Cass. pen. Sez. III, 16.05.2008, n. 19727



Sentenza

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ALTIERI Enrico - Presidente
Dott. ONORATO Pierluigi - est. Consigliere
Dott. PETTI Ciro - Consigliere
Dott. FIALE Aldo - Consigliere
Dott. MARMO Margherita - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
P.L., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza resa il 23.4.2007 dalla Corte d'appello di Brescia;
Vista la sentenza denunciata e il ricorso;
Udita la relazione svolta in pubblica udienza dal consigliere Pierluigi Onorato;
Udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale GERACI Vincenzo, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio della sentenza;
Udito il difensore dell'imputato, avv. FRATTINI Luigi, che ha chiesto l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
Osserva:
Svolgimento del processo
1 - Con sentenza del 23.4.2007 la Corte d'appello di Brescia ha integralmente confermato quella resa il 4.5.2006 dal locale Tribunale collegiale, che, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, aveva condannato P.L. alla pena di sei anni e tre mesi di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge, avendolo riconosciuto colpevole dei seguenti reati:
a) art. 81 cpv. c.p., art. 609 bis c.p., art. 609 ter c.p., comma 1, nn. 1 e 5, e comma 2, perchè, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in una occasione, aveva costretto suo figlio D., di anni cinque, e sua nipote M.E., di anni dodici, a compiere atti sessuali (in particolare afferrando le loro mani e trattenendole sul suo pene, si era fatto masturbare);
b) artt. 81 cpv. c.p., artt. 609 bis e 609 ter c.p. perchè, in molteplici occasioni, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, con violenza e con minaccia, aveva costretto la predetta E. a praticargli rapporti orali, nonchè a subire toccamenti nella vagina, sfregamenti del pene sui seni e sulla vagina (attraverso i vestiti), e tentativi di penetrazione, sino a che in una occasione era riuscito a penetrarla seppure non completamente: in (OMISSIS).
1.1 Secondo quanto accertato dai giudici di merito, la vicenda può essere così sinteticamente riassunta.
M.E., nata il (OMISSIS) dalla madre G. A. e da padre ignoto, era stata riconosciuta da M. T., quando questi, nel (OMISSIS), aveva sposato la G., che era persona epilettica e tossicodipendente, affetta da patologie mentali e difficoltà psicologiche.
Dopo alcuni anni dal matrimonio era nata la figlia M.C., anch'essa epilettica.
Nel (OMISSIS) i coniugi si erano separati.
E. era stata affidata alla madre, che tuttavia non era in grado di occuparsene, sicchè la ragazza veniva assistita dai nonni e dal padre T.M., che, dopo una crisi depressiva, aveva iniziato a convivere con A.O..
E. aveva poi intrecciato una relazione sentimentale con tale V., tossicodipendente, che le aveva fatto provare sostanze stupefacenti. Ma la relazione si era interrotta dopo tre anni, quando E. aveva sorpreso V. in amplesso sessuale con la di lei madre.
Nel corso del (OMISSIS), quando aveva ormai sedici anni, in seguito al suo affidamento a una comunità educativa, durante gli incontri con gli psicologici e gli assistenti sociali del Servizio tutela minori della ASL, E. aveva cominciato a rivelare gli abusi sessuali perpetrati a suo danno dallo zio P.L., marito della zia M.C. il quale abitava nello stesso edificio dei suoi nonni. Il primo abuso era avvenuto nell'autovettura dello zio, mentre E. (che allora aveva 8 anni) teneva in braccio il cuginetto D. (di circa 5 anni), figlio del P.: questi aveva afferrato la mano della nipote e l'aveva appoggiata sul suo membro, ripetendo poi l'operazione con la mano del figlioletto.
Gli abusi erano continuati sino al (OMISSIS), quando E. raggiunse i tredici anni, ed erano consistiti in altri atti di masturbazione, nonchè in strofinamento del pene sul seno e sui genitali della minore, sino alla menzionata penetrazione alla quale E. era riuscita alla fine a sottrarsi.
E. aveva parlato di questi abusi sia con la madre, che le aveva creduto perchè lo zio "ci aveva provato anche con lei", sia anche col padre, che però non le aveva creduto, sino a che dovette ricredersi quando anche la sorellina C. aveva rivelato che anche a lei lo zio una volta le aveva messo il pene in bocca.
In sede di indagini preliminari il pubblico ministero, a norma dell'art. 359 c.p.p., aveva affidato alla dottoressa S.V. consulenza personologica sulla minore. Dopo vari colloqui con E., la consulente aveva concluso per l'attendibilità delle sue dichiarazioni, osservando che il suo modesto sviluppo intellettuale le impediva di inventare un racconto e di mantenere stabile nel tempo una costruzione narrativa fantastica.
1.2 - La Corte territoriale, prendendo in considerazione i motivi di appello sviluppati dal difensore dell'imputato, ha osservato e ritenuto in sintesi quanto segue.
La consulenza tecnica della dottoressa S. poteva essere utilizzata, anche se eseguita senza le garanzie del contraddittorio previste dall'art. 360 c.p.p., giacchè aveva per oggetto accertamenti specialisti ripetibili, quali devono considerarsi quelli relativi ai sintomi di abusi sessuali e alla competenza testimoniale.
Non era ravvisabile alcuna nullità della sentenza ex art. 522 c.p.p. in esito alla contestazione suppletiva effettuata all'udienza dibattimentale del 27.2.2006 con la quale il pubblico ministero aveva modificato i capi d'imputazione, sostituendo il reato previsto e punito dagli artt. 609 bis e 609 quater c.p. col reato previsto dagli artt. 609 bis e 609 ter c.p. e sopprimendo l'anno 1997 come tempus commissi delicti.
Doveva confermarsi l'attendibilità delle dichiarazioni accusatone di E., che erano coerenti e verosimili quando rispondevano a domande aperte, mentre si aggrovigliavano e contraddicevano, con punte isolate di inverosimiglianza, quando erano il risultato di domande pressanti e stringenti dell'interlocutore: il presidente del Tribunale giudicante era stato costretto a richiamare più volte il difensore che poneva domande incalzanti e metologicamente scorrette, proprio perchè l'ordinamento tutela energicamente i soggetti deboli del processo penale.
E. non aveva mai ritrattato le sue accuse. Non erano invece attendibili o pertinenti i testi a difesa, parenti dell'imputato che avevano sempre criticato il riconoscimento di E. da parte del M.. Così non erano pertinenti le deposizioni di M. C., moglie del P. e sorella di M.T., di P. e M.A., altre sorelle di T., che avevano sottolineato l'atteggiamento sessualmente attivo e precoce che E. aveva con i maschi. Nè era credibile la predetta M.A., quando solo alla fine del suo esame, quasi di sfuggita, "con evidente esitazione, come di chi sa che sta mentendo", aveva aggiunto un particolare così importante che a rigor di logica doveva chiarire per primo: ovverosia che E. alla fine le aveva detto che si era inventata tutto.
Infine non doveva essere riconosciuta l'attenuante del risarcimento del danno, sia perchè era avvenuto tardivamente, all'ultima udienza del giudizio di primo grado, sia perchè era evidentemente inadeguato (12.500 Euro complessivi).
2. Il difensore del P. ha proposto ricorso, articolando cinque motivi di annullamento. In estrema sintesi, denuncia:
2.1 - inosservanza degli artt. 360, 178, 185, 191 e 526 c.p.p. laddove il primo giudice aveva acquisito al fascicolo del dibattimento la consulenza disposta dal P.M. senza le garanzie del contraddittorio di cui al predetto art. 360 c.p.p., e l'aveva poi utilizzata per la decisione;
2.2 - violazione dell'art. 191 c.p.p., art. 228 c.p.p., comma 3, e art. 526 c.p.p., erano state utilizzate per la decisione dichiarazioni rese dalla persona offesa al consulente tecnico nominato dal p.m.;
2.3 - inosservanza dell'art. 521 c.p.p., comma 2, art. 522 c.p.p., e art. 604 c.p.p., comma 1, poichè, relativamente al capo a) della imputazione, dopo che il pubblico ministero aveva contestato in udienza un fatto diverso e più grave (atti sessuali commessi con violenza), il giudice aveva ritenuto in sentenza che il fatto stesso fosse avvenuto nel (OMISSIS), come contestato in origine e come sostanzialmente confermato nella contestazione dibattimentale (laddove continuava a far riferimento alle età anagrafiche di Davide ed E.);
2.4 - violazione dell'art. 125 c.p.p., comma 3, e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), nonchè mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine: a) alla inattendibilità, alla tardività e alla conttraddittorietà delle dichiarazioni accusatone di E.;
b) ai risultati della consulenza tecnica della dottoressa S.; c) alle prove contrarie alla presunta violenza sessuale in danno di M.C., peraltro mai contestato all'imputato; d) alle prove contrarie alla presunta violenza sessuale in danno di M. E., in particolare alla prova contraria risultante dalla deposizione testimoniale di M.A.;
2.5 - violazione del diritto alla difesa, nonchè mancanza o manifesta illogicità della motivazione, laddove la sentenza impugnata ha negato la prevalenza delle attenuanti generiche sulle aggravanti contestate, nella considerazione che l'imputato non era mai comparso in giudizio per difendersi e contrastare le affermazioni della nipote.

Motivi della decisione

3 - Vanno anzitutto disattese le eccezioni processuali formulate nei primi tre motivi di ricorso (nn. 2.1, 2.2 e 2.3).
Infatti, come ha correttamente osservato la sentenza impugnata, non è ravvisabile alcuna violazione dell'art. 522 c.p.p., posto che:
a) nel corso del dibattimento il pubblico ministero non ha contestato un "fatto nuovo" che a norma dell'art. 518 c.p.p. gli imponesse di aprire un procedimento diverso (essendo fatto nuovo solo un accadimento assolutamente differente nel contenuto, nel tempo e nello spazio da quello contestato nel decreto dispositivo del giudizio);
ma, in via di contestazione suppletiva, ha semplicemente precisato il fatto di abuso sessuale descritto nel capo a) della imputazione, modificandone la data (dal 1997 al 1993, o meglio sopprimendo la data del 1997) ed escludendo l'ipotesi di violenza ed. presunta di cui all'art. 609 quater c.p., ma confermando l'ipotesi di violenza reale di cui all'art. 609 bis c.p., aggravata ai sensi dell'art. 609 ter c.p. (così correggendo l'errore giuridico in cui era incorsa l'originaria imputazione laddove faceva riferimento insieme all'art. 609 bis c.p. e art. 609 quater c.p., mentre l'art. 609 quater c.p. è espressamente applicabile solo al di fuori dei casi di cui all'art. 609 bis c.p.).
Non ricorre insomma alcuna violazione dell'art. 518 c.p.p., perchè il pubblico ministero ha proceduto a una contestazione suppletiva che semplicemente correggeva la qualificazione giuridica e modificava la collocazione temporale del fatto; ma non ha imputato un fatto nuovo, solo per il quale l'ordinamento impone un nuovo esercizio dell'azione penale e un distinto procedimento;
b) il giudice di primo grado non ha affatto violato la disposizione di cui all'art. 521 c.p.p., comma 2, perchè nella sua sentenza ha accertato lo stesso identico fatto contestato dal pubblico ministero nella imputazione supplettiva formulata a dibattimento, e non già un fatto diverso, con la conseguenza che non era obbligato a trasmettere gli atti al pubblico ministero.
E' quindi palesemente infondata la censura sub 2.3.
Non può essere accolta neppure la censura sub 2.1, relativa alla utilizzazione della consulenza tecnica del pubblico ministero, svolta senza le garanzie di cui all'art. 360 c.p.p..
E' noto che la differenza tra la consulenza tecnica disciplinata dall'art. 359 c.p.p. e quella disciplinata dall'art. 360 c.p.p. a garanzia dei diritti processuali delle parti riposa sul concetto, invero alquanto evanescente, di irripetibilità degli accertamenti tecnici.
Posto che l'unico riferimento testuale è quello che identifica gli accertamenti tecnici non ripetibili con quelli che riguardano "persone, cose o luoghi il cui stato è soggetto a modificazione", occorre stabilire due criteri ermeneutici fondamentali:
a) la valutazione della irripetibilità non va condotta in astratto, con riferimento ai "tipi" dell'accertamento tecnico, ma va eseguita in concreto caso per caso e affidata al giudice di merito, sicchè è sottratta al giudizio di legittimità, se congniamente motivata;
b) le modificazioni che escludono la ripetibilità dell'accertamento non sono tutte le modificazioni naturalistiche della cosa o persona oggetto dell'accertamento stesso, perchè a questa stregua, a rigore, ogni accertamento è irripetibile, non potendosi rinnovare nelle stesse precise condizioni del precedente; ma sono solo quelle modificazioni che siano tali da far perdere valenza probatoria agli accertamenti futuri sulla persona o cosa modificata (in questo senso v. Cass. Sez. 6^, 26.3.1993, Cornacchia).
Alla luce di questi criteri non può censurarsi la valutazione compiuta dalla Corte territoriale, che ha ritenuto la ripetibilità della consulenza tecnica affidata alla dottoressa S., e quindi l'applicabilità dell'art. 359 c.p.p.. Si consideri infatti che, al momento in cui la consulente ha svolto il suo incarico, E. aveva già diciassette anni, sicchè era del tutto plausibile ritenere che l'ulteriore evoluzione psicologica della sua persona non sarebbe stata rilevante e comunque non sarebbe stata tale da pregiudicare accertamenti futuri sulla sua competenza testimoniale, intesa come capacità di percepire, memorizzare e riferire fedelmente i dati della esperienza, nonchè sulla sintomatologia psicologica degli abusi sessuali subiti anni addietro (anche se dalle sentenze di merito non risulta chiaro se l'incarico del pubblico ministero riguardasse anche questo secondo punto).
Comunque, sotto altro profilo, l'asserita violazione dell'art. 360 c.p.p. sul presupposto della irripetibilità degli accertamenti, configurerebbe soltanto una nullità generale a regime ed. intermedio, che a norma dell'art. 180 c.p.p. non poteva essere più dedotta o rilevata dopo la deliberazione della sentenza di primo grado. Poichè nel caso di specie l'eccezione è stata dedotta soltanto con l'atto di appello, essa deve ritenersi preclusa.
Infine, è astrattamente fondata l'osservazione sviluppata nel motivo n. 2.2, secondo cui le dichiarazioni rese dalla persona offesa al consulente tecnico possono essere utilizzate solo ai fini dell'accertamento demandato allo stesso consulente (art. 228 c.p.p., comma 3, dettato per la perizia, ma applicabile per analogia anche alla consulenza tecnica di parte). Ma in concreto non sembra che i racconti fatti da E. alla dottoressa S. siano stati utilizzati dai giudici di merito per la ricostruzione dei fatti;
entrambe le sentenze, invece, utilizzano e analizzano a tal fine solo le dichiarazioni rese dalla ragazza in dibattimento e prima al personale psicosanitario, mentre si servono della deposizione del consulente solo per valutare la credibilità di E. in rapporto agli abusi sessuali subiti, valorizzando soprattutto l'osservazione che una persona al limite della sufficienza intellettiva come lei difficilmente avrebbe potuto mantenere nel tempo la stessa versione dei fatti.
4 - Ugualmente infondate sono le censure relative ai vizi di motivazione del giudizio di responsabilità, sviluppate nel motivo n. 2.4.
S'è già accennato alla valutazione dell'attendibilità dei racconti di E.. Al riguardo i giudici di merito hanno motivato in modo adeguato e incensurabile, non solo utilizzando gli argomenti critici della dottoressa S., ma anche sottolineando il valore sintomatico della genesi spontanea delle dichiarazioni accusatone. Il primo giudice ha messo bene in evidenza che "la notizia del reato nacque imprevedibilmente nel momento in cui il Tribunale per i minori, sollecitato dal Comune di Rodengo Saiano, dispose un'indagine psico-sociale sulla ragazza al fine di vagliare la possibilità di inserirla in una comunità educativa che potesse sopperire alle evidenti carenze del nucleo familiare. E nacque nella indifferenza pressochè assoluta della madre e nonostante la contrarietà del padre di E.". "Nessuno sollecitò E. a parlare di abusi sessuali; eppure, quando il personale dell'ASL le chiese di raccontare la sua vita e di descrivere la sua famiglia, emerse tanto immediatamente quanto spontaneamente la figura dello zio L. e il tema dei suoi interessi erotici per la nipote". Altro elemento utilizzato per confermare l'attendibilità del narrato della persona offesa è stato la natura assolutamente non suggestionabile della medesima, come aveva criticamente evidenziato il consulente tecnico.
Il primo giudice infine ha sottolineato puntualmente il carattere agitato e sofferto ("a volte con le lacrime agli occhi") dei racconti fatti da E. al personale dell'ASL, correttamente osservando che ciò era segno evidente che i racconti rappresentavano realmente un vissuto personale "a meno di non voler ritenere la persona offesa un'attrice consumata". Quanto alla deposizione testimoniale di Annunciata M., la quale dichiarò che E. le confidò di essersi inventata tutto, il giudice di appello ne ha criticamente ritenuto la inattendibilità, con argomentazioni sicuramente logiche, che sfuggono al sindacato di legittimità. 5 - Infine non merita accoglimento neppure la censura sul trattamento sanzionatorio e sul giudizio di bilanciamento tra le circostanze (n. 2.5).
Sul punto la sentenza impugnata ha confermato le valutazioni del primo giudice, negando una mitigazione della pena, non tanto perchè il P. era rimasto contumace, quanto piuttosto perchè non aveva mostrato un qualsiasi segno di resipiscenza, pur essendosi macchiato di reati "di particolare gravita", soprattutto in quanto compiuti contro "una giovinetta particolarmente fragile". 6 - In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
E' opportuno rilevare d'ufficio che, pur dovendosi applicare le norme novellate di cui agli artt. 157, 158, 160 e 161 c.p., nessuno dei reati contestati è estinto per prescrizione. Infatti anche per il reato contestato sub a), commesso nel (OMISSIS), non è maturata la prescrizione, giacchè, secondo i nuovi criteri, il reato di violenza sessuale aggravata ai sensi dell'art. 609 ter c.p., comma 2 ha un periodo prescrizionale massimo di diciassette anni e sei mesi.
Ai sensi dell'art. 616 c.p.p. consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Considerato il contenuto del ricorso, non si ritiene di irrogare anche la sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

la Corte suprema di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 3 aprile 2008.