Provincia Autonoma di Trento



Violenze e maltrattamenti in famiglia

 Provincia Autonoma di Trento

TRANSCRIME Università di Trento e Università Cattolica di Milano

Violenze e maltrattamenti in famiglia


A cura di
Ernesto U. Savona
Stefano Caneppele

Con il contributo di
Gaetano De Leo
Daniela Martinelli
Isabella Merzagora Betsos
Daniela Pajardi
Daniela Sannicolò
Melania Scali
Monia Vagni
Francesca Vitale

© Giunta della Provincia autonoma di Trento
Impaginazione e stampa: Tipolitografia TEMI
Fotocomposizione grafica in copertina: TRANSCRIME
Università degli Studi di Trento - Università Cattolica del Sacro Cuore

VIOLENZE
e maltrattamenti in famiglia / a cura di Ernesto U. Savona, Stefano Caneppele ; con il contributo di Gaetano De Leo ... [et. al]. - [Trento] : Provincia autonoma di Trento. Giunta, 2006. - 255 p. : graf., tab. ; 30 cm. - (Rapporto sulla sicurezza nel Trentino. Approfondimenti ;1)
In testa al front.: Provincia autonoma di Trento; Transcrime Università di Trento e Università Cattolica.
ISBN 978-88-7702-176-2
1. Maltrattamenti familiari - 2000-2005 2. Maltrattamenti familiari - Trentino - 2000-2005
I. Savona, Ernesto Ugo II. De Leo, Gaetano III. Trento (Provincia) IV. Transcrime 362.829263

indice

Presentazione a cura del Presidente della Provincia autonoma di Trento Lorenzo Dellai VII
Ringraziamenti IX
Introduzione a cura di Ernesto U. Savona XI
Acronimi XIII
Elenco Tabelle e Figure XV
1 Le violenze in famiglia in tre dimensioni: internazionale, nazionale, locale 19
Premessa 19
Le violenze in famiglia a livello internazionale: il ruolo delle Nazioni Unite 20
La giustizia contro le violenze 23
I dati disponibili e che cosa ci dicono 25
Cosa può funzionare e cosa no nelle politiche di contrasto 30
Alcune criticità 38
Bibliografia 46
PARTE 1 I FENOMENI 53
2 GLI OMICIDI IN FAMIG LIA 55
Premessa 55
I dati e le metodologie di rilevazione 56
Gli omicidi in famiglia 58
Autori e vittime 62
Gli omicidi "orizzontali" 65
Gli omicidi "verticali" 68
Le vittime anziane 78
La prevenzione possibile 79
Bibliografia 85
3 GLI ABUSI SESSUALI IN FAMIG LIA 89
Premessa 89
I dati e le metodologie di rilevazione 91
Altri abusi sessuali 95
Autori e vittime 97
Autori e rischio di recidiva 97
Le caratteristiche delle vittime 101
Gli abusi sessuali "orizzontali" 104

Gli abusi sessuali "verticali" 106
La violenza e i suoi effetti 108
Le vittime anziane 110
La prevenzione possibile 112
Bibliografia 116
4 I MALTRATTAMENTI FISICI IN FAMIG LIA 121
Premessa 121
I dati e le metodologie di rilevazione 123
I maltrattamenti fisici in famiglia 127
Autori e vittime 128
Le relazioni "orizzontali" 128
Le relazioni "verticali" 131
I maltrattamenti fisici "orizzontali" 134
I maltrattamenti fisici "verticali" 137
Le vittime anziane 140
La prevenzione possibile 143
Bibliografia 150
5 LE VIOLENZE PSICOLOGICHE IN FAMIG LIA 153
Premessa 153
I dati e le metodologie di rilevazione 154
Le violenze psicologiche in famiglia 159
Autori e vittime 160
Le violenze psicologiche "orizzontali" 162
Le violenze psicologiche "verticali" 164
Le vittime anziane 169
La prevenzione possibile 170
Bibliografia 178
PARTE 2 IL TRENTINO 181
6 LA RICERCA NEL TRENTINO 183
Alcuni confronti 183
Nota metodologica 187
Campo di analisi 188
Criteri di scelta e di selezione del materiale oggetto di indagine 188
Strumenti di rilevazione e raccolta dati 193
Scelte analitiche 193
Gli omicidi in famiglia 194
I reati considerati 194
Autori e vittime 195
I fattori di rischio e le conseguenze 196
La risposta giudiziaria 197
Gli abusi sessuali in famiglia 198
I reati considerati 198
L'analisi dei fascicoli 199
Autori e vittime 201

I fattori di rischio e le conseguenze 203
La risposta giudiziaria 206
I maltrattamenti fisici in famiglia 208
I reati considerati 208
L'analisi dei fascicoli 209
Autori e vittime 212
I fattori di rischio e le conseguenze 218
La risposta giudiziaria 219
Gli altri maltrattamenti in famiglia 221
I reati considerati 221
L'analisi dei fascicoli 223
Autori e vittime 225
La risposta giudiziaria 229
Bibliografia 231
7 LE PERCEZIONI DEGLI OPERATORI TRENTINI 235
Gli obiettivi della ricerca 235
I focus group 236
Le interviste 237
I risultati 237
Una definizione comune del fenomeno 237
Le forme di violenza in famiglia 238
I fattori legati alla violenza 240
Le forme di intervento 241
Le forme di violenza che rimangono più invisibili 245
Cosa è stato fatto e cosa si può fare 250
Conclusioni 253
Bibliografia 255
NOTE SUGLI AUTORI 257

PRESENTAZIONE
a cura del Presidente della Provincia autonoma di Trento
Lorenzo Dellai
Conoscere, sapere, indagare, approfondire: sempre di più una realtà complessa e sfaccettata come quella che stiamo vivendo ci chiama ad una disamina seria ed approfondita dei fenomeni sociali che dobbiamo interpretare e governare. Ci riusciremo se sorretti oltre che da una motivata convinzione politica e civile anche da una solida base di scientificità. Premessa indispensabile per ottenere dati e tendenze che si rivelino
indicati ed appropriati agli interventi che si vogliono mettere in campo.
È a partire da questa convinzione che l'ormai consolidata "alleanza" con Transcrime - cui dal 1998 la Provincia autonoma di Trento affida l'elaborazione di quel Rapporto sulla sicurezza che è ormai strumento imprescindibile per coloro che operano in questo delicato settore - rivela sempre più i suoi importanti frutti.
Ne abbiamo la conferma sfogliando questo corposo ed esaustivo documento, nuova tappa della collaborazione tra Transcrime e la Provincia autonoma di Trento.
Si tratta di un approfondimento su un tema certamente scomodo, ma che amministratori, operatori del sociale, le stesse forze di polizia e l'opinione pubblica nel suo complesso, non possono certo ignorare.
Non vi è certamente volontà alcuna di alimentare allarmismi e men che meno il tentativo di inseguire o cavalcare quel sensazionalismo talvolta caro a qualcuno, ma a ben guardare incapace di aiutare chi è davvero in prima linea nell'affrontare i drammi - perché di drammi si tratta - che purtroppo fanno talvolta irruzione nelle famiglie della nostra comunità.
A maggior ragione questo vale se si considera che i numeri forniti da questa ricerca - che si sviluppa lungo tre direttrici: quella internazionale, quella nazionale e quella locale e dunque è strumento di lavoro destinato ben oltre il confine della nostra terra - non inducono, per quanto riguarda il Trentino, particolari allarmismi, ma sollecitano comunque un continuo e incessante lavoro di rete e di collaborazione.
Il ricercatore e l'amministratore, proprio perché in prima fila nell'interpretare la realtà e nell'intercettarne i mutamenti, sono chiamati ad una disamina attenta di cifre e tendenze, ad una valutazione non episodica ma costante di quel che si muove nel tessuto della nostra società, dentro le famiglie, nel rapporto tra le generazioni.
Ancora una volta, dunque, è la strada maestra della prevenzione - che sempre e comunque deve precedere
la repressione - quella che ispira e guida l'impegno di Transcrime e della Provincia autonoma di Trento.
Vanno ringraziati tutti coloro che con serietà e competenza ci permettono oggi di possedere uno strumento di conoscenza di assoluto rilievo.
Governare un territorio non è soltanto dedicarsi ai beni materiali, alle pur necessarie infrastrutture, ai rapporti tra le parti sociali. Anche l'esplorazione - fortunatamente più nel bene che nel male - delle dinamiche e delle problematiche che investono la famiglia è una necessità ed un dovere. Se l'esplorazione è accompagnata da una preziosa bussola - e questa ricerca lo è - il nostro compito sarà meno arduo.

ringraziamenti

Questo rapporto è il risultato del lavoro dei molti che hanno condiviso l'impostazione dei curatori, e che in modi diversi hanno collaborato alla sua realizzazione: gli autori dei capitoli, i loro collaboratori, i ricercatori dei dati nei fascicoli processuali, i grafici e tutta la struttura di supporto.
Un sentito ringraziamento a chi nella Provincia di Trento lo ha voluto e ne ha discusso i contenuti: il Presidente Lorenzo Dellai e gli assessori Marta Dalmaso, Silvano Grisenti, Tiziano Salvaterra con i dirigenti e funzionari dei rispettivi assessorati. Un particolare ringraziamento va a Livia Ferrario che con Monica Zambotti e Tiziana Berlanda del Servizio Autonomie locali ha seguito lo svolgimento di questo lavoro durante
l'anno della sua realizzazione. Ringraziamo il Servizio Giustizia dell'Istat di Roma diretto da Mario Greco che ci ha fornito i dati necessari per l'analisi introduttiva per la parte sul Trentino.
Il Centro Transcrime appartiene a due Università, quella di Trento e l'Università Cattolica di Milano. Ne ringraziamo i Rettori, Davide Bassi e Lorenzo Ornaghi per il sostegno ricevuto estendendo questo ringraziamento a Marco Tomasi che, come Direttore dell'Università di Trento, amministra le risorse del Centro Transcrime.
Questo lavoro si è svolto in collaborazione con le Istituzioni. Ringraziamo il Commissario di Governo Prefetto
Alberto De Muro, il nuovo Questore di Trento Angelo Caldarola ed il precedente Questore Giacomo Deiana, il Comandante Regionale per il Trentino Alto-Adige dell'Arma dei Carabinieri, Generale Gianfranco Scanu, il Comandante Provinciale per il Trentino, Stefano Lupi, il Comandante Regionale della Guardia di Finanza per il Trentino Alto-Adige, Generale Giorgio Bartoletti, e quello per il Trentino, Colonnello Stefano Murari.
Abbiamo analizzato i fascicoli processuali, quando conclusi e quindi accessibili, ricevendo una grande collaborazione da parte delle Istituzioni Giudiziarie di Trento e Rovereto. Tra i molti, vogliamo ringraziare il Procuratore Generale presso la Corte d'Appello di Trento, Giovanni Pierantozzi, il Procuratore presso il Tribunale di Trento, Stefano Dragone, il Procuratore presso il Tribunale di Rovereto, Marco Gallina, il Presidente del Tribunale Civile e Penale di Trento, Battista Palestra, il Presidente del Tribunale Civile e Penale
di Rovereto, Ruggero Polito.
Per la loro partecipazione ai focus group ringraziamo (in ordine alfabetico):
Barbara Bastarelli, responsabile del Centro Antiviolenza di Trento
Anna Berloffa, responsabile del Centro per l'infanzia della Provincia autonoma di Trento
Piero Cristofaro, della Casa di Accoglienza alla Vita Padre Angelo, Trento
Gabriella Di Paolo, per la Consigliera di parità, Trento
Annelise Filz, per la Commissione Provinciale Pari opportunità, Trento
Lino Giacomoni, Comandante della Polizia Municipale di Trento
Franca Gamberoni, per l'ALFID - Associazione Laica Famiglie in Difficoltà, Trento
Anna Pedrotti, per il Centro Famiglia - Diocesi di Trento
Maria Anita Pisani, per l'Ordine degli Avvocati Trento
Don Rodolfo Pizzolli, per la Diocesi di Trento - Problemi sociali e lavoro
Giancristoforo Turri, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di TrentoPierluigi Torboli, Primario di Medicina d'Urgenza e Pronto Soccorso, Azienda ospedaliera Santa Chiara di Trento
Hanno accettato di farsi intervistare (in ordine alfabetico):
Fabio Bazzoli, direttore dell'Unità operativa di Neuropsichiatria Infantile di Trento 2
Anna Maddalena Boccagni, Presidente dell'Associazione Prospettive, Trento
Maria Rita Colucci, Dirigente dell'Unità operativa di Psicologia clinica Servizio territoriale Alta Valsugana
Giacomo Deiana, Questore di Trento
Paola Giudici, responsabile dell'Ufficio Servizi socio-assistenziali delle Attività sociali del Comune di Rovereto
Erica Gozzer, coordinatrice dei Poli sociali, Attività sociali del Comune di Trento
Stefano Lupi, Comandate Provinciale dei Carabinieri del Trentino
Ernesto Rosati, coordinatore d'equipe per il Consultorio di Trento e Mezzolombardo - APSS
Claudio Stedile, incaricato speciale per interventi nel mondo scolastico e giovanile, Dipartimento istruzione
della Provincia autonoma di Trento
Monica Susat, responsabile dell'Ufficio Poli sociali, Attività sociali del Comune di Trento
Grazie anche a tutti coloro che non abbiamo nominato e che in modi diversi ci hanno aiutato a realizzare questo lavoro

introduzione
a cura di Ernesto U. Savona

Il rapporto sulla sicurezza nel Trentino che Transcrime cura per la Provincia di Trento dal 1998 con cadenza annuale si trasforma, a partire dal 2007 in due serie: gli approfondimenti e le tendenze. La prima serie, di cui questo volume rappresenta il primo contributo, affronterà di volta in volta temi sulla sicurezza che sono di attualità scientifica e politica. La seconda serie - le tendenze - continuerà le analisi ed i confronti sui problemi della sicurezza nel Trentino che hanno accompagnato i rapporti sulla sicurezza durante questi anni.
Perché questa scelta? L'approccio generalista che ha caratterizzato i rapporti sulla sicurezza nel Trentino degli anni passati ha fatto il suo tempo. Il tema della sicurezza nel Trentino, come in altre parti di Italia, è andato a poco a poco crescendo nella consapevolezza degli amministratori locali, nella conoscenza delle dinamiche dei fenomeni e nella pianificazione degli interventi. Insieme ai Rapporti è cresciuto il Sistema Integrato della Sicurezza nel Trentino che, dopo un periodo di sperimentazione, ha trovato un supporto nella Legge provinciale 27 giugno 2005 n. 8 "Promozione di un Sistema Integrato di Sicurezza e disciplina della Polizia Locale" Tra i risultati prodotti da questa varietà di iniziative c'è lo sforzo di riflettere ed operare sulla sicurezza mettendo in rete amministratori, ricercatori ed operatori. Una crescita complessiva di tutte queste componenti che oggi rappresenta nel Trentino un'eccezione pregevole, rispetto alle dispersioni delle risorse in altre realtà locali italiane, ed un'accumulazione di competenze utilizzabile per affrontare con efficacia i problemi futuri. In questo contesto abbiamo creduto che fosse ormai maturo il tempo per una riflessione su problemi specifici. Riflessione orientata all'intervento. Abbiamo così disegnato per questi "approfondimenti" una struttura che si ripeterà negli anni futuri e per temi diversi.
Le tre dimensioni affrontate sono quella internazionale, nazionale e locale del tema trattato. La realtà Trentina viene posta così all'incrocio di queste tre dimensioni confrontandosi da sola con quanto di preoccupante e di promettente si sviluppa nel settore. Il filo che unisce le diverse parti è quello di capire i problemi e le loro trasformazioni, fare il punto sui risultati della ricerca, comprendere le reazioni degli operatori, esaminare le carenze e guardare quali interventi possono essere promettenti.
Perché le violenze ed i maltrattamenti in famiglia come tema del primo approfondimento?
La scelta riguarda la drammaticità del problema in sè e non l'allarme dei numeri che non apparentemente c'è perchè gli omicidi diminuiscono, mentre per le altre violenze mantengono una certa stabilità. Apparenza perché non sappiamo e non possiamo sapere se la quantità di violenze in famiglia sia in crescita o in diminuzione, considerato che spesso le violenze, proprio quelle in famiglia, non sono denunciate. Le parole del tema "Violenze e maltrattamenti in famiglia" sono una contraddizione perché proprio la struttura familiare, fatta di amore, condivisione, comprensione e solidarietà dovrebbe essere la forma sociale più lontana dalle forme di violenza delle quali si parla in questo volume: gli omicidi, gli abusi sessuali, i maltrattamenti fisici e le violenze psicologiche. Questa contraddizione purtroppo c'è ed attraversa le età, i luoghi, le condizioni socio-economiche, le diverse cittadinanze e va attentamente considerata nelle dinamiche, nei diversi contesti, con i soggetti - autori e vittime - che la esprimono.

Quali sono gli ingredienti di queste violenze?
I numeri ci dicono l'incidenza e la distribuzione dei fenomeni sul territorio ma ci dicono poco sulle dinamiche
che caratterizzano le violenze familiari. Le diverse analisi condotte in questo volume ci fanno capire le diversità tra violenze "fisiche" e "psicologiche" così come le diversità tra violenze "orizzontali", consumate tra persone della stessa età, e quelle "verticali" consumate, tra persone di età diverse, spesso a sfondo sessuale.
Misurarle, capirle, confrontarle è difficile perché ciascuna di queste violenze si porta dietro un mondo fatto di storie individuali, di cultura e di percorsi individuali di crescita. Si tratta di informazioni che non possono essere rilevate con interviste dirette e per questo abbiamo fatto ricorso a fonti, come i fascicoli processuali, che contengono qualche informazione in più. Questo tipo di fonti ci illustra le molteplici forme di violenza dentro la famiglia e ci fa anche capire la complessità e la difficoltà di criminalizzare violenze, come quelle psicologiche, che non producono "prove" della violenza subita. La valutazione giudiziaria di queste violenze "non fisiche" è complessa e difficile ma è possibile. La più grande nemica è la semplificazione per amore di condanna o di assoluzione.

Quali sono le caratteristiche dei protagonisti, autori e vittime?
La violenza ha il suo genere che qualche volta cambia. Spesso gli autori sono uomini e le vittime sono donne.
Il percorso però, anche se poco diffuso e raramente riportato, può invertirsi: le donne usano violenza verso gli uomini. Succede nel caso degli anziani oppure in casi di separazione. Autori e vittime cambiano nelle due dimensioni, quella orizzontale e quella verticale. Nella prima, spesso si tratta di coniugi, conviventi, fidanzati, nella seconda si tratta di adulti e minori con implicazioni di carattere sessuale. Sono violenze molto diverse che vanno trattate con le opportune cautele che ciascuna situazione richiede. Ambedue sono riconoscibili e proprio sulla riconoscibilità dei segnali anticipatori di violenza occorrerebbe investire di più in ricerca ed interventi di formazione diretti alle persone e a tutti coloro che hanno a che fare per ragioni professionali con famiglie a rischio.

Quali sono le reazioni degli operatori ed i rimedi possibili?
La costellazione di strutture deputate agli interventi contro le violenze in famiglia richiede, a detta degli stessi operatori del settore, un coordinamento e quando possibile una maggiore integrazione per valorizzare
al massimo le diverse competenze. Si tratta di presupposti indispensabili per individuare le persone più adatte ad intervenire ex ante oppure ex post sia nel caso di violenze orizzontali come in quelle verticali. Le diverse iniziative che finora si sono svolte in Italia e nel Trentino sono di due tipi, quelle di sensibilizzazione dei soggetti coinvolti per insegnare loro a riconoscere e prevenire le situazioni di violenza e quelle di formazione degli operatori ai quali è affidato il compito di intervenire. Tra le molte cose che ci sarebbero da fare e che il Rapporto elenca c'è né è una in particolare che va sviluppata, quella della possibilità, da parte delle potenziali vittime, di prevedere la violenza attraverso l'educazione a riconoscerne i segnali. Una maggiore attenzione verso questo aspetto farebbe fare un salto in avanti alla prevenzione del fenomeno. Ed è su questo terreno che ricerca ed interventi dovrebbero dirigersi con maggior energia.
Anche in questo settore il Trentino costituisce un laboratorio prezioso per sviluppare al massimo questi percorsi.
Occorre convincersi che finora è stato abbondantemente sviluppato lo spazio per la repressione e trascurato quello della prevenzione. Occorre invertire la rotta consapevoli che la repressione in certi casi serve a poco e che comunque la violenza, anche se repressa con la condanna dell'autore, ha già prodotto una o più vittime. Ed è proprio questo che occorre evitare e per cui occorre fare il massimo degli sforzi.
Ernesto U. Savona
Professore nell'Università Cattolica del S. Cuore di Milano e Direttore
di TRANSCRIME Università di Trento - Università Cattolica di Milano

acronimi

APS Adult Protective Service
c.p. Codice penale
c.p.p. Codice di procedura penale
C.B.M. Centro Bambino Maltrattato
Cedaw Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne
CTSPC Parent-Child Conflict Tactics Scales
DSM IV Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali
DVA Domestic Violence Alarm
F.B.I. Federal Bureau of Investigation americano
FVO Family Violence Option
HEUNI European Institute for Crime Prevention and Control
ICPA International Conference on Psychological Abuse
Istat Istituto nazionale di statistica
IVAWS International Violence Against Women Survey
L. Legge
NCEA National Center on Elder Abuse
OMS Organizzazione Mondiale della Sanità
ONU Organizzazione delle Nazioni Unite
PAS Parental Alienation Syndrome
Re.Ge. Registro Generale
RTS Rape Trauma Syndrome
SARA Spousal Assault Risk Assessment
SINPIA Società Italiana di Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza
UNECE United Nations Economic Commission for Europe
UNICEF United Nations Children's Fund
UNICRI United Nations Interregional Crime and Justice Research Institute
UNIFEM United Nations Development Fund for Women
UNODC United Nations Office on Drug and Crime

Elenco tabelle e figure

Capitolo 2
Tab. 1 Omicidi familiari in Italia: anni 2000, 2002, 2003 e 2004. Valore assoluto e percentuale.
Tab. 2 Omicidi familiari in Italia: vittime. Valore assoluto e percentuale.
Tab. 3 Notizie di vittime di omicidio in famiglia dal 1991 al 2005. Valore assoluto.
Tab. 4 Omicidi in famiglia a seconda delle aree geografiche. Valore percentuale.
Tab. 5 Omicidi in famiglia con armi da fuoco.
Tab. 6 Genere delle vittime di omicidio in famiglia e confronto con il genere degli omicidi in generale.
Valore percentuale.
Tab. 7 Genere degli autori di omicidio in famiglia e confronto con il genere degli omicidi in generale.
Valore percentuale.
Tab. 8 Genere delle vittime negli omicidi in famiglia. Valore percentuale.
Tab. 9 Genere autori negli omicidi in famiglia. Valore percentuale.
Capitolo 3
Tab. 1 Bambini e adolescenti vittime di abuso sessuale, segnalazioni di reato e persone denunciate all'Autorità Giudiziaria. Anni 2002-3-4- e 1° semestre 2005. Valore assoluto.
Tab. 2 Bambini e adolescenti vittime di abuso sessuale. Dettaglio dei reati sessuali in pregiudizio di minore introdotti dalla Legge 66/96, per anno. Anni 2002-3-4- e 1° semestre 2005. Valore assoluto.
Tab. 3 Bambini e adolescenti vittime di abuso sessuale. Relazione vittima - autore di reato con categorizzazione intraspecifica ed extraspecifica. Anni 2002-3-4- e 1° semestre 2005. Valore assoluto e percentuale.
Capitolo 4
Tab. 1 Persone di 14 anni e più vittime di aggressioni avvenute negli ultimi dodici mesi, per relazione con l'autore del fatto delittuoso. Anno 2002. Ogni 100 vittime.
Capitolo 5
Tab. 1 Dati dell'Associazione "Donne e Giustizia". Valore percentuale.
Tab. 2 Denunce, delitti e persone denunciate per alcune tipologie di reato in Italia. Anni 1999/2003.
Valore assoluto.

Capitolo 6
Tab. 1 Vittime di omicidio in famiglia in Italia e in Trentino: 2000, 2002, 2003 e 2004.
Tab. 2 Suddivisione dei reati in base agli articoli del Codice Penale nelle quattro fattispecie di violenze e maltrattamenti familiari.
Tab. 3 Numero di fascicoli giudiziari conclusi e disponibili per il periodo 2001-2005 in Provincia di Trento. Distribuzione per sede di appartenenza presso i Tribunali e le Cancellerie.
Tab. 4 Numero di violenze in famiglia denunciate e perseguite commesse in Trentino dal 2001 al 2005. Analisi sui casi giudiziari conclusi e disponibili presso le Cancellerie: distribuzione per classi di reato. Valori assoluti e percentuali.
Tab. 5 Sezioni tematiche della griglia di rilevazione.
Tab. 6 Omicidi in famiglia. Reati considerati e distinzione per procedibilità e pena media edittale.
Tab. 7 Omicidi in famiglia (consumati e tentati) denunciati e perseguiti in Trentino dal 2001 al 2005.
Analisi sui casi giudiziari conclusi e disponibili presso le Cancellerie: reati contestati dal P.M. e dispositivi delle sentenze passate in giudicato e durata della pena detentiva comminata.
Tab. 8 Abusi sessuali in famiglia. Reati considerati e distinzione per procedibilità e pena media edittale.
Tab. 9 Abusi sessuali in famiglia orizzontali e verticali denunciati e perseguiti in Trentino dal 2001 al 2005. Analisi sui casi giudiziari conclusi e disponibili presso le Cancellerie: distribuzione per genere di autore e vittima.
Tab. 10 Abusi sessuali in famiglia orizzontali e verticali denunciati e perseguiti in Trentino dal 2001 al 2005. Analisi sui casi giudiziari conclusi e disponibili presso le Cancellerie: distribuzione per età, genere e relazione fra autore e vittima.
Tab. 11 Abusi sessuali in famiglia denunciati e perseguiti in Trentino dal 2001 al 2005. Analisi sui casi giudiziari conclusi e disponibili presso le Cancellerie: dispositivi delle sentenze passate in giudicato.
Tab. 12 Abusi sessuali in famiglia denunciati e perseguiti in Trentino dal 2001 al 2005. Analisi sui casi giudiziari conclusi e disponibili presso le Cancellerie: quantificazione delle pene detentive delle sentenze passate in giudicato.
Tab. 13 Maltrattamenti fisici in famiglia. Reati considerati e distinzione per procedibilità e pena media edittale.
Tab. 14 Numero di maltrattamenti fisici in famiglia denunciati e perseguiti in Trentino dal 2001 al 2005. Analisi sui casi giudiziari conclusi e disponibili presso le Cancellerie: distribuzione per durata. Valori assoluti e percentuali.
Tab. 15 Numero di maltrattamenti fisici in famiglia denunciati e perseguiti in Trentino dal 2001 al 2005. Analisi sui casi giudiziari conclusi e disponibili presso le Cancellerie: distribuzione per relazione tra autore e vittima. Valori assoluti e percentuali.
Tab. 16 Numero di casi di maltrattamenti fisici in famiglia denunciati e perseguiti in Trentino dal 2001 al 2005 nei quali autore e vittima erano soli al momento dei fatti. Analisi sui casi giudiziari conclusi e disponibili presso le Cancellerie. Valori assoluti e percentuali.
Tab. 17 Numero di maltrattamenti fisici in famiglia denunciati e perseguiti in Trentino dal 2001 al 2005. Analisi sui casi giudiziari conclusi e disponibili presso le Cancellerie: distribuzione per relazione abitativa tra autore e vittima. Valori assoluti e percentuali.
Tab. 18 Numero autori di maltrattamenti fisici in famiglia denunciati e perseguiti in Trentino dal 2001 al 2005. Analisi sui casi giudiziari conclusi e disponibili presso le Cancellerie: distribuzione per sesso. Valori assoluti e percentuali.
Tab. 19 Numero autori di maltrattamenti fisici in famiglia denunciati e perseguiti in Trentino dal 2001 al 2005. Analisi sui casi giudiziari conclusi e disponibili presso le Cancellerie: distribuzione per classi di età. Valori assoluti e percentualiTab. 20 Numero autori di maltrattamenti fisici in famiglia denunciati e perseguiti in Trentino dal 2001 al 2005. Analisi sui casi giudiziari conclusi e disponibili presso le Cancellerie: distribuzione per cittadinanza. Valori assoluti e percentuali.
Tab. 21 Numero vittime di maltrattamenti fisici in famiglia denunciati e perseguiti in Trentino dal 2001 al 2005. Analisi sui casi giudiziari conclusi e disponibili presso le Cancellerie: distribuzione per sesso. Valori assoluti e percentuali.
Tab. 22 Numero vittime di maltrattamenti fisici in famiglia denunciati e perseguiti in Trentino dal 2001 al 2005. Analisi sui casi giudiziari conclusi e disponibili presso le Cancellerie: distribuzione per classi di età. Valori assoluti e percentuali.
Tab. 23 Numero vittime di maltrattamenti fisici in famiglia denunciati e perseguiti in Trentino dal 2001 al 2005. Analisi sui casi giudiziari conclusi e disponibili presso le Cancellerie: distribuzione per cittadinanza. Valori assoluti e percentuali.
Tab. 24 Numero autori di maltrattamenti fisici in famiglia denunciati e perseguiti in Trentino dal 2001 al 2005. Analisi sui casi giudiziari conclusi e disponibili presso le Cancellerie: distribuzione per presenza di precedenti penali. Valori assoluti e percentuali.
Tab. 25 Numero vittime di maltrattamenti fisici in famiglia denunciati e perseguiti in Trentino dal 2001 al 2005 che si sono rivolte al Pronto Soccorso. Analisi sui casi giudiziari conclusi e disponibili presso le Cancellerie: distribuzione per giorni di prognosi. Valori assoluti e percentuali.
Tab. 26 Maltrattamenti fisici in famiglia denunciati e perseguiti in Trentino dal 2001 al 2005. Analisi sui casi giudiziari conclusi e disponibili presso le Cancellerie: dispositivi di decreti penali di condanna e sentenze passate in giudicato. Valori assoluti e percentuali.
Tab. 27 Altri maltrattamenti in famiglia. Reati considerati e distinzione per procedibilità e pena media edittale.
Tab. 28 Numero di altri maltrattamenti in famiglia denunciati e perseguiti in Trentino dal 2001 al 2005. Analisi sui casi giudiziari conclusi e disponibili presso le Cancellerie: distribuzione per durata. Valori assoluti e percentuali.
Tab. 29 Numero di altri maltrattamenti in famiglia denunciati e perseguiti in Trentino dal 2001 al 2005. Analisi sui casi giudiziari conclusi e disponibili presso le Cancellerie: distribuzione per relazione tra autore e vittima. Valori assoluti e percentuali.
Tab. 30 Numero di altri maltrattamenti in famiglia denunciati e perseguiti in Trentino dal 2001 al 2005. Analisi sui casi giudiziari conclusi e disponibili presso le Cancellerie: distribuzione per relazione abitativa tra autore e vittima. Valori assoluti e percentuali.
Tab. 31 Numero autori di altri maltrattamenti in famiglia denunciati e perseguiti in Trentino dal 2001 al 2005. Analisi sui casi giudiziari conclusi e disponibili presso le Cancellerie: distribuzione per sesso. Valori assoluti e percentuali.
Tab. 32 Numero autori di altri maltrattamenti in famiglia denunciati e perseguiti in Trentino dal 2001 al 2005. Analisi sui casi giudiziari conclusi e disponibili presso le Cancellerie: distribuzione per classi di età. Valori assoluti e percentuali.
Tab. 33 Numero autori di altri maltrattamenti in famiglia denunciati e perseguiti in Trentino dal 2001 al 2005. Analisi sui casi giudiziari conclusi e disponibili presso le Cancellerie: distribuzione per cittadinanza. Valori assoluti e percentuali.
Tab. 34 Numero vittime di altri maltrattamenti in famiglia denunciati e perseguiti in Trentino dal 2001 al 2005. Analisi sui casi giudiziari conclusi e disponibili presso le Cancellerie: distribuzione per sesso. Valori assoluti e percentuali.
Tab. 35 Numero vittime di altri maltrattamenti in famiglia denunciati e perseguiti in Trentino dal 2001 al 2005. Analisi sui casi giudiziari conclusi e disponibili presso le Cancellerie: distribuzione per classi di età. Valori assoluti e percentuali.
Tab. 36 Numero vittime di altri maltrattamenti in famiglia denunciati e perseguiti in Trentino dal2001 al 2005. Analisi sui casi giudiziari conclusi e disponibili presso le Cancellerie:distribuzione per cittadinanza. Valori assoluti e percentuali.
Tab. 37 Altri maltrattamenti in famiglia denunciati e perseguiti in Trentino dal 2001 al 2005. Analisi sui casi giudiziari conclusi e disponibili presso le Cancellerie: dispositivi di decreti penali
di condanna e delle sentenze passate in giudicato. Valori assoluti e percentuali.
Fig. 1 Maltrattamenti in famiglia per i quali l'Autorità Giudiziaria ha iniziato l'azione penale nel quadriennio 2001-2004. Tassi medi per 10.000 famiglie residenti.
Fig. 2 Violazioni degli obblighi di assistenza familiare per i quali l'Autorità Giudiziaria ha iniziato l'azione penale nel quadriennio 2001-2004. Tassi medi per 10.000 famiglie residenti.
Fig. 3 Maltrattamenti fisici in famiglia denunciati e perseguiti commessi in Trentino dal 2001 al 2005: distribuzione per comprensorio. Tassi ogni 10.000 famiglie mediamente residenti.
Fig. 4 Altri maltrattamenti fisici in famiglia denunciati e perseguiti commessi in Trentino dal 2001 al 2005: distribuzione per comprensorio. Tassi ogni 10.000 famiglie mediamente residenti.
Capitolo 7
Tab. 1 Le forme di violenza in famiglia citate nei focus group ordinate secondo l'occorrenza.
Tab. 2 I fattori che mantengono invisibili alcuni casi di violenza

Capitolo 1

Le violenze in famiglia in tre dimensioni: internazionale, nazionale, locale
Stefano Caneppele

Premessa

Il tema delle violenze in famiglia è diventato, negli ultimi anni, uno dei più trattati a livello internazionale. Parlando di violenze in famiglia si intende mettere l'accento sul contesto in cui certi comportamenti abusanti accadono. Anche sulla base delle indicazioni dell'Organizzazione Mondiale della Sanità [Krug et al. 2002] possiamo identificare tre diverse forme di violenze in famiglia: a) la violenza contro il partner (che è quasi sempre donna); b) la violenza contro i bambini e c) la violenza contro gli anziani.
La sensibilità dell'opinione pubblica, in particolar modo quella occidentale, è cresciuta in tempi diversi a seconda delle vittime della violenza: prima la sindrome del bambino maltrattato di Kempe (1961), poi i movimenti femministi americani per i diritti delle donne (dal 1970 circa), infine i maltrattamenti contro gli anziani (dal 1980 circa).
Il dibattito sulla tutela della donna e dei bambini in ambito familiare ha prodotto programmi di intervento, studi di valutazione e conoscenze cumulative che hanno fatto progredire la comprensione di come e quanto si può intervenire per ridurre e prevenire la violenza familiare. Certo, molto è stato fatto ma molto può ancora essere approfondito e migliorato. Resta trascurato il tema della violenza domestica a danno di persone anziane. Di questo problema, che è inevitabilmente destinato ad aumentare, si conosce poco.Questo capitolo introduttivo è organizzato in cinque paragrafi. Nel primo si espone il ruolo che le Nazioni Unite hanno avuto nell'affrontare il tema delle violenze in famiglia.
Nel secondo si illustrano le linee generali che i sistemi giudiziari hanno assunto in materia di violenze in famiglia. Nel terzo si forniscono le informazioni statistiche sul fenomeno.
Nel quarto paragrafo si presentano i risultati di alcune valutazioni condotte su programmi di prevenzione e contrasto al fenomeno della violenza in famiglia. L'ultimo paragrafo individua alcune criticità da affrontare.
In questa introduzione si è cercato di fornire una visione d'insieme di una tematica complessa.
Molti aspetti restano aperti. Man mano che la ricerca produce risposte arrivano altre domande che richiedono continui approfondimenti in un circuito costante dove la ricerca dei perché e dei come si salda con gli interventi diretti al problema ed alle sue manifestazioni.
Le violenze in famiglia a livello internazionale: il ruolo delle Nazioni Unite
Nel 1996 il Relatore Speciale ONU "Organizzazione delle Nazioni Unite" sulla violenza contro le donne, nel suo rapporto trasmesso alla Commissione ONU per i diritti umani, ha definito la violenza in famiglia (domestic violence) come "la violenza che si consuma all'interno della sfera privata, generalmente tra individui che sono legati da un vincolo di intimità, di sangue o di legge". Si tratta di una delle prime definizioni di violenza in famiglia rinvenibili in documenti ufficiali delle Nazioni Unite.
Il Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne
L'istituzione nel 1994 di un Relatore Speciale delle Nazioni Unite, nominato dalla Commissione sui diritti umani, ha contribuito in maniera determinante sia all'evoluzione e al chiarimento della nozione di violenza di genere, sia alla rilevazione di informazioni sulla violenza contro le donne in diversi Paesi.
Nel formulare raccomandazioni agli Stati il Relatore Speciale ha affrontato le diverse realtà della violenza nei confronti delle donne. Le cinque aree tematiche che Rhadika Coomaraswamy ha analizzato nel corso del suo mandato decennale sono state: la violenza nella famiglia, la violenza nella comunità, il traffico di esseri umani, la violenza perpetrata dallo Stato e, infine, le politiche che producono effetti sulla violenza contro le donne. A partire dalla sessantesima sessione della Commissione sui diritti umani, è stata nominata Relatore Speciale la turca Yakin Ertuerk. Nel primo rapporto presentato, la Relatrice ha evidenziato l'intricata relazione esistente tra la violenza contro le donne e il problema della diffusione del virus Hiv.

Va sottolineato, infatti, che l'attenzione posta sul rispetto dei diritti umani da parte delle Nazioni Unite - peraltro coerente con il dettato istitutivo dell'organizzazione - ha portato ad una frammentazione del concetto di "violenza in famiglia". Si è preferito porre l'accento

1) La parità di diritti tra uomini e donne è uno dei principi cardine delle Nazioni Unite. Il Preambolo della Carta ONU stabilisce che uno degli obiettivi centrali dell'organizzazione è la riaffermazione della "fede nei fondamentali diritti umani, nella dignità e nel valore della persona umana, nell'uguaglianza di diritti tra uomo e donna". L'art. 2 della Dichiarazione universale dei diritti umani, adottata dall'Assemblea Generale dell'ONU il 10 dicembre 1948, sancisce che "ad ogni individuo spettano tutti i diritti e le libertà enunciati nella presente Dichiarazione senza distinzione alcuna per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione".

 sulle vittime delle violenze e sulla violazione del loro diritto inviolabile di esseri umani (donne, bambini e anziani). Analizziamo innanzitutto la tutela della donna. L'attenzione alle politiche di genere a livello internazionale si manifesta in maniera più incisiva a partire dal 1970. Nel 1975 l'ONU proclama l'anno internazionale della donna e tiene a Città del Messico la prima conferenza mondiale sulle donne. Questa conferenza si chiude con l'adozione di un Programma mondiale di azione per il decennio seguente con il motto: parità, sviluppo, pace. Nel 1979 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite approva la Convenzione sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne (Cedaw) che impegna gli Stati ad eliminare le disparità di genere subite dalle donne nella vita pubblica e privata. Le successive conferenze mondiali tenutesi a Copenaghen (1980) e a Nairobi (1985) hanno il compito di adottare programmi d'azioni e strategie per l'emancipazione della donna. Nel 1993 l'Assemblea Generale adotta la Dichiarazione sull'Eliminazione della Violenza contro le Donne. La questione della violenza, insieme alla condizione femminile nei conflitti armati, è considerata in modo dettagliato nella Piattaforma d'Azione adottata dalla quarta conferenza mondiale sulle donne di Pechino nel 1995 . Alla ventitreesima Sessione speciale dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite "Donne 2000.
Uguaglianza di genere, sviluppo e pace per il XXI secolo", più nota come Pechino+5, i Governi ribadiscono il proprio impegno nei confronti della IV conferenza mondiale sulle donne del 1995. Tra le principali raccomandazioni contenute nel documento sulle iniziative ulteriori per dare attuazione alla Piattaforma d'Azione di Pechino si riconosce che occorrono provvedimenti legislativi più energici contro tutte le forme di violenza domestica e che occorrono leggi, politiche e programmi educativi per sradicare pratiche tradizionali
nocive quali le mutilazioni dei genitali, i matrimoni precoci e forzati, i delitti d'onore, e per eliminare lo sfruttamento commerciale del sesso, la tratta di donne e bambine/i, l'infanticidio delle bambine, i crimini di origine razziale e le violenze dovute a questioni di dote.
La tutela dei minori, almeno dal punto di vista degli strumenti pattizi, è più recente.
Infatti, dopo la Dichiarazione dei diritti del fanciullo adottata dalle Nazioni Unite nel 1959 (che riprende la Dichiarazione di Ginevra sui diritti del fanciullo del 1924), occorre attendere fino al 1989 perché l'Assemblea Generale ONU approvi la Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia. La Convenzione è oggi ratificata da tutti gli stati membri dell'Assemblea (ad eccezione di Stati Uniti e Somalia). In particolare l'articolo 19 invita gli Stati ad adottare "ogni misura appropriata di natura legislativa, amministrativa, sociale ed educativa per proteggere il fanciullo contro qualsiasi forma di violenza, danno o brutalità fisica o mentale, abbandono o negligenza, maltrattamento o sfruttamento, inclusa la violenza sessuale, mentre e sotto la tutela dei suoi genitori, o di uno di essi, del tutore e dei tutori o di chiunque altro se ne prenda cura". Nella stessa Convenzione si attribuisce ( art. 45) al Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia - ossia, l'UNICEF - un ruolo di primo piano nel monitoraggio dell'applicazione dei diritti dei bambini da parte degli Stati. L'attenzione alla violenza contro i bambini e alla tutela dei loro diritti è ribadita anche durante il Millennium Summit 2000 e il World Summit 2005. Ad ottobre 2006, il Segretario generale delle Nazioni Unite ha presentato i risultati di uno studio sull'impatto

2) Secondo alcuni, Pechino rappresenta un passo indietro nel riconoscimento dei diritti delle donne in quanto i Governi, pur riaffermando il principio dell'universalità dei diritti umani, hanno voluto ribadire la necessità di assicurare "il rispetto dei diversi valori religiosi ed etici, i retroterra culturali e le convinzioni filosofiche degli individui e dei loro Paesi". Il rischio è che gli Stati si facciano scudo di questi "diversi valori" per aggirare i diritti umani delle donne.

della violenza domestica sui bambini "Behind Closed Doors - The Impact of Domestic Violence on Children". Il rapporto esamina la causa della violenza famigliare e l'impatto sui bambini esposti alla violenza in casa. Si conclude con delle azioni che devono essere prese per migliorare il sostegno e la protezione delle vittime minori . La tutela degli anziani, invece, non è mai stata oggetto di convenzioni internazionali. Esistono però alcune prese di posizione delle Nazioni Unite, alcune emerse proprio durante le assemblee mondiali sull'invecchiamento. La prima Assemblea si è tenuta a Vienna nel 1982 e ha coinciso con l'adozione del primo "Piano d'azione internazionale sull'invecchiamento".
Nel 1991 l'Assemblea approva un documento - lo United Nations Principles for OlderPersons - nel quale al punto 17 si sostiene che "le persone anziane devono poter essere in grado di vivere con dignità e sicurezza e liberi dallo sfruttamento e dall'abuso fisico e mentale".
Con la seconda conferenza mondiale di Madrid il tema della violenza in famiglia sugli anziani assume considerazione crescente. Nel 2002 i 156 Paesi intervenuti approvano un nuovo piano d'azione. Nella dichiarazione politica del documento, all'art. 5, gli "Stati affermano di volere rafforzare il riconoscimento della dignità delle persone anziane e di eliminare tutte le forme di incuria, abuso e violenza". Ed è proprio l'ambiente domestico uno dei contesti che viene indicato tra i più a rischio di violenza nel rapporto del Segretario generale delle Nazioni Unite [ONU 2002].
A livello internazionale è il Rapporto dell'Organizzazione Mondiale della Sanità che fornisce un contributo importante per chiarire alcune definizioni, sebbene in questo ambito - come in altri - non è sempre semplice ritrovare posizioni comuni. Vediamo cosa si stabilisce per violenza contro il partner, violenza contro i bambini e violenza contro gli anziani.
Secondo l'OMS "per violenza contro il partner si intende qualsiasi comportamento all'interno della relazione di coppia che provochi danno fisico, psicologico o sessuale ai soggetti della relazione. Tali comportamenti comprendono:
• Atti di aggressione fisica: schiaffi, pugni, calci e percosse.
• Abuso psicologico: intimidazione, svalutazione e umiliazione costanti.
• Rapporti sessuali forzati e altre forme di coercizione sessuale.
• Diversi atteggiamenti di controllo: isolare una persona dalla sua famiglia d'origine e dagli amici, controllarne i movimenti e limitare le sue possibilità di accesso a informazioni o assistenza.
Quando l'abuso viene ripetutamente perpetrato nell'ambito della stessa relazione, si parla spesso di maltrattamento" [Krug et al. 2002, 121].
Per i minori è invece la Consulta sulla prevenzione dell'abuso sui bambini dell'OMS a fornire una definizione. "L'abuso o il maltrattamento sull'infanzia è rappresentato da tutte le forme di cattivo trattamento fisico e/o affettivo, abuso sessuale, incuria o trattamento negligente nonché sfruttamento sessuale o di altro genere che provocano un danno reale o potenziale alla salute, alla sopravvivenza, allo sviluppo o alla dignità del bambino, nell'ambito di una relazione di responsabilità, fiducia o potere" [Krug et al. 2002, 85]. In questo caso la

3) Il rapporto è consultabile sul sito http://www.violencestudy.org.

violenza in famiglia commessa a danno di minori è classificata come una sottospecie della categoria più generale dell'abuso.
Infine, per la violenza sugli anziani ci si avvale della definizione elaborata da Action on Elder Abuse nel Regno Unito e adottata dalla Rete internazionale per la prevenzione dell'abuso sugli anziani [Krug et al. 2002, 201-202]. Secondo tale definizione "per abuso sugli anziani si intende un atto singolo o ripetuto, o la mancanza di un'azione appropriata, che si verifica all'interno di qualsiasi relazione in cui vi sia aspettativa di fiducia che determina danno o sofferenza a una persona anziana". L'abuso si può dividere solitamente nelle seguenti categorie: abuso fisico (provocare dolori o lesioni, coercizione fisica, o limitazioni fisiche o farmaco-indotte); abuso psicologico o affettivo (infliggere sofferenza emotiva); abuso economico o materiale (sfruttamento illegale o improprio o utilizzo di fondi o risorse della persona anziana); abuso sessuale (contatto sessuale non consenziente di qualsiasi genere con la persona anziana); incuria (rifiuto o mancanza di assolvere all'obbligo di assistenza). Ovviamente la violenza in famiglia commessa a danno di anziani viene classificata come una sottospecie della categoria più generale dell'abuso.
La giustizia contro le violenze
I sistemi di giustizia, nei Paesi occidentali, hanno iniziato a considerare con maggiore attenzione le violenze in famiglia solo negli ultimi anni, concentrandosi soprattutto sul tema della violenza contro le donne. Spesso i modelli tradizionali dell'amministrazione della giustizia si sono rivelati inadeguati nell'affrontare il fenomeno.
Come risultato, si registrano negli ultimi anni numerosi interventi legislativi di adeguamento del sistema giudiziario. In particolare, il sistema di giustizia penale sembra scontare la strutturale difficoltà di soddisfare il bisogno di protezione delle vittime.
Molte vittime di violenze, infatti, esitano a rivolgersi alla giustizia penale per paura di vendette da parte dell'autore del reato o per paura di perdere, perché in carcere, colui che è il capofamiglia o il padre dei loro figli. Va inoltre ricordato che una semplice punizione nei confronti dell'autore del reato non è sufficiente a risolvere il problema delle violenze in famiglia e che, in certi casi, la sanzione penale può addirittura acuire i maltrattamenti.
Più in generale, esiste la difficoltà, per il sistema di giustizia penale, di affrontare il problema secondo una visione più ampia che non quella del singolo episodio. Sempre più spesso, e in sempre più Paesi, si stanno facendo sforzi per modificare questo orientamento. Di seguito si indicano alcune delle innovazioni più seguite negli ultimi anni. L'orientamento oggi prevalente è tuttavia quello di formulare un approccio integrato.
La tutela della vittima in sede civile
Alcuni Paesi hanno adottato un nuovo approccio alle violenze in famiglia riformando in sede civile le tradizionali misure di restrizione (injunction) e protezione. Secondo questo approccio, le vittime vengono protette dal Tribunale che emette l'ingiunzione, tramite un'ordinanza di protezione o di non-molestia. Esistono anche altri tipi di ordinanze, come le ordinanze di assistenza (counseling orders) che obbligano l'autore dei comportamenti violenti o entrambe le parti coinvolte a frequentare un programma di riabilitazione.
Vengono anche forniti alla vittima una serie di servizi di supporto da affiancare all'ordinanza di protezione. Se l'autore della violenza viola l'ordinanza di protezione può venire accusato di oltraggio alla corte, e quindi multato o incarcerato.

La Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne
La Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne (Cedaw), adottata nel 1979 dall'Assemblea Generale ONU, costituisce lo strumento fondamentale in materia di diritti delle donne. La Convenzione è entrata in vigore nel 1981 e ad oggi conta 176 Stati contraenti. Tra questi non figurano gli Stati Uniti che perseverano nella politica di non ratifica di molte convenzioni internazionali [Merry 2003].
L'art. 1 della Convenzione definisce il concetto di discriminazione contro le donne come: ogni distinzione, esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia l'effetto o lo scopo di compromettere o annullare il riconoscimento, il godimento o l'esercizio da parte delle donne, indipendentemente dal loro stato matrimoniale e in condizioni di uguaglianza tra uomini e donne, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile, o in qualsiasi altro campo.
La Convenzione si compone di sei parti: le prime quattro introducono le norme di carattere sostanziale, mentre le ultime due contengono le disposizioni che istituiscono il Comitato incaricato di monitorare l'attuazione degli obblighi contenuti nella Convenzione.
La Convenzione evidenzia gli obiettivi e le misure specifiche che devono essere adottate in vista della creazione di una società nella quale le donne godano della piena eguaglianza e quindi della piena realizzazione dei diritti garantiti a tutti gli individui: dal diritto al lavoro ai diritti nel lavoro (art. 11); dai diritti relativi alla salute e alla pianificazione familiare (art. 12); all'eguaglianza di fronte alla legge (art. 15); nella famiglia e nel matrimonio (art. 16); nell'educazione e nell'istruzione (artt. 5 e 10); nella partecipazione alla vita politica (artt. 7 e 8); nello sport; nell'accesso al credito (art. 13); nella concessione o perdita della nazionalità (art. 9).
La Convenzione intende superare il mero riconoscimento del diritto a godere di un trattamento uguale rispetto all'uomo, prevedendo un preciso obbligo in capo agli Stati di adottare misure di tipo positivo che, in deroga al principio della parità formale, permettano di perseguire in termini sostanziali l'obiettivo della parità con l'uomo.
Infine, vi è da segnalare che la Convenzione istituisce all'art. 17 il Comitato per l'eliminazione della discriminazione nei confronti della donna (Cedaw), le cui funzioni principali riguardano l'esame dei rapporti inviati dagli Stati e l'adozione di Raccomandazioni generali.

L'adeguamento del sistema penale
In alcuni Paesi il sistema penale è stato adeguato introducendo Tribunali specializzati e forme di arresto obbligatorio (mandatory arrest) per i casi in cui l'autore del reato è colto sul fatto mentre commette violenza o mentre viola l'ordine di protezione.
A livello procedurale, alcuni stati hanno introdotto delle no-drop out policy che consentono alla pubblica accusa di procedere nell'iter giudiziario anche senza il consenso della vittima.

La Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne
La Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne (Cedaw), adottata nel 1979 dall'Assemblea Generale ONU, costituisce lo strumento fondamentale in materia di diritti delle donne. La Convenzione è entrata in vigore nel 1981 e ad oggi conta 176 Stati contraenti. Tra questi non figurano gli Stati Uniti che perseverano nella politica di non ratifica di molte convenzioni internazionali [Merry 2003]. L'art. 1 della Convenzione definisce il concetto di discriminazione contro le donne come: ogni distinzione, esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia l'effetto o lo scopo di compromettere o annullare il riconoscimento, il godimento o l'esercizio da parte delle donne, indipendentemente dal loro stato matrimoniale e in condizioni di uguaglianza tra uomini e donne, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile, o in qualsiasi altro campo. La Convenzione si compone di sei parti: le prime quattro introducono le norme di carattere sostanziale, mentre le ultime due contengono le disposizioni che istituiscono il Comitato incaricato di monitorare l'attuazione degli obblighi contenuti nella Convenzione. La Convenzione evidenzia gli obiettivi e le misure specifiche che devono essere adottate in vista della creazione di una società nella quale le donne godano della piena eguaglianza e quindi della piena realizzazione dei diritti garantiti a tutti gli individui: dal diritto al lavoro ai diritti nel lavoro (art. 11); dai diritti relativi alla salute e alla pianificazione familiare (art. 12); all'eguaglianza di fronte alla legge (art. 15); nella famiglia e nel matrimonio (art. 16); nell'educazione e nell'istruzione (artt. 5 e 10); nella partecipazione alla vita politica (artt. 7 e 8); nello sport; nell'accesso al credito (art. 13); nella  concessione o perdita della nazionalità (art. 9). La Convenzione intende superare il mero riconoscimento del diritto a godere di un trattamento uguale rispetto all'uomo, prevedendo un preciso obbligo in capo agli Stati di adottare misure di tipo positivo che, in deroga al principio della parità formale, permettano di perseguire in termini sostanziali l'obiettivo della parità con l'uomo. Infine, vi è da segnalare che la Convenzione istituisce all'art. 17 il Comitato per l'eliminazione della discriminazione nei confronti della donna (Cedaw), le cui funzioni principali riguardano l'esame dei rapporti inviati dagli Stati e l'adozione di Raccomandazioni generali.

La giustizia riparativa (o mediazione)
La giustizia riparativa ha lo scopo di proteggere le vittime di violenza domestica e di tentare di ristabilire un rapporto tra autori e vittime. In questo approccio, il Pubblico Ministero, dopo aver preso in considerazione le aspettative della vittima e l'opinione degli investigatori, può rinunciare ad esercitare l'azione penale. In cambio si possono ad esempio imporre all'autore delle violenze degli obblighi (lavoro socialmente utile, assistenza psicologica) o dei divieti (divieto di avvicinare la vittima per un certo periodo di tempo). La letteratura è divisa circa l'opportunità di utilizzare la mediazione nell'ambito di casi di violenze in famiglia.

Gli interventi amministrativi

Al di fuori del sistema giudiziario ma all'interno dell'attività della pubblica amministrazione, alcuni Governi nazionali e locali prevedono l'istituzione di Commissioni per la prevenzione delle violenze con il compito di coordinare gli interventi e/o di supervisionare l'attuazione delle leggi appositamente approvate. Inoltre le autorità nazionali e locali hanno finanziato l'attività di associazioni e la costruzione di centri per la prevenzione della violenza domestica. Non va poi dimenticato che il supporto economico è molto importante per le vittime di violenza domestica. Alcuni Paesi prevedono canali privilegiati per l'assistenza economica delle donne sopravvissute ad esperienze di abusi.

I dati disponibili e che cosa ci dicono
Il fenomeno delle violenze in famiglia resta per molti versi ancora inesplorato dalle statistiche internazionali e nazionali. Esistono diversi problemi soprattutto relativi alla comparabilità dei dati. Le difficoltà che insorgono sono principalmente due.
- Mancanza di una terminologia uniforme: ad esempio non esiste ad oggi uniformità nella definizione di violenza in famiglia (domestic violence). Alcuni Paesi infatti adottano questo termine in senso inclusivo, secondo la definizione del Relatore Speciale ONU ("la violenza che si consuma all'interno della sfera privata, generalmente tra individui che sono legati da un vincolo di intimità, di sangue o di legge"). Altri intendono riferirsi, con il concetto di domestic violence, alle violenze commesse dal partner sulla donna (escludendo quindi le violenze sui minori o la violenza sugli anziani, trattati a parte). Altri Paesi, infine, ignorano completamente la dizione domestic violence preferendo quella più generale e riconosciuta dalla Convenzione ONU di violence against women.
- Mancanza di una metodologia uniforme: ad esempio, possono cambiare le modalità di data collection nelle indagini di vittimizzazione.
Confrontando i sistemi statistici dei Paesi sviluppati si può affermare che l'informazione statistica è maggiormente sviluppata laddove (Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Australia) si è maturato un processo di consapevolizzazione della serietà del problema delle violenze in famiglia. L'Italia, ad oggi, è statisticamente sprovvista di queste informazioni.

 L'Italia e le riforme giudiziarie in tema di violenze in famiglia
In seguito alla conferenza mondiale delle donne di Pechino, in Italia è stata approvata, il 15 febbraio 1996, una nuova legge contro la violenza sessuale. L'obiettivo era quello di creare una legge che inserisse i reati sessuali contro l'integrità fisica e psicologica delle donne, tra i reati contro la persona e non più tra quelli contro la morale e il buon costume. La legge ha poi introdotto alcune modifiche, quali il superamento di ogni differenziazione tra stupro e atti di libidine violenta, unificati in un unico reato di violenza sessuale, e soprattutto la procedibilità di questo reato su querela irrevocabile della donna. La possibilità del procedimento d'ufficio è prevista soltanto nel caso in cui questo reato sia associato ad altri reati, in particolare lo stupro di gruppo e la violenza nei confronti di minori, disabili, o persone sottoposte ad un'autorità. La legge contro la violenza domestica (L 154/01) ha introdotto, anche in Italia, alcune misure giudiziarie già esistenti in altri Paesi per garantire l'allontanamento dalla casa familiare dell'autore di violenza [Ingrao e Scoppa 2001]. Prima di questa legge, infatti, l'unica possibilità per la donna di sottrarsi alla violenza era abbandonare la propria casa. Ad oggi, invece, la vittima può decidere se presentare denuncia penale contro il partner violento, oppure limitarsi all'azione civile, ottenendo l'allontanamento del marito o del convivente sia dalla casa sia dai luoghi di abituale frequentazione ed eventualmente anche il pagamento di un assegno. L'art. 1 della legge 154/01, Misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare, prevede infatti che "con il provvedimento che dispone l'allontanamento, il giudice prescrive all'imputato di lasciare  mmediatamente la casa familiare, ovvero di non farvi rientro, e di non accedervi senza l'autorizzazione del giudice che procede".

Nel 1995, la quarta conferenza mondiale ONU sulle donne ha identificato la violenza contro le donne come un'area di criticità. La Piattaforma d'Azione afferma che in assenza di statistiche disaggregate per genere risulta difficile elaborare programmi di intervento e monitorarne i cambiamenti (par. 120). Pertanto si raccomanda, tra le altre cose, la promozione di "ricerche e raccolte dati sulla prevalenza delle diverse forme di violenza contro le donne, specialmente della violenza domestica, e la ricerca delle cause, della natura e delle conseguenze della violenza contro le donne" (par. 129a) .
L'argomento delle indagini statistiche sulla violenza contro le donne è stato preso in considerazione dall'HEUNI e dall'UNODC e nel 2001 è stato lanciato un progetto - The International Violence Against Women Survey (IVAWS) - che ha permesso la diffusione di questo tipo di indagine in molti Paesi. Da allora Canada, Australia, Finlandia e Italia hanno cominciato a condurre le indagini sulla violenza contro le donne basandosi su campioni di popolazione più ampi.
Inoltre, nell'ottobre del 2004 l'UNECE ha organizzato un meeting sulle statistiche di genere, all'interno del quale è stata creata una Task Force con l'obiettivo di raggiungere una migliore armonizzazione delle statistiche.
Attualmente la Task Force sulle indagini sulla violenza contro le donne sta lavorando alla possibilità di raccogliere informazioni sulle indagini condotte negli ultimi 10 anni. I risultati derivanti da questo lavoro evidenzieranno analogie e differenze nella metodologia utilizzata dalle indagini sulla violenza contro le donne nazionali e internazionali.
In generale le statistiche disponibili sono suddivise nelle aree indicate nel paragrafo precedente:
violenza commessa dal partner, violenza commessa nei confronti dei bambini, violenza commessa nei confronti degli anziani.

4) Fourth World Conference on Women, Beijing, China, 4-15 September 1995. New York, NY, United Nations, 1995 (document A/ CONF.177/20).

 L'International Violence Against Women Survey (IVA WS)
L'IVAWS è un'indagine internazionale e comparata finalizzata ad analizzare la violenza contro le donne, in particolare la violenza domestica e quella sessuale. L'obiettivo del progetto è di valutare il livello di vittimizzazione delle donne in un numero di Paesi del mondo, su basi ripetibili, e di fornire nuovi input per lo sviluppo di specifici approcci nel settore della giustizia. Il progetto IVAWS si basa sulla rete, l'infrastruttura e la metodologia dell'International Crime Victim Survey che è già stata implementata con successo in più di 70 Paesi. Come detto, il progetto è coordinato dall'HEUNI, dallo United Nations Office on Drug and Crime (UNODC), da UNICRI e dall'ente nazionale di statistica canadese. I Paesi che stanno partecipando al progetto
sono Australia, Cina (Hong Kong), Costarica, Repubblica Ceca, Danimarca, Grecia, Italia, Mozambico, Polonia, Filippine e Svizzera. La fase di raccolta dati si è già conclusa in quasi tutti i
Paesi. Nei prossimi mesi sarà diffuso un rapporto che presenterà i risultati degli studi in un'ottica
comparatistica.

Violenza commessa dai partners

Nella generale scarsità di informazioni sul fenomeno delle violenze in famiglia, la violenza commessa dal partner rappresenta il fenomeno maggiormente indagato dalle statistiche. L'OMS [Krug et al. 2002], conducendo una rassegna sulle statistiche nazionali di 48 Paesi tra il 1990 e il 1999, ha riscontrato che in tutto il mondo le donne soffrono di abusi da parte del partner e che questi abusi sono particolarmente accentuati nei Paesi in via di sviluppo. Una percentuale compresa tra il 10% e il 69% delle donne ha dichiarato di aver subito un abuso fisico da parte del partner almeno una volta nella vita. Come detto, esistono significative differenze tra Paesi sviluppati e sottosviluppati. In generale possiamo affermare che, dalle statistiche analizzate, la percentuale di donne che nella propria vita dichiarano di aver subito violenza dal partner si attesta generalmente tra il 30% e il 40% nei Paesi sottosviluppati mentre oscillerebbe in prevalenza tra il 20% e il 30% in quelli sviluppati.
Sempre in chiave comparata possono essere utili gli studi sulla salute della donna e la violenza familiare contro la donna. L'ultima ricerca [OMS 2005] - condotta in Perù, Namibia, Thailandia, Etiopia, Giappone, Serbia Montenegro, Tanzania, Brasile e Bangladesh - ha sottolineato che la proporzione di donne vittime di violenza fisica da parte del partner oscilla tra il 13% del Giappone e il 61% delle zone provinciali del Perù. Il più comune atto di violenza subito dalle donne è l'essere prese a schiaffi dal partner (dal 9% in Giappone al 52% delle zone provinciali del Perù). Gli schiaffi sono seguiti dall'essere colpiti con un pugno (con oscillazioni pesanti tra il 2% e il 42%). Nella maggior parte dei Paesi analizzati, le donne che riferivano di essere state colpite con un pugno dal partner oscillavano tra l'11% e il 21%.

Violenza contro i bambini

È molto difficile fare una stima affidabile sugli abusi nei confronti dei bambini. In questo contesto il dato statistico delle denunce può essere davvero di scarsa utilità in quanto solo una minima parte dei casi di maltrattamento sui bambini viene denunciata alle autorità. Sembra confermarsi la tendenza che vede prevalere forme di violenza fisica più gravi nei Paesi sottosviluppati che in quelli sviluppati. Per acquisire informazioni significative è però necessario affidarsi a delle indagini ed alle stime da queste prodotte.
Le indagini sul maltrattamento dei bambini condotte su campioni di popolazione presentano notevoli diversità. Un'indagine condotta nel 1995 [Straus 1998] negli Stati Uniti su un campione di 1000 genitori intervistati ha rivelato che tra le tattiche usate nel rapportarsi ai figli vi erano anche approcci violenti. Tra questi vi rientravano i maltrattamenti psicologici (come, ad esempio, bestemmiare e imprecare, utilizzato nell'ultimo anno da 243 genitori su mille), quelli fisici (come, ad esempio, colpire il bambino sul sedere con la cinghia, un bastone o altri oggetti duri, utilizzato da 207 genitori su mille) e l'incuria (come, ad esempio, essere talmente ubriachi da avere problemi a prendersi cura del bambino, utilizzato da 23 genitori su mille). Sommando i comportamenti più violenti (colpire il bambino con cinghia, bastone o spazzola in parti del corpo diverse dal sedere, colpirlo con un calcio o pugno, scaraventarlo a terra e picchiarlo pesantemente) si otteneva che questi erano stati utilizzati nell'ultimo anno da 45 genitori su 1000. Al di là di indagini sporadiche, disseminate qua e là nei Paesi sottosviluppati e che testimonierebbero una pronunciata inclinazione al comportamento violento dei genitori verso i figli, un importante contributo in chiave comparata viene dal World Studies of Abuse in the Family Environment [Krug et al. 2002, 92], una ricerca transnazionale condotta con metodologia comune su Paesi quali Cile, Egitto, India e Filippine. Questa ricerca ha rivelato come la pratica delle punizioni severe sia un comportamento esteso. "I genitori in Egitto, nelle aree rurali dell'India e nelle Filippine hanno dichiarato di aver fatto ricorso frequentemente, per punire i figli, all'uso di un oggetto su parti del corpo diverse dal sedere negli ultimi 6 mesi. Questo comportamento è stato riferito anche in Cile e negli Stati Uniti, anche se con frequenza inferiore. Forme di violenza più gravi - quali strangolamento, ustioni, o minacce con un coltello o un'arma - da parte dei genitori nei confronti dei propri figli sono presenti in modo significativo in tutte le situazioni in cui sono stati condotti studi" [Krug et al. 2002, 92].
Sempre in tema di violenza genitori-bambini uno studio condotto da Bardi e Borgognini-Tari [2001] sul territorio toscano (circa 2500 casi analizzati) ha rivelato che la punizione attraverso l'uso di atti di violenza fisica di bassa intensità caratterizzava gran parte delle famiglie indagate (77%). Di contro l'indice delle forme più gravi di violenza si riduceva all'8%.
Più recentemente il rapporto ONU [2006] ha tentato di stimare il numero di bambini soggetti a violenza domestica nel mondo indicando una cifra che oscilla tra i 133 milioni e i 275 milioni. Nei soli Paesi sviluppati il rapporto indica un numero di bambini maltrattati che varia da 4,6 a 11,3 milioni.

Violenza contro gli anziani

Le statistiche internazionali e nazionali, salvo qualche rara eccezione, presentano scarsissimi dati sul tema della violenza agli anziani e non danno garanzia di comparabilità.
Gli studi analizzati si concentrano tutti nei Paesi sviluppati [Krug et al. 2002; ONU 2002] e sembrano - seppure in modo non univoco - indicare che sono le donne, ancora una volta, i soggetti più a rischio. I risultati mostrano un tasso di abuso del 4-6% tra gli anziani se vengono considerati l'abuso fisico, psicologico, economico e l'incuria. Nel 2001 il National Institute of Justice ha presentato un rapporto [Davis e Medina 2001] in cui traccia l'identikit sia delle vittime anziane di maltrattamenti residenti a New York, sia dei soggetti maltrattanti. Secondo questo profilo si tratterebbe in prevalenza di donne (81%) e, tra queste, spiccherebbero le donne di colore (66%). L'età media della vittima era di 65 anni. Il 28% era disabile e il 45% coabitava con l'autore delle violenze. I maltrattanti, invece, erano uomini nel 66% dei casi e avevano un'età media di 36 anni.

La Russia
Dopo la caduta nel 1991 del regime sovietico la Russia ha vissuto una profonda crisi per il brusco passaggio da un sistema economico di stampo socialista ad uno di stampo capitalista. Ciò ha prodotto numerosi guasti a livello sociale, tra questi anche l'aumento generalizzato della criminalità violenta. Sul tema della violenza domestica non esistono dati che ci consentano di confrontare il passato con il presente. Secondo Zakirova [2005, 75] "nella società russa, la violenza domestica è ancora considerata un affare famigliare e privato, sebbene il ruolo della donna stia diventando sempre più importante sia nella famiglia sia nel mondo del lavoro". Di fronte ad una mancanza di dati statistici accurati è necessario affidarsi ai dati forniti da associazioni non governative. Secondo questi dati nel 1999 circa 15mila donne (10 ogni 100.000 abitanti) sono state uccise da fidanzati e/o mariti, una ogni 40 minuti. Si consideri che nel 2000 il tasso americano per lo stesso fenomeno era di 0,5 ogni 100.000 abitanti. La violenza domestica produce quale effetto collaterale un numero consistente di bambini abbandonati dai genitori negli orfanotrofi (5 milioni). Infine, si stanno rilevando anche fenomeni di violenza famigliare a danno di persone anziane. L'alcolismo, massicciamente diffuso nella società russa, viene indicato come il principale fattore degenerativo. Accanto agli omicidi vi sono poi altri dati che indicano che ogni giorno 36.000 donne russe vengono picchiate dai propri mariti/compagni. Studi recenti dimostrano che, a dispetto dello spirito del Cedaw (Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne), la Duma, il parlamento russo, non ha ancora approvato una legge contro la violenza domestica. Le autorità russe conoscono il problema ma fanno poco per risolverlo. I ricercatori denunciano spesso l'inadeguatezza delle stesse Forze di Polizia. "Una donna abusata chiama la polizia e si sente rispondere: non sono qui a preoccuparmi delle cose tra lei e suo marito. Ho problemi più grandi dei suoi. Ho qualche omicidio da risolvere" [Zakirova 2005, 86]. Esistono tuttavia dei segnali di emancipazione della figura femminile che possono in prospettiva suggerire positivi cambiamenti nel futuro.

In oltre la metà dei casi a commettere le violenze era il figlio (53%), seguito dal nipote (19%) e dal compagno (16%).
Un'indagine di vittimizzazione condotta in Canada nel 1999 su un campione di 4000 anziani di età superiore ai 65 anni [CCJS 2002] indicava che circa il 7% dei soggetti aveva dichiarato di aver subito una qualche forma di abuso emozionale e/o finanziario. Solo una piccola porzione degli anziani intervistati (1%) aveva riportato esperienze di maltrattamenti fisici o sessuali.
Esiste un'opinione generale diffusa sull'impossibilità di conoscere la reale estensione dell'abuso famigliare a danno degli anziani. Le vittime, infatti, non possono o non vogliono denunciare il fatto per difficoltà cognitive o disabilità mentali (Alzheimer), fragilità fisica, dipendenza dall'abusatore, paura di ritorsioni o abbandono, ignoranza dei servizi di supporto esistenti, paura di essere messi in ospizio, paura di non essere creduti, vergogna, paura di un intervento esterno, timore di disonorare la famiglia, ecc. D'altro canto, le persone che sospettano di abusi contro gli anziani spesso non denunciano perché non vogliono essere coinvolte, ritengono l'abuso non serio, soprattutto se non ci sono segni di violenza fisica, non riescono a riconoscere i sintomi e i segni dell'abuso, ecc.

La Cina
Come in molti Paesi, anche in Cina la violenza domestica è stata trattata come una vicenda famigliare e molte donne accettano la violenza come fatto naturale della loro vita [UNIFEM 2003]. Sebbene un'indagine abbia rivelato forme di violenza nel 35% dei matrimoni, solo il 5% delle donne ha definito di sentirsi infelice per il proprio matrimonio. La violenza domestica è profondamente radicata nella cultura cinese, in cui mogli e figlie sono considerate proprietà di padri e mariti. In questo contesto le vittime sono molto riluttanti a denunciare. La situazione sembra molto più grave nelle zone rurali non ancora raggiunte dallo sviluppo economico. Con la quarta conferenza mondiale sulle donne, tenutasi nel 1995 a Pechino, il Governo cinese ha avviato un processo di riforma che però fatica a decollare per le resistenze e le difficoltà a livello locale.

Cosa può funzionare e cosa no nell e politiche di contrasto

Nel presentare questa rassegna sugli studi di valutazione delle politiche di prevenzione e contrasto alla violenza in famiglia è necessario introdurre due avvertenze. La prima è che ogni politica non può prescindere dal contesto in cui si applica. Non è quindi possibile trasferire tout court programmi e interventi di prevenzione senza aver precedentemente considerato le condizioni in cui l'intervento andrà ad operare. La seconda avvertenza riguarda il fatto che nella letteratura sulla valutazione c'è la tendenza a pubblicare le ricerche che vanno bene e non quelle che vanno male [MacLeod, Nelson 2000]. Nel nostro caso la letteratura esistente in materia di valutazione delle politiche è quasi esclusivamente di matrice anglosassone, soprattutto americana. Nei sottoparagrafi che seguono saranno illustrati i risultati delle valutazioni su programmi e interventi condotti sulla prevenzione e il contrasto alla violenza domestica. Tra i commentatori [Sherman et al. 1997] si è concordi nel ritenere che ad oggi le valutazioni dei programmi in questo settore rappresentano più un'indicazione per ulteriori ricerche che non un dato consolidato. In ogni caso già la presenza di valutazioni con risultati simili sembra fornire un'indicazione della bontà dell'intervento realizzato.

L'efficacia dell'arresto obbligatorio nel sistema americano

Il mandatory arrest, adottato già in 27 Stati dell'Unione [Cowan, Schwartz 2004, 1072] prevede la possibilità per la polizia di arrestare una persona quando è probabile che egli/ella abbia aggredito un famigliare o violato la disposizione di allontanamento da parte del giudice. Il successo di questa politica è stato sancito da uno studio condotto nella città di Minneapolis che indicava come l'arresto in questi casi rappresentasse un deterrente per future violenze [Sherman et al. 1992]. L'applicazione generalizzata in altre sei città ha avuto però effetti contrastanti [Garner, Fagan e Maxwell 1995]. Si è visto, infatti, che l'effetto dell'arresto sulle future violenze dipendeva dalla condizione occupazionale dell'autore. La probabilità di un successivo arresto diminuiva del 15,4% tra gli autori che avevano un posto di lavoro mentre cresceva del 35,5% negli autori disoccupati. L'applicazione a tappeto di questa politica aveva ignorato l'ammonimento di Sherman il quale sottolineava che "se ci chiediamo se l'arresto - in questo esperimento - ha avuto una qualche influenza diretta sulle future violenze, la risposta è generalmente no. [...] Tuttavia se ci chiediamo se la sanzione legale dell'arresto ha interagito con i legami sociali dell'occupazione e del matrimonio per produrre significative differenze nella condotta violenta in una fase successiva, la risposta è chiaramente sì" [Sherman et al. 1992, 376]. Sebbene alcuni autori [Dobash e Dobash 2000] abbiano rimarcato come non esistano ricerche che abbiano studiato in che modo - nei mandatory arrest - gli agenti di polizia siano entrati in relazione con autori e vittime di violenza domestica (non si può negare che l'approccio umano è un aspetto fondamentale), oggi la procedura dell'arresto obbligatorio gode di un largo consenso presso l'opinione pubblica ed è accompagnata dal procedimento d'ufficio nel caso di segnalazione di violenza domestica (no-drop policies). Secondo Berliner [2003], le no-drop policies per la violenza domestica hanno il significato politico di riconoscere che la società intende reprimere questo tipo di comportamenti tutelando la vittima che, non avendo più la responsabilità di decidere sul procedimento, sarebbe al sicuro da nuovi comportamenti violenti (considerazione peraltro discutibile perché ignora la possibilità di violenze agite sulla testimonianza). Il problema sorgerebbe quando le vittime si oppongono alla prosecuzione del giudizio creando una situazione conflittuale tra vittima e Stato che, nella peggiore delle ipotesi, può paradossalmente portare all'arresto della vittima, se questa si rifiuta di testimoniare [Ford 2003]. Secondo altri [Fleming 2003], invece, le no-drop policies non sarebbero coercitive nei confronti della vittima ed avrebbero il merito di risultare più incisive nel fronteggiare il fenomeno delle violenze domestiche. Alcuni autori [Dugan, Nagin e Rosenfeld 2003] hanno tuttavia sostenuto come non sia ancora possibile capire se, impedendo di ritirare le accuse, la vittima sia più al sicuro. La maggior parte delle donne che ritrattano le accuse sono mosse dal timore di mettere in pericolo sé e i propri figli. Del resto Ford [1992], analizzando il caso di Indianapolis segnala che ben un quarto degli imputati è incorso nella recidiva prima che il caso andasse in giudizio.
Da un altro punto di vista, c'è chi ha criticato questo eccessivo desiderio di ricorrere al sistema penale che ha sbilanciato lo stanziamento delle risorse più a favore delle spese di giustizia che a favore di interventi di prevenzione sociale rivolti alla comunità [Melton e Andrew 2000; Melton 2002]. C'è chi però riconosce che i "mandatory arrest sono state tra le più importanti iniziative nel campo del contrasto alla violenza domestica negli ultimi tre decenni. Hanno fatto in modo che i dipartimenti di polizia considerassero seriamente il fenomeno della violenza in famiglia" [Humphries 2002, 91].

Violenza in famiglia e visite domiciliari

I programmi di visite domiciliari presso le famiglie in attesa di un figlio o nei primi mesi di vita del bambino sono una strategia di intervento precoce tra le più diffuse in molti Paesi industrializzati. Nella maggior parte dei Paesi, la visita domiciliare è gratuita, su base volontaria, non legata alla condizione economica del beneficiario, ed inserita in un più vasto sistema dedicato alla cura della salute della madre e del bambino.
Già più di 20 anni fa, Kempe [1976] sosteneva che i programmi di visite domiciliari potevano rivestire un ruolo importante nella prevenzione dell'abuso sul minore. Le compagnie di assicurazione si rifiutarono tuttavia di pagare questa spesa sanitaria sostenendo che non vi erano prove della sua efficacia. Già a partire dal 1990, un crescente numero di ricerche [Olds et al. 1986; Chapman et al. 1990; AAP 1998] sosteneva che i programmi di visite domiciliari erano efficaci e producevano risultati positivi sia nel breve che nel lungo periodo (riduzione delle denunce di maltrattamenti su minori).
Gli effetti osservati nei programmi di visite domiciliari sembravano essere maggiori se le madri erano adolescenti, non sposate, in difficile situazione economica e vittime di abuso e se i bambini erano nati prematuri o avevano un basso peso alla nascita [Kritzman et al. 1997; Tremblay 2003]. Già allora si raccomandava però di non considerare le visite domiciliari come la panacea di tutti i mali suggerendo che questi interventi potevano funzionare se inseriti in un contesto più ampio di attività e di sostegno socio-sanitari alla madre e al bambino [AAP 1998]. Più recentemente alcuni ricercatori [Holzer et al. 2006] hanno condotto una metavalutazione su alcuni programmi già precedentemente valutati sia nel campo dell'assistenza domiciliare, sia della formazione parentale (parent training). La maggior parte dei programmi è stata valutata positivamente nella sua capacità di ridurre gli episodi di maltrattamento e di avvicinare le famiglie ai servizi socio sanitari del territorio [Higgins, Bromfield, Richardson e Higgins 2006b; 2006c]. Secondo i ricercatori [Higgins, Bromfield, Richardson e Higgins 2006a], i programmi di maggiore successo erano quelli in cui le visite a domicilio venivano svolte da personale qualificato (infermiere) rispetto a personale paraprofessionale.
Questi programmi inoltre hanno dimostrato di funzionare meglio se indirizzati a una specifica categoria di soggetti e quando l'attenzione è concentrata sul miglioramento del benessere sia del bambino che della madre. I programmi di visite domiciliari che si indirizzavano a migliorare la qualità della vita della madre, oltre che a ridurre il rischio di maltrattamento nei bambini, hanno mostrato miglioramenti sia per la madre che per il figlio. Tuttavia, gli Autori sottolineano il limite metodologico di molte valutazioni che - per le condizioni in cui sono state svolte - spesso non riescono a seguire un rigoroso approccio sperimentale [Tomison 2000].

Quando la tecnologia non aiuta

Sherman et al. [1997] hanno valutato anche l'efficacia dei cosiddetti Domestic Violence Alarm (DVA). Si tratta di dispositivi elettronici, simili a salvavita, con un bottone antipanico per la richiesta di soccorso alla polizia in caso di maltrattamenti. Sebbene concentrato sulla popolazione più a rischio - cioè le donne che hanno subito violenza negli ultimi 30 giorni - il servizio ha prodotto costi di gestione molto elevati con risultati deludenti. Non esistono studi che dimostrino l'efficacia del sistema. Tuttavia possono esserci effetti controproducenti: i ricercatori riportano molti casi di omicidio di donne che indossavano il DVA anche se hanno escluso che sia stata proprio la presenza del dispositivo a costituire l'effetto scatenante.

Il trattamento degli autori di violenza in famiglia

Negli Usa e in Gran Bretagna si sono realizzati anche interventi per il recupero degli autori di violenze in famiglia. Questi programmi sono stati finanziati dal Governo americano a partire dal 1970. Il trattamento si fonda sul presupposto che la violenza domestica è un "comportamento appreso" e che, quindi, i soggetti possono imparare a controllare la loro rabbia comunicando con il proprio partner, utilizzando mezzi alternativi alla violenza.
Generalmente il trattamento - che consiste nel partecipare per un certo periodo a gruppi di lavoro intensivi con altri uomini - può essere imposto dal giudice invece dell'affidamento in prova ai servizi sociali. Diversi studi hanno riassunto i risultati delle valutazioni dei programmi di trattamento degli autori di violenze [Hamberger e Hastings 1993; Davis e Taylor 1999] e hanno concluso che il completamento del programma di trattamento è associato solo ad una minima riduzione della recidiva. Altri studi sembrano confermare questo orientamento. Chen et al. [1988] riportano che solo i soggetti che hanno partecipato ad oltre il 75% del programma di trattamento avevano ridotto la recidiva. Per gli altri, invece, non si sono registrati risultati significativi. Sembrano di diverso tenore studi più recenti condotti in Scozia [Dobash e Dobash 2000] che, non utilizzando le statistiche ufficiali ma informazioni tratte dalle compagne dei soggetti violenti, hanno rilevato una riduzione statisticamente significativa dei comportamenti abusanti tra i soggetti sottoposti al trattamento rispetto ai soggetti non sottoposti ai programmi di trattamento. Non va comunque dimenticato che i livelli di recidiva rimangono alti. Lo studio riporta che, dopo un anno, solo un quarto dei soggetti trattati non aveva commesso nuove violenze. Tuttavia la letteratura rimane prevalentemente orientata sulla scarsa o nulla efficacia di questi programmi, come confermano del resto anche valutazioni recenti commissionate dal NIJ americano [Fields 2005]. Ciò che pare emergere, di fronte a un fiorire di programmi di recupero nel decennio 1980-1989, è la necessità di individuare procedure e protocolli condivisi tra gli operatori di questi programmi di trattamento [Austin e Dankwort 1999] perché, come hanno sottolineato altri autori [Fagan e Browne 1994], gli effetti del trattamento sembrano variare profondamente a seconda dell'approccio, delle abilità individuali del terapista, delle caratteristiche degli autori e di altri fattori che rendono difficile la generalizzazione dei risultati delle ricerche.

L'efficacia delle case rifugio nelle politiche di assistenza alla violenza domestica

Le case rifugio sono strutture adibite a fornire alloggio anche immediato alle donne che sono vittime di gravi forme di violenza domestica e che intendono rompere la relazione abusante. Sono molto diffuse negli Stati Uniti ma anche in altre realtà europee e si stanno sviluppando anche in Italia. Nell'analisi della letteratura non si sono rinvenute particolari valutazioni sull'efficacia di questa soluzione, fors'anche perché potrebbe risultare intuitiva. Basti pensare che esiste ormai una letteratura consolidata che ha registrato come il rischio di omicidio per una donna maltrattata è massimo nel periodo in cui decide di rompere la relazione [Bernard e Bernard 1983; Campbell 1992; Crawford e Gartner 1992; Goetting 1995]. Più in generale - e con una metodologia non troppo robusta - Bennet et al. [2004] sostengono la generale positiva efficacia di tutti quei servizi che possono essere di supporto alla donna (hotline, supporto legale, counseling e case rifugio). Questo parere sembra peraltro essere generalmente suffragato da una più ampia ricerca longitudinale sul rapporto tra omicidi orizzontali tra partners e politiche di contrasto alla violenza domestica in 48 città americane [Dugan, Nagin e Rosenfeld 2003], in cui la presenza di servizi a disposizione per le vittime di violenza domestica produce effetti positivi in termini di riduzione della vittimizzazione. Il dato più curioso, rilevato già da precedenti ricerche [Browne e Williams 1989], è che sono le vittime maschili a diminuire. Ne deriva la considerazione che, nella maggior parte degli omicidi in famiglia, quando è la donna ad uccidere lo fa per autodifesa o istinto di sopravvivenza. Assicurare - attraverso i servizi - la possibilità di fuggire dalla relazione violenta riduce considerevolmente questa reazione disperata. Tornando invece alle case rifugio c'è chi ha provato a quantificare i costi e i benefici sociali del servizio [Chanley et al. 2001]. Alla fine il servizio risulterebbe conveniente: il calcolo tra costi (spese di gestione e di assistenza di donne e bambini) e benefici (riduzione delle aggressioni e miglioramento della salute mentale) è andato a favore di questi ultimi. Va però ricordato che la casa rifugio è una soluzione temporanea e non definitiva. Berk et altri [1986], sulla base di una ricerca condotta su un campione di donne californiane, ammoniva che se le ospiti delle case rifugio non si attivavano per trovare una sistemazione sicura successivamente all'uscita dalla casa potevano incontrare un rischio di maltrattamenti più alto delle donne maltrattate che non avevano usufruito del servizio.

Civil protection orders: se e quando sono efficaci

Un ordine di protezione - nell'esperienza statunitense - è una disposizione civile con implicazioni penali. Può essere ottenuta per limitare o proibire il contatto tra la vittima di abuso e il perpetratore. L'ordine di protezione è una decisione disposta da una corte civile che ordina alla persona abusante di non commettere nuovi maltrattamenti. Se la persona non rispetta questo ordine subisce delle sanzioni penali. Le valutazioni sugli effetti di queste misure sono complessivamente positive. Una recente indagine condotta da Holt et al. [2002] su 2691 case di donne di Seattle vittime di abusi è giunta alla conclusione che solo gli ordini di protezione permanenti, e non quelli temporanei, sono associati ad una significativa riduzione del rischio, da parte della donna, di subire nuovamente violenza dal marito/compagno. Altri [Carlson et al. 1999] hanno riportato una significativa riduzione nella probabilità di subire un abuso successivamente all'emanazione di un ordine di protezione (23% contro il 68%). Sulla stessa linea i risultati degli studi di Harrell et al. [1993]. Sembra esistere però uno squilibrio tra le popolazioni femminili a rischio: le donne con stato socioeconomico basso e quelle afroamericane sono le più esposte a nuove vittimizzazioni. Conferme sulla capacità degli ordini di protezione di produrre una riduzione delle violenze si hanno anche da ricerche australiane [Young et al. 2000]. Sherman et al. [1997] concludono che, nonostante non esistano valutazioni rigorose, queste misure si possono considerare "promettenti".

Gli interventi di supporto sociale informale e il loro ruolo nella prevenzione della violenza in famiglia

C'è un interesse crescente tra i policy makers e gli operatori nei confronti degli interventi promossi da soggetti appartenenti al cd. supporto sociale informale (famiglia, amici, volontariato, gruppo di pari, associazioni di auto mutuo aiuto, ecc.). Secondo la definizione di Budde e Schene [2004, 341], questi interventi sono "attività sistematiche introdotte per cambiare la qualità, il livello o la funzione esistente della rete personale e sociale di un individuo o per creare nuove reti e relazioni per famiglie attraverso l'uso di volontari o di gruppi di pari". La definizione sottolinea come questi interventi intendano mobilitare il supporto sociale non tanto per raggiungere obiettivi generali - quali ad esempio la costruzione di una comunità - quanto piuttosto per concentrarsi su soggetti o famiglie specifiche. La popolarità di queste azioni deriva in parte dalla loro flessibilità, dalla capacità di rispondere ai bisogni individuali e dalla percezione che questi costino meno degli interventi "istituzionali".
Ad oggi, tuttavia, si conosce ancora poco sul se e come questi interventi possano migliorare il supporto sociale, ridurre i maltrattamenti o risparmiare risorse pubbliche [De Panfilis 1996]. Uno dei più importanti studi longitudinali su un intervento di supporto sociale informale, l'attivazione di gruppi di sostegno famigliare, evidenzia come la partecipazione all'attività di gruppo non ha prodotto una riduzione delle violenze ma un aumento delle denunce (quindi una riduzione del numero oscuro) e di sicuro non ha prodotto un sostanziale risparmio di costi [Santa Clara County 2001]. Altri studi [Marcenko et al. 1996] si sono concentrati su interventi di assistenza volontaria a madri in difficoltà. Le valutazioni condotte ci dicono che l'aiuto alle madri è stato efficace ma è durato solo il tempo dell'intervento. Questa considerazione sembra suggerire che gli interventi di supporto sociale informale sebbene possano produrre risultati positivi sulle famiglie, di certo non diminuiscono le spese di welfare. In generale sappiamo ancora poco sui vantaggi dei diversi interventi di sostegno sociale informale, sebbene l'orientamento prevalente ritenga che interventi intensivi intersettoriali, che integrino il supporto istituzionale con quello informale, possano offrire il risultato migliore per la popolazione. "Gli interventi informali di sostegno sociale - concludono Budde e Schene [2004, 352] - possono contribuire a prevenire la violenza famigliare, e la valutazione deve aiutarci a capire in che modo e a quali condizioni questi interventi funzionano e, quindi, possono (o non possono) contribuire, e come e in che modo è possibile realizzare un'efficace integrazione tra il sostegno sociale informale e i servizi sociali operanti sul territorio".

L'assistenza crea dipendenza? Il caso del Family Violence Option

È abbastanza normale riconoscere che chi ha avuto un passato di violenza domestica può incontrare maggiori difficoltà lavorative che lo portano a dipendere economicamente dai sistemi di welfare. Molte ricerche americane indicano un alto tasso di vittime di violenza domestica tra i beneficiari di sussidi economici, con valori che oscillano tra il 20% e il 65% [Raphael 1996; Allard, Albelda, Colten e Cosenza 1997; Browne e Bassuk 1997; Curcio 1997; Tolma e Raphael 2000]. Alcuni studi hanno cercato di capire perché questo stato di dipendenza tenda a trasformarsi da contingente a strutturale. Oltre al tempo e alle energie spese per risolvere questioni legali relative agli ordini di protezione, al divorzio e alla custodia dei figli, alcune ricerche hanno determinato altre conseguenze dirette o indirette derivanti dall'abuso del partner che complicano ulteriormente il processo di emancipazione economica. Innanzitutto, l'abuso può menomare fisicamente e psicologicamente la vittima. Si possono rinvenire, tra le vittime, casi di disordine post-traumatico da stress che creano difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro [Brush 2000]. Secondo Murhpy [1997], queste difficoltà possono includere l'incapacità di uscire di casa, di guardare al futuro, di concentrarsi o di apprendere nuove abilità e di avere relazioni sociali. Inoltre, anche quando le donne sono fisicamente e mentalmente capaci di entrare nel mercato del lavoro, l'esperienza tristemente insegna che molti partners ed ex partners violenti cercano di sabotare questi sforzi [Brandwein 2000]. Infine, anche le donne che hanno completamente recuperato dall'esperienza del maltrattamento, che sono al sicuro da nuovi attacchi, possono continuare ad avere difficoltà nel raggiungere l'autosufficienza economica per via della scarsa esperienza, della mancanza di istruzione e formazione [Raphael e Tolman 1997; Shepard e Pence 1988]. Anche sulla base di queste considerazioni, sono state sollevate diverse critiche per un provvedimento approvato dal Congresso americano nel 1997. Si tratta del Family Violence Option (FVO). Nell'ambito di una più generale revisione/riduzione delle spese di welfare, che ha reso più severi i requisiti di accesso ai servizi, il Congresso ha previsto che fossero riconosciute delle deroghe ai requisiti d'accesso per le vittime di violenza domestica. Gli Stati che si avvalevano dell'opzione della violenza in famiglia (FVO) avevano, da un lato, l'obbligo di monitorare e seguire le vittime di abuso; dall'altro avevano la possibilità di offrire deroghe ai requisiti di ammissione ai programmi di welfare che potevano ingiustamente penalizzare o mettere a rischio le donne vittime di abuso. Secondo alcuni osservatori, l'introduzione del FVO avrebbe incoraggiato le donne abusate a rimanere più a lungo nel sistema di welfare. Una ricerca condotta analizzando i casi di FVO nel Maryland [Hetling, Born 2005] non ha riscontrato particolari differenze nella durata della dipendenza dal welfare tra gli assistiti con e senza trascorsi di vittimizzazione domestica. Rimane il problema di capire in che modo e a quali condizioni è possibile promuovere programmi efficaci di reinserimento delle donne maltrattate nei circuiti formativi e lavorativi.

Mediazione e violenza domestica

La mediazione è una modalità di risoluzione dei conflitti che negli Stati Uniti è stata introdotta per risolvere dispute famigliari quali, ad esempio, l'affidamento dei figli. Considerata come alternativa alla lite, la mediazione usa una terza parte neutrale, il mediatore, per assistere e risolvere i conflitti tra le parti trovando una soluzione comune. L'appropriatezza e l'efficacia della mediazione nei casi di violenza domestica rimane una questione aperta. Gli argomenti contro l'uso della mediazione nei casi di violenza domestica includono aspetti quali la sicurezza, l'equità, l'efficacia, lo sbilanciamento di rapporti di potere a favore dell'autore delle violenze - quasi sempre l'uomo - la  decriminalizzazione e la privatizzazione della violenza domestica [Thoennes, Salem e Pearson 1995; Pearson 1997; Maxwell 1999; Imbrogno e Imbrogno 2000]. I sostenitori
della mediazione ribattono che le stesse critiche possono essere applicate al processo tradizionale. Essi sostengono invece che attraverso la mediazione la vittima si senta rafforzata e possa esercitare un ruolo attivo. Ciò provoca nell'immediato la fine delle violenze subite, nel futuro la riduzione degli abusi e la capacità di dirottare gli autori delle violenze verso programmi di aiuto appropriati [Chandler 1990; Erickson e McKnight 1990; Newmark et al. 1995; Pearson, 1997; Imbrogno e Imbrogno 2000]. Nonostante il dibattito rimanga aperto, nella realtà americana si è assistito ad una diffusione della mediazione in tutte le vicende famigliari anche per i positivi effetti registrati in altri campi. Ad esempio, l'uso della mediazione nei casi di divorzi non consensuali produce effetti positivi riducendo sia conflitti tra ex coniugi sia le dispute per l'affidamento dei figli ed il loro sostentamento [Emery, Matthews e Wyer 1991;  Tisher, Meyers, e Bartholomae 2003]. Nell'ambito della mediazione alcuni ricercatori sostengono che essa non è efficace date certe caratteristiche parentali o circostanze famigliari, inclusa la presenza di violenza dometsica  [Cohen 1991]. Altri sono di parere diverso. Recentemente una ricerca esplorativa condotta in America su un campione di 306 coppie (con e senza trascorsi di violenza domestica) ha prodotto esiti interlocutori [Tishler et al. 2004]. Sebbene l'accordo tra le parti nel processo di mediazione sia stato raggiunto più facilmente nelle coppie senza precedenti di violenza in famiglia (34% contro 22%), la differenza riscontrata non è stata statisticamente rilevante. Le conclusioni fornite dallo studio "non risolvono il dibattito intorno all'uso della mediazione nelle coppie con trascorsi di violenza in famiglia [...], tuttavia suggeriscono che possano esistere diversi modelli di partecipazione alla mediazione tra soggetti con e senza trascorsi di violenza in famiglia" [Tishler et al. 2004, 1058-1059]. In altre parole, si può affermare quanto già detto: ad oggi, la letteratura scientifica non è unanime nel considerare efficace un intervento di mediazione tra soggetti che hanno precedenti di violenza domestica.

L'aiuto a domicilio delle persone anziane può ridurre i maltrattamenti?  Il caso di New York

Non esistono molte valutazioni di efficacia sui programmi di prevenzione e contrasto alla violenza contro gli anziani. Fa eccezione uno studio condotto su un progetto finanziato dal National Institute of Justice americano [Davis e Medina-Ariza 2001] nella città di New York per ridurre il rischio di multivittimizzazione degli anziani maltrattati. Alcune famiglie che avevano denunciato un episodio di maltrattamento a danno degli anziani sono state casualmente selezionate per un intervento che prevedeva una visita a domicilio da parte della polizia e, in alcuni casi, un'attività di educazione/sensibilizzazione sul tema della violenza domestica rivolta ai famigliari. I risultati dopo 12 mesi furono sorprendenti, rivelando che le famiglie che avevano ricevuto entrambi gli interventi (visita a domicilio e sensibilizzazione) erano quelle che presentavano un numero medio di casi di abuso fisico superiore di ben quattro volte rispetto alle famiglie che non avevano subito alcun intervento. Anche la violenza psicologica presentava valori più alti nelle famiglie trattate rispetto a quelle senza trattamento. I ricercatori furono costretti a riconoscere che il programma aveva prodotto l'effetto contrario a quello desiderato. In altre parole, è possibile che gli interventi combinati avessero scatenato gli abusanti. Una reazione che appare simile agli uomini violenti che picchiano le mogli, che diventano più violenti se sottoposti a processo [Ford 1992]. Del resto, un aumento dell'abuso dopo l'intervento sembra plausibile se si considerano la natura delle relazioni nei casi di maltrattamento ai danni di anziani. Scrivono Davis e Medina-Ariza [2001, 5]: "Nei casi di violenza domestica, molte donne alla fine abbandonano il soggetto abusante. Nei casi di maltrattamento a danno di anziani, le vittime possono essere più dipendenti, sia fisicamente che finanziariamente, dall'abusante. In pratica le vittime anziane sono molto più dipendenti delle mogli abusate. Se il famigliare abusante si arrabbia per le intrusioni dei servizi, la vittima può non avere possibilità di fuga".

Il maltrattamento si può curare in famiglia? Le politiche di family preservation

Fino a che punto è legittimo preservare l'integrità di una famiglia in cui i bambini vengono maltrattati dai genitori? Quanto può essere efficace attivare un intervento di trattamento e di recupero del genitore maltrattante mantenendo la convivenza tra genitori e figli? A queste domande non sembra sia ancora possibile dare risposta. Sherman et al. [1997] evidenziano la difficoltà di stabilire con certezza se la scelta di mantenere il bambino con i genitori maltrattanti sottoposti a trattamento esponga o meno il bambino a nuovi maltrattamenti. Negli Stati Uniti, le valutazioni condotte su oltre 3.000 famiglie problematiche per comprendere l'efficacia dei programmi di trattamento hanno rivelato che anche i servizi più costosi non sembrano essere di particolare successo. Questi programmi di trattamento, della durata di circa 6 settimane per 20 o 30 ore settimanali, avevano - ad esempio - l'obiettivo di rafforzare i legami famigliari e migliorare le capacità della famiglia. Il National Research Council Panel on Child Abuse and Neglect concluse che l'efficacia dei programmi era sconosciuta. Tuttavia, questo approccio rimane a tutt'oggi popolare in quanto risulta più conveniente da un punto di vista economico. Si stima, infatti, che per il contribuente vi sia un risparmio di circa 27.000 $ per ogni bambino maltrattato che non viene ospitato fuori dalla casa famigliare. D'altra parte non esistono invece stime sui costi che la società subisce a causa di bambini che, non essendo stati trasferiti altrove, rischiano la vita e lesioni gravi in ragione di successivi maltrattamenti.

Alcune criticità

Violenza domestica e operatori di polizia

I risultati di una recente indagine statunitense sulla violenza contro le donne hanno mostrato come più del 73% delle donne che erano state fisicamente maltrattate dal proprio compagno non avevano denunciato il fatto alla polizia. La ragione principale era che ritenevano che la polizia non potesse aiutarle [Tjaden e Thoennes 2000]. Il problema del rapporto tra vittima e sistema di giustizia penale è forse uno dei più grandi problemi in tema di violenza in famiglia. Per ragioni culturali anche nelle società occidentali fino a pochi decenni fa la violenza domestica veniva riconosciuta come un fatto privato in cui la polizia non entrava. Fagan [1996] ricorda che nel 1970, in molti dipartimenti di polizia americani, l'indicazione era di scoraggiare attivamente l'arresto per le liti famigliari, concentrandosi invece su risposte alternative come gli interventi per le famiglie in crisi o il supporto per gli autori di violenza con problemi di alcol e droga. Sicuramente l'istituzione dell'arresto obbligatorio per molte situazioni di violenza domestica - attivato in Usa nel 1990 - ha inciso sull'organizzazione delle Forze di Polizia che con molta più frequenza oggi presentano gruppi di agenti specializzati in questo settore. Ovviamente una legge non può spazzare via d'un tratto modalità operative e retaggi culturali radicati nel tempo. Ed è così che, come denuncia Miller [2001], assistiamo a distorsioni applicative paradossali quali il sensibile aumento delle donne arrestate per violenza domestica. Si tratta dei cosiddetti doppi arresti (dual arrest) nei quali la polizia arresta entrambi i coniugi. Per fare un esempio si riporta il commento di un procuratore [Miller 2001, 1339]: "Jenny è stata sessualmente abusata dai suoi fratelli, aggredita ripetutamente e violentemente dal suo primo marito e, ora, con il secondo marito le aggressioni sono aumentate. Fondamentalmente, ciò che ha fatto dopo un aggressione particolarmente violenta, è stata quella di prendere i suoi vestiti, portarli in cucina e dargli fuoco. È stata incriminata per incendio doloso sebbene i rapporti di polizia avessero documentato che era stata vittima di ripetuti maltrattamenti". O ancora quello di una vittima [Miller 2001, 1359]: "Non posso ancora crederci di essere stata arrestata! Anche se lui aveva una ferita d'arma da taglio, ero io la vittima! Ho chiamato già cinque volte la polizia perché avevo gli occhi pesti, le spalle rotte e qui vengo accusata quando stavo solo cercando di tenerlo lontano da me!". Questi esempi ci ricordano ancora una volta come l'arresto assuma spesso un carattere discrezionale da parte dell'operatore e, quindi, che la formazione è importante. Martin [1997] riporta che, dopo un corso di formazione che - nei casi violenze in famiglia - spiegava agli operatori di polizia come individuare e arrestare la persona più pericolosa e che aveva causato il fatto, la polizia di Dallas ha ridotto di quasi il 20% gli episodi di dual arrest. Ci sono poi altre questioni delicate che riguardano il rapporto con le minoranze etniche e le donne immigrate. Quest'ultime difficilmente, infatti, si fanno avvicinare dalla polizia perché la considerano più una minaccia che una difesa.

Tanti arresti, qualche processo e poche condanne

Sappiamo che la violenza in famiglia, pur essendo largamente diffusa nella società, presenta tassi di non denuncia molto elevati. Quel che è peggio è che a questi bassi tassi di denuncia si associano ancora più bassi tassi di arresto e di condanna. Secondo Sherman [1992], la crescente ondata degli arresti dal 1990, maturata sulla base delle politiche di mandatory arrest nei casi di violenza domestica, ha prodotto come risultato l'ulteriore diminuzione del tasso di incarcerazione. Su 400 casi analizzati Sherman rilevò che la probabilità di essere condannato, per un autore di violenza fisica di modesta entità, era una su cento, con tasso di incarcerazione per arresto praticamente pari a zero. D'altra parte, molto spesso, i casi di violenza domestica per i magistrati sono dei complicati grattacapi in cui si hanno pochissime prove. Nella maggior parte dei casi l'unica fonte disponibile è la testimonianza della vittima che spesso ritratta o preferisce non testimoniare. Per questo, sostengono le pubbliche accuse, i tassi di incriminazione sono molto bassi [Munstermann e Archer 2001]. Le critiche alla capacità del sistema di giustizia penale di rispondere alla violenza in famiglia sono ampliamente documentate in letteratura [Buzawa e Buzawa 1996; Holder 2001]. Le principali sono: a) il sistema di giustizia penale non tratta la violenza in famiglia come una questione seria; b) nonostante il fatto che la violenza famigliare sia un reato, i tassi di imputazione suggeriscono che sia considerata altrimenti; c) c'è una mancanza di coordinamento tra le agenzie del sistema penale; d) né la sicurezza della vittima, né la responsabilità dell'autore sono praticamente affrontati dal sistema di giustizia penale; e) viene data insufficiente attenzione alla raccolta delle prove, alla sicurezza della vittima, all'arresto dell'autore al momento del fatto; f ) le cause di violenza in famiglia si estinguono con troppa facilità; g) c'è una difficoltà nel procedimento dovuta alla presenza di testimoni ambigui o ostili; h) c'è una difficoltà nel combinare con tempestività l'assistenza alla vittima con i diritti della vittima; i) c'è una mancanza di correttezza procedurale nei confronti delle vittime e un'attività di notificazione non tempestiva; l) le opzioni per la partecipazione delle vittime nel processo sono scarse; m) il tempo trascorso in attesa di essere sentiti dalla corte e i ritardi delle corti sono motivo di ulteriore stress da parte della vittima, n) le sentenze non sono efficaci nel ridurre la vittimizzazione ripetuta; o) non esistono sistemi per raccogliere informazioni sulla storia della vittima e sul contesto in cui è maturato l'abuso da parte di polizia, pubblica accusa, Tribunali e Istituti di pena. Di fronte a questi problemi, Buzawa e Buzawa [1996, 243] indicano nel coordinamento degli interventi tra organi di giustizia penale e servizi sociali il "principio guida che deve ispirare le politiche per gli anni futuri".

Violenza contro le donne e ruolo dei mass media

I mass media hanno un ruolo cruciale nella costruzione dei modelli interpretativi dei fenomeni. La rilevanza che accordano a talune notizie rispetto ad altre contribuisce a far crescere o diminuire l'attenzione dell'opinione pubblica. Così accade che spesso la violenza in famiglia sia considerata come una non notizia. Ricorda Carll che "la violenza contro le donne e i reati passionali commessi dagli uomini hanno una lunga storia e una grande tolleranza culturale. Questi omicidi e aggressioni raramente finiscono nelle prime pagine dei giornali o nei titoli di testa dei telegiornali. Tuttavia se l'autore è donna le cose cambiano. [...] L'alta visibilità data ai casi di donne omicide dà l'impressione che questi fatti accadano molto più frequentemente che nella realtà. Le violenze delle donne sono invece più rare di quelle degli uomini ed è per questo che spesso ricevono più copertura mediatica in quanto questi episodi vengono considerati come unici o originali" [2003, 1605 e 1608]. Per citare un esempio di selezione delle notizie, negli ambienti giornalistici anglosassoni è nota la "legge di McLurg" che, a proposito della notiziabilità dei disastri, afferma cinicamente che la morte di un europeo equivale a quella di 28 cinesi, quella di 2 minatori gallesi a 100 pakistani.

Immigrazione e violenza domestica: un caso dal Canada

Uno dei problemi che si sta presentando in maniera sempre più crescente anche in Italia è quello della violenza domestica nelle famiglie di immigrati. C'è una crescente consapevolezza che i programmi e le politiche sviluppate non necessariamente si adattano alla diversità di culture presenti nel territorio, rendendo più difficile l'accesso ai servizi. Prendiamo come esempio il caso delle donne indiane immigrate in Canada [Shirwadkar 2004]. La donna indiana immigrata solitamente arriva in Canada ignorando le leggi sull'immigrazione e dipendendo economicamente dallo sposo. D'un tratto perde il supporto della rete famigliare, del vicinato e della comunità di provenienza e si trova catapultata in una realtà che spesso ignora completamente [Banerjee 2000]. Questa situazione di isolamento non può che rafforzare un rapporto di dipendenza totale dal marito. Questa situazione non è sicuramente la più indicata nei casi in cui si verificano episodi di violenza domestica. A ciò si aggiungono anche fattori culturali per i quali le donne indiane difficilmente parlano degli abusi subiti in pubblico, né cercano aiuto altrove perché "anche in India c'è la tendenza ad incoraggiare e quasi a forzare la giovane donna a sopportare gli abusi in famiglia continuando a vivere con il proprio marito" [Shirwadkar 2004, 872]. Il controllo del coniuge non si attenua neppure se le donne trovano occupazione. "Le donne indiane lavoratrici talvolta hanno conti bancari separati. Non sono però informate su quante tasse devono pagare e in questo modo si sentono più dipendenti dal marito. Nella maggior parte dei casi le donne guadagnano meno del marito che però controlla ogni entrata e uscita. Nonostante ciò sono le donne a dover pagare le trasferte in India per incontrare i familiari. Le donne tendono ad accettare queste pratiche per paura di creare conflitti familiari" [Shirwadkar 2004, 872]. Inoltre, come si sottolinea [Shirwadkar 2004, 869] "le donne indiane non hanno una
chiara consapevolezza delle implicazioni del loro stato di immigrate nel caso in cui il marito violento decida di divorziare da loro. Esiste anche la paura che la donna sia accusata di abuso o non sia creduta dalla polizia. Le Forze di Polizia, infatti, non sono sempre considerate positivamente [...]. Le donne temono di subire episodi di razzismo e di discriminazione razziale dalla polizia e da altre agenzie". In contesti simili è più probabile che sia la comunità indiana, in cui la donna è inserita, ad esercitare una forma di dissuasione dai comportamenti violenti sul marito. Questa forma di controllo sociale che può intervenire nelle comunità immigrate ha tuttavia lo svantaggio di attivarsi solo quando si configuri una situazione di abuso secondo i parametri culturali della comunità immigrata e non secondo i più severi parametri della legge canadese.

La difficile convivenza tra giustizia ed efficienza: il caso delle specialized courts

Già nel 1990, Heydebrand e Seron ipotizzavano che un crescente aumento del volume dei processi combinato con una diminuzione delle risorse a disposizione del sistema giudiziario americano, avrebbe portato alla creazione di nuovi metodi amministrativi - che definirono giustizia tecnocratica - per la gestione dei casi giudiziari. L'ipotesi si è avverata: negli ultimi venti anni negli Stati Uniti si è assistito ad un fenomeno di progressiva "specializzazione del sistema giudiziario" e alla creazione di numerose corti speciali (drug courts, community courts, mental health courts, domestic violence courts). Il fenomeno ha interessato anche le violenze in famiglia [Mirchandani, 2005]. I sostenitori di questo nuovo approccio giudiziario applaudono ad una scelta che ha prodotto principalmente due effetti positivi: a) a livello simbolico, si è lanciato il messaggio che la violenza in famiglia è un problema che le istituzioni considerano seriamente; b) a livello pratico, si è resa più efficiente la macchina giudiziaria, velocizzando i processi, standardizzando le procedure, aumentando le condanne e, quindi, accrescendo la tutela della vittima e il sostegno dell'opinione pubblica. D'altro canto, c'è chi contesta questa evoluzione giudiziaria. Le critiche maggiori sostengono che la giustizia tecnocratica, in nome del controllo sociale, ha apportato modifiche organizzative in grado di mettere in discussione quei valori democratici che hanno ispirato l'azione delle corti giudiziarie americane sin dalla loro formazione (principi del giusto processo, di tutela dei diritti dell'imputato e dell'imparzialità del giudice). "Nelle domestic violence courts, tutto succede molto velocemente [...]. Il fatto accade, il capo di imputazione viene formulato il giorno seguente e l'udienza preliminare si svolge entro una o due settimane al massimo. Dice un avvocato difensore: "I tre quarti delle volte non sono neppure riuscito a vedere il fascicolo prima dell'udienza perché il processo va troppo veloce. Il capo di imputazione viene formulato martedì, l'udienza preliminare il giovedì e spesso i fascicoli e le notifiche non riescono ad arrivare in tempo nel mio studio legale" [Mirchandani, 2005]. Fino a che punto si possa puntare sull'efficienza senza intaccare i valori ideali di giustizia rimane una questione aperta.

Servizi sanitari e violenza domestica

È ormai convinzione diffusa che la violenza domestica non possa essere considerata solo come un problema del sistema giudiziario. Si avverte ormai la necessità di ricostruire il concetto di violenza in famiglia come un concetto che ha forti implicazioni di carattere sanitario. Il Dipartimento della Salute inglese sottolinea infatti [2000] che "Le conseguenze per il benessere delle persone che hanno subito violenza domestica sono di tale portata da costituire una questione di salute pubblica". Queste affermazioni però si scontrano con una realtà che vede molti operatori sanitari, in tutte le categorie, rimanere riluttanti nel superare il concetto di violenza in famiglia come un problema sociale e non invece come un problema sanitario con importanti implicazioni [Lavi et al. 2005]. Secondo questi Autori la questione della violenza domestica negli ambienti sanitari viene vista un po' come il mito del vaso di Pandora. "Penso che qualche medico, e mi ci metto anche io, se è molto occupato e ha molti pazienti in lista di attesa non fa quella domanda perché sa di aprire un vaso di Pandora. Anche se a volte ti passa per la mente, tu quella domanda non la fai" [Sugg e Innui 1992, 538].

Politica e politiche

Il rapporto tra la politica e le politiche di prevenzione può rappresentare un problema. Spesso per una questione di tempi. Da un lato, c'è il bisogno immediato della politica di gestire l'emergenza e di mostrarsi pronta a reagire agli occhi dell'opinione pubblica. Dall'altro, c'è il bisogno delle politiche di essere inserite in un contesto di riforma più ampio che richiede tempo per produrre effetti. Il risultato è sovente la perdita di una visione prospettica e la riduzione del dibattito politico a questioni contingenti, a provvedimenti on demand e quindi di facile strumentalizzazione. Così Melton [2002] descrive corrosivamente la sua esperienza di membro della Commissione nazionale americana sull'abuso infantile e il maltrattamento di cui ha fatto parte dal 1989 al 1993: "Da diverse parti, importanti politici di entrambi gli schieramenti hanno occasionalmente sostenuto di essere d'accordo con le nostre argomentazioni, e che si sarebbero impegnati a costruire il necessario consenso per un'ampia riforma del sistema attuale. [...] La frustrazione divenne grande nel momento in cui realizzai che, anche su questioni di così fondamentale importanza, si era distolti da piccole preoccupazioni di opportunità politica" [569-570]. Sempre nel rapporto tra politica e politiche non va dimenticata la resistenza, sovente manifestata delle agenzie burocratiche, a lavorare in rete. Citando l'esperienza di Melton, quando la Commissione sostenne (ragionevolmente) che la protezione dei bambini non poteva essere soltanto un compito dei servizi sociali, incontrò la forte opposizione delle lobbies che a Washington rappresentavano le agenzie di child welfare. "Raccomandazioni che potevano apparire indiscutibili furono percepite come minacciose da un gruppo (le agenzie di child welfare, Ndr) che considerava queste affermazioni come una diminuzione del proprio ruolo nella prevenzione del maltrattamento sui minori". L'impressione è che quindi ogni provvedimento di riforma debba scontrarsi (e forse ridimensionarsi) nel momento in cui si confronta con le amministrazioni che già operano nel settore. Come ebbe a dire, con tono quasi rabbioso, una donna inglese a un forum di discussione tra vittime di violenza famigliare: "è tutta una questione di potere, tutto ruota intorno al potere. Tu devi capire che [...] il potere assume molte forme, spesso nascoste. Le vittime sopravvissute non ne hanno. Le persone che siedono nelle amministrazioni devono lasciare andare un po' del loro potere. Ma non vogliono farlo - vogliono solo venire agli incontri e discutere! Puoi combattere con tutte le tue forze ma fino a che non lasciano andare un po' del loro potere è una lotta senza speranza, senza speranza" [Hague 2005, 202]. Concludiamo il paragrafo con una nota positiva: nonostante tutti questi problemi lo stesso Melton ha riconosciuto che in America negli ultimi dieci anni "ci sono stati segnali positivi di una crescita della tutela dei minori" [2002, 580].

È possibile valutare il rischio recidiva delle violenze tra partners? L'esperienza di SARA

Negli ultimi anni si è posta una crescente attenzione ai concetti di rischio e di valutazione del rischio anche nel settore della violenza tra partners [Kropp 2004]. La ragione principale deriva dalla consapevolezza della scarsità delle risorse che impone alle organizzazioni di orientare sempre di più il proprio agire secondo ordini di priorità. Nel nostro caso l'ordine di priorità dipende dall'entità del rischio corso dalla vittima di violenza di subire nuovamente violenza. Più la vittima è a rischio di nuova e intensa vittimizzazione, più è prioritario intervenire. Con il termine SARA si intende "Spousal Assault Risk Assessment", cioè la valutazione del rischio di recidiva nei casi di violenza interpersonale fra partners. Si tratta di uno degli approcci più conosciuti, messo a punto negli ultimi anni da alcuni ricercatori canadesi [Kropp et al. 1994], che ha l'obiettivo di valutare il rischio di recidiva violenta da parte di un partner nel breve e nel lungo termine. I ricercatori hanno individuato - in una checklist - dieci fattori di rischio da considerare nella valutazione di recidiva. Questi fattori sono: 1. gravi violenze fisiche/sessuali; 2. gravi minacce di violenza, ideazione o intenzione di agire violenza; 3. escalation sia della violenza fisica/sessuale vera e propria, sia delle minacce/ideazioni o intenzioni di agire tali violenze; 4. violazione delle misure cautelari o interdittive; 5. atteggiamenti negativi nei confronti delle violenze interpersonali e intrafamiliari; 6. precedenti penali; 7. problemi relazionali ; 8. status occupazionale o problemi finanziari; 9. abuso di sostanze; 10. disturbi mentali. Il metodo SARA ha dimostrato di essere affidabile nell'individuazione degli autori a maggior rischio di recidiva [Kropp e Hart 2000]. Questo approccio, se utilizzato da operatori debitamente formati, può aiutare nel selezionare i casi più a rischio e adottare strategie di prevenzione. Recentemente si è iniziato a sperimentare il metodo SARA anche in Italia [Baldry 2006].

Stimare i costi della violenza domestica

Da poco meno di una decina d'anni l'Home Office, il corrispettivo inglese del nostro Ministero dell'Interno, ha destinato risorse per realizzare ricerche sul tema dei costi della criminalità [Brand e Price 2000]. Si tratta di un filone nuovo per la criminologia che si sta consolidando negli strumenti metodologici. Il risultato di questo consolidamento è la produzione di stime sempre più accurate ed affidabili. La violenza domestica (domestic violence) è stato uno dei fenomeni criminali sui quali si è maggiormente concentrato il tentativo di offrire una possibile quantificazione [Roberts 1988; Blumel et al. 1993; KPMG 1994; Day 1995; Kerr and Maclean 1996; Miller et al. 1996; Korf et al. 1997; Godenti and Yodanis 1999; Henderson 2000]. Le due ricerche più recenti sono state condotte negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Lo studio statunitense [NCIPC 2003] è stato realizzato dal National Center for Injury Prevention and Control e si è concentrato sul fenomeno della violenza commessa tra partners (Intimate Partner Violence) . Secondo questa stima - che riguarda però solo la violenza tra partners relativamente ai reati di violenza sessuale, aggressione fisica e stalking - il costo sociale superebbe i 5,8 miliardi di dollari (4,5 miliardi di Euro). Di questi, quasi 4,1 miliardi sarebbero da addebitare a spese dirette per i servizi socio-sanitari. Il costo totale include anche 0,9 miliardi di dollari di produttività persa al lavoro (a casa e in ufficio) e 0,9 miliardi di dollari di mancato guadagno per le vittime di omicidio. Gli autori tuttavia evidenziano come la stima sia solo parziale a causa di dati poco aggiornati (riferiti al 1995), incompleti e/o mancanti. Più rigoroso risulta, invece, lo studio inglese [Walby 2004]. Lo studio si concentra anch'esso solo sulla violenza tra partners, in tutte le sue forme . Le voci di costo individuate dalla ricerca includono sia i servizi finanziati dallo stato (giustizia, sanità, servizi sociali, edilizia popolare), sia la perdita economica sostenuta dalla vittima e dal datore di lavoro, sia i costi umani ed emozionali. Secondo questa stima, il costo annuale della violenza domestica tra partners - sebbene ispirato a criteri prudenziali - ammonterebbe ad oltre 22 miliardi di sterline (circa 33 miliardi di Euro). Di questi quasi l'80% sarebbe imputabile ai costi umani ed emozionali, ossia il dolore e la sofferenza provati dalla vittima in conseguenza della violenza subita. Perchè è utile quantificare i costi sociali di un fenomeno criminale? Innanzitutto per supportare i policy makers sostenitori delle politiche di contrasto. Quantificare il costo della violenza domestica serve a sensibilizzare l'opinione pubblica sull'estensione e sulla gravità del fenomeno. Inoltre, in un contesto di razionalizzazione/riduzione delle risorse, aiuta a far emergere quei costi nascosti (il costo umano ed emozionale) che aiutano a sostenere la convenienza - non solo politica ma anche economica - di intervenire per contrastare il fenomeno.

5 "La violenza commessa tra partners - anche chiamata domestic violence, battering, o spouse abuse - è la violenza commessa da un coniuge, ex coniuge,attuale o precedente fidanzato/a. Può verificarsi indifferentemente tra coppie eterosessuali e coppie omosessuali" (NCIPC, 2003: 3).
6 L'Home Office definisce la violenza domestica come "Qualsiasi violenza tra attuali ed ex partners in una relazione di intimità, dovunque e ogni
volta che questa accade. La violenza può includere l'abuso fisico, sessuale, emozionale e finanziario" (Home Office 2003: 6).

BIBLIOGRAFIA
Allard, M.A., Albelda, R., Colten, M. E., e Cosenza, C. (1997), In harm's way? Domestic violence, AFDC receipt, and welfare reform in Massachusetts. Boston: University of  Massachusetts Press.
AAP - American Academics of Pediatrics (1998), "The Role of Home-Visitation Programs in Improving Health Outcomes for Children and Families", in Pediatrics, Vol. 101 N. 3.
Austin, G.B, Dankwort, J. (1999), "Standards for Batterer Programs - A review and Analysis", in Journal of Interpersonal Violence, Vol. 14, N. 2.
Baldry, A. C. (2006), Dai maltrattamenti all'omicidio - La valutazione del rischio di recidiva e dell'uxoricidio, Franco Angeli, Milano.
Banerjee, H. (2000), The dark side of the nation: Essay on multiculturalism, nationalism and gender, Toronto, Canada, Canadian Scholar's Press.
Bardi M, Borgognini-Tari SM. (2001), "A survey of parent-child conflict resolution: intrafamily violence in Italy", in Child Abuse and Neglect, Vol. 25.
Bennett, L., Riger, S., Schewe, P., Howard, A., Wasco, S. (2004), "Effectiveness of Hotline, Advocacy, Counseling, and Shelter Services for Victims of Domestic Violence.
A Statewide Evaluation", in Journal of Interpersonal Violence, Vol. 19, N. 7.
Berk, R., Newton, P.J., Berk, S.F. (1986), "What A Difference A Day Makes: An Empirical Study of the Impact of Shelters For Battered Women", in Journal of Marriage and the Family, Vol. 48.
Berliner, L. (2003), "Introduction: Making Domestic Violence Victims Testify", in Journal of Interpersonal Violence, Vol. 18, N. 4.
Bernard, M.L., Bernard, J.L. (1983), "Violent Intimacy: The Family as a Model for Love Relationships", in Family Relations.
Blumel, D.K., Gibb, G.L., Innis, B.N., Justo, D.L., Wilson, D.W. (1993), Who Pays?
The Economic Costs of Violence Against Women, Sunshine Coast: Sunshine Coast Interagency Research Group Queensland for the Women's Policy Unit.
Brand, S., Price, R. (2000), The Economic and Social costs of Crime, Home Office Research Study 217, London, Home Office.
Brandwein, R. A. (2000), "Toward real welfare reform: The voices of battered women", in Journal of Women and SocialWork, Vol. 15.
Browne, A., Bassuk, S.S. (1997), "Intimate violence in the lives of homeless and poor housed women: Prevalence and patterns in an ethnically diverse sample", in American Journal of Orthopsychiatry, Vol. 67.
Browne, A., Williams, K.R. (1989), "Exploring the Effect of Resource Availability and the Likelihood of Female-Perpetrated Homicides", in Law and Society Review, N. 23.
Brush, L. (2000). Battering, traumatic stress, and welfare-to-work transition. Violence Against Women, 6.
Budde, S., Schene, P. (2004), "Informal Social Support Intervention and Their Role in Violence Prevention - An Agenda for Future Evaluation", in Journal of Interpersonal Violence, Vol. 19, N. 3.
Buzawa, E.S., Buzawa, C.G. (1996), Domestic Violence: The Criminal Justice Response, Sage, Thousand Oaks, CA.
Campbell, J.C., Soeken, K.L. (1999), "Women's Responses to Battering Over Time: An Analysis of Change", in Journal of Interpersonal Violence, Vol. 14.
Canadian Centre for Justice Statistics (2002), Family Violence in Canada: A Statistical Profile 2002, Ottawa: Statistics Canada.
Carll, E.K. (2003), "News Portrayal of Violence and Women - Implications for Public Policy" in American Behavioral Scientist, Vol. 46, N. 12.
Carlson, M.J., Harris S.D., Holden G.W. (1999), "Protective Orders and Domestic Violence: Risk Factors for Re-Abuse", in Journal of Family Violence, Vol. 14, N. 2.
Chandler, D. B. (1990). "Violence, fear, and communication: The variable impact of domestic violence on mediation", In Mediation Quarterly, Vol. 7, N. 4.
Chanley et al. (2001), "Providing Refuge: The Value of Domestic Violence Shelter Services", in The American Review of Public Administration, Vol. 31.
Chapman, J., Siegel, E., Cross, A. (1990), "Home visitors and child health: analysis of selected programs", in Pediatrics, Vol. 85.
Chen, H., Bersani, C., Myers, S.C., Denton, R. (1989), "Evaluating the effectiveness of a court sponsored abuser treatment program", in Journal of Family Violence, Vol. 4, N. 4.
Cohen, L. (1991), "Mandatory mediation: A rose by another name", in Mediation Quarterly, Vol. 9, N. 1.
Cowan, A.B., Schwartz, I.M. (2004), "Violence in the family: Policy and practice disparities in the treatment of children" in Children and Youth Service Review, N. 26.
Crawford, M., Gartner R. (1992), Woman Killing: Intimate Femicide in Ontario 1974- 1990, Toronto, Ontario: Government of Ontario, Ministry of Social Services, Woman's Directorate.
Curcio,W. (1997), The Passaic County study of AFDC recipients in a welfare-to-work program, Passaic County, NJ: Passaic County Board of Social Services.
Davis, R.C., Medina-Ariza, J. (2001), Results from an Elder A buse Prevention Experiment in New York City, National Institute of Justice.
Davis, R.C., Taylor, B.G. (1999), "Does battered treatment reduce violence? A synthesis of the literature", in Women and Domestic Violence: An Interdisciplinary Approach, Vol. 10.
Day, T. (1995), The Health Related Costs of Violence Against Women in Canada: The Tip of the Iceberg, London, Ontario: Centre for Research on Violence Against Women and Children.
De Panfilis, D. (1996), "Social isolation of neglectful families: A review of social support assessment and intervention models", in Child Maltreatment, Vol. 1.
Department of Health (2000), Domestic Violence: A Resource Manual for Health Care Professionals, London, Department of Health Publications.
Dobash, R.E, Dobash, R.P. (2000), "Evaluating Criminal Justice Intervention for Domestic Violence" in Crime and Delinquency, Vol. 46, N. 2.
Dugan, L., Nagin, D.S., Rosenfeld, R. (2003), "Exposure Reduction or Retaliation?
The Effects of Domestic Violence Resources on Intimate-Partner Homicide", in Law and Society Review, Vol. 37, N. 1.
Emery, R.E., Matthews, S.G., Wyer, M.M. (1991), "Child custody mediation and liLe violenze in famiglia in tre dimensioni: internazionale, nazionale, locale 48
tigation: Further evidence on the differing views of mothers and fathers", in Journal of Consulting and Clinical Psychology, Vol. 59, N. 3.
Erickson, S. K., McKnight, M.S. (1990), "Mediating spousal abuse divorces", in Mediation Quarterly, Vol. 7, N. 4.
Fagan, J. (1996), The Criminalization of Domestic Violence: Promises and Limits, NIJ Research Report reperibile sul sito internet http://www.ncjrs.gov/txtfiles/crimdom.
Fagan, J., Browne, A. (1994), "Violence between spouses and intimates: Physical aggression between women and men in intimate relationships", in Reiss, A.J., Roth, J.A. (Eds.), Understanding and preventing violence, Vol. 3, Social influences, Washington, DC: National Academy Press.
Fields, M.D. (1995), Combating Domestic Violence: A History, reperibile sul sito internet http://www.law.du.edu/castlerock/Fields%20-%20DV%20Laws%20Services%20 US% 0History%203-06.pdf.
Flemming, B. (2003), "Equal Protection for Victims of Domestic Violence", in Journal of Interpersonal Violence, Vol. 18, N. 6.
Ford, D.A. (2003), "Coercing Victim Participation in Domestic Violence Prosecutions" in Journal of Interpersonal Violence, Vol. 18, N. 6.
Ford, D.A. (1992), "The Preventing Impacts of Policies for Prosecuting Wife Batterers" in Buzawa, E.S., Buzawa, C.G., Domestic Violence The Changing Criminal Justice Response, Westport, CT: Greenwood Publishing Group, inc.
Garner, J., Fagan, J., Maxwel (1995), "Published Findings from the Spouse Abuse Replication Project: a Critical Review", in Journal of Quantitative Criminology, Vol. 11.
Godenzi, A., Yodanis, C. (1999), Report on the Economic Costs of Domestic Violence Against Women, Fribourg, University of Fribourg, Switzerland.
Goetting, A. (1995), Homicide in Families and Other Special Populations, New York, Springer.
Hague, G. (2005), "Domestic Violence Survivors' Forums in the UK: Experiments in Involving Abused Women in Domestic Violence Services and Policy Making", in Journal of Gender Studies, Vol. 14, N. 3.
Hamberger, L.K., Hastings, J.E. (1993), "Court-mandated treatment of men who assault their partner: Issues controversies and outcomes", in Hilton, N.Z. (Ed.), Legal responses to wife assault: Current trends and evaluation, London, Sage.
Harrell, A., Smith, B., Newmark, L. (1993), Court Processing and the Effects of Restraining Orders for Domestic Violence Victims, Washington, DC: The Urban Institute.
Henderson, M. (2000), Impacts and Costs of Domestic Violence on the Australian Business/ Corporate Sector, Brisbane: Lord Mayor's Women's Advisory Committee, Brisbane City Council.
Hetling, A., Born, C.E. (2005), "Examining the Impact of the Family Violence Option on Women's Efforts to Leave Welfare", in Research on Social Work Practice, Vol 15, N. 3.
Heydebrand, W., Seron, C. (1990), Rationalizing Justice: The Political Economy of Federal District Courts, Albany, NY: SUNY Press.
Holt, V.L., Kernic, M.A., Lumley, T., Wolf, M.E., Rivara, F.P. (2002), "Civil Protection Orders and Risk of Subsequent Police-Reported Violence" in JAMA, Vol. 288.
Holder, R. (2001), Domestic and Family Violence: Criminal Justice Interventions, Australian Domestic and Family Violence Issues, Paper 3.
Holzer, P.J., Higgins, J.R., Bromfield, L.M., Richardson, N., Higgins, D.J. (2006a), "The effectiveness of parent education and home visiting child maltreatmen prevention programs" in Austalian Institute of Family Studies, N. 24.
Holzer, P.J., Bromfield, L.M., Richardson, N., Higgins, D.J. (2006b). Child abuse prevention: What works? The effectiveness of parent education programs for preventing child maltreatment. Research Brief no.1, reperibile sul sito internet http://www.aifs.gov. au/nch/pubs/researchbrief/rb1.html
Higgins, J., Bromfield, L. M., Richardson, N., Higgins, D. J. (2006c). Child abuse prevention: What works? The effectiveness of home visiting programs for preventing child maltreatment. Research Brief no. 2, reperibile sul sito internet http://www.aifs.gov.au/ nch/pubs/researchbrief/rb2.html Home Office (2003), Safety and Justice: The Government's Proposals on Domestic Violence, London, Home Office.
Humphries, D. (2002), "No Easy Answers: Public Policy, Criminal Justice, and Domestic Violence", in Criminology and Public Policy.
Imbrogno, A.R., Imbrogno, S. (2000), "Mediation in court cases of domestic violence", in Families in Society, Vol. 81, N. 4.
Ingrao, C., Scoppa, C. (a cura di) (2000), Donne 2000. Le cose fatte, gli ostacoli incontrati, le cose da fare, Dipartimento per la comunicazione e l'editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri, Roma.
Kempe, C. (1976), "Approaches to preventing child abuse: the health visitors concept", in American Journal of Diseases of Children, Vol. 13.
Kerr, R., McLean, J. (1996), Paying for Violence: Some of the Costs of Violence Against Women in BC,British Colombia: Ministry of Women's Equality.
Korf, D.J., Meulenbeek, H., Mot, E., van den Brandt, T. (1997), Economic Costs of Domestic Violence Against Women, Utrecht, Netherlands: Dutch Foundation of Women's Shelters.
KPMG (1994), Economic Costs of Domestic Violence in Tasmania, Tasmanian Domestic Violence Advisory Committee, Hobart: Office of the Status of Women.
Kritzman, H., Olds, D.L., Henderson, C.R., et al. (1997), Long term effects of home visitation on maternal life course and child abuse and neglect: fifteen year follow-up of a randomized trial, JAMA, Vol. 278.
Kropp, P.R. (2004), "Some Questions Regarding Spousal Assault Risk Assessment", in Violence Against Women, Vol. 10, N. 6.
Kropp, P. R. e Hart, S. D. (2000), "The Spousal Assault Risk Assessment (SARA) Guide: Reliability and Validity in Adult Male Offenders" in Law and Human Behavior, Vol. 24, N. 1.
Kropp, P. R., Hart, S. D.,Webster, C. D., Eaves, D. (1994), Manual for the Spousal Assault Risk Assessment Guide, Vancouver: British Columbia Institute on Family Violence.
Krug, E.G. et al. (2002), "Violenza e salute nel mondo" in Quaderni di Sanità pubblica, OMS.
Lavis, V., Horrocks, C., Kelly, N., Barker, V. (2005), "Domestic Violence and Health Care: Opening Pandora's Box - Challenges and Dilemmas", in Feminism and Psychology, Vol. 15, N. 4.
Le violenze in famiglia in tre dimensioni: internazionale, nazionale, locale 50
MacLeod, J., Nelson, G. (2000), "Programs for the promotion of family wellness and the prevention of child maltreatment: A meta-analytic review", in Child Abuse and Neglect, Vol. 24, N. 9.
Marcenko, M.O., Spence, M., Samost, L. (1996). "Outcomes of a home visitation trial for pregnant And postpartumwomen at risk for child placement", in Children and Youth Services Review, Vol. 18, N. 3.
Martin, M.E. (1997), "Double your trouble: Dual arrest in family violence", in Journal of Family violence, Vol. 12.
Maxwell, J. P. (1999), "Mandatory mediation of custody in the face of DV: Suggestions for courts and mediators", in Family and Conciliation Courts Review, Vol. 37, N. 3.
Melton, G.B., (2002) "Chronic Neglect of Family Violence: More than a Decade of Reports to Guide US Policy" in Child Abuse and Neglect, Vol. 26.
Melton, G.B., Andrews, A.B. (2000), "Building Systems for Safety in the Family: the US Experience. New Global Development", in Journal of International and Comparative Social Welfare, Vol. 16.
Merry, S.E., (2003), "Constructing a Global Law-Violence against Women and the Human Rights System", in Law & Social Inquiry,Vol. 28, N. 4.
Miller, S. (2001), "The Paradox of Women Arrested for Domestic Violence: Criminal Justice Professionals and Service Providers Respond in Journal", in Violence Against Women, Vol. 7, N. 12.
Miller, T.R., Cohen, M.A., Wiersema B. (1996), Victim Costs and Consequences: A New Look, U.S. Department of Justice, Office of Justice Programs, National Institute of Justice.
Mirchadani, R. (2005), "What's So Special about Specialized Courts? The State and Social Change in Salt Lake City's Domestic Violence Court", in Law and Society Review, Vol. 379, June.
Munstermann, N., Archer, K. (2001), Personal communication, Office of the DPP, Canberra, ACT.
Murphy, P.A. (1997), "Recovering from the effects of domestic violence: Implications for welfare reform policy", in Law and Policy, Vol. 19.
Newmark, L., Harrell, A., Salem, P. (1995), "Domestic violence and empowerment in custody and visitation cases", in Family and Conciliation Courts Review, Vol. 33, N. 1.
National Center for Injury Prevention and Control (2003), Costs of Intimate Partner Violence Against Women in the United States, Atlanta BA, USA: Centers for Disease Control and Prevention.
Olds, D.L., Henderson, C.R. Jr, Chamberlin, R., Tatelbaum, R. (1986), "Preventing child abuse and neglect: a randomized trial of nurse home visitation", in Pediatrics, Vol. 78.
ONU (2002), Abuse of older person: recognizing and responding to abuse of older persons in a global context, New York.
ONU (2006), Behind closed doors: the impact of domestic violence on children, New York.
Pearson, J. (1997), "Mediating when domestic violence is a factor: Policies and practices in courtbased divorce mediation programs", in Mediation Quarterly, Vol. 14, N. 4.
Raphael, J. (1996), Prisoners of abuse: Domestic violence and welfare receipt, Chicago, The Taylor Institute.
Raphael, J., Tolman, R. (1997), Trapped by poverty/trapped by abuse: New evidence documenting the relationship between domestic violence and welfare, Ann Arbor, MI: The Project for Research on Welfare, Work, and Domestic Violence.
Santa Clara County Social Services Agency (2001), Executive summary: Evaluation of the Santa Clara Family Conference Model, San Jose, CA: Author.
Shepard, M., Pence, E. (1988), "The effect of battering on the employment status of women", in Journal of Women and Social Work, Vol. 3.
Sherman, L.W., Gottfredson, D., MacKenzie, D., Eck, J., Reuter, P., Bushway, S. (1997), Preventing Crime: What Works, What Doesn't, What's Promising, National Institute of Justice, Washington.
Sherman, L. W., Schmidt, J.D., Rogan, D.P. (1992), Policing domestic violence: Experiments and dilemmas, New York, The Free Press.
Shirwadkar, S. (2004), "Canadian Domestic Violence Policy and Indian Immigrand Women", in Violence against Women, Vol. 10, N. 8.
Sugg, N.K., Innui, T. (1992), "Primary Care Physicians' Responses to Domestic Violence: Opening Pandora's Box", in Journal of the American Medical Association, Vol. 267.
Straus, M.A. et al. (1998), "Identification of child maltreatment with the Parent-Child Conflict Tactics Scales: development and psychometric data for a national sample of American parents", in Child Abuse and Neglect, Vol. 22.
Thoennes, N., Salem, P., Pearson, J. (1995), "Mediation and DV: Current policies and practices", in Family and Conciliation Courts Review, Vol. 33, N. 1.
Tishler, C.L., Bartholomae, S., Katx, B.L., Meyers, L.L. (2004), "Is Domestic Violence Relevant? An Exploratory Analysis of Couples Referred for Mediation in Family Court", in Journal of Interpersonal violence, Vol. 19, N. 9.
Tishler, C.L., Meyers, L.L., Bartholomae, S. (2003), "Mediation and child support: An effective partnership", in Journal of Divorce and Remarriage, Vol. 38.
Tomison, A.M. (2000), Evaluating child abuse prevention programs. Child Abuse Prevention Issues, reperibile sul sito internet http://www.aifs.gov.au/nch/issues12.html.
Tremblay, R.E. (2003), Early Development and Prevention of Physical Aggression, relazione presentata alla conferenza "Per una società più sicura - Istat", Roma, 3-5 Dicembre 2003.
Tyaden, P., Thoennes, N. (2000), Full Report of the Prevalence, Incidence, and Consequences of Violence Against Women, Finding from the National Violence Against Women Survey, Washington D.C., U.S. Department of Justice.
Walby, S. (2004), The cost of domestic violence, London, Women and Equality Unit. UNIFEM (2003), A Life Free of Violence. It's Our Right!, reperibile sul sito internet http:// www.unifem-eseasia.org/resources/others/domesticviolence/dvkit.htm.
OMS (2005), Multi-country Study on Women's Health and Domestic Violence against Women, Ginevra.
Young, M., Byles, J., Dobson, A. (2000), "The Effectiveness of Legal Protection in the Prevention of Domestic Violence in the Lives of Young Australian Women", in Trends and Issues in Crime and Criminal Justice, N. 148.
Zakirova, V. (2005), "War against the Family: Domestic Violence and Human Rights in Russia - A View from the Bashkortostan Republic", in Current Sociology, Vol. 53, N. 1.