Cass. pen. Sez. III, 11.07.2008, n. 28821



Sentenza

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Magistrati:
Dott. DE MAIO Guido - Presidente
Dott. SQUASSONI Claudia - Consigliere
Dott. GENTILE Mario - Consigliere
Dott. MARINI Luigi - Consigliere
Dott. GAZZARA Santi - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) M.A., N. IL (OMISSIS);

avverso SENTENZA del 05/03/2007 CORTE APPELLO di PALERMO;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. SQUASSONI CLAUDIA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. MONTAGNA Alfredo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore Avv. CAVARETTA Michele di Trapani.
Svolgimento del processo - motivi della decisione

In parziale riforma della decisione del primo Giudice, la Corte di Appello di Palermo, con sentenza 5 marzo 2007, ha ritenuto M. A. responsabile dei reati di maltrattamenti in famiglia e di violenza sessuale continuata ai danni della figlia F. (minore degli (OMISSIS)) e lo ha condannato alla pena di giustizia oltre alle accessorie ed al risarcimento dei danni a favore delle parti civili.
Per giungere a tale conclusione, i Giudici hanno ritenuto attendibile e credibile il racconto accusatorio delle parti lese - circa il clima di continui soprusi e vessazioni creato dallo imputato ai danni dei familiari - perchè confortato da significative risultanze testimoniali e documentali; la Corte ha rilevato come le deposizioni di parenti, vicini di casa e di rappresentati delle forze dell'ordine, chiamati per sedare le liti in casa M., ed i certificati medici relativi alla moglie dello imputato fossero idonei a sorreggere la declaratoria di responsabilità per quanto concerne il reato di maltrattamenti.
Relativamente al delitto sessuale, la Corte ha ritenuto affidabile la narrazione di F. e disatteso la prospettazione della difesa, la quale aveva sostenuto come le dichiarazioni della ragazza fossero pretestuose e finalizzate ad allontanare il padre da casa.
Per l'annullamento della sentenza, l'imputato ha proposto ricorso per Cassazione deducendo difetto di motivazione e violazione di legge, in particolare, rilevando quanto segue.
La nullità della notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello avvenuta con la formalità dell'art. 157 c.p.p., comma 8 bis, di cui solleva eccezione di legittimità costituzionale per violazione dei principi recepiti dalla Convenzione dei Diritti dell'Uomo e dalla Corte Europea; la notifica non garantisce che l'imputato sia noviziato del processo contro di lui pendente.
Il ricorrente deduce, inoltre, la nullità dello incidente probatorio della minore perchè le formalità con cui è stato effettuato (l'imputato poteva conferire con il legale solo tramite collegamento telefonico) impedivano un costante, immediato, reciproco contato tra difeso e difensore.
Per quanto concerne il reato di maltrattamenti, il ricorrente, per i vari episodi considerati dai Giudici di merito, passa in rassegna le emergenze probatorie non per chiederne una nuova valutazione, ma al fine di rilevare come siano state travisate e male interpretate in chiave accusatoria.
Relativamente al delitto sessuale, ribadisce la tesi secondo la quale i rapporti con F. erano buoni (nel ricorso trascrive una lettere affettuosa che mai gli avrebbe inviato una figlia abusata);
rileva che la moglie (pur edotta, almeno da una certa data in poi, della violenza) non ha subito reso pubblico l'accaduto; sostiene che la denuncia, tardiva, è stata proposta nella immediatezza della sua scarcerazione per fare in modo che non avesse più contatti con la moglie e ripristinare la serenità in famiglia.
Il ricorrente dubita della legittimità costituzionale dell'art. 157 c.p.p., comma 8 bis, sostenendo che la domiciliazione ex lege presso il difensore di fiducia non garantisce allo imputato la effettiva conoscenza della esistenza del procedimento a suo carico ; in tale situazione, la dichiarazione di contumacia può avvenire senza una reale volontà dello interessato di essere giudicato in sua assenza.
La questione è già stata dichiarata manifestamente infondata dalla Corte Costituzionale con sentenza 136/2008.
La tesi del ricorrente non tiene conto che la procedura ex art. 157 c.p.p., comma 8 bis, si instaura dopo una prima notifica allo interessato (in esito alla quale, ha avuto notizia del procedimento contro di lui pendente); inoltre, le notifiche successive alla prima non devono essere effettuate in ogni caso con la procedura censurata in quanto il difensore può rendere inapplicabile la norma dichiarando di non accettare le notificazioni e l'imputato può, con dichiarazione o elezione di domicilio, neutralizzare la domiciliazione legale per le notifiche.
Il ricorrente evidenzia delle difficoltà che il difensore incontra nell'applicazione dell'art. 157 c.p.p., comma 8 bis, e che sono collegate ad una non esatta interpretazione del testo normativo e, cioè, al rilievo che il rifiuto debba avvenire al momento della notifica; il difensore deve manifestare la sua volontà di non essere domiciliatario in occasione della nomina o subito dopo la stessa (per dare la possibilità alla autorità giudiziaria di conoscere preventivamente il destinatario delle notifiche).
Nel caso, che è quello in esame, in cui la norma dell'art. 157 c.p.p., comma 8 bis, sia intervenuta dopo il conferimento dell'incarico, il difensore doveva notiziare l'autorità procedente del suo rifiuto con una tempestiva comunicazione da effettuarsi subito dopo la novazione legislativa.
Con il secondo motivo, il ricorrente rileva che il metodo di conduzione dello incidente probatorio gli ha inibito una completa azione difensiva.
Sul punto, si rileva come l'art. 398 c.p.p., comma 5 bis, preveda una serie di cautele per l'escussione di un minore che convergono verso lo scopo, che per il codice è la linea guida in materia, di evitare al giovane dichiarante lo stesso ed i possibili danni conseguenti ad una audizione giudiziaria.
Tra le cautela a protezione del minore, si annovera la possibilità che l'imputato non sia presente nell'aula in cui si svolge l'incidente probatorio e sia collegato con il difensore tramite telefono o citofono;
tale situazione, a parere del ricorrente, limita il diritto dello imputato ad essere in immediato e diretto contato con il suo legale.
La problematica, pur complessa, non deve essere risolta nel senso indicato dal ricorrente.
Da un lato si pone il diritto, costituzionalmente garantito, dello imputato a compiutamente difendersi e, dall'altro, quello, anche esso tutelato dalla carta fondamentale,di salvaguardare la salute del minore.
Il codice ha trovato un punto di equilibrio tra le due esigenze nello introdurre delle norme che limitano, ma non pregiudicano, la possibilità dello imputato di difendersi ed interloquire nel corso dello incidente probatorio.
La circostanza del contatto mediato tra il legale e l'imputato comporta che, quando questi soggetti hanno necessità di conferire, si determini una stasi nello svolgimento dello incidente probatorio;
la procedura non inibisce al difensore ed al difeso di consultarsi tutte le volte che lo ritengono opportuno.
Nè il ricorrente sostiene che la possibilità di colloquio con il suo legale gli sia stata impedita nel caso concreto tanto è vero che nel verbale di udienza nessun rilievo ha effettuato in merito a violazioni del diritto di difesa.
Le deduzioni inerenti al delitto di maltrattamenti sono al limite della inammissibilità perchè il ricorrente riproduce le stesse censure sottoposte al vaglio della Corte territoriale e che hanno trovato esaustive e conferente risposta nella sentenza impugnata (e di questo apparato argomentativo il ricorrente non tiene conto nella redazione dei motivi di ricorso).
Come correttamente rilevato dai Giudici di merito, le tre parti lese hanno, con concordi versioni che si confortano a vicenda, puntualizzato il clima abituale, insostenibile e di vero terrore nel quale erano costrette a vivere a causa del comportamento dell'imputato che infieriva contro di loro con violenze fisiche, minacce ed atti di disprezzo ed umiliazione.
Le accuse delle donne hanno trovato conferma nelle analoghe dichiarazioni di molti familiari , degli appartenenti alle forze dell'ordine intervenute in varie occasioni in casa M. per contenere la violenza dello imputato (e che hanno trovato le donne terrorizzate ed hanno notato i segni delle lesioni patite) nonchè dai certificati medici agli atti.
Per sminuire tali emergenze, l'imputato cita un episodio (uno dei tanti) quello del 11 ottobre 2001 che la Corte territoriale ha ricostruito nel presente processo in modo conforme alla versione delle parti lese (e difforme da quanto accertato in un pregresso procedimento).
Sul tema, è appena il caso di notare come - anche espungendo dal novero delle vessazioni quella in esame - non viene affievolita la gravità del compendio probatorio a carico dello imputato; non viene meno, neppure, la affidabilità delle parti lese dal momento che i Giudici hanno rilevato come le loro dichiarazioni accusatone, anche per il ricordato episodio, fossero state riscontrate. Inoltre, sempre al fine di squalificare la credibilità delle vittime, il ricorrente cita un elemento di tutta marginalità (quale la testimonianza di un vicino che ha ridimensionato la gravita di una lite per la quale era intervenuto nella abitazione di M.).
Di conseguenza, le deduzioni del ricorrente non sono idonee a scalfire la completezza, coerenza e logicità della impugnata sentenza in merito al reato di maltrattamenti per il quale le accuse dei familiari hanno trovato pieno conforto nelle espletate investigazioni.
Per quanto concerne il delitto sessuale, la tesi difensiva insinua il dubbio che il racconto accusatorio della minore - e la successiva denuncia della madre- fossero finalizzate ad impedire che l'imputato, dopo al scarcerazione, riprendesse la vita in famiglia.
A sostegno di tale prospettazione, il ricorrente evidenzia la circostanza che la giovane si è confidata con la madre poco prima della sua liberazione; rileva che tra padre e figlia intercorrevano buoni rapporti inimmaginabili se la ragazza fosse stata oggetto di violenze; prospetta le ripercussioni di ordine psicologico che F. ha subito per le vicende familiari e per avere notato il padre in intimità con una donna; segnala che la moglie era determinata ad ottenere il suo allontanamento da casa.
Le due prime censure, che sono le uniche dotate di plausibilità, sono già state oggetto della dovuta considerazione da parte della Corte di Appello che le ha superate non motivazione logica, persuasiva, completa che, pertanto, non può essere censurata in questa sede.
I Giudici hanno rilevato come F. abbia continuato a frequentare il padre ad a cercare di recuperare il rapporto con lui "combattuta tra la chiara percezione del disvalore delle condotte subite ed il naturale sentimento nutrito verso il genitore"; questa conclusione è condivisibile tenuto conto delle complesse implicazioni psicologiche e delle delicate relazioni interpersonali che si instaurano tra vittima ed agente in caso di violenze familiari.
Risulta, dal testo della sentenza,che la giovane ha trovato il coraggio di accusare il genitore quando vide la madre, vittima di tanti anni di passiva sopportazione, determinarsi a denunciare le violenze patite; tale rilievo rende ragione della circostanza che F. abbia a lungo serbato il suo doloroso segreto.
Inoltre, come correttamente già osservato dai Giudici di merito, la trama narrativa del racconto della parte lesa è logica, coerente , costante nel tempo e priva di contraddizioni.
Si può convenire con il ricorrente nel riconoscere che la ragazza e la madre siano state anche motivate alla denuncia dal desiderio, rectius dalla necessità, di allontanare l'imputato dal contesto familiare;
Questo movente non giustifica il sospetto di una accusa calunniosa in quanto è collegato alla oggettiva insopportabilità del regime di vita imposto dal M..
Nel ponderare favorevolmente la credibilità di F., non vanno sottovalutate le dichiarazioni dell'altra figlia dello imputato D. (che ha riferito di insane attenzioni sessuali del padre nei suoi confronti).
Infine, non è dato comprendere in quale misura le difficoltà psicologiche della parte lesa,che sicuramente ha patito per la mancanza di una famiglia serena, abbiano avuto influenza sui fatti per cui è processo.

P.Q.M.

La Corte:
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2008

Depositato in Cancelleria il 11 luglio 2008