza e del maltrattamento a danno di minori, occorre che vengano attivati, a cura dei diversi soggetti che interagiscono nell'intervento, le azioni che di seguito si elencano. Le azioni vengono articolate in una sequenza logica, prima che temporale; anche se è desiderabile che questi due aspetti siano operativamente allineati, la variabilità delle situazioni e dei contesti può comportare modificazioni nella sequenza delle fasi o la loro embricatura.
2.2.1. Riduzione del rischio
Tra le consuete azioni messe in campo per contrastare l'insorgere di forme di abuso su minori, particolare attenzione andrà dedicata a quelle mirate a ridurre i fattori di rischio e di cronicizzazione del disagio sia sul piano sociale che psicologico, e a conseguire un empowerment delle famiglie e dei ruoli genitoriali in fasce deboli (interventi selettivi).
A tali azioni andranno affiancati anche interventi a diffusione generale, mirati a promuovere il 'buon trattamento' dei figli.
2.2.2. Rilevazione
I segnali di malessere del minore, che possono indicare la sussistenza di una situazione di pregiudizio e di vittimizzazione, possono emergere in tutti i suoi contesti di vita quotidiana. Occorre pertanto consentire che tali segnali siano rilevati tempestivamente e con sufficiente specificità. Andranno pertanto attivati interventi mirati alla sensibilizzazione degli adulti prossimi ai minori, specie se con funzioni educative, alla lettura di tali segnali. Attraverso un adeguato ascolto ed analisi di tali segnali, in collaborazione con servizi competenti, potrà essere effettuata una prima ricognizione delle situazioni in cui si rendano necessari approfondimenti mirati alla corretta significazione dei segnali stessi. Nell'attuare tali approfondimenti si dovrà, ove possibile, valorizzare una relazione collaborativa con i genitori, pur nella necessaria attenzione finalizzata a non esporre il minore a pericolose pressioni in ambito familiare.
2.2.3. Segnalazione.
Quando i segnali raccolti nella fase di rilevazione concorrono a far fondatamente ritenere che la situazione esistenziale del minore sia caratterizzata da uno stato di pregiudizio, per la presenza di comportamenti negativi, attivi od omissivi, attuati dagli stessi adulti che svolgono funzioni educative e di protezione e che sono essi stessi causa della condizione di rischio o del danno reale o prevedibile, è dovere degli opera-tori effettuare una segnalazione alla Magistratura Minorile, Istituzione deputata alla tutela dei minori, indipendentemente dalla natura dolosa o colposa dei comportamenti che danneggiano o che potrebbero danneggiare i minori stessi (art. 9 L. n. 184/1983.)
La segnalazione è un atto di responsabilità individuale obbligatoria per il pubblico ufficiale, l'incaricato di pubblico servizio e l'esercente un servizio di pubblica necessità. Tra gli incaricati di pubblico servizio devono essere ricompresi gli operatori sociosanitari, gli insegnanti e gli operatori di comunità, come soggetti che svolgono una funzione delegata dall'ente pubblico tutore o affidatario.
La segnalazione deve fornire informazioni analitiche e riferire gli elementi che sono stati individuati sulla condizione di pregiudizio in atto distinguendo tra fatti e notizie raccolti direttamente o tramite terzi e valutazioni e suggerimenti che derivano dalla esperienza tecnico-professionale.
2.2.4. Denuncia
Nelle situazioni in cui il comportamento dell'adulto configura un reato procedibile d'ufficio (grave maltrattamento, abuso sessuale) i Pubblici Ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio sono tenuti alla denuncia alla Procura della Repubblica presso il Tribunale Ordinario, nonché a segnalare la situazione alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni per i necessari provvedimenti di tutela.
Il concetto di notizia di reato indica la conoscenza di un fatto che, se vero, costituisce reato e non implica né la certezza che il reato sia stato commesso né il semplice sospetto soggettivo.
La notizia di reato può essere anche «de relato», vale a dire quando una persona riferisce all'incaricato di pubblico servizio non quanto visto o subito, ma quanto appreso da altra persona. In tali casi, il fatto di invitare la fonte diretta a presentare denuncia non esime dall'obbligo di denuncia.
L'effetto della denuncia è, innanzitutto, quello di avviare il procedimento penale di accertamento della responsabilità dell'autore del reato.
Non è tenuto alla denuncia chi è a conoscenza di elementi e/o di segnali (ad esempio comportamenti erotizzati del bambino, accenni non espliciti a violenze e/o ad azioni maltrattanti, abusanti o trascuranti etc.) che possono indicare una situazione di pregiudizio, ma di per se stessi non costituiscono reati. In questo caso sono raccomandati ulteriori approfondimenti anche ricorrendo a professionisti esperti.
2.2.5. Protezione
Nelle situazioni documentate di pregiudizio dei minori vengono attuati provvedimenti urgenti di tutela giuridica, cui, a volte, può accompagnarsi un iter penale nei confronti del presunto maltrattante e/o abusante. I provvedimenti di tutela possono essere adottati dalla Pubblica Amministrazione ovvero dall'autorità giudiziaria.
Con riferimento al primo tipo di provvedimenti, viene in rilievo il potere della «pubblica autorità...di collocare il minore in un luogo sicuro sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione» (art. 403 c.c.).
Tale potere, infatti, è esercitabile sia dalla Pubblica Amministrazione, generalmente l'ente territoriale competente per la tutela dei minori, sia dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni.
I provvedimenti di tutela dell'autorità giudiziaria possono essere emessi dal Tribunale per i Minorenni (artt. 330 c.c. e ss.; art. 10, L. n. 184/1983), dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni (art. 403 c.c.), dall'autorità giudiziaria ordinaria civile (cd ordini di protezione di cui agli artt. 342-bis e 342-ter c.c. e art. 736-bis c.p.c.), ovvero in sede cautelare dall'autorità penale procedente (art. 282-bis c.p.p.).
L'ampia facoltà concessa dalla legge al Tribunale per i Minorenni nell'adozione di «ogni opportuno provvedimento... - nell'interesse del minore», può comportare, così come nei casi del provvedimento urgente adottato dall'ente locale territoriale e del provvedimento del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, l'allontanamento del minore dalla propria abitazione e l'affidamento ad un'altra famiglia ovvero ad una struttura di accoglienza.
La scelta delle strutture di accoglienza e delle famiglie affidatarie deve avvenire con criteri di massima accuratezza e specificità. I minori allontanati dal nucleo familiare attraversano una fase estremamente critica, in cui la perdita dei legami primari, per quanto attuata con intento protettivo, si somma alla situazione di grave disagio che ha determinato il provvedimento, con esiti di importante sofferenza.
I genitori il cui figlio sia stato sottoposto a tutela attraverso l'allontanamento, devono essere tempestivamente informati sui provvedimenti adottati a tutela del minore e sugli strumenti che l'ordinamento predispone a tutela dei diritti dei genitori stessi.
Con riferimento alle informazioni relative al minore coinvolto in uno o più procedimenti giudiziari (penale di repressione del reato, civile di tutela, cautelare di tutela, Cfr. Allegato), occorre tener presente che tali informazioni ricevono una protezione differente a seconda del procedimento giudiziario afferente. In tal senso le suddette informazioni potranno essere rivelate con modalità, tempi e gradi di analiticità differenti.
Qualora tra il minore e i familiari vengano conservati rapporti, le modalità degli stessi dovranno essere accuratamente definite e vigilate.
Vi sono poi altre misure di tutela, attivabili dall'autorità giudiziaria procedente ovvero per iniziativa di altri soggetti interessati alla tutela del minore, le quali possono costituire una alternativa al suo allontanamento dalla famiglia.
La valutazione della situazione e la decisione su quali misure di tutela da attivare (allontanamento del minore vittima, allontanamento del maltrattante e/o abusante, prescrizioni, Cfr. Allegato) deve essere effettuata avendo riguardo a ciascuna singola situazione, in modo da sfruttare appieno le risorse in concreto disponibili, da ridurre al minimo la possibilità di traumatizzare ulteriormente la vittima e di garantirne la massima tutela.
La protezione del minore deve essere garantita anche all'interno delle procedure giudiziarie.
Nel caso del procedimento penale diretto ad accertare la responsabilità dell'autore del reato, al minore deve essere garantita una rappresentanza processuale che ne curi gli interessi, una adeguata protezione e l'assistenza affettiva e psicologica durante l'intera durata del procedimento.
Nel caso di procedure di tutela minorile dovrà applicarsi quanto stabilito nella L. n. n. 77/2003 (ratifica della Convenzione di Strasburgo sull'esercizio dei diritti dei minori, 1996) in tema di protezione nell'ascolto del minore e suo coinvolgimento nell'adozione delle decisioni.
2.2.6. Valutazione
Per valutazione si intende l'insieme delle diverse operazioni diagnostiche e prognostiche, che concorrono ad accertare la sussistenza e le caratteristiche di una situazione pregiudizievole per il minore e a definire il quadro socio-sanitario ed educativo del minore, degli adulti di riferimento e delle relazioni affettive.
Di tale valutazione si avvale anche l'Autorità giudiziaria, qualora necessario.
Un intervento tempestivo, attuato dalla rete integrata dei servizi (comunità di accoglimento, servizio di tutela, servizio di valutazione psicologica del minore e della famiglia, ecc), volto a definire le prospettive diagnostico-prognostiche, appare fortemente opportuno poiché consente di affrontare precocemente la crisi, di proporre in tempi brevi un programma di intervento, di avviare positivi cambiamenti da subito.
2.2.7. Trattamento terapeutico e sostegno
È di vitale importanza che, se l'esito della valutazione prevede un programma riabilitativo e/o terapeutico del minore e della famiglia, gli interventi coordinati dei diversi servizi interessati (ivi compresi, laddove necessari, i servizi per la salute mentale e per le dipendenze), provvedano alla promozione di azioni riparative a tutti i livelli previsti dal modello ecologico. Dovranno assumere particolare rilievo le azioni mirate:
- alla elaborazione delle dinamiche personali e relazionali distorte dall'abuso (per il minore e, se recuperabili, per i suoi familiari);
- a garantire un'esperienza quotidiana capace di proporre modelli di pensiero e di comportamento alternativi e riparativi rispetto a quelli connessi all'abuso (ove possibile nella famiglia di origine o in caso contrario in altri ambiti di vita);
- ad evitare occasioni di riattivazione traumatica o di vittimizzazione secondaria.
Particolare attenzione andrà in tal senso dedicata alla protezione del minore nei percorsi giudiziari (v. 2.2.4)
2.3. Modello organizzativo.
2.3.1. Principi generali del percorso di presa in carico e suoi attori
Onde evitare operazioni frammentate, inutilmente ripetute, contraddittorie, occorre creare e potenziare l'integrazione e la collaborazione tra i presidi che, a vario titolo, sono deputati istituzionalmente, o vengono interessati nelle diverse fasi dell'intervento, alle tematiche del disagio e della violenza. In particolare si rende necessaria una spinta propulsiva alla integrazione tra servizi deputati all'intervento sugli adulti (servizi di psichiatria, per le dipendenze ecc) e servizi per l'infanzia ed inoltre tra la scuola, i servizi socio-sanitari territoriali e le istituzioni giudiziarie, anche attraverso la predisposizione di specifici protocolli di intesa.
Nel percorso di presa in carico (dalla rilevazione al trattamento) del minore «vittima di violenza» (trascuratezza, maltrattamento, abuso) e della sua famiglia si individuano due macro fasi operative:
- Rilevazione, segnalazione, protezione (funzioni trasversali)
- Valutazione e trattamento (funzioni specialistiche)
I servizi che partecipano alla realizzazione del percorso, nel suo complesso sono tutti quelli già preposti alla tutela sociale, sanitaria, educativa del benessere del minore.
Essi comprendono:
- consultori familiari pubblici e privati accreditati e/o loro articolazioni;
- servizi di tutela minori gestiti dalle ASL, su delega dei Comuni, o dai Comuni stessi;
- servizi sociali;
- servizi di pronto soccorso;
- servizi di neuropsichiatria infantile;
- servizi materno-infantili;
- servizi di psichiatria;
- servizi per le dipendenze;
- medici pediatri e di medicina generale;
- strutture per l'accoglienza dei minori fuori dalla famiglia;
- strutture scolastiche di ogni ordine e grado; - terzo Settore con competenze specifiche sociali, sanitarie, educative.
2.3.2. Fase di rilevazione, segnalazione, protezione
Comprende gli interventi mirati a raggiungere gli obiettivi specificati nei punti 2.2.2., 2.2.3., 2.2.4., 2.2.5. (almeno per i provvedimenti attuabili dalla Pubblica Amministrazione) per i casi comunque arrivati all'attenzione come sospette situazioni di abuso all'infanzia.
I servizi competenti per la rilevazione, la segnalazione e la protezione sono tutti quelli sopra menzionati per le loro specifiche funzioni. Tali servizi hanno facoltà di richiedere e ottenere consulenza presso servizi accreditati per competenze specialistiche e l'obbligo, al fine di assicurare sin dal primo momento i necessari collegamenti istituzionali, di dare comunicazione tempestiva del proprio operato all'ente locale territorialmente competente per la tutela dei minori.
2.3.3. Valutazione e trattamento
Per raggiungere gli obiettivi specificati ai precedenti punti 2.2.6. e 2.2.7., l'ente territorialmente competente per la tutela dei minori individuerà per ciascun minore un servizio accreditato per competenze specialistiche. Tale servizio sarà incaricato di costruire un progetto di valutazione e trattamento con alta coerenza interna, tenuto conto delle specificità cliniche.
In tale servizio dovrà essere assicurata adeguata specializzazione nella conoscenza e nella cura delle dinamiche post traumatiche ai vari livelli previsti dal modello ecologico dell'intervento (individuale, familiare, comunitario, istituzionale) nonché capacità di operare in modo complesso e integrato. Esso potrà operare in modo sia diretto sia indiretto, attivando e coordinando, secondo opportunità, le prestazioni di altri servizi, tra quelli elencati al punto 2.3.1, per il completo raggiungimento degli obiettivi fissati.
Qualora la situazione di vittimizzazione non comporti alcuna limitazione della potestà genitoriale (genitori protettivi), i genitori stessi individueranno per il figlio il servizio accreditato per competenze specialistiche incaricato del progetto di valutazione e trattamento.
2.3.4. Accreditamento
Al fine di garantire, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di libera scelta, interventi efficaci e di qualità per la valutazione ed il trattamento dei minori vittime di violenza e delle loro famiglie, la Regione stabilirà i requisiti per l'autorizzazione al funzionamento e l'accreditamento dei servizi socio sanitari con competenze specialistiche.
2.3.5. Monitoraggio del fenomeno e degli interventi
Occorre sviluppare una cultura condivisa riguardante il fenomeno e favorire la messa a punto di norme attuative delle presenti linee di indirizzo. A tale scopo:
- va promossa l'istituzione di un tavolo di coordinamento regionale con il compito di favorire la collaborazione tra i diversi soggetti a vario titolo coinvolti nella presa in carico delle situazioni di violenza su minori. Dovranno essere rappresentati sia soggetti istituzionali sia soggetti del terzo settore impegnati nel sostegno a minori e nuclei familiari in difficoltà al fine di valorizzare al massimo, in virtù del principio di sussidiarietà orizzontale, quanto viene espresso dalla società civile;
- dovrà essere dedicata particolare attenzione alla promozione di centri documentazione e di sistemi di registrazione dati per il monitoraggio del fenomeno, degli interventi, dell'organizzazione dei servizi.
3 Formazione degli operatori.
Occorre prestare attenzione alla preparazione professionale degli operatori dei servizi pubblici o privati per far sì che i compiti delineati nel paragrafo 2.2. «Le azioni richieste» trovino operatori esperti, servizi ad alta integrazione e adeguata cultura organizzativa. In questa prospettiva appare di fondamentale importanza rafforzare le iniziative formative e il costante aggiornamento del personale soprattutto - ma non solo - in una prospettiva multidisciplinare.
La formazione è caratterizzata da due ambiti di sapere:
- quello specialistico relativo alla propria professionalità;
- quello di base e trasversale riguardante gli obblighi e i vincoli di legge, le procedure, le risorse esistenti relative ai problemi dell'infanzia maltrattata.
La formazione permanente degli operatori si fonda su percorsi formativi di elevata qualità che riescano a coniugare gli apporti teorici con la trasmissione di buone prassi professionali e di rete, anche attraverso la supervisione degli operatori in relazione a precise situazioni in carico ai servizi.
Allegato B
Fondamenti giuridico-legali in materia di maltrattamento e abuso
1.1. La normativa di derivazione internazionale a tutela dell'infanzia.
La legislazione italiana a favore dell'infanzia trae i suoi principi ispiratori e prescrittori dalla Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata in Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176.
La ratifica della Convenzione di New York ha comportato che le norme dell'ordinamento giuridico italiano, eventualmente incompatibili con questa, sono state automaticamente abrogate e, di conseguenza, sono diventate immediatamente applicabili tutte le norme in essa contenute che hanno valore precettivo.
Inoltre, le norme preesistenti alla legge n. 176/1991, conformi alla Convenzione dei diritti del fanciullo, non possono essere modificate in senso contrario e l'interpretazione delle norme vigenti deve essere effettuata tenendo conto dei principi della Convenzione stessa.
Alla Convenzione di New York ha fatto seguito la Convenzione Europea sull'esercizio dei diritti dei minori, Strasburgo 25 gennaio 1996, ratificata in Italia con la L. n. 77/2003, la quale sancisce dei chiari e precisi diritti dei minori:
- diritto di essere informato ed esprimere la propria opinione nei procedimenti dell'autorità giudiziaria che lo riguardano (art. 3);
- diritto di richiedere la designazione di un rappresentante qualora i detentori della responsabilità genitoriale siano privati della facoltà di rappresentarlo (art. 4);
- diritto di richiedere l'assistenza di una persona che lo aiuti ad esprimere la propria opinione (art. 5).
In tale contesto normativo transnazionale ben si inseriscono le «Raccomandazioni del Comitato delle Regioni UE sulla cooperazione locale e regionale per proteggere i bambini e gli adolescenti dalla violenza e dall'abbandono» del 4 dicembre 1998. Tale documento esorta l'Unione Europea:
1. ad adottare una comune definizione della violenza sui minori;
2. a raccogliere e controllare le informazioni sulla portata dei maltrattamenti sui minori;
3. a garantire che la legislazione dell'Unione europea non sia inadeguata alla protezione dei minori in pericolo.
Le Raccomandazioni vengono poi rivolte agli enti locali affinché:
1. Garantiscano mediante buone pratiche di assunzione che in Europa i minori siano protetti dai maltrattamenti commessi da chi li accudisce e fornisce loro dei servizi;
2. Garantiscano che chi si occupa di minori o fornisce loro servizi riceva una formazione atta a riconoscere i maltrattamenti e agire di conseguenza;
3. Garantiscano la disponibilità di politiche e procedure a livello locale per gestire i casi di violenza contro i minori, mirate alle funzioni del personale impegnato in tutte le professioni e in tutti gli organi;
4. Garantiscano per i minori e coloro che se ne occupano la disponibilità di servizi che intervengono dopo la violenza subita;
5. Intraprendano azioni per stabilire programmi di prevenzione della violenza;
6. Diano ai minori un ruolo più attivo in sintonia con la convenzione Onu sui diritti del fanciullo;
7. Si assumano la responsabilità di promuovere regolari campagne di sensibilizzazione dell'opinione pubblica;
8. Rafforzino la cooperazione locale e regionale in tutta Europa nella lotta contro le violenze nei confronti dei minori.
Si deve, infine, richiamare quanto dichiarato dai Ministri degli Stati dell'Unione Europea responsabili per l'infanzia, nell'incontro tenutosi a Lucca in data 25 e 26 settembre 2003. In quell'occasione i Ministri, hanno innanzitutto ribadito l'adesione a:
- la Dichiarazione ed il Piano di azione adottati alla «Conferenza dei Paesi europei e dell'Asia centrale sulla protezione dei bambini dallo sfruttamento sessuale» (Budapest, 20 - 21 Novembre 2001);
- il Global Commitment che ha concluso i lavori del «Secondo Congresso Mondiale contro lo sfruttamento sessuale commerciale dei bambini» (Yokohama, 17 - 20 dicembre 2001);
- gli ancora rilevanti Dichiarazione e Piano d'azione adottati in occasione del «Primo Congresso Mondiale contro lo sfruttamento sessuale dei bambini a fini commerciali» (Stoccolma, 27 - 31 agosto 1996).
È stato, poi, riaffermato, come importante:
1. sostenere ogni azione di prevenzione e contrasto dell'abuso e dello sfruttamento sessuale dei bambini, favorendo anche il coinvolgimento della società civile, delle ONG, delle associazioni e dei bambini stessi, e sviluppare e consolidare l'azione delle organizzazioni internazionali che sono anch'esse chiamate a combattere il fenomeno;
2. valorizzare un approccio multidisciplinare e multisettoriale nelle politiche e negli interventi assunti a livello locale, nazionale ed europeo, in considerazione della complessità dei fenomeni, inclusa la loro natura transnazionale, dei legami esistenti tra le varie forme di abuso e sfruttamento sessuale e della necessità di integrare gli interventi dei vari settori che hanno competenza ad intervenire;
3. favorire la creazione di sistemi di raccolta dati e di monitoraggio dei fenomeni e sostenere la ricerca sui fattori di rischio nonché sui fattori di protezione e rafforzare i processi di recupero delle vittime;
4. incoraggiare e creare opportunità e meccanismi per la valutazione sull'impatto degli interventi e lo scambio delle esperienze, dei risultati e delle buone pratiche;
5. garantire che i bambini vittime siano effettivamente protetti e sostenuti durante i procedimenti giudiziari attraverso il rafforzamento, qualora necessario, degli strumenti giuridici, giudiziari e d'indagine;
6. garantire che i bambini vittime di abuso e sfruttamento sessuale abbiano accesso ad appropriati servizi di assistenza, di sostegno educativo e sociale, di recupero e di trattamento terapeutico di breve e lungo periodo;
7. sostenere e valorizzare le azioni di prevenzione precoce di abuso e sfruttamento sessuale coinvolgendo i bambini stessi, e sostenere la genitorialità con lo scopo di aiutare la famiglia ad assumersi il suo naturale ruolo di promotrice dello sviluppo del bambino e al fine di interrompere il ciclo intergenerazionale della violenza;
8. favorire e rafforzare la ricerca e la valutazione dei percorsi terapeutici per gli autori di questo tipo di reati, con particolare attenzione agli autori minorenni;
1.2. La disciplina italiana.
In conformità agli artt. 2, 3, 13, 29, 30, 31 e 32 della Costituzione che affermano i principi di salvaguardia dei valori, della dignità e dei diritti della persona umana contro qualsiasi situazione, occasione o contesto che ne compromettano l'esistenza e lo sviluppo, la legislazione italiana si è arricchita di norme finalizzate al contrasto del fenomeno della violenza in danno di minori, facendo propria la necessità di una tutela del minore quale soggetto di diritto.
1.2.1. Le norme penali che reprimono i comportamenti di maltrattamento ed abuso
Il legislatore italiano ha ritenuto opportuno prevedere una serie di norme penali che descrivono i comportamenti di maltrattamento ed abuso di minori.
In altre parole si può dire che l'ordinamento reprime determinati comportamenti di maltrattamento ed abuso, prevedendo, come reazione da parte dell'ordinamento stesso, una misura attualmente o potenzialmente limitativa della libertà personale dell'autore.
Con riferimento ai comportamenti di maltrattamento, vengono in rilievo le norme contenute nel Capo IV del Titolo XI del Libro II del Codice Penale, che, disciplinando i delitti contro l'assistenza familiare, incriminano una serie determinata di comportamenti.
Tra tali comportamenti è utile richiamare la violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.), tra cui è previsto anche il comportamento di chi fa mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori, l'abuso dei mezzi di correzione (art. 571 c.p.), i maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli (art. 572 c.p.), con il quale vengono incriminati tutti i fatti che producono sofferenze fisiche e morali.
Queste norme sono di applicazione residuale, ovvero vengono concretamente in rilievo qualora il comportamento posto in essere non sia incriminato indipendentemente dal fatto che sia stato compiuto ai danni di persone minorenni.
A questo proposito si devono richiamare le norme penali che disciplinano i comportamenti di omicidio (artt. 575 c.p. e ss.), lesioni (artt. 581 c.p. e ss.), omissione di soccorso (art. 593 c.p.), violenza privata e minaccia (artt. 610 c.p. e ss.), sequestro di persona (artt. 605 c.p. e ss.) e riduzione in schiavitù (artt. 600 c.p. e ss.).
Con riferimento all'abuso sessuale occorre, invece, richiamare la riforma introdotta con la legge n. 66 del 15 febbraio 1996.
Tra gli elementi più rilevanti di questa riforma va segnalato che:
a) la violenza sessuale è diventato un «reato contro la persona» e non più un «reato contro la morale»;
b) è stata abolita la distinzione tra la violenza carnale (consistente nella penetrazione) e gli atti di libidine violenti (consistenti in qualunque atto ad esclusione della penetrazione), facendo riferimento al solo concetto di violenza sessuale (che va inteso quindi in senso ampio, e indipendentemente dal verificarsi o meno della penetrazione);
L'articolo 609-quater c.p. introdotto da tale legge equipara, poi, al reato di violenza sessuale l'atto compiuto:
a) con un minore di anni 10 (reato punibile con pena da 7 a 14 anni);
b) con un minore di anni 14 (reato punibile con pena da 5 a 10 anni);
c) con un minore di anni 16 solo nell'ipotesi in cui l'autore sia l'ascendente, il genitore adottivo, il tutore o persona cui il minore è affidato per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza e custodia oppure nell'ipotesi in cui l'autore del reato ha con la vittima una relazione di convivenza (anche senza rapporto di parentela). In tal caso è l'atto sessuale in sé ad essere illecito anche se vi è consenso del minore ed è prevista una pena da 5 a 10 anni di reclusione.
L'unica causa di non punibilità di tali ultimi comportamenti si verifica qualora i soggetti che compiono atti sessuali, pur essendo minorenni, abbiano entrambi un'età superiore ai 13 anni, e non vi sia tra di loro una differenza di età superiore a tre anni.
Laddove l'autore faccia uso di violenza, minaccia, o abuso di autorità, oppure altra circostanza prevista dall'articolo 609-bis, il fatto assume i caratteri del reato di violenza sessuale e non quello di atto sessuale con un minorenne, con la conseguente previsione di pene più severe (da 7 a 14 anni di carcere se si tratta di un fanciullo che non ha compiuto 10 anni, da 6 a 12 anni di carcere se si tratta di un fanciullo che non ha compiuto 14 anni o 16 se il colpevole è il genitore o il tutore).
La L. n. 66/1996 ha poi stabilito:
- che costituisce reato (nuova formulazione della fattispecie del reato di corruzione di minorenne) il compiere atti sessuali in presenza di minore di anni quattordici al fine di farlo assistere ai medesimi atti (la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni);
- che costituisce reato di violenza sessuale di gruppo la partecipazione di più persone riunite ad atti di violenza sessuale.
Accanto alla riforma sull'abuso sessuale compiuto su persona minore di età, deve essere richiamata la legge n. 269 del 3 agosto 1998 che ha dettato «Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia e del turismo sessuale in danno di minori, quale nuova forma di riduzione in schiavitù».
La legge n. 269/1998 ha recepito un concetto ampiamente riconosciuto a livello internazionale, sia in seno all'Unione Europea che nei trattati internazionali in materia, come la Convenzione Internazionale sui Diritti del Fanciullo, per il quale ogni forma di sfruttamento sessuale dei minori è da considerarsi come una forma di schiavitù.
Tale legge, attuando una protezione dei minori vittime di sfruttamento sessuale dal punto di vista repressivo, introduce nel codice penale italiano nuove fattispecie di reato: prostituzione minorile, pornografia minorile e detenzione di materiale pornografico, iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile, tratta dei minori, fatto commesso all'estero.
Nel reato di prostituzione minorile viene punito non solo chiunque induce, favorisce e sfrutta la prostituzione di un minore di età inferiore ai 18 anni (pena prevista: reclusione da 6 a 12 anni e multa da 30 a 300 milioni), ma anche chiunque compie atti sessuali con un minore (pena prevista: reclusione da 6 mesi a 3 anni o multa da un minimo di 10 milioni).
Questa norma, dovendo essere coordinata con quanto previsto dall'art. 609-quater c.p. poc'anzi richiamato, di fatto, incrimina gli atti sessuali compiuti, senza violenza, minaccia o abuso di
posizione dominante dovuta alla parentela o alla convivenza, con un minorenne che abbia compiuto i 14 anni.
In linea più specifica la L. n. 269/1998 stabilisce che:
- Chi induce alla prostituzione persona minore di diciotto anni ovvero ne favorisce o sfrutta la prostituzione è punito con la reclusione e la multa;
- Chi, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, compie atti sessuali con minore di età compresa tra i quattordici e sedici anni, in cambio di danaro o altra utilità economica è punito con la reclusione e con la multa;
- Chiunque sfrutta minori di diciotto anni al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico è punito con la reclusione e con la multa. Parimenti è incriminato il comportamento di chi commercia il materiale pornografico;
- Chiunque distribuisce, divulga o pubblicizza anche per via telematica materiale pornografico o notizie finalizzate all'adescamento e allo sfruttamento sessuale dei minori è punito con la reclusione e la multa;
- Chiunque cede ad altri, anche a titolo gratuito materiale pornografico prodotto mediante sfruttamento sessuale del minore di anni diciotto è punito con la reclusione e la multa;
- Chiunque si procura o dispone di materiale pornografico prodotto mediante sfruttamento sessuale del minore di anni diciotto è punito con la reclusione o la multa;
- Chiunque organizza, favorisce o propaganda viaggi verso l'estero finalizzati alla fruizione di attività di prostituzione a danno di minori è punito con la reclusione e la multa.
- Alla stessa pena di cui all'art. 601 c.p. soggiace chi commette tratta o comunque fa commercio di minori di anni diciotto al fine di indurli alla prostituzione.
A completamento della rassegna delle norme che incriminano comportamenti di maltrattamento, abuso o sfruttamento di minori occorre richiamare la norma penale contenuta nel III comma dell'art. 12 della L. n. 286/1998, intitolata: «Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero».
Tale norma, infatti, incrimina il comportamento di chi compie attività dirette a favorire l'ingresso nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizione del Testo Unico, di stranieri minori di età da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento.
1.2.2. Le norme che prevedono l'attivazione degli strumenti di tutela
Gli strumenti di tutela descritti nei paragrafi precedenti sono differentemente attivabili dal minore stesso, da chi ne ha la custodia, dai pubblici ufficiali e dagli incaricati di pubblico servizio ovvero d'ufficio dal giudice.
1.2.3.1. La denuncia e la querela di parte
Con riferimento agli strumenti di repressione dei reati sessuali commessi ai danni dei minori, occorre specificare che il reato è procedibile di ufficio nei casi di:
1. violenza di gruppo;
2. reati sessuali posti in essere contestualmente al reato di lesioni;
3. corruzione di minorenne;
4. se il fatto è connesso con altro reato per il quale si procede d'ufficio;
5. atti sessuali commessi con persona minore di anni 10;
6. violenza sessuale compiuta ai danni di persona minore di anni 14;
7. reati sessuali commessi da genitori o conviventi;
8. reati sessuali compiuti da pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio nell'esercizio delle sue funzioni;
In tali casi:
- sussiste l'obbligo di «denuncia» (ex art. 331 codice di procedura penale), per tutti coloro che, rientrano nella qualifica di Pubblico Ufficiale o di incaricato di pubblico servizio (art. 358 codice penale). A questo proposito si ritiene di dover specificare che la portata della definizione di Pubblico Ufficiale o di incaricato di pubblico servizio è discussa in dottrina e giurisprudenza.
L'orientamento che si ritiene di preferire è quello che individua nella natura della funzione svolta l'elemento che qualifica il soggetto.
Tra gli incaricati di pubblico servizio devono, pertanto, essere ricompresi gli assistenti sociali, gli insegnanti e gli operatori di comunità, come soggetti che svolgono una funzione delegata dall'ente pubblico tutore o affidatario. Nel caso di omissione di denuncia, si incorre nelle sanzioni penali previste dall'art. 362 c.p.;
- è opportuno che la denuncia venga effettuata sia al Tribunale per i Minorenni (Procura della Repubblica) che al Tribunale Ordinario (Procura della Repubblica).
I reati sessuali sono invece procedibili a querela della persona offesa nei casi di:
1. atti sessuali con persone maggiori di anni 10 e minori di anni 14 se non commessi dal genitore o convivente;
2. atti sessuali compiuti abusando di condizioni di superiorità fisica o psichica;
3. violenze sessuali su maggiori di anni 14;
La querela deve essere effettuata entro 6 mesi dal fatto ed è irrevocabile.
1.2.3.2 Gli strumenti di tutela della vittima del reato attivabili durante il procedimento penale La nuova disciplina dei reati sessuali compiuti ai danni di minorenni prevede poi alcuni strumenti di tutela processuale del minore. In tal senso è previsto:
- che il procedimento si svolga a porte chiuse e inoltre che il Pubblico Ministero possa chiedere che si proceda con incidente probatorio all'assunzione della testimonianza del minore di quattordici anni e che tale assunzione di testimonianza possa avvenire anche in luogo diverso dal tribunale avvalendosi di strutture specializzate o anche presso l'abitazione del minore;
- che il minore, ovvero il PM, chieda al GIP la nomina di un curatore speciale (art. 338 c.p.p.) che può assistere il minore nella querela e nelle varie fasi procedimentali, inclusa la possibilità di nomina di un difensore per la «costituzione di parte civile»;
- che alla persona offesa minorenne sia assicurata l'assistenza affettiva e psicologica, in ogni stato e grado del procedimento, mediante la presenza dei genitori o di altre persone idonee indicate dal minorenne.
È, inoltre, utile ricordare che qualora si proceda per uno dei reati di abuso e violenza sessuale, il Pubblico Ministero deve darne notizia al Tribunale per i Minorenni.
Per ciò che riguarda i reati previsti dalla riforma introdotta con la L. n. 269/1998 occorre poi ricordare che:
- tali reati sono perseguibili anche se commessi all'estero da cittadino italiano ovvero da cittadino straniero in concorso con cittadino italiano;
- il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che abbia notizia che un minore esercita la prostituzione è obbligato a darne immediata notizia alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni che promuove i provvedimenti di tutela;
1.2.3. Le norme che prevedono strumenti di tutela
Con riferimento alle norme non penali poste a tutela dell'infanzia maltrattata ed abusata, occorre premettere che l'ordinamento giuridico prevede e disciplina una serie di strumenti. Tali strumenti possono o devono essere attivati da autorità differenti in presenza di presupposti parzialmente coincidenti e con finalità altrettanto parzialmente coincidenti.
In linea generale si può affermare che i presupposti di tali strumenti sono costituiti da situazioni di pregiudizio seppur differentemente considerate e qualificate.
Le finalità degli strumenti in esame sono generalmente quelle di porre al riparo, almeno in via temporanea, il minore dal ripetersi di condotte ai suoi danni, di disporre di un contesto di tipo «neutro», al di fuori da intuibili condizionamenti (ricatti, spinte alla ritrattazione, colpevolizzazioni), per poter approfondire la condizione fisica e psicoemotiva del bambino, ed, quindi, indirettamente di agevolare l'accertamento della responsabilità penale dell'abusante o maltrattante.
In primo luogo viene in rilievo quanto disposto dall'art. 403 c.c., ai sensi del quale «la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell'infanzia, colloca il minore in luogo sicuro sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione». Tale norma può fondare sia un provvedimento di natura amministrativa (vd. infra) sia un provvedimento di natura giudiziale, quale è quello adottato dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni.
Il provvedimento del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni è adottato in via d'urgenza e deve essere seguito dall'attivazione di una procedura diretta all'emanazione di un provvedimento che esprime la valutazione del giudice minorile.
Quest'ultimo tipo di provvedimenti è regolato dalla disciplina contenuta negli artt. 330 c.c. e ss., ai sensi della quale l'autorità giudiziaria minorile può adottare i «provvedimenti convenienti» in caso di pregiudizievole condotta di uno o di entrambi i genitori.
In questi casi il Tribunale per i minorenni, competente secondo la norma generale dell'art. 38 disp.att.c.c., può essere investito indifferentemente da una parte privata, legata al soggetto di cui trattasi da un rapporto di parentela, o dallo stesso Pubblico Ministero (art. 336 c.c.).
La norma, prevedendo la possibilità di allontanamento del minore dalla residenza familiare, non limita l'azione del giudice ad una serie tipizzata e tassativa di provvedimenti, lasciando all'autorità giudiziaria un'ampia facoltà di intervento. In questo senso al tribunale è consentito, ad un estremo, prescrivere determinati comportamenti (con esclusione di disposizioni di tipo economico) ai genitori, così come, all'estremo opposto, dichiarare la decadenza di uno o di entrambi i genitori.
Per tali provvedimenti non è stato previsto alcun termine massimo di durata, tenuto conto, condivisibilmente, che il principio cardine, in questa materia, è quello del pregiudizio e della verifica, continua nel tempo, del benessere del minore.
Occorre, poi, segnalare la disciplina contenuta nella L. n. 184/1983, così come innovata dalla L. n. 149/2001. Tale normativa ribadisce il principio costituzionale secondo cui il minore ha diritto a vivere nella propria famiglia di origine e prevede una serie di strumenti a sostegno dei genitori in difficoltà.
La legge conferisce al giudice la facoltà di disporre «in ogni momento... ogni opportuno provvedimento temporaneo nell'interesse del minore» che si trovi in stato di abbandono.
A questo proposito occorre chiarire che:
- anche se l'accertamento dell'abbandono deve essere effettuato con criteri elastici, dovendosi tener conto del modello culturale ed educativo del ceto cui appartiene la famiglia del minore, vi è comunque abbandono quando le condizioni del minore stesso siano al di sotto del minimo accettabile in una società che, pur rispettosa del pluralismo dei modelli educativi, ha posto in primo piano la tutela dei minori;
- la nozione di stato di abbandono non può essere mutuata in modo automatico dalle nozioni di maltrattamento previste in sede penale (ad esempio dagli artt. 571 e 572 c.p.) o di abuso sessuale quale delineato dagli artt. 609-bis c.p. e ss..
Il giudice minorile ha un raggio di azione molto più ampio e non è tenuto a verificare, ad esempio, la sussistenza del dolo richiesto per la condanna penale (anche condotte non volontarie possono essere obiettivamente distruttive e contrarie alle esigenze del minore a una crescita equilibrata);
- Il giudice minorile ha ampia facoltà di stabilire quale provvedimento esplichi una efficace tutela del minore. In tal senso la norma contenuta nel novellato art. 333 c.c., prevede la possibilità che il giudice impartisca generiche «prescrizioni» per le quali non è previsto alcun termine massimo di durata. Si deve tener conto, condivisibilmente, che il principio cardine in questa materia rimane quello del pregiudizio e della verifica, continua nel tempo, del benessere del minore.
La disciplina in commento assicura, poi, al minore, momentaneamente privo della propria famiglia, la possibilità di vivere in un ambiente familiare o di tipo familiare, tendendo al mantenimento dei rapporti con i fratelli.
Recependo quanto auspicato dalla Convenzione di Strasburgo, la legge impone l'audizione processuale del minore al fine di dargli la possibilità di rappresentare le proprie opinioni e le proprie idee.
Per l'attivazione degli strumenti di tutela disciplinati dalla L. n. 184/1983, come innovata dalla L. n. 149/2001, si deve ricordare quanto previsto all'art. 9, il quale obbliga i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio di segnalare alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni o direttamente al Tribunale per i minorenni, le situazioni di abbandono di minori.
In ogni caso il Tribunale per i minorenni può essere investito indifferentemente da una parte privata legata al soggetto di cui trattasi da rapporto di parentela o dallo stesso Pubblico Ministero (art. 336 c.c.).
Tra le norme che disciplinano, nel nostro ordinamento, gli strumenti di tutela dell'infanzia maltrattata ed abusata, devono, poi, annoverarsi quelle contenute nella legge 4 aprile 2001 n. 154 «Misure contro la violenza nelle relazioni familiari». In primo luogo, la legge n. 154/2001 ha introdotto nella procedura penale (art. 282-bis codice di procedura penale) la misura coercitiva dell'allontanamento del familiare violento, al fine di attuare un intervento rapido ed efficace nei casi di violenza in famiglia.
Con lo stesso provvedimento, il giudice può prescrivere il pagamento di un assegno di mantenimento a coloro che, conviventi con il soggetto sottoposto a questa misura, hanno diritto al mantenimento (coniuge, figli, adottati o naturali riconosciuti, minorenni o maggiorenni se non autosufficienti).
Questa misura penale risulta particolarmente efficace nella sua attuazione: l'effetto è immediato e, in caso di inosservanza, sarebbe a dire di rifiuto di allontanarsi dalla casa familiare, possono scattare le misure più gravi (artt. 276, 299 c.p.p. co. 4°).
Vi è, peraltro, il limite obiettivo della durata della misura, circoscritta nel tempo, come si ricava dal combinato disposto degli artt. 303 e 308 c.p.p. (doppio del termine previsto per la custodia in carcere).
Per l'attivazione di tale misura cautelare valgono i principi generali: la richiesta parte dal Pubblico Ministero e sulla stessa provvede il Giudice per le indagini preliminari.
In secondo luogo, la L. n. 154/2001 ha introdotto strumenti attivabili dall'Autorità Giudiziaria Ordinaria Civile, ovvero i cd. «ordini di protezione» ai quali fanno riferimento i nuovi artt. 342-bis, 342-ter c.c. e art. 736 bis c.p.c..
L'ordine di protezione del Tribunale Civile Ordinario può contenere, oltre alla prescrizione dell'allontanamento dalla casa familiare, il divieto di avvicinarsi a determinati luoghi frequentati dalla vittima, quali la sede di lavoro o la residenza di familiari o congiunti.
È utile sottolineare che la misura dell'allontanamento dalla casa familiare può essere disposto anche quando questa è di proprietà esclusiva del soggetto allontanato.
Inoltre il Tribunale può richiedere l'intervento dei servizi socio-assistenziali o di Centri che operano per il sostegno di vittime di violenze o abusi familiari o, infine, di Centri di mediazione familiare.
L'innovazione non sta tanto nella possibilità di ottenere misure di allontanamento, misure del resto già presenti nell'ordinamento, ma nella possibilità di ricorrervi anche quando non si è in una situazione che si configura come reato.
In questo senso si può dire che tale disciplina rappresenta una delle poche norme che tutelano membri adulti e minori appartenenti alle famiglie di fatto.
Questa norma, inoltre, introduce un'accezione ampia di violenza, che configura tutte le situazioni di grave pregiudizio dell'integrità fisica o morale, della libertà di un membro del nucleo familiare, causate da un altro membro dello stesso.
Rispetto a tali cd. «ordini di protezione», è prevista l'iniziativa della parte privata. Il ricorso può essere presentato anche personalmente dall'istante, senza la necessaria assistenza del difensore (art. 3 legge n. 154/2001.)
Tali provvedimenti sono emessi dal Giudice Civile, nei casi in cui, però, non si è in presenza di reati perseguibili d'ufficio.
Per gli ordini di protezione è previsto un termine di scadenza: la durata è, infatti, di sei mesi.
Vi è invece una certa qual incertezza interpretativa per quanto riguarda il tempo dell'eventuale proroga, pure prevista dall'art. 342-ter c.p.c., il quale, tuttavia, si limita a parlare di «tempo strettamente necessario» (non è chiaro, nel silenzio della legge, se siano consentite o meno ulteriori proroghe).
Accanto ai provvedimenti di tutela di natura giudiziaria, il nostro ordinamento, prevede, all'art. 403 c.c., un provvedimento urgente che, se adottato dall'autorità amministrativa, quale l'ente territoriale competente per la tutela dei minori, ha natura amministrativa.
Tale norma, che è posta a fondamento peraltro, anche del provvedimento di allontanamento adottato dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni, stabilisce che la pubblica autorità deve attivarsi quando «il minore è moralmente o materialmente abbandonato o è allevato in locali insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere all'educazione di lui».
1.3. La normativa sull'organizzazione dei servizi.
L'organizzazione dei servizi per il sostegno della famiglia e la tutela dell'infanzia si articola a partire dalla normativa definita a livello nazionale e a livello regionale; tali norme fanno riferimento sia all'ambito delle politiche sociali sia a quello delle politiche sanitarie e, data la stretta connessione sociale e sanitaria degli interventi, esse vanno considerate congiuntamente.
1.3.1. La normativa nazionale sull'organizzazione dei servizi
A livello nazionale sono rilevanti:
- D.P.C.M. 29 novembre 2001 «Definizione dei livelli essenziali di assistenza» che individua le prestazioni diagnostiche, terapeutiche e socio riabilitative a carico del Servizio Sanitario Nazionale,
- D.P.C.M. 14 febbraio 2001: «Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni socio sanitarie»,
- Piano sanitario nazionale 1998 - 2000,
- Progetto Obiettivo Materno infantile (aprile 2000),
- L. n. 328/2000: «legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali»,
- Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2001-2003.
Nella Definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza, gli interventi di:
- «protezione del minore in stato di abbandono e tutela della sua crescita anche attraverso affidi e adozioni»,
- «gli interventi di prevenzione assistenza e recupero psico-terapeutico dei minori vittime di abuso» sono definite come prestazioni sanitarie, garantite dal SSN, al livello di assistenza «territoriale, ambulatoriale e domiciliare» e nel sotto livello dell'assistenza sanitaria e socio sanitaria è garantita a donne, minori, coppie e famiglie.
Riferendosi all'Atto di indirizzo, la tematica degli abusi viene inserita nell'area materno infantile e avvicinata alle funzioni consultoriali, chiarendo i criteri di finanziamento previsti, suddivisi tra Comuni e Servizio Sanitario Nazionale. (vedi tabella)
A carico del Servizio Sanitario Nazionale (100%) sono le prestazioni medico specialistiche, psicoterapeutiche, di indagine diagnostica sui minori e sulle famiglie adottive e affidatarie.
A carico dei Comuni le prestazioni di supporto sociale ed economico alle famiglie, compresa l'indagine sociale sulla famiglia; l'accoglienza in comunità educativa o familiare.
A carico del Servizio Sanitario Nazionale (100%) gli interventi di prevenzione, assistenza e recupero psicoterapeutico dei minori vittime di abuso.
Al riguardo si rappresenta la tabella tratta dal D.P.C.M. 14 febbraio 2001
Area
Prestazioni funzioni
Fonte legislativa
Criteri di finanziamento
Materno infantile
3.
Protezione del minore in stato di
Norme nazionali in materia
A carico del SSN (100%) le
abbandono e tutela della sua
di diritto di famiglia, affidi,
prestazioni medico specialistiche,
crescita anche attraverso affidi e
adozioni nazionali e
psicoterapeutiche, di indagine
adozioni
internazionali
diagnostica sui minori e sulle famiglie adottive e affidatarie
Interventi di sostegno alle famiglie di
L. n. 285/1997
A carico dei Comuni (100%) le
minori in situazione di disadattamento o
Leggi regionali
prestazioni di supporto sociale ed
di devianza
economico alle famiglie,
compresa l'indagine sociale sulla famiglia;
Interventi per minori soggetti a
A carico dei Comuni (100%)
provvedimenti penali, civili,
l'accoglienza in comunità
amministrativi
educativa o famigliare
4.
Interventi di prevenzione assistenza
L. n. 66/1996
A carico del SSN (100%)
e recupero psicoterapeutico dei
L. n. 269/1998
minori vittime di abuso
D.M. 24 aprile 2000:PO
Materno infantile
Anche la legge quadro sugli interventi sociali (L. n. 328/2000) prevede una serie di interventi nell'ambito del sostegno alla famiglia e alla tutela dei diritti dei minori.
Tali interventi vengono definiti nelle linee generali dal Piano sociale nazionale e, progressivamente in modo più specifico e adattato alla realtà territoriale, in un regime di sussidiarietà verticale, dai piani regionali, e locali (di zona).
Il primo piano nazionale sociale ha indicato gli standard essenziali dei servizi che, in applicazione dell'art. 22 della legge n. 328/2000 devono essere obbligatoriamente presenti sul territorio nazionale.
Tra i quattro obiettivi prioritari due sono di interesse per queste linee guida:
1. valorizzare e sostenere le responsabilità familiari
2. rafforzare i diritti dei minori
Prevedendo esplicitamente una connessione tra i due obiettivi, il PNS indica che i piani di zona dovranno prevedere misure e servizi nei confronti delle più frequenti condizioni di vulnerabilità sociale e famigliare, per la promozione dell'affido e strutture di accoglienza per i minori, servizi per il sostegno psicologico e sociale dei nuclei famigliari a rischio di maltrattamenti e, per minori sottoposti ad abusi, servizi di cura e recupero.
Sono evidenti le sovrapposizioni tra le competenze sanitarie e sociali.
La compresenza di finanziamenti e di interventi del sistema sanitario e sociale richiede che si presti particolare attenzione a come in ogni singolo ambito territoriale, attraverso lo strumento dei piani di zona, vengono regolate e organizzate le interazioni delle diverse competenze.
Il principio della sussidiarietà orizzontale, ovvero il coinvolgimento delle strutture del terzo settore andrà attentamente considerato attraverso la costruzione di adeguati sistemi di accreditamento e valutazione dei servizi.
1.3.2. Riferimenti Regionali: il Piano Socio Sanitario 2002-2004
Il piano socio sanitario 2002-2004 della Regione Lombardia, approvato il 13 marzo 2002, prevede tra gli obiettivi prioritari del triennio, la piena attuazione alla legge 15 febbraio 1966, n. 66 «Norme contro la violenza sessuale», alla legge 3 agosto 1998, n. 269 «Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù» e alla legge 4 aprile 2001, n. 154 «Misure contro la violenza nelle relazioni familiari».
In particolare gli obiettivi della programmazione regionale sono:
- potenziamento delle attività dei consultori familiari attraverso programmi consistenti in attività diagnostica e psicoterapeutica individuale, familiare e di gruppo;
- programmi per una corretta e diffusa informazione sul fenomeno del maltrattamento e dell'abuso rivolti agli ambiti scolastici, alle diverse agenzie educative e più in generale agli operatori ed ai genitori responsabili del processo di crescita;
- collaborazione con i centri antiviolenza per combattere la violenza domestica, sia di tipo fisico che psicologico, sessuale ed economico nei confronti delle donne e dei bambini;
- interventi volti a contrastare le situazioni di maltrattamento e violenza intrafamiliari in particolare con programmi:
- finalizzati a promuovere la denuncia di episodi di violenza domestica;
- di sostegno materiale, psicologico e legale alle donne ed ai minori che hanno subìto violenze;
- per l'allontanamento dalla famiglia del coniuge o genitore, o comunque del componente del nucleo familiare che compie atti di violenza.
Tra le azioni fondamentali, previste, si ricorda:
- Miglioramento della conoscenza del fenomeno
- Programmi finalizzati a una corretta e diffusa informazione sul fenomeno dell'abuso e del maltrattamento
- Interventi di contrasto delle situazioni di abuso e maltrattamento nelle sue diverse forme.
Tali obiettivi sono ripresi nel Documento di Programmazione Economica e Finanziaria Regionale 2002-2004. (DPEFER)
Inoltre la funzione di indirizzo che la Regione svolge nei confronti di singoli Piani di zona redatti dai Comuni associati negli ambiti territoriali, consente di dare un contributo significativo nell'individuazione dei migliori assetti organizzativi adottabili nel rispetto da un lato, delle specificità locali e dall'altro delle esigenze degli interventi di tutela e cura.
Le normative e i principali documenti di indirizzo messi a punto negli ultimi anni convergono nell'indicare come i servizi dedicati alla cura dei bambini vittime di maltrattamenti debbano avere delle caratteristiche di specializzazione e debbano essere in grado di svolgere alcune funzioni ad elevata complessità.