Cass. pen. Sez. III, 05.08.2008, n. 32698



Sentenza


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ALTIERI Enrico - Presidente
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere
Dott. SENSINI Maria Silvia - Consigliere
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere

ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) C.M. N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 02/03/2007 CORTE APPELLO di BOLOGNA;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. SQUASSONI CLAUDIA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Passacantando Guglielmo che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Merlini Maurizio.
Svolgimento del processo - motivi della decisione

Con sentenza 22 settembre 1997, il Tribunale di Bologna ha ritenuto C.M. responsabile del reato di violenza sessuale continuato, perpetrato con violenza e minaccia ed abuso delle condizioni di inferiorità fisica, ai danni della minore D.P. R. figlia di sua moglie ed a lui affidata per ragioni di vigilanza e cura (reato commesso dalla entrata in vigore della L. n. 66 del 1996 fino al (OMISSIS)) e lo ha condannato alla pena di anni cinque e mesi sei di reclusione; la decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Bologna con sentenza 2 marzo 2007.
Per giungere a tale conclusione, i Giudici hanno ritenuto attendibile e credibile il circostanziato racconto accusatorio della giovane; in tale modo, hanno disatteso la prospettazione della difesa la quale aveva sostenuto come le insanabili contraddizioni della ragazza su punti essenziali nella ricostruzione dei fatti ne minassero alla radice la attendibilità.
La Corte ha osservato come, a conforto delle accuse della parte lesa, vi fossero le testimonianze de relato dei familiari e la confessione extragiudiziale dello imputato.
Infine i Giudici hanno disatteso la richiesta di mitigazione della pena con la concessione delle attenuanti generiche.
Per l'annullamento della sentenza, l'imputato ha proposto ricorso per Cassazione deducendo difetto di motivazione e violazione di legge.
Rileva come le discrasie del racconto della ragazza non siano minime in quanto concernono il luogo, il tempo e le modalità dell'azione.
In particolare, le critiche del ricorrente si incentrano sulla ritenuta marginalità delle differenze inerenti alla descrizione dei primi due episodi di violenza (per i quali non si procede, ma sono importanti per valutare la credibilità della giovane); il ricorrente focalizza le divergenze narrative al fine di rilevare come la valutazione dei Giudici di "insignificanza" delle contraddizioni non corrisponda alle emergenze processuali.
Indi, l'imputato lamenta la mancata valutazione delle dichiarazioni testimoniali che escludevano, per il primo episodio di violenza, che i fatti si fossero snodati secondo la versione della ragazza; rileva come i testi de relato non siano a conforto delle dichiarazioni della giovane e come non vi sia alcuna confessione extragiudiziale.
Quanto al trattamento sanzionatorio, il ricorrente osserva che non sussistono le condizioni per ritenere il reato aggravato, ex art. 609 ter c.p., e continuato.
Le censure (al limite della inammissibilità) non sono meritevoli di accoglimento.
Deve, innanzi tutto, precisarsi come tutte le critiche alla attendibilità della parte lesa, ora al vaglio di legittimità, siano state proposte all'esame dei Giudici di merito, prese nella dovuta considerazione, e confutate; di tale motivazione, il ricorrente non tiene conto nella redazione della sue censure che, sotto tale profilo, sono prive della necessaria concretezza perchè non in sintonia con le ragioni giustificatrici della impugnata sentenza.
Tanto premesso, la Corte rileva come il fulcro del ricorso si incentri nella tesi della inaffidabilità della giovane dichiarante per le variegate versioni dei fatti fornite sulle modalità delle prime violenze e sul numero delle stesse.
In presenza di tale critica, il compito della Corte ha un orizzonte circoscritto e non deve estendersi ad una nuova ponderazione del compendio probatorio, ma limitarsi a valutare se i Giudici di merito abbiano giustificato le loro conclusioni con apparato argomentativo non illogico o carente.
In esito a tale circoscritta disamina, il Collegio rileva che la sentenza impugnata non presenta vizi motivazionali deducibili in questa sede. Sia il Tribunale sia la Corte di Appello (nelle loro sentenza che, essendo conformi, si integrano a vicenda costituendo un tutto organico) hanno dato atto che la giovane aveva collocato la prima violenza nel (OMISSIS) e successivamente, in modo spontaneo, si era corretta ed aveva precisato che l'episodio risaliva allo (OMISSIS).
Sul punto, i Giudici hanno evidenziato che la giovane aveva spiegato, in modo plausibile, la inesatta collocazione che è giustificabile (come altre inesattezze della sua narrazione) anche con il coinvolgimento emotivo della dichiarante e con il lasso di tempo trascorso dai fatti.
Le testimonianze dei familiari sono state considerate dai Giudici non incompatibili con lo snodarsi dei fatti,inerenti al primo episodio, narrato dalla parte lesa; la motivazione sul tema, logica e corretta, non può essere messa in discussione in questa sede.
Relativamente alla reiterazione della violenze patite, la Corte ha rilevato come la ragazza, nella fase delle indagini, avesse riferito di una"decina di volte", mentre in querela ed al dibattimento di "innumerevoli volte"; i Giudici hanno evidenziato come la discrasia fosse apparente in quanto la parte lesa ha chiarito come il numero delle violenze precisato nelle indagini fosse limitato, in coerenza con la domanda dello intervistatore, a quelle subite nell'arco di un mese.
A conforto delle dichiarazioni accusatorie della giovane (la cui trama narrativa è logica, coerente, lucida) i Giudici hanno evidenziato elementi di riscontro quale la confessione extragiudiziale dello imputato; lo stesso C. ha ammesso la circostanza dichiarando di essersi lasciato sfuggire quelle parole "per rabbia".
Altro riscontro è rinvenibile nella confidenza fatta dalla parte lesa ad una cuginetta, alla zia, alla nonna e dal comportamento tenuto dallo imputato in esito alle rivelazioni della giovane.
Le dichiarazioni dibattimentali di tali familiari, che hanno tentato di ridimensionare le accuse formulate dalla parte lesa nei confronti dello imputato, sono state valutate come compiacenti "nell'ottica di un salvataggio ad oltranza del C." (come risulta dalla sentenza del Tribunale che ha dedicato al tema buona parte della articolata motivazione); sul punto, lo apparato argomentativo è congruo e logico e, pertanto, insindacabile da questa Corte.
In tale contesto, il ricorrente chiede una rinnovata ponderazione delle prove e propone censure che esulano dai limiti cognitivi della Cassazione anche dopo la riformulazione dell'art. 606 c.p.p. ad opera della L. n. 46 del 2006.
La novazione legislativa ha attribuito alla Corte di legittimità la facoltà di verificare la tenuta logica del provvedimento impugnato con indagine extratestuale, ma ha tenuto fermo il divieto - in presenza di una motivazione non manifestamente illogica o contraddittoria - di una diversa valutazione delle prove anche se plausibile.
Di conseguenza, non è sufficiente, per invocare il nuovo vizio motivazionale, che alcuni atti del procedimento siano astrattamente idonei a fornire una valutazione diversa di quella operata nello impugnato provvedimento; occorre che le prove, che il ricorrente segnala a sostegno del suo assunto, siano decisive e dotate di una forza esplicativa tale da vanificare l'intero ragionamento svolto dal Giudice di merito. Nel caso concreto, il ricorrente non indica alcuna prova da qualificarsi decisiva nel senso precisato, ma propone una rinnovata ponderazione del coacervo istruttorio agli atti.
Puntuale è la critica sulla formulazione del capo di imputazione nel quale è inserita la aggravante di "avere commesso il fatto con abuso di relazioni domestiche e di coabitazione"; tale aggravante è contestata ex art. 609 ter c.p., mentre avrebbe dovuto essere contestata a sensi dell'art. 61 c.p., n. 11.
Tuttavia, poichè della aggravante i Giudici non hanno tenuto conto nella quantificazione della sanzione (per la quale sono partiti dalla pena base di anni cinque aumentata di mesi sei a sensi dell'art. 81 cpv c.p.), la censura è inconferente.
In merito alla reiterazione della condotta, è appena il caso di ricordare come la parte lesa avesse quantificato in circa dieci le violenze patite nell'arco di ogni mese fino al (OMISSIS);
pertanto, non si può dubitare che nel lasso temporale limitato dalla contestazione i reati siano stati plurimi con conseguente legittimità del ritenuto vincolo della continuazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 19 giugno 2008.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2008