Cass. pen. Sez. III, 28.09.2007, n. 35734



Sentenza



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PAPA Enrico - Presidente
Dott. CORDOVA Agostino - Consigliere
Dott. GENTILE Mario - Consigliere
Dott. MARMO Margherita - Consigliere
Dott. SENSINI Maria Silvia - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
1) M.S.C., N. IL (OMISSIS);
2) L.R., N. IL (OMISSIS);

avverso SENTENZA del 18/04/2006 CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. SENSINI MARIA SILVIA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. PASSACANTANDO Guglielmo, che ha concluso per rigetto di entrambi i ricorsi;
udito, per la parte civile, l'avv. PRILLO Donato (Roma).
Svolgimento del ricorso - motivi della decisione

Con sentenza in data 18/4/2006 la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della pronuncia emessa dal Tribunale di quella Città in data 28/4/2004, riduceva, rispettivamente, ad anni 9 e ad anni 5 e mesi 6 di reclusione, la pena inflitta a M.S. C. ed a L.R. quali colpevoli dei reati di cui all'art. 110 c.p., art. 81 cpv. c.p., art. 609 bis c.p., art. 609 ter c.p., comma 1, n. 1 ed u.c., art. 609 quater c.p., comma 1, n. 1 ed u.c., art. 609 quinquies c.p., perchè, con più azioni ed omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, agendo disgiuntamente e congiuntamente, in concorso tra loro, costringevano, con violenza e minaccia di percosse ed abusando della autorità genitoriale, i figli minori V. e Lu. a compiere ed a subire atti sessuali, costringendoli anche ad assistere ai loro rapporti. In particolare, i genitori toccavano gli organi genitali dei minori ed il M., con l'aiuto della moglie, costringeva il figlio Lu. ad avere, a sua volta, rapporti sessuali consistiti in toccamenti con la sorella V.. Il solo M. veniva ritenuto colpevole anche del reato di cui all'art. 572 c.p. in danno della moglie, avendole cagionato, anche con reiterate violenze fisiche, penosissime condizioni di vita. In (OMISSIS), fino ad epoca anteriore e prossima al (OMISSIS). La Corte di merito confermava la condanna di entrambi gli imputati al risarcimento dei danni in favore delle Parti Civili M.V. e Ma.Lu. e del M.S.C. in favore di L.R. in relazione al reato di cui all'art. 572 c.p..
Emergeva in punto di fatto che, a seguito di un'osservazione psicodiagnostica sui minori eseguita su disposizione del Tribunale per i Minorenni, V. "si distingueva per la maturità e la tristezza del volto, per la tendenza ad accondiscendere alle richieste esterne e per le reazioni di imbarazzo e di improvviso silenzio alla sollecitazione a parlare della sua famiglia, in ordine alla quale anche i test proiettivi registravano un suo forte disagio". Lu., a sua volta, "manifestava forti cariche di angoscia ed inibizioni, nonchè effetti di vissuti a sfondo prevalentemente negativo ed a volte persecutorio relativamente ai rapporti con le figure genitoriali". Le relazioni di osservazione della Comunità che ospitava i bambini evidenziavano, con il passare del tempo, l'aprirsi dei minori ad un rapporto di sempre maggiore fiducia con gli educatori e la richiesta di V. di protezione, anche durante le visite della madre. Emergeva altresì in punto di fatto che, dopo oltre un anno dall'inserimento in Comunità, V. aveva iniziato a narrare degli abusi subiti da parte di entrambi i genitori e dei maltrattamenti del padre nei confronti della madre. La bambina aveva rivelato tali abusi attraverso disegni, con enorme disagio, crisi di pianto e di vomito, svelandoli dapprima agli educatori della Comunità, poi alla psicologa dottoressa T., incaricata di fornire un supporto ai minori, quindi ribadendo il suo racconto, sempre con l'ausilio di disegni, alla Polizia Giudiziaria ed, infine, in sede di incidente probatorio. I Giudici del merito concludevano per la attendibilità dei racconti dei due bambini, valutati in più occasioni, ed il cui narrato, pur connotato da evidente imbarazzo e ritrosia, non appariva di certo frutto di fantasie o di condizionamenti. Dal canto suo, il M. riteneva che le "rivelazioni" della figlia fossero il risultato di un "trasfert" operato dalla bimba dopo avere ascoltato da altri ospiti della Comunità il racconto delle tristi esperienze da loro vissute.
Un "trasfert" che poteva essere stato determinato addirittura da un inconscio rancore verso i genitori, dai quali era stata separata.
Ovvero poteva essere il frutto della somatizzazione degli ammonimenti materni, in quanto anche la madre di V. aveva vissuto in prima persona una realtà di stupro ed incesto. La L. deduceva che il racconto della figlia era smentito dalle risultanze della visita ginecologica, cui la bambina era stata sottoposta con esito negativo, e da quanto emerso in sede di osservazione psicologica sulla minore, essendo affiorati tratti comportamentali "bugiardi", connotanti la sua personalità.
La Corte di merito, come si è detto, confermava, tuttavia, il giudizio di piena attendibilità nei confronti dei minori.
Avverso la sentenza della Corte di Appello hanno proposto ricorso per Cassazione entrambi gli imputati, a mezzo dei propri difensori.
La difesa del M. ha dedotto: 1) illogicità e contraddittorietà della motivazione, essendosi la sentenza di appello attestata acriticamente sulle motivazioni della pronuncia di primo grado, senza rilevare clementi di pieno contrasto rispetto al racconto di V., quali l'esito negativo della visita ginecologica. La stessa V. era stata definita a volte "bugiarda, oppositiva, aggressiva", ma la Corte di Appello, anche in relazione a ciò, aveva mutuato, sic et simpliciter, le conclusioni di attendibilità del Tribunale; 2) mancata assunzione di prove decisive, con particolare riferimento ad una perizia psicologica su V.. Inoltre, la lista testimoniale (13 testi) presentata dalla difesa, diretta a provare la qualità dei rapporti tra il prevenuto ed i figli, era stata falcidiata, in quanto il Tribunale - e la Corte di Appello aveva ritenuto corretta la decisione - aveva disposto che dei cinque testimoni ritenuti maggiormente in grado di riferire in proposito, la difesa ne potesse scegliere due; 3) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con particolare riferimento al disposto dell'art. 192 c.p.p. in tema di valutazione della prova, dell'art. 220 c.p.p., in tema di denegata indagine peritale su V., dell'art. 495 c.p.p., avuto riguardo ai testi della difesa non ammessi, dell'art. 499 c.p.p., circa le modalità con cui era stato condotto l'incidente probatorio, durato molte ore e con i minori stressati.
La difesa della L. deduceva: 1) inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità, in quanto il consenso dell'imputata all'acquisizione del fascicolo del P.M. ex art. 493 c.p.p., comma 3, doveva intendersi limitato agli atti fino al decreto di archiviazione compreso, intervenuto in ordine alla querela da lei stessa sporta contro il M. nel (OMISSIS); 2) mancata assunzione di una prova decisiva, con particolare riferimento ad una perizia volta a ricostruire il profilo psicologico delle parti offese; 3) erronea applicazione della legge penale, che aveva erroneamente valutato le risultanze degli incidenti probatori, che, in realtà, erano incriminanti per il solo M.; 4) difetto e/o illogicità della motivazione, che non aveva considerato che la ricorrente versava in uno stato di sudditanza e di coercizione psicologica nei confronti del marito. Si chiedeva l'annullamento della sentenza.
Entrambi i ricorsi vanno rigettati, essendo infondate le censure che li sorreggono. Venendo alla prima doglianza, relativa alla attendibilità dei minori V. e Lu., va osservato che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di valutazione probatoria, la deposizione della persona offesa dal reato, anche se quest'ultima non è equiparabile al testimone estraneo, può, tuttavia, essere da sola assunta come fonte di prova, ove venga sottoposta ad un'indagine positiva sulla credibilità soggettiva ed oggettiva di chi l'ha resa (cfr., ex multis, Cass. Sez. 4^, 21/6/2005 n. 30422, Poggi; conf. Sez. 6^, 3/6/2004 n. 33162, Patella ed altri). Un'indagine siffatta, nella fattispecie in esame, risulta correttamente effettuata laddove i Giudici del merito hanno sottoposto al doveroso controllo le dichiarazioni accusatorie provenienti dai due fratelli, in particolare da V., non mancando di evidenziare come la minore avesse iniziato le sue drammatiche rivelazioni dopo oltre un anno dall'inserimento in Comunità, quando ormai il suo rapporto con gli educatori era divenuto per lei maggiormente rassicurante e consolidato.
La Corte territoriale ha altresì sottolineato, fornendo apprezzamenti frutto di un percorso argomentativo tutt'altro che illogico, ma, al contrario, condotto in modo coerente ed organico, come V. e Lu. - già sottoposti a valutazione psicodiagnostica dal Tribunale per i Minorenni ed ulteriormente valutati nelle varie occasioni di ascolto (da parte del personale della Comunità, della dottoressa T., della Polizia Giudiziaria ed in sede di incidente probatorio) - avessero fornito, in via del tutto autonoma l'una dall'altro, racconti omogenei e privi di qualunque contraddizione, racconti che tradivano forti emozioni (pianto, imbarazzo, disagio fortissimo) e che in nessun caso apparivano frutto di auto o di eterosuggestione, tanto più - osservavano i Giudici del merito - che le rivelazioni di V. erano avvenute in epoca sensibilmente posteriore all'allontanamento da casa, quando da tempo era stata interrotta la convivenza dei minori con i genitori ed era stata, dunque, preclusa anche la paventata possibilità di condizionamento della bambina ad opera della madre.
Attento e puntuale si rivela allora il controllo operato dalla Corte di Appello sulla credibilità soggettiva delle parti offese, avendo quei Giudici avuto cura di compiere un esame estremamente accurato delle ragioni per le quali le rivelazioni dei minori si erano avute solo a distanza di tempo dal loro collocamento nella Comunità e come nessuna ipotesi di condizionamento fosse ravvisabile nei loro confronti. Va aggiunto, inoltre, che la Corte di merito, a differenza di quanto sostenuto dalla difesa, non si è affatto sottratta alle obiezioni difensive circa la pretesa incompatibilità del narrato di V. con l'esito negativo della visita ginecologica, rispondendo con argomentazioni del tutto coerenti che la bambina aveva sempre e solo parlato di toccamenti, di penetrazioni manuali, di accostamenti reciproci di nudità, di coinvolgimento negli amplessi dei genitori e chiarendo, a fronte del preteso mendacio più volte ricordato dalla difesa, che la relazione psicologica in atti, pur avendo messo in luce alcuni tratti comportamentali "bugiardi ed oppositivi" della minore, li aveva, però, inequivocabilmente riferiti al passato, mentre dovevano ritenersi "del tutto superati alla data della relazione e conseguentemente del tutto estranei alla confidenze, incominciate successivamente, a distanza di diversi mesi" (cfr. pag. 7 sentenza impugnata).
Deve ritenersi destituita di fondamento anche la doglianza di cui al punto 2), laddove si censura il fatto che la Corte territoriale, recependo acriticamente il percorso argomentativo del Tribunale, non aveva disposto una perizia psicologica su V. ed aveva immotivatamente condiviso la decisione dei primi Giudici di decurtare la lista testimoniale della difesa.
E' ultroneo rammentare che, a norma dell'art. 603 c.p.p., comma 1, la rinnovazione dell'istruzione nel giudizio di appello ha natura di istituto eccezionale rispetto all'abbandono del principio di oralità nel secondo grado, ove vige la presunzione che l'indagine probatoria abbia raggiunto la sua completezza nel dibattimento già svoltosi. A tale istituto di carattere eccezionale può farsi ricorso solo quando il Giudice ritenga, nell'ambito della sua discrezionalità, "di non poter decidere allo stato degli atti" ed una tale impossibilità può sussistere solo quando i dati probatori già acquisiti siano incerti nonchè quando l'incombente richiesto rivesta carattere di decisività, nel senso che lo stesso possa eliminare le eventuali suddette incertezze, ovvero sia di per sè oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza. L'"error in procedendo", in cui si sostanzia il vizio che l'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), ricomprende tra i motivi di ricorso per Cassazione, rileva, pertanto, solo quando la prova richiesta e non ammessa, confrontata con le motivazioni addotte a sostegno della sentenza impugnata, risulti "decisiva", cioè tale che, se esperita, avrebbe potuto determinare una decisione diversa. Ciò comporta che la valutazione in ordine alla "decisività" della prova deve essere compiuta accertando se i fatti indicati dalla parte nella relativa richiesta fossero tali da poter inficiare le argomentazioni poste a base del convincimento del giudice di merito. Tanto non è dato ravvisare nella sentenza impugnata, avendo la Corte territoriale rigettato la richiesta di perizia sulla minore posto che da nessun atto processuale erano emersi dubbi sulla capacità della bambina di percepire e memorizzare i fatti così come accaduti e sulla sua capacità di essere testimone.
Va altresì ricordato che la perizia, per il suo carattere "neutro", sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del Giudice, giammai può farsi rientrare nel concetto di "prova decisiva": ne consegue che il relativo provvedimento di diniego non è sanzionarle ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), in quanto giudizio di fatto che, se sorretto da adeguata motivazione, è insindacabile in Cassazione (cfr. Cass. Sez. 4^, 22/1/22007 n. 14130, Pastorelli ed altro, rv.
236191).
Come correttamente argomentato dalla Corte di Appello, nessun pregiudizio poteva derivare alla difesa del ricorrente dalla operata decurtazione della lista testimoniale, essendo unico l'argomento della testimonianza ed essendo stata posta, la stessa difesa, nelle condizioni di scegliere due dei cinque testi ritenuti maggiormente in grado di riferire sui fatti oggetto della deposizione.
Va rigettato anche il terzo motivo di gravame, in buona sostanza ripropositivo dei primi due ed assolutamente generico con riferimento alle modalità con cui sarebbe stato condotto l'incidente probatorio, nel corso del quale sia V. che Lu. avevano ribadito le precedenti dichiarazioni accusatorie.
Va rigettato perchè infondato anche il ricorso proposto dalla L..
Inammissibile, in particolare, è il primo motivo di gravame con il quale la ricorrente lamenta che il proprio consenso all'acquisizione del fascicolo del Pubblico Ministero, ex art. 493 c.p.p., comma 3, doveva ritenersi limitato agli atti fino al decreto di archiviazione intervenuto in relazione ad una denuncia dalla donna sporta nei confronti del M..
La questione è meramente ripropositiva di quella già sollevata con i motivi di appello e motivatamente disattesa dalla Corte territoriale, sul rilievo che alcun elemento confortava una siffatta interpretazione di un consenso in tal modo limitato. L'assunto è corretto, dal momento che non esiste in atti - la cui valutazione non solo è consentita, ma doverosa in ragione della censura sollevata - alcun elemento da cui poter inferire che il consenso all'acquisizione del fascicolo del P.M. dovesse in qualche modo intendersi prestato in modo parziale, così come sostenuto dalla L.. Sul motivo sub 2) valgono le stesse considerazioni già svolte a proposito della richiesta di perizia, di cui si è trattato a proposito del ricorso del M.. Va rigettato anche il motivo sub 3), con il quale la ricorrente assume che le risultanze degli incidenti probatori sarebbero incriminanti per il solo coniuge e non anche per lei. Sul punto, hanno chiarito i Giudici del merito come, al contrario, V., nel descrivere i comportamenti erotici imposti al fratello Lu., avesse fatto inequivoco riferimento ad entrambi i genitori, nel senso che entrambi "lo aiutavano" e che entrambi chiamavano i figli per farli partecipare ai loro atti sessuali.
Destituita di fondamento anche la pretesa estraneità della L. ai fatti a lei addebitati, essendo la stessa in uno stato di coercizione psicologica rispetto al marito. I Giudici di merito non si sono, per la verità, sottratti a tale obiezione difensiva, correttamente evidenziando come mai la donna avesse provato, a suo discrimine, di versare in una situazione in cui non le residuava alcun margine di libertà, circostanza, peraltro, contraddetta dal fatto che la ricorrente aveva interrotto la convivenza coniugale quando aveva voluto e mai aveva mostrato di temere ritorsioni coniugali. La stessa L. aveva, inoltre, riferito che i maltrattamenti del marito subivano dei momenti di tregua e che era lei a decidere di riprendere la convivenza, non per costrizione, ma per compassione rispetto al coniuge.
I ricorsi vanno conclusivamente rigettati, con conseguente condanna dei ricorrenti, in via tra loro solidale, al pagamento delle spese processuali nonchè alla refusione, sempre in solido, delle spese processuali in favore delle Parti Civili V. e M. L., liquidate complessivamente in Euro 3.000,00, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali.
Li condanna altresì, in solido, alla refusione delle spese processuali in favore delle Parti Civili V. e M. L., liquidate in complessivi Euro 3.000,00, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2007.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2007