Cass. pen. Sez. III, 21.05.2008, n. 20280



Sentenza

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUPO Ernesto - Presidente
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere
Dott. GENTILE Mario - Consigliere
Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere
Dott. SENSINI Maria Silvia - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) C.C. N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 30/03/2007 CORTE APPELLO di BRESCIA;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. SENSINI MARIA SILVIA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Passacantando Guglielmo che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito, per la parte civile, l'avv. Potì Francesca Sost. Proc.;
udito il difensore avv. Magri Roberto del foro di Bergamo.
Svolgimento del processo
1- C.C. veniva tratto a giudizio per rispondere del reato di cui all'art. 81 cpv. c.p., art. 609 bis c.p., commi 1 e 2, art. 609 ter c.p., n. 1, art. 609 septies c.p., comma 4, n. 2 per aver costretto il figlio Cu.Ch. a subire atti sessuali, con violenza consistita nell'avvalersi della propria superiorità fisica e morale e della condizione di inferiorità della vittima, di anni otto al momento del fatto, anche ponendo in essere penetrazioni anali.
In (OMISSIS).
Il Tribunale di Bergamo, con sentenza in data 11/11/2004, rilevato che il minore - riferendo dei contesti nei quali erano avvenuti i contatti sessuali con il padre, circoscritti alle serate nelle quali egli rimaneva solo con lui perchè la madre frequentava una piscina - aveva descritto le azioni in modo differente, parlando in un primo tempo di penetrazioni anali, successivamente ridimensionando l'accaduto a manipolazioni con le dita e negando quanto riferito in precedenza, mandava assolto l'imputato dal reato contestato, disponendo la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero perchè procedesse in ordine al reato di maltrattamenti in famiglia. In buona sostanza - argomentava il Tribunale - quanto espresso dal bambino poteva essere il frutto della situazione familiare conflittuale, mentre i comportamenti sessualizzati potevano trovare la loro spiegazione sia nella visione delle cassette pornografiche mostrate talvolta dal genitore al figlio, sia nel contesto di depravazione instaurato all'interno della famiglia dall'imputato, tra l'altro solito far assistere il figlio ad atti di masturbazione posti in essere sul proprio cane.
2- A seguito di impugnazione della pronuncia assolutoria proposta dal Procuratore Generale, la Corte di Appello di Brescia, con sentenza in data 30/3/2007, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Bergamo in data 11/11/2004, dichiarava C.C. colpevole del reato ascrittogli e, per l'effetto, lo condannava alla pena di anni otto di reclusione, oltre che alle pene accessorie conseguenti ex lege. Condannava altresì il prevenuto al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separato giudizio, previa assegnazione di una provvisionale pari ad Euro 15.000,00.
La Corte territoriale, respinte le eccezioni - già formulate in primo grado - relative alla regolarità della costituzione di parte civile ed alla inutilizzabilità dell'incidente probatorio, svoltosi con l'assistenza dello psicologo nominato dal Giudice per le Indagini Preliminari, senza la possibilità per la difesa di essere assistita ed affiancata dal proprio consulente tecnico, osservava che i soli rilievi di contraddittorietà del piccolo Ch. in ordine non agli episodi lamentati, ma avuto riguardo alle modalità esplicative degli stessi, non potevano condurre al giudizio assolutorio formulato dal Tribunale, dovendosi, per contro, affermare la penale responsabilità dell'imputato.
3- Avverso la sentenza della Corte di Appello ha proposto ricorso per Cassazione il difensore del C., deducendo:
1) inosservanza dell'art. 327 bis c.p.p. dal momento che - in sede di indagini preliminari - era stata respinta l'istanza del difensore di essere assistito da un proprio consulente tecnico nel corso della audizione del minore, eseguita "nelle forme di cui all'art. 498 c.p.p., comma 4 ter". Il G.I.P. aveva respinto la richiesta, in quanto non si verteva nelle ipotesi di cui all'art. 233 c.p.p. ed i successivi gradi di merito avevano avallato tale interpretazione. In realtà, l'istanza del difensore non era finalizzata - come, invece, ritenuto - ad ottenere l'assistenza di un consulente tecnico in contrapposizione ad un perito, bensì quella di un consulente che potesse assistere il legale nella formulazione delle domande, nella valutazione delle risposte, nell'eventuale opposizione alla formulazione stessa delle domande. La previsione dell'art. 327 bis c.p.p. (che prevede l'attività investigativa del difensore) consente la facoltà di nominare un consulente in ogni fase e grado del giudizio, ad insindacabile valutazione del difensore stesso. La negata autorizzazione comportava l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal minore in sede di incidente probatorio;
2) violazione degli artt. 76, 78, 122 c.p.p., in tema di costituzione di parte civile: la madre del minore, Z.E., aveva conferito all'Avv. Francesca Longhi sia la procura ad litem, sia la procura ad acta. Tuttavia, l'Avv. Longhi non era comparsa all'udienza preliminare e la costituzione di parte civile era stata effettuata dal sostituto del legale, non legittimato ad esercitare tale potere di costituzione;
3) difetto, contraddittorietà ed illogicità della motivazione, risultante da un'errata valutazione delle deposizioni di alcuni testi analiticamente indicati dal ricorrente, ex art. 606 c.p.p., lett. e) nuova formulazione, con conseguente travisamento della prova. La Corte territoriale aveva erroneamente considerato come riscontri del racconto del minore le dichiarazioni di testi estranei che si erano limitati a riferire quanto udito da Ch., senza considerare che le stesse dichiarazioni erano tra loro contrastanti, senza valutare adeguatamente il profilo della suggestività delle domande fatte al bambino dalla madre e dallo zio F.O. e ritenendo che il minore non avesse mentito solo per mancanza di conflittualità tra padre e minore e tra genitori tra loro. Anche tale aspetto era stato travisato dai Giudici dell'Appello, che non avevano tenuto conto della forte litigiosità tra i coniugi e della condotta violenta e prevaricatrice tenuta dal padre nei confronti della madre.
Da ultimo, andava anche censurata la motivazione della Corte territoriale, secondo cui erano irrilevanti, ai fini della sussistenza del reato, le modalità con cui gli abusi erano stati perpetrati (vale a dire, se si fosse trattato di penetrazioni anali o di semplici manipolazioni), dal momento che ciò non incideva sulla sussistenza della fattispecie - come ritenuto dai primi Giudici - ma si rifletteva sulla credibilità stessa del minore. Si chiedeva l'annullamento della sentenza.
In data 22/1/2008 veniva deposita dal patrono di parte civile una memoria con la quale si confutavano le argomentazioni del ricorrente.

Motivi della decisione

4- Il ricorso va rigettato, essendo infondate le censure che lo sorreggono.
4.1 - Con il primo motivo, come si è detto, la difesa del C. lamenta la violazione dell'art. 327 bis c.p.p., dal momento che, in sede di indagini preliminari, era stata respinta l'istanza del legale di poter essere assistito da un proprio consulente tecnico nel corso della audizione del minore.
L'assunto è del tutto infondato.
Invero, una corretta attività esegetica dell'art. 498 c.p.p. impone la lettura dei commi 4 bis e 4 ter del ridetto articolo in stretta correlazione con il precedente comma 4, il quale recita testualmente "L'esame testimoniale del minorenne è condotto dal Presidente su domande e contestazioni proposte dalle parti. Nell'esame il Presidente può avvalersi dell'ausilio di un familiare del minore o di un esperto in psicologia infantile....".
Le regole di particolare cautela previste dall'art. 498 c.p.p., comma 4 non conferiscono alla presenza del suddetto esperto - peraltro del tutto eventuale ed assimilata a quella di un familiare - una funzione "tecnica", quale quella del consulente di parte o del perito, ma lo qualificano quale semplice ausiliario del Giudice nell'espletamento di un atto, che è e rimane di sua esclusiva competenza.
L'esperto chiamato in ausilio dal Giudice non deve orientare ed interpretare la testimonianza del minore servendosi della sua competenza tecnica, ma deve semplicemente collaborare con il Giudice, come, appunto, potrebbe fare un familiare, affinchè le domande siano poste al minore in modo corretto per non lederne ulteriormente la fragile personalità.
Nè, nel caso in oggetto, può parlarsi di violazione del contraddittorio, dal momento che esso è comunque garantito dalla presenza del difensore.
L'art. 327 bis c.p.p.- richiamato dal ricorrente - attribuisce semplicemente al difensore la facoltà di svolgere attività investigativa in ogni stato e grado del procedimento, ma vincola il difensore stesso alle forme ed alle finalità previste dal codice di rito in tema di incidente probatorio, non potendo le suddette indagini difensive interferire nell'attività del Giudice, travolgendo le modalità di svolgimento imposte dalla normativa. Ora, è ben vero, come sostenuto dal ricorrente, che l'art. 327 bis c.p.p. consente l'esercizio dell'attività investigativa da parte del difensore "in ogni stato e grado del procedimento, nell'esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione" (comma 2), prevedendo, al successivo comma 3, che tali attività possano anche essere svolte da consulenti tecnici quando sono necessarie competenze specifiche, ma occorre ribadire: 1) che tale attività non può entrare in contrasto con le previsioni codicistiche in tema assunzione della testimonianza; 2) che la nomina del consulente tecnico è comunque prevista dall'art. 327 bis c.p.p. nell'ambito di un'attività per così dire autonoma e "parallela" rispetto a quella del Giudice, con le cui regole non può mai porsi in contrasto.
4.2- Destituito di fondamento è anche il secondo motivo di gravame, con il quale il difensore del C. deduce l'inammissibilità della costituzione di parte civile della madre del minore, Z. E., essendosi costituito il difensore sostituto dell'Avv. Francesca Longhi, "procuratore speciale sia ex art. 100 c.p.p., sia ai sensi dell'art. 122 c.p.p.", con conseguente violazione degli artt. 76, 78, 122 c.p.p..
La questione, in termini sostanzialmente analoghi, è stata già affrontata e risolta da questa Corte (cfr. Sez. 3, 27/1/2006 n. 13699, Ibrahim; Sez. 6, 13/5/2005 n. 22601, Fiorenzano) con motivazioni che il Collegio condivide e fa proprie. Ora, è pur vero che la nomina, da parte del difensore della persona offesa, ai sensi dell'art. 102 c.p.p., di un proprio sostituto, attribuisce a quest'ultimo i poteri conferiti al difensore con il rilascio del mandato alle liti (rappresentanza processuale), ma non i poteri, di natura sostanziale, che le parti del processo possono attribuire al loro difensore ed, in particolare, il potere di costituirsi parte civile. Invero, questo potere - identificabile nella legittimatio ad causam - rimane attribuito alla persona offesa o al danneggiato che lo può delegare, con il rilascio di apposita procura, al difensore o ad un terzo. E', dunque, da escludere che un soggetto, al quale la legge attribuisce il solo potere di sostituire il difensore nell'esercizio delle attività e dei poteri inerenti al mandato alle liti, possa sostituire il delegato anche nell'esercizio dei poteri che esorbitano dalle attribuzioni contenute in tale mandato, tanto da richiedere il conferimento di un'apposita procura speciale. Deve, tuttavia, osservarsi che, nella specie, al momento della costituzione di parte civile, in sede di udienza preliminare, era presente personalmente la Z.E., con la conseguenza che tale presenza - come correttamente osservato dalla Corte di Appello - valeva di per sè a far assumere al titolare del diritto l'esercizio del potere medesimo, dovendosi, in tal caso, ritenere la costituzione di parte civile effettuata direttamente dal titolare del relativo diritto.
4.3- Infondata, infine, deve ritenersi la censura relativa all'omessa verifica, da parte dei Giudici dell'appello, della attendibilità e della credibilità del minore. Lamenta il ricorrente che la sentenza gravata avrebbe dedotto, dal comportamento sessualizzato del bambino, la sua piena attendibilità in relazione alle accuse nei confronti del genitore, erroneamente considerando quali riscontri al racconto del minore le dichiarazioni contrastanti di testi "de relato" e trascurando del tutto il profilo della suggestività delle domande fatte a Ch. dalla madre.
Al contrario, i dati di fatto emergenti dagli atti processuali, opposti dal ricorrente, sono stati tutti vagliati dalla Corte di merito che, contraddicendo la conclusione dubitativa ed assolutoria della pronuncia di primo grado, ha diffusamente motivato ed analiticamente confutato il ragionamento probatorio della prima sentenza. In particolare, i Giudici dell'appello hanno compiutamente e correttamente evidenziato: 1) la genesi assolutamente spontanea dei racconti del bambino (dapprima la semplice emulazione degli atti sessuali con il cuginetto I. durante una vacanza in montagna, poi il successivo sfogo con un parente, del quale, in sostanza, aveva chiesto la mediazione perchè portasse a conoscenza della madre quanto accaduto); 2) il riscontro avuto da testi estranei (ad esempio, la nonna abitante al piano superiore, la quale aveva riferito dei lamenti provenienti dall'abitazione nell'orario in cui la figlia era assente da casa); 3) l'inconfutabile presenza nel minore delle tracce dei traumi subiti; 4) la credibilità del racconto di Ch., come rilevato dalle numerose consulenze psicologiche cui il minore era stato sottoposto, consulenze che avevano ritenuto il predetto coerente ed attendibile nel suo racconto; 5) il fatto che la perizia d'ufficio (affidata al dr. Ca.) aveva concluso nel senso che il minore presentava vissuti post traumatici, che la percezione solo visiva di scene erotiche non sarebbe stata idonea a creare, e che la tendenza del bambino ad attenuare la gravità degli episodi man mano che si susseguivano le audizioni, non era indice di inattendibilità dello stesso, bensì era giustificata dal suo bisogno di rimuovere il trauma vissuto, nonchè dalla sua crescente difficoltà a reiterare lo stesso racconto in presenza di una pluralità di estranei che gli rivolgevano sempre le stesse domande (cfr. pag. 4 sentenza impugnata); 6) l'assenza di movente sia nella madre che nel figlio per architettare una denuncia calunniosa ai danni del C., in considerazione dei rapporti intercorrenti tra le parti, che potevano ritenersi buoni fino alla scoperta degli episodi di abuso e divenuti conflittuali in epoca successiva (cfr. pag. 6 sentenza citata).
A fronte di tale apparato argomentativo, il ricorrente ha prospettato dubbi e soluzioni alternative, che in questa sede non possono essere prese in considerazione, non potendo la Corte proporre una diversa lettura del compendio probatorio offerto dalla decisione impugnata, salvi i casi di mancanza, contraddittorietà, illogicità della motivazione ovvero di omessa considerazione di circostanze decisive, ipotesi tutte sicuramente insussistenti nella specie.
5- Il ricorso va, conclusivamente, rigettato.
Il ricorrente va, ex art. 616 c.p.p., condannato al pagamento delle spese processuali ed al pagamento, in favore dello Stato, delle spese di parte civile (ammessa al gratuito patrocinio), liquidate in Euro 3.000,00, oltre spese generali ed accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento, a favore dello Stato, delle spese di parte civile, liquidate in Euro 3.000,00, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 1 aprile 2008

Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2008