Cass. pen. Sez. III Sent., 12.07.2007, n. 36962



Sentenza



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PAPA Enrico - Presidente
Dott. CORDOVA Agostino - Consigliere
Dott. GENTILE Mario - Consigliere
Dott. MARMO Margherita - rel. Consigliere
Dott. SENSINI Maria Silvia - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) P.V., N. IL (OMISSIS);

avverso SENTENZA del 14/07/2004 CORTE APPELLO di MILANO;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARMO MARGHERITA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PASSACANTANDO G., che ha concluso per il rigetto.
Udito, per la parte civile, l'Avv. GIAMBELLINI Oreste di Milano;
Udito il difensore Avv. (Ndr: testo originale non comprensibile) Corrado di Milano.
Svolgimento del processo

Con sentenza pronunciata il 24 settembre 2003, con motivazione depositata l'11 novembre 2003, il Tribunale di Roma dichiarava P.V. responsabile:
a) del delitto previsto e punito dagli artt. 81 cpv. e 609 bis c.p., art. 609 septies c.p., n. 4, art. 61 c.p., nn. 5 e 11 perchè, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in tempi diversi, con minaccia di procurarle un danno ingiusto, nonchè con violenza estrinsecatasi nel percuoterla, nel gettarla a terra, nello strapparle gli indumenti e comunque contro la sua volontà, costringeva la moglie convivente Z.S. a subire atti sessuali costituiti da rapporti vaginali completi e rapporti orali, con le aggravanti di aver commesso il fatto approfittando di circostanze di tempo, di luogo e di persona, tali da ostacolare la privata difesa, nonchè di aver commesso il fatto con abuso di relazioni domestiche (per fatti verificatisi in (OMISSIS) dal 2001 alla data della decisione). b) del delitto di cui all'art. 572 c.p. perchè, con atti ripetuti di ingiurie, consistite nel rivolgersi alla moglie Z.S. con epiteti quali pezzente, pezzo di merda, nel percuoterla provocandole lesioni documentate dai referti medici in atti, gettandola a terra con violenza, con la consumazione dei reati di cui al capo che precede e abusando di sostanze alcoliche, maltrattava la moglie causandole penose condizioni di vita (per fatti avvenuti in (OMISSIS) dal 1996 e in permanenza alla data della decisione) e, concesse all'imputato le attenuanti generiche ritenute prevalenti sulle aggravanti contestate, lo condannava alla pena di anni tre e mesi nove di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali;
dichiarava il P. interdetto da qualsiasi ufficio attinente alla tutela e alla curatela, disponeva la perdita del diritto dello stesso agli alimenti e l'esclusione dalla successione della persona offesa, nonchè l'interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni. Condannava inoltre l'imputato al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile da liquidarsi in separato giudizio, concedendo a quest'ultima, a titolo di provvisionale, la somma di Euro 25.000,00, nonchè Euro 2.400,00 a titolo di spese di costituzione.
In seguito ad impugnazione proposta dall'imputato, la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, ritenuto l'episodio del 27 novembre 2001 contestato al capo A) quale delitto tentato, riduceva la pena irrogata al P. rideterminandola in anni tre, mesi otto e giorni 20 di reclusione, confermando nel resto l'impugnata sentenza e condannando l'appellante a rifondere alla parte civile le spese di costituzione e difesa liquidate in Euro 2.500,00.
Ha proposto ricorso per cassazione l'imputato per i motivi che saranno nel prosieguo analiticamente esaminati.

Motivi della decisione

Preliminarmente il Collegio rileva che i motivi di ricorso e le deduzioni della parte civile sono stati ulteriormente specificati nelle memorie depositate dai rispettivi difensori delle parti.
Deve poi rilevarsi che, con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione di cui all'art. 606 c.p.p., lett. e), mancanza o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla declaratoria di responsabilità.
Deduce il ricorrente che la Corte di Appello di Milano non aveva tenuto conto dei motivi di impugnazione e della diversa versione dei fatti fornita da esso ricorrente che attribuiva le denunce a motivi di interesse rappresentati dalla moglie, ma aveva aderito acriticamente alla tesi dei giudici di primo grado, i quali avevano posto a fondamento della loro decisione soltanto le doglianze della parte offesa, fatte immotivatamente proprie dalla pubblica accusa, ritenendo che potessero essere considerate come riscontri probatori anche le deposizioni dei testi de relato.
Il motivo, oltre ad essere generico, in quanto con esso non si pongono specifici rilievi alle argomentazioni della Corte di merito che ha evidenziato la coerenza logica del narrato della parte offesa, confortata da testi, non solo de relato e assistita da una valutazione delle motivazioni profonde relative al fallimento professionale del P. e al carattere dell'imputato che spiegavano, anche se non giustificavano, il suo comportamento nei confronti della famiglia, è infondato. Le lesioni subite dalla donna, che si è anche dovuta recare al Pronto Soccorso trovavano infatti riscontro nei certificati medici e nella deposizione dello stesso medico di famiglia C.S. che ha visitato la donna il giorno successivo alla violenza del 26 novembre 2001 ed ha dichiarato di aver riscontrato uno stato di sofferenza fisica e psichica della Z..
La Corte di merito ha inoltre rilevato che a fronte dei numerosi riscontri alla versione dei fatti fornita dalla parte lesa era rimasta incongruente, contraddittoria e mutevole la versione dei fatti fornita dall'imputato.
Considerato che, come ha precisato questa Corte a Sezioni Unite, (v. per tutte S.U. sent. n. 47289 del 24 settembre 2003) "l'illogicità della motivazione, censurabile a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi" in quanto l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali", tenuto conto della tenuta logica delle argomentazioni dei giudici di merito, deve respingersi il primo motivo di ricorso.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l'erronea applicazione della legge penale di cui all'art. 606 c.p.p., lett. b) con riferimento all'art. 609 septies c.p., n. 4.
Deduce il P. che non era ravvisatale connessione tra il reato di violenza sessuale e il reato di maltrattamenti in famiglia, in quanto quest'ultimo era da ritenersi insussistente sotto il profilo oggettivo.
Secondo il ricorrente la contestazione in ordine al reato di cui all'art. 672 c.p. era frutto di una costruzione giuridica illogica e non condivisibile anche perchè le altre ipotesi delittuose che avrebbero dovuto contribuire a fondare la sussistenza di tale specifico reato sarebbero consistite in inoffensivi e sporadici episodi di flatulenza ed eruttazione o inoffensivi palpeggiamenti che peraltro, non costituivano atteggiamenti del tutto alieni nei rapporti di coppia, al pari delle denunciate ed asseritamente ingiuriose canzonature riservate dal P. alla consorte.
Rileva il ricorrente che, pur essendo vero che la connessione di cui all'art. 609 septies c.p. può sussistere anche solo a livello investigativo, nel caso in esame l'unico elemento che accomunava i due reati era solo la persona dell'imputato. Non era inoltre possibile che la stessa condotta potesse integrare contemporaneamente il reato di violenza sessuale e quello di maltrattamenti.
Ritiene il ricorrente che il principio di specialità di cui all'art. 15 c.p. deve condurre ad escludere il concorso formale di reati apparentemente integrati da una stessa fattispecie materiale quando un reato è tipicamente configurato come speciale rispetto all'altro.
Non vi era quindi dubbio che il delitto di violenza sessuale avrebbe dovuto considerarsi speciale rispetto al generico delitto di maltrattamenti.
Anche il secondo motivo è infondato.
Come si evince dalla motivazione della Corte di merito i tre episodi di violenza sessuale erano inseriti in un contesto di violenze, di ingiurie e di denigrazioni ai danni della moglie che ne avevano prostrato la salute e distrutto la serenità.
Come ha precisato questa Corte "il delitto di maltrattamenti in famiglia può concorrere con quello di violenza sessuale, in quanto non vi è assorbimento fra tali reati attesa la diversità dei beni giuridici protetti dai due delitti" (Cass. sez. 3, sent. 5 dicembre 2003, n. 984 Menna), specificando ulteriormente, con la successiva sentenza del 23 marzo 2005, n. 17843 sez. 3, La Fata), la cui motivazione questa Corte condivide, che "il reato di violenza sessuale concorre con quello di maltrattamenti allorchè la condotta di maltrattamenti sia del tutto autonoma rispetto a quella che ha caratterizzato i rapporti sessuali, non rilevando in proposito il vincolo della continuazione eventualmente ritenuto tra le diverse condotte". Il concorso va quindi escluso soltanto nell'ipotesi in cui vi sia piena coincidenza tra le due condotte, nel senso che il delitto di maltrattamenti sia stato ravvisato per la mera reiterazione degli atti sessuali.
Deve quindi ravvisarsi il concorso in tutti i casi, come quello in esame, in cui il delitto di maltrattamenti è stato commesso con una serie di atti vessatori, (ingiurie, denigrazioni, minacce, e percosse) che, solo occasionalmente, sono sfociati in violenza sessuale.
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la carenza di motivazione e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta insussistenza del consenso della persona offesa.
Deduce il ricorrente che non si era proceduto nel giudizio di primo grado ad un vaglio particolarmente rigoroso dell'attendibilità della denunciante parte offesa che avrebbe condotto a far ritenere sussistente un consenso di quest'ultima agli asseriti episodi di violenza.
Anche il terzo motivo di impugnazione è infondato.
Come risulta dalla sentenza impugnata la carenza di consenso della parte lesa risulta, tra l'altro, dalla deposizione del medico di famiglia, la dottoressa C.S., sentita come teste, la quale, come sopra specificato, ha visitato la paziente il giorno successivo alla denunziata violenza del 26 novembre 2001 ed ha ricordato che la Z. aveva accusato un forte male alla schiena e non riusciva a stare seduta, era sconvolta, piangeva molto e le aveva raccontato che aveva avuto una lite con il marito. I giudici di merito hanno anche evidenziato la ritrosia della donna nel raccontare il proprio vissuto, ritrosia incompatibile con l'immagine sfacciata e vendicativa della parte lesa che vorrebbe prospettare l'imputato.
Anche la memoria della difesa del ricorrente, diretta a minare l'attendibilità della parte lesa, non indebolisce in alcun modo le valutazioni della Corte di Appello che ha evidenziato il pudore della Z. ed il suo disperato tentativo di salvare il matrimonio, rilevando che tali fattori avevano comportato un ritardo nella denuncia dei gravi episodi alcuni dei quali, peraltro, erano emersi soltanto nel corso delle indagini relative alla tentata violenza sessuale.
Va quindi respinto il terzo motivo di ricorso.
Con il quarto motivo il ricorrente deduce che la sentenza impugnata era affetta da violazione di legge per mancata valutazione dell'esistenza di un errore di fatto e per immotivata esclusione della scriminante putativa in capo all'imputato in relazione alle denunciate violenze.
Deduce il ricorrente che il Tribunale prima e la Corte di Appello poi non avevano preso in considerazione la scriminante dovuta al fatto che il dedotto dissenso della parte lesa e la sua flebile resistenza non erano stati percepiti come tali dall'imputato, il quale riteneva che le sue condotte non erano tali da integrare una specifica ipotesi di reato ma da interpretarsi come modalità di esercizio di un diritto. Anche il quarto motivo è infondato.
L'art. 143 c.c., che disciplina i diritti e i doveri reciproci dei coniugi, prevede espressamente che "con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri.
Dal matrimonio deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglie e alla coabitazione". Deve quindi ritenersi che non sussiste un diritto assoluto del coniuge al compimento di atti sessuali come mero sfogo all'istinto sessuale contro la volontà del partner, tanto più in un contesto di sopraffazioni, infedeltà e violenze, - desumibili anche dalla sola sintetica enunciazione contenuta nei capi di imputazione, - che costituiscono l'opposto rispetto al sentimento di rispetto, di affiatamento e di vicendevole aiuto e solidarietà in cui il rapporto sessuale si pone come una delle tante espressioni.
Per quel che attiene all'asserito consenso della parte lesa ai rapporti sessuali il Collegio rileva che il Tribunale ha adeguatamente motivato, rilevando che i vari episodi descritti dalla Z. erano diventati "espressione di un abituale sistema di vita all'interno della coppia, in cui vigevano non solo atteggiamenti di disprezzo ed offesa alla dignità della donna ma anche prevaricazione e dominio del P. che si sentiva totalmente svincolato da ogni paradigma di regole civili" ed avevano dato luogo ad uno stato di prostrazione fisico e psichico della donna.
La Corte di appello a sua volta, con adeguata, logica, esaustiva e condivisibile motivazione, ha rilevato che le modalità delle condotte emerse dal dibattimento dimostravano che il P. non poteva sostenere di non avere compreso, specie nell'occasione della violenza della notte del 26 novembre 2001, il dissenso della donna, attese le modalità violente dell'approccio accompagnato da insulti, il ricorso alla minaccia di svegliare i figli, il tentativo della parte offesa di scappare ed infine il luogo, (pavimento), su cui infine era stato consumato il rapporto.
Va quindi respinto anche il quarto motivo di ricorso.
Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione in relazione all'applicazione della contestate aggravanti di cui all'art. 61 c.p., nn. 5 e 11 (l'aver profittato di circostanze di tempo e di luogo o di persona tali da ostacolare la pubblica o privata difesa, l'aver commesso il fatto con abuso di relazioni domestiche).
Anche il quinto motivo è infondato.
La Corte di Appello ha infatti, se pur sinteticamente, adeguatamente motivato in ordine ad entrambe le aggravanti rilevando, tra l'altro, in ordine alla prima, che "il reato di violenza sessuale era stato compiuto in più occasioni e con le aggravanti, (di tempo e luogo), di avere commesso il fatto agevolato dalle circostanze che gli episodi avvenivano di notte, in casa, quando i figli dormivano e questo rendeva più difficile per la moglie chiedere aiuto perchè così facendo avrebbe spaventato i bambini e in ordine alla seconda che sussisteva l'aggravante dell'aver compiuto la violenza sessuale con abuso di relazioni domestiche, atteso lo stato di convivenza dei coniugi nella casa coniugale.
Va quindi respinto anche il quinto motivo di ricorso.
Consegue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla refusione delle spese processuali in favore della parte civile che si liquidano nella misura complessiva di Euro 2.500,00 oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Lo condanna inoltre alla refusione delle spese processuali in favore della parte civile, liquidate in complessive Euro 2.500,00 oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 12 luglio 2007.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2007