Trib. Roma Sez. Pen.,13.09.2004



Sentenza


TRIBUNALE PENALE DI ROMA

SEZIONE DEL GIUDICE PER L'UDIENZA PRELIMINARE
UFFICIO 39°

S E N T E N Z A
(art. 438 c.p.p.)
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Giudice Maria Grazia Giammarinaro

all'esito dell'udienza preliminare del 13.9.04
assistito dall'ausiliario dott. Maria Corvino,

ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente

S E N T E N Z A

nei confronti di

AISSATOU DIAW Nata a Dakar (Senegal) il 30.9.62

Attualmente detenuta presso la C.C. di Rebibbia femminile
- Detenuta presente -

Difesa di fiducia dall'avv. Alessandro De Federicis


i m p u t a t a

del delitto p. e p. dagli artt. 582, 583 comma 2 n. 2 c.p., per avere aggredito al viso Kingsbury David cagionandogli volontariamente lesioni personali gravissime con impossibilità del recupero anatomico e funzionale degli occhi.
In Roma, il 9.1.04



Parte civile: Kingsbury David,
rappresentato dall'avv. Giancarlo Costa

Conclusioni delle parti:

P.M.: condanna ad anni tre di reclusione e applicazione della misura di sicurezza dell'espulsione ex art. 15 D. Leg.vo 286/98.

Difensore di parte civile: si rimette sulla determinazione della pena, ritenendo peraltro che non debbano essere applicate le attenuanti generiche. Chiede l'applicazione della misura di sicurezza dell'espulsione prevista dall'art. 15 del D. Leg.vo 286/98. Chiede inoltre il risarcimento dei danni patrimoniali - anche sotto il profilo del danno esistenziale - e non patrimoniali. Chiede una provvisionale di euro 600.000,00, nonché la rifusione delle spese di parte civile, come da nota scritta.

Il difensore: previa concessione delle attenuanti generiche, del riconoscimento della seminfermità, della diminuente del rito, minimo della pena. Si oppone all'applicazione della misura di sicurezza dell'espulsione.

MOTIVI DELLA DECISIONE


Il 9 gennaio 2004 Aissatou Diaw è stata tratta in arresto. Lo stesso pomeriggio, alle ore 18,30 circa, a seguito di segnalazione pervenuta al 118, Kingsbury David era stato trasportato con urgenza in ospedale per lesioni personali gravissime agli occhi. Lo stesso ha riferito che le lesioni erano state cagionate dalla moglie Aissatou Diaw, nel corso di un litigio avvenuto nella loro abitazione. Le dichiarazioni del Kingsbury sono state confermate nell'immediatezza da Di Carlo Rodolfo, portiere dello stabile, che lo aveva soccorso, al quale il Kingsbury aveva raccontato quanto accaduto poco prima.
Nell'abitazione erano ancora evidenti i segni della colluttazione. In particolare, sui lavabi dei due bagni, sul pavimento della stanza da letto e nell'ingresso erano presenti residui di sangue. Nella camera matrimoniale, dietro alla spalliera del letto, è stato trovato un paio di occhiali recante sulla superficie vistose tracce ematiche. Sul pavimento, sotto il letto, sono state reperite tracce ematiche facenti parte di una vasta e vistosa chiazza. Sempre sul pavimento, tra il letto e il cassettone posto nella parte destra della stanza, è stata trovata una maglia beige, con all'interno un'altra maglia grigia, macchiata di sangue.
I tre figli della coppia hanno riferito che i litigi tra i genitori erano ormai quotidiani, e che il giorno prima dei fatti essi avevano di nuovo avuto una colluttazione, nel corso della quale la Diaw aveva strappato gli occhiali al marito, tant'è che questi aveva dovuto ricomprarli.
Dalle prime notizie fornite dall'ospedale, le lesioni agli occhi comportano per il Kingsbury l'impossibilità del recupero anatomico e funzionale. Il referto di pronto soccorso reca la seguente diagnosi: "O.d. I c regione medio palpebrale superiore scoppio del bulbo. O.s. grave esoftalmo da trazione del bulbo con strappamento del nervo ottico disinserzione del retto mediale esoftalmo. Ecchimosi diffuse arti superiori".
In data 31.1.04, sentito a sommarie informazioni, Kingsbury David ha dichiarato: "Mia moglie Aissatou Diaw soffre da almeno sei anni di problemi psicologici. Pertanto è proprio questa la causa che ha determinato l'aggressione nei miei confronti il giorno 9 gennaio 2004". Il Kingsbury ha precisato che la moglie è stata sottoposta tre o quattro volte a visite specialistiche psichiatriche, tra cui una all'ospedale S. Raffaele di Milano nel 1998. Ha riferito inoltre che nel 2000 la Diaw ha avuto dei problemi con alcuni agenti della Polizia di Stato di Roma, poiché ritiene che le forze dell'ordine cospirino contro di lei. Per questa ragione ha urtato volontariamente l'auto di una volante della polizia. Il Kingsbury ha poi spiegato di avere subito l'aggressione in camera da letto e ha aggiunto: "Voglio precisare che mia moglie mi ha aggredito unicamente a causa di questi suoi problemi psicologici, tanto da essere convinta che io, come la polizia, cospiriamo contro di lei. Credo dunque che ella debba tornare in Senegal e curarsi, e non stare in carcere, poiché la detenzione nuoce al suo stato di salute". Il Kingsbury ha poi affermato che la ritiene pericolosissima, non solo per se stesso ma anche per i figli.
A seguito di decreto di giudizio immediato, i difensori della Diaw hanno chiesto il giudizio abbreviato condizionato all'audizione della teste Ba-Sourang Marieme, amica di famiglia della coppia. Il giudice ha ammesso al rito, disponendo ulteriori integrazioni probatorie all'esito dell'interrogatorio della Diaw, consistenti in una perizia psichiatrica, e in una perizia medico-legale volta ad accertare con maggiore esattezza le modalità del fatto e la natura delle lesioni. Appare infatti sorprendente che la Diaw abbia potuto provocare al marito lesioni di tale gravità senza usare alcun oggetto tagliente o contundente.
La Diaw ha chiesto di essere interrogata in via preliminare, e ha affrontato l'interrogatorio con lucidità e calma. E' stata in grado di ripercorrere le tappe principali della sua vita, a partire da quando conobbe in Senegal quello che sarebbe diventato suo marito. Ne emerge una condizione di gravissimo disagio esistenziale, protrattosi nel corso di molti anni, che certamente non può giustificare il suo gesto, le cui conseguenze sono irreversibili e incalcolabili, e tuttavia contribuisce a far comprendere le motivazioni del delitto. Infatti anche considerato che - come si vedrà - la Diaw soffre di un disturbo di personalità di tipo paranoideo, il fatto stesso che la donna sia stata in grado di sprigionare una tale inaudita violenza, letteralmente "cavando" gli occhi al marito, non può che avere origine in un vissuto di difficoltà esistenziale e di sofferenza estrema.
La coppia si conobbe a Dakar, in Senegal, dove la Diaw frequentava una scuola che si trovava vicino al luogo di lavoro del Kingsbury. Un amico della Diaw lavorava insieme al Kingsbury e, poiché quest'ultimo aveva manifestato un interesse per la ragazza, li fece incontrare. Tre anni dopo i due si sposarono e andarono a vivere negli Stati Uniti, dove il Kingsbury doveva finire gli studi. Lì vissero cinque anni, e nel frattempo nacquero i primi due bambini, cui la madre si dedicò praticamente a tempo pieno. Subito dopo la laurea, il Kingsbury trovò lavoro nello Zaire. Qui la Diaw cominciò a sentirsi isolata. La coppia frequentava infatti un ambiente internazionale, quello delle ambasciate, dove la Diaw probabilmente si sentiva non pienamente accettata. I rapporti con il marito non erano "tanto male", ma lui "non voleva vedere questo problema, non lo voleva accettare". Comincia qui la verbalizzazione di un elemento che tornerà frequentemente nel racconto della Diaw, cioè il non voler vedere del marito, che simboleggia indifferenza e mancanza di interesse per il vissuto della moglie e - almeno a suo dire - anche dei figli. Richiesta di spiegazioni sul non voler vedere del marito, la Diaw ha detto: "Intanto non si sforzava di capire questo problema, non cercava di fare amicizia con quelle persone che avrebbero potuto accettarmi". E ha proseguito: "C'è anche un altro problema, che le altre, le mogli degli altri funzionari dell'ambasciata sono riuscite a trovare un lavoro, mentre mio marito non ha fatto niente per aiutarmi a trovare un lavoro. Quindi io non lavoravo nello Zaire".
E' già chiaro, a questo punto, il quadro delle difficoltà esistenziali e relazionali che hanno segnato la vita dei due coniugi. Si tratta innanzi tutto di una coppia interrazziale, fatto questo che continua ad essere poco accettato in alcuni ambienti sociali e culturali. La Diaw non lavora, e vive all'ombra del marito, da cui la separa una notevole differenza sociale culturale. Egli infatti ha potuto dedicarsi agli studi e laurearsi mentre lei, pur studiando quando si trovavano negli Stati Uniti, si è occupata principalmente dei bambini. La Diaw comincia a sentirsi poco accettata nell'ambiente delle ambasciate, un ambiente di alta società dove avverte una condizione di isolamento.
Dopo due anni di permanenza nello Zaire, a causa della guerra scoppiata in quel Paese la famiglia torna negli Stati Uniti. Qui la situazione precipita. La Diaw accusa il Kingsbury di averla portata nel Maryland, in un sobborgo di ricca borghesia bianca, caratterizzato dalla presenza di forti pregiudizi razziali, dove lei e i figli vivono una condizione di isolamento. La Diaw ha coscienza che i problemi di coppia nascono anche dalla differenza sociale tra i due coniugi. Parlando della sua vita in Maryland dice di essersi trovata "troppo, troppo male, non si può neanche spiegare, ai figli, a me, tutto questa cosa, tutto incasinato, perché loro non ... io non mi dovevo sposare con una persona come lui, del suo status class e non era mio posto. L'ho capito subito, la prima settimana che io ci sono stata l'ho capito". Anche in questo caso la Diaw accusa il marito di non avere mai "preso in considerazione sul serio questo problema (..) che io avevo nell'integrazione". La Diaw riferisce che il successivo trasferimento in Italia avvenne perché le cose erano diventate "troppo gravi".
Richiesta di ulteriori chiarimenti sull'atteggiamento del marito rispetto al problema degli atteggiamenti razzisti patiti dalla Diaw, quest'ultima ha spiegato: "Veramente io pensavo, cioè penso che un marito debba avere una certa considerazione e stima verso la propria moglie e comunque non vergognarsi, non avere un complesso a causa della sua razza. Questo mio marito nei miei confronti non lo ha avuto, cioè non ha avuto questa considerazione". Richiesta di ulteriori chiarimenti sul fatto se il marito avesse egli stesso atteggiamenti razzisti, la Diaw ha risposto testualmente: "Non è che avesse avuto un atteggiamento nei miei con.. cioè non è che faceva le stesse cose che facevano gli altri nei miei confronti, ma sicuramente aveva il complesso di avere una moglie nera, di colore".
La Diaw inoltre ha accusato il marito di averle trasmesso l'herpes genitale, contratto in rapporti non protetti con prostitute, malattia di cui lei si accorse quando era incinta per la prima volta, senza che il marito le avesse detto nulla.
Nel 1996 la coppia si trasferisce in Italia. La Diaw spiega che lei avrebbe voluto tornare in Senegal, dove i bambini avrebbero potuto crescere nel loro ambiente. E ha aggiunto: "Si, noi eravamo sempre soli, non avevamo nessuno intorno". Con riferimento alla vita in Italia, la Diaw non riferisce episodi di razzismo, né sensazione di persecuzione o di isolamento per ragioni razziali. Tuttavia qui i rapporti personali tra i coniugi peggiorano ulteriormente. Dice la Diaw: "Io credo nel matrimonio (..) e mio marito non mi ha mai presa in considerazione, non mi ha rispettato (..) Per esempio non prendeva in considerazione le mie idee, le mie opinioni. Cioè stima vuol dire anche rispettare le opinioni di un'altra persona (..) Adesso, se guardo indietro, sono arrivata alla conclusione che mio marito aveva questo complesso dentro di lui e quindi non riusciva ad amarmi, non riusciva a stimarmi per questa ragione".
La relazione tra i coniugi diventa sempre più burrascosa, fino a quando la Diaw scopre - o crede di scoprire - che il marito ha una relazione con una donna che vive e lavora in casa come collaboratrice domestica. La Diaw riferisce che, in coincidenza con questa situazione, il marito comincia a trattarla ancora peggio di prima. La Diaw licenzia la donna e le acque sembrano calmarsi per un po'. Ma poi lei nota che il marito è di nuovo cambiato, e sospetta che sia innamorato di un'altra donna. A questo punto - sempre secondo la Diaw - il marito comincia a insultarla più pesantemente di prima, ad esempio chiamandola "monkey" (scimmia) o "monkey Jo", e dice di volere altri figli della sua "specie". La Diaw sostiene che il marito, anche se mai in loro presenza, deride anche i figli: "Quando stavamo soprattutto nella stanza da letto, diceva che lui si sentiva come se ci avesse del sangue da scimmia, perché stava con una scimmia, perché aveva dei bambini che erano delle scimmie". E ha aggiunto: "Lui diceva che tutto quello che io avrei detto non sarebbe stato credibile, perché la gente della mia razza, cioè non bianca, era troppo emotiva, quindi non poteva assolutamente controllare ed essere obiettiva in quello che diceva. Qindi diventava non credibile". E ancora: "Mi chiamava "giraffa" (..) Chi vuole una famiglia di giraffe?", riferendosi al fatto che la Diaw e i figli sono molto alti.
Quanto agli episodi di violenza della Diaw nei confronti dei figli, riferiti anche nel verbale di arresto, la Diaw ha negato, e ha detto di avere avuto dei problemi solo con il figlio più grande perché era preoccupata che potesse assumere droghe. La Diaw ha sostenuto che lei avrebbe voluto tornare in Senegal con i figli, ma che il marito ogni volta la fermava, perché non voleva mantenerla.
E' impossibile stabilire quanto della ricostruzione della Diaw corrisponda al vero, e quanto invece non sia il riflesso di una percezione distorta, a cagione del disturbo paranoideo di personalità. Ad ogni modo, nell'interrogatorio, la Diaw ha sostenuto che il Kingsbury non aveva più affezione né interesse per la sua famiglia, pensava che fosse stato "uno sbaglio" e aveva deciso di rifarsi un'altra vita e un'altra famiglia. La circostanza per la verità appare contraddittoria con ciò che la Diaw stessa ha riferito, cioè che il marito le impediva di tornare in Senegal con i figli, circostanza che avrebbe senz'altro facilitato il suo proposito di rifarsi una vita con un'altra donna. La parte finale del racconto della Diaw è dominata dal tema della derisione. Secondo la sua versione, il marito rideva dicendole che il suo futuro era "incasinato". La percezione della Diaw è che il marito fosse contento di constatare che lei avrebbe avuto un futuro infelice e tragico.
Venendo all'episodio delle lesioni, la Diaw ha riferito che lei si stava preparando per andare in Senegal e stava cucinando per lasciare congelati tutti i cibi occorrenti per tre settimane alla famiglia, anche se aveva una bronchite e si sentiva male. Anche in questa occasione, la Diaw ha sostenuto che il marito rideva e le diceva: "E' quasi finita la storia...". La Diaw gli chiese di sedersi e di parlare seriamente del loro futuro. Ma lui non voleva sentire, e teneva come al solito la musica ad alto volume. A questo punto la Diaw ha sostenuto che ci fu una colluttazione e che lei si limitò a difendersi, ma non ha riferito ulteriori particolari sulla dinamica dei fatti. Ha detto di essere sotto l'effetto degli antistaminici e di sentirsi molto debole, ma di essere stata costretta a reagire. Il che contrasta, oltre che con la circostanza obiettiva di un'aggressione di inaudita ferocia posta in essere dalla Diaw nei confronti del marito e non viceversa, anche con la ricostruzione dei fatti effettuata dal perito medico-legale, di cui si dirà tra breve.
Alla fine dell'interrogatorio la Diaw ha affermato: "Mi dispiace di quello che è successo, mi dispiace anche che sia diventato un'altra persona e non penso che cambierà mai più, rimarrà così". Con queste espressioni la Diaw fa intendere di non provare rimorso per il fatto commesso, ma piuttosto di rimpiangere il fatto che il marito sia cambiato nei suoi confronti.
E' stato proprio il totale distacco emotivo dall'episodio, pur nell'apparente lucidità del comportamento della Diaw, che ha indotto questo GUP ad aderire alla richiesta della parte civile e a disporre la perizia psichiatrica per accertare la capacità di intendere e di volere e la pericolosità sociale dell'imputata. Peraltro, anche se l'interessata ha cercato di minimizzare, il difensore di parte civile nel corso dell'interrogatorio ha richiamato l'attenzione su alcuni episodi pregressi, attestanti la presenza di sentimenti di persecuzione, non solo nei confronti del marito ma anche di altri soggetti. In particolare, a domanda del difensore di parte civile, la Diaw non ha negato che nel 2000 accadde lo strano episodio già riferito dal Kingsbury, che la Diaw definisce come un incidente, e che il difensore di parte civile descrive invece come un tentativo della Diaw di andare contro una macchina della polizia, nella persuasione che i poliziotti volessero aggredirla.
Il perito pscichiatra dott. Roberto Malano ha formulato la conclusione che al momento del fatto la capacità di intendere e di volere della Diaw fosse diminuita ma non del tutto elisa. Dall'esame psichiatrico non sono emerse alterazioni quantitative (vigilanza) né alterazioni qualitative (coerenza, ampiezza) del campo di coscienza. Si è messo in evidenza un disturbo di tipo delirante, organizzato con modesta sistematicità (la persona si percepisce come oggetto di minacce, complotti, tradimenti). Quanto all'esame di affettività, la persona appare indifferente, priva di oscillazioni emotive anche durante i passaggi più disturbanti e drammatici del proprio racconto, fredda, distaccata, e non manifesta coscienza di malattia. La Diaw è considerata dunque come portatrice di un "Disturbo Delirante Tipo di Gelosia e Persecuzione, secondo i criteri del DSM IV TR. Concorrono a tale definizione la presenza di deliri non bizzarri e sufficientemente strutturati, l'assenza di allucinazioni uditive o visive, una sufficiente conservazione del funzionamento sociale e delle abilità individuali, una buona capacità di dimostrare una apparente normalità e adeguamento senza vistose e incongrue anomalie delle condotte.
Sul significato simbolico dell'eviscerazione dei bulbi oculari, e dunque della privazione della vista, il perito ha richiamato la simbologia - nota anche alla cultura etnologica dell'Italia meridionale - del "malocchio", o dell'"occhio cattivo". "Gli studi di psichiatria transculturale informano di una sindrome culturalmente ordinata presente proprio in Senegal, che ancora una volta riguarda gli effetti fatali attribuiti all'influenzamento visivo. Anche in questo caso l'"occhio cattivo" (bot bu aay) ‘non si limita a far deperire l'individuo colpito ma attacca anche i suoi beni materiali, le sue qualità sociali e culturali'" (S. Inglese, C. Peccarisi, Psichiatria Oltrefrontiera, cit. nella Relazione di perizia psichiatrica). D'altra parte, come si è visto, nel corso dell'interrogatorio è spesso ritornato il tema dell'atteggiamento del marito, caratterizzato dal "non vedere" quanto di male accadeva alla moglie e alla famiglia, specie nel periodo di permanenza negli Stati Uniti e in relazione all'isolamento della Diaw in quanto nera.
Così conclude il perito psichiatra: "Per le caratteristiche intrinseche del disturbo delirante di occupare un settore dell'esperienza psichica del soggetto e non l'intera globalità dell'essere psichico e di avere un decorso privo della progressiva riduzione delle capacità di adattamento e verso la disgregazione mentale, si ritiene tale malattia di mente in grado di danneggiare nel soggetto esaminato la capacità critica e di giudizio e di controllo della volizione, ma non di abolirle nella loro totalità".
Quanto alla pericolosità sociale, il perito osserva che la Diaw sviluppa il disturbo del pensiero già descritto sulla base di una carica affettiva assai florida. Essa non mostra sentimenti di resipiscenza o colpa, anzi banalizza l'episodio attribuendo parte della responsabilità al coniuge. Il perito ritiene possibile un allargamento delle potenziali vittime delle scariche aggressive del soggetto, e per questa ragione formula un giudizio di pericolosità sociale.
La causazione delle lesioni è stata oggetto di approfondimento attraverso una perizia medico-legale, volta ad accertare la dinamica del fatto e l'entità delle sue conseguenze. Il perito medico-legale dott. Vincenza Liviero ha confermato che il Kingsbury ha riportato l'avulsione traumatica dell'occhio destro da scoppio del bulbo oculare, in atto sostituito da protesi estetica, nonché ipertrofia marcata e marcato esoftalmo del bulbo oculare sinistro da lacerazione del nervo ottico e stiramento e lacerazione del muscolo retto mediale, infrazione del pavimento dell'orbita sinistra. Le lesioni hanno provocato la perita totale del visus in entrambi gli occhi e dunque la perdita totale del senso della vista. Non vi è dubbio, quindi, sulla sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 583 comma 2 n. 2) c.p..
Le lesioni sono state prodotte con l'uso di mezzi di offesa naturali, vale a dire delle dita e delle mani, usate anche come mezzi da punta e da taglio atipici. La Diaw ha posto in essere un meccanismo di pressione diretta sui bulbi oculari e contemporaneamente di trazione verso l'esterno. Per vincere la resistenza dei nervi ottici, l'azione deve essere stata particolarmente violenta e non può avere avuto una durata limitata, specie perché è stata condotta senza l'ausilio di mezzi taglienti. In proposito il medico-legale ha concluso che - anche se non è possibile rispondere con certezza al quesito, trattandosi peraltro di evento assai raro e difettando precedenti in letteratura - l'azione, considerati anche gli atti prodromici, non può avere avuto durata inferiore ai cinque minuti.
Il medico legale ha accertato anche che sulla persona del Kingsbury sono rilevabili gli esiti di diffuse ecchimosi degli arti superiori, nonchè la perdita di sostanza muscolare in seguito a un morso. Il Kingsbury subì nell'occasione anche un trauma cranico. Si deve dunque ritenere che la Diaw bloccò il marito per terra, tra il letto e il cassettone dove è stata trovata la maglia macchiata di sangue, e mediante il sormontamento del corpo dell'uomo, costretto per terra tra i mobili e perciò impossibilitato a muoversi, dopo avere urtato ripetutamente il capo di lui per terra e averlo così stordito, lo aggredì agli occhi esercitando una pressione e una prolungata trazione dei globi oculari, tanto da produrre lesioni su strutture estremamente resistenti e quindi impossibili da ledere, lacerare, strappare se non con un'azione protratta nel tempo.
In sede di esame, a specifica domanda, il perito medico legale dott. Liviero ha precisato che assai verosimilmente l'azione fu compiuta contemporaneamente con entrambe le mani su entrambi gli occhi. Il che fa ritenere che si sia trattato di una eccezionale esplosione di aggressività, e non di un comportamento prolungato e sistematico come quello proprio delle sevizie. Tale ultimo comportamento sarebbe in ipotesi ricollegabile a un'azione posta in essere prima su un occhio e poi sull'altro. Correttamente, pertanto, l'aggravante di cui all'art. 61 n. 4) c.p. non è stata contestata dal PM.
A questo punto, chiarito il quadro fattuale e il retroterra esistenziale del reato, possono essere formulate alcune considerazioni relative al disvalore penale del fatto, che deve essere desunto sia dai dati obiettivi, e in particolare dalla inestimabile oggettiva gravità del danno arrecato alla persona offesa, sia dai dati soggettivi, attinenti ai motivi che hanno indotto l'imputata a commettere il reato.
Non vi è dubbio - a parere di questo giudicante - che quando riferisce di avere patito umiliazioni per tutta la vita, la Diaw è sincera, e riflette la sua personale percezione della realtà. Essa attribuisce la responsabilità della sua progressiva marginalizzazione al marito, che prima non aveva voluto "vedere" ciò che accadeva attorno a lui quando la moglie veniva isolata in quanto nera, poi era diventato soggetto attivo dello scherno e del disprezzo motivato anche da motivi razziali. I riferimenti agli insulti che il marito le avrebbe rivolto, relativi all'inquinamento del suo sangue, o alla famiglia di scimmie, sono significativi della percezione della figura del marito come nemico, protagonista attivo e consapevole della distruzione della sua dignità di donna, di moglie e di madre.
La rappresentazione che la Diaw ha compiuto della dinamica relazionale con il marito per la verità non ha trovato alcun riscontro esterno. La teste Ba-Sourang Marieme, medico, presidente di un'associazione di donne africane, il cui esame è stato richiesto dalla difesa, ha definito la Diaw come una donna dal comportamento molto riservato. La Diaw parlava molto spesso dei figli, la cui crescita e integrazione sociale seguiva con particolare attenzione. Pur conoscendo la Diaw da molti anni, tuttavia, la Ba-Sourang non è a conoscenza di alcun particolare relativo alla vita coniugale della Diaw, se non il generico riferimento fatto qualche volta dall'imputata a sue difficoltà familiari, espresso con frasi del tipo: "Non puoi sapere quello che io passo a casa mia".
E' difficile pertanto valutare se quanto riferito dalla Diaw in ordine ai comportamenti del marito risponda a verità, ovvero se fatti abitualmente connessi a una crisi coniugale, innestandosi sul suo disturbo paranoideo di personalità, abbiano provocato in lei una percezione distorta della realtà. Occorre qui sottolineare che il sentimento di frustrazione e di umiliazione è massicciamente presente nel vissuto della Diaw, e almeno da un punto di vista soggettivo ha contribuito a provocare una risposta di inaudita violenza a un comportamento del marito che essa percepiva, a sua volta, come violento e distruttivo.
E' certo che il vissuto pregresso della relazione di coppia non è segnato da atti di violenza fisica sistematica del marito ai danni della moglie. Al più, nell'ultimo periodo i due litigavano, e probabilmente talvolta si percuotevano reciprocamente. La Diaw, in questo mostrandosi attendibile perché non incline a presentare i fatti in una luce più favorevole a sé stessa, non ha mai riferito episodi di percosse o di lesioni provocate da comportamenti aggressivi del marito. Piuttosto, dal racconto della Diaw emerge che l'imputata, almeno da una punto di vista soggettivo, ha percepito il comportamento del marito come caratterizzato da quella più sottile forma di violenza psicologica che consiste nella distruzione della dignità e della personalità della partner attraverso comportamenti volti a sminuirla, a denigrarla, a non riconoscerle alcun merito. Dal racconto della Diaw emerge - almeno al livello della sua percezione soggettiva - un altro elemento normalmente connesso con la violenza psicologica, cioè l'assenza di comunicazione imposta dall'altro, che finisce col diventare una componente del disprezzo e dell'indifferenza nei confronti del/della partner.
Negli studi di psicologia il fenomeno viene prevalentemente descritto come un processo in cui l'autore costruisce la relazione mettendo in atto dapprima un meccanismo di seduzione, cui fa seguito la squalificazione sistematica dell'altro/a. La distruzione della personalità della vittima si realizza attraverso il condizionamento del/della partner, ottenuto soprattutto attraverso il rifiuto della comunicazione e la continua denigrazione. L'impossibilità di comunicare provoca la reazione dell'altro/a, e innesca perciò un gioco di provocazione/risposta nel quale la vittima resta intrappolata. L'autore deve dimostrare a se stesso di valere più della vittima. Dunque la attacca colpendola nei suoi punti deboli, allo scopo di distruggerne l'autostima.
La violenza psicologica si manifesta con battute taglienti, criticismo eccessivo, destabilizzazione dell'altro/a. Ne sono espressione comportamenti come mettere in ridicolo le convinzioni e le scelte del/la partner, mettere in dubbio le sue capacità di giudizio, denigrarlo/a in pubblico, privarlo/a di ogni possibilità di esprimersi. Come si vede, le conseguenze sono devastanti in termini di trauma, di perdita di autostima, di privazione dell'autodeterminazione (Sulla nozione di trauma cfr. American Psychiatric Association, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. DSM-IV-TR, Milano, Masson, 2002. Sulle conseguenze della violenza psicologica cfr. M.F. Hirigoyen, Molestie Morali, Torino, Einaudi, 1998).
Nel caso di specie - occorre di nuovo sottolinearlo - non vi è prova che questa situazione rifletta la reale natura della relazione coniugale e il reale comportamento della persona offesa nei confronti della DIAW. Non vi è dubbio tuttavia che è questa l'esperienza che l'imputata vive, in termini di costante sofferenza, senso di frustrazione, umiliazione, isolamento. Tale sensazione è resa più intensa e dolorosa dalle pregresse esperienze di segregazione e marginalizzazione dovute a motivi razziali, delle quali, a torto o a ragione, il Kingsbury è considerato dalla moglie prima spettatore inerte, poi complice attivo.
D'altra parte non si spiegherebbe altrimenti una esplosione così devastante di violenza come quella posta in essere dalla DIAW, esplosione di tale inaudita intensità da rendere difficilmente spiegabile perfino la dinamica dell'aggressione e la gravità delle sue conseguenze. In altri termini, la Diaw ha sviluppato e applicato una forza fisica quasi disumana per aggredire il marito. Solo l'accumulo di un sentimento di frustrazione e di odio può causare gesti di tale potenza e significato simbolico.
Anche da questo punto di vista, il fenomeno è noto all'esperienza giuridica internazionale, e ha dato luogo, soprattutto negli Stati Uniti d'America, a un ampio dibattito relativo agli atti di violenza posti in essere da chi è stato/a a sua volta vittima di violenza sistematica. In Italia molti delitti commessi dalla vittima di violenza prolungata non sono noti, e neanche censiti, semplicemente perché non vengono riconosciuti come tali. Poiché il nostro codice non dà rappresentazione alla reazione della vittima di violenza sistematica, né in termini di cause di giustificazione né in termini di circostanze attenuanti, il retroterra relazionale ed emotivo di questi atti di violenza, siano essi omicidi o lesioni gravi o gravissime, non viene adeguatamente indagato.
Né la legislazione né la giurisprudenza sembrano finora essere in grado di tenere nel debito conto la potenza e gli effetti di un sentimento come l'umiliazione, specie se essa si prolunga nel tempo, se assume i connotati della distruzione della personalità, e se si verifica nel contesto relazionale. La giurisprudenza consolidata sull'attenuante della provocazione considera lo "stato d'ira" come una situazione psicologica caratterizzata da un impulso emotivo incontenibile che determina la perdita dei poteri di autocontrollo. In secondo luogo, il "fatto ingiusto altrui" può essere costituito non solo da un comportamento antigiuridico in senso stretto, ma anche dall'inosservanza di norme sociali regolanti la civile convivenza, tra cui i comportamenti sprezzanti o di iattanza. Terzo, è necessario un rapporto di causalità psicologica tra l'offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse Cass. Sez. 5 n. 12558 del 16.3.04, Fazio, Rv. 228020). In altre decisioni la Corte di Cassazione ha ripetuto tralaticiamente che l'attenuante deve essere esclusa quando l'azione sia da ricondurre a un diverso movente o atteggiamento psicologico, eventualmente dovuto a una trasformazione dell'originario impulso emotivo in sentimento d'odio, rancore o vendetta (Cass. Sez. 1 n. 9695 del 29.7.99, De Rosa, Rv. 214937; Cass. Sez. 1 n. 11124 del 3.12.97, Insirello, Rv. 209159; Cass. Sez. 1 n. 6981 del 14.7.97, Bonaiuto, Rv. 208259).
In verità occorre ammettere che il diritto dà rappresentazione simbolica, considerandola fattore di attenuazione della responsabilità, solo alla reazione immediata all'ingiustizia subita da altri. Non tiene invece conto di un fenomeno che invece è ben noto in psicologia, e che consiste nell'ira provocata da un meccanismo di crescita progressiva. Si tratta di un processo di accumulo, dall'andamento graduale, che ha un periodo di incubazione, seguito da un momento di scoppio, rivelazione, o affioramento (V. D'Urso, Arrabbiarsi, Bologna, Il Mulino, 2001, p. 31).
L'unica apertura giurisprudenziale alla tematica della reazione alla violenza sistematica è rintracciabile in una pronuncia, peraltro non recentissima, dove si afferma che la provocazione, oltre che istantanea, può essere lenta, e protrarsi nel tempo senza mai raggiungere quella intensità di stimolazione tale da produrre nel perseguitato una "conflagrazione reattiva", ma determinando tuttavia in questi una "accumulazione" di stimoli psichici destinata ad esplodere, all'occasione, nel comportamento violento reattivo all'altrui fatto ingiusto (Cass. Sez. 1 n. 6285 del 19.5.99, Imp. PM in proc. Liaci, Rv. 213462, in Riv. Pen., 1999, 660).
Qui tale problematica non rileva direttamente ai fini dell'eventuale applicazione dell'attenuante dello stato d'ira, poiché non vi è la prova certa che il retroterra relazionale della coppia sia stato effettivamente caratterizzato da violenza sistematica, sia pure di tipo psicologico. Infatti le dichiarazioni della Diaw non sono state supportate da alcun riscontro, e potrebbero essere solo il riflesso del suo disturbo paranoico. L'esame del marito sarebbe stato peraltro altamente inopportuno, poiché avrebbe comportato per la persona offesa una rinnovazione del gravissimo trauma subito, e non avrebbe portato ad alcun risultato conclusivo, poiché il Kingsbury non potrebbe essere chiamato ad ammettere un comportamento di cui, oltre tutto, egli potrebbe non avere alcuna coscienza. D'altra parte, già in sede di sommarie informazioni, il Kingsbury ha dichiarato che la causa dell'aggressione di cui è stato vittima va ricercata unicamente nei disturbi psicologici della moglie.
E tuttavia, almeno dal punto di vista soggettivo, il gesto della Diaw va considerato come un comportamento di risposta alla violenza subita, reale o semplicemente frutto di un delirio paranoico. Di questo fenomeno ricorrono tutte le caratteristiche studiate in letteratura, vale a dire il processo di accumulo graduale, con un periodo di incubazione, seguito da un momento di esplosione di violenza. La comprensione del retroterra, quanto meno psicologico, del reato, se - per quanto sopra argomentato - non rileva ai fini dell'eventuale applicazione dell'attenuante della provocazione, giustifica l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche. Tenuto conto che non vi è incompatibilità tra attenuanti generiche e vizio parziale di mente (Cass. 13 maggio 1983, Banchelli) e che, in tema di comparazione di circostanze, la diminuente del vizio parziale di mente non ha efficacia riduttiva maggiore di quella delle attenuanti comuni (Cass. 10 maggio 1982, Bellotti), entrambe possono essere ritenute equivalenti alla aggravante contestata, di cui all'art. 583 comma 2 n. 2 c.p..
Ai fini della determinazione della pena occorre tenere conto che l'applicazione delle attenuanti generiche e della seminfermità, considerate equivalenti all'aggravante delle lesioni gravissime, comportano l'applicazione della pena assai contenuta prevista dal delitto base di lesioni semplici. Per questo motivo, tenuto conto della estrema gravità del fatto e delle sue conseguenze, si stima di equità fissare la pena base nel massimo previsto dall'art. 582 c.p., di anni tre di reclusione, ridotta a due anni di reclusione per la diminuente del rito. La condanna alle spese segue per legge.
Poiché in sede di perizia psichiatrica la Diaw è stata riconosciuta socialmente pericolosa, va applicata una misura di sicurezza, tra quelle previste dalla legge per i casi di seminfermità mentale. Il PM e il difensore di parte civile hanno chiesto l'applicazione della speciale misura di sicurezza prevista dall'art. 15 del D. Leg.vo 286/98. L'argomentazione è che la Diaw potrebbe essere rimpatriata in Senegal, dove la famiglia di origine sarebbe disposta ad accoglierla e a curarla, e dove l'imputata avrebbe pertanto maggiori opportunità di reintegrazione sociale. In proposito occorre sottolineare che della misura di sicurezza in questione, in assenza di precedenti, non sono ben chiari la ratio e l'ambito applicativo. La norma si limita a prevedere che la misura di sicurezza può essere applicata in caso di sentenza di condanna e di accertata pericolosità sociale. In base al tenore letterale della norma, la misura sarebbe applicabile nel caso di specie, comportando il vizio parziale di mente un sentenza di condanna e non di proscioglimento, ed essendo stata accertata con perizia la pericolosità sociale.
Tuttavia la soluzione non appare adeguata. La Diaw non vive in Senegal ormai da molti anni, e la possibilità di un suo reinserimento nel Paese di origine appare per ciò stesso problematica. La disponibilità della famiglia a farsi carico di una persona con una infermità mentale sarebbe tutta da verificare, e in ogni caso, in relazione al tipo di patologia, non vi è alcuna garanzia che la Diaw sarebbe adeguatamente curata, senza essere sottoposta a trattamenti inumani e degradanti spesso connessi con l'internamento dei malati di mente, secondo quanto si evince dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (Cfr. in particolare Herczegfalvy c. Austria, 24.9.1992 - serie A n. 244. Pur non ravvisando la responsabilità dello Stato nel caso concreto, la Corte ha affermato il principio che i malati di mente internati in ospedale psichiatrico, a cagione della loro situazione di vulnerabilità e impotenza, devono essere protetti dagli atti costituenti tortura o trattamenti umani o degradanti ai sensi dell'art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo).
L'unica possibilità di recupero che può intravedersi per l'imputata, pur nella situazione tragica determinata per l'intera famiglia dalle conseguenze del reato, dipende dalla vicinanza con i figli, dei quali almeno due vanno regolarmente a visitarla in carcere, come documentato in atti. Nonostante i figli siano adolescenti, e abbiano perciò una certa possibilità autonoma di movimento, è ovvio che il trasferimento della madre in Senegal renderebbe assai più difficile il mantenimento di tali rapporti affettivi. E' da sottolineare che la Diaw mostra di attribuire al rapporto con i figli la più grande importanza, come emerge da vari punti dell'interrogatorio, e anzi li considera l'unica sua ragione di vita. Occorre ancora sottolineare che l'obiettivo della risocializzazione indicato dall'art. 27 comma 2 Cost., a parere di questo GUP deve presiedere a qualunque valutazione relativa alla quantità e alla qualità non solo delle pene, ma anche delle misure di sicurezza.
La nota in data 9.9.04 dell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Castiglione delle Stiviere, dove la Diaw è stata inviata in osservazione dalla C.C. Rebibbia femminile, attesta che il trattamento psicofarmacologico "ha consentito un notevole miglioramento delle condizioni psichiche della paziente, specie a carico dell'ideazione, con sensibile attenuazione della componente delirante e conseguente più congruo approccio alla realtà circostante; la condotta si è mantenuta mite e corretta con rispetto delle regole di vita comunitaria". Prosegue la relazione dell'O.P.G.: "Si ritiene che questo sostanziale compenso delle condizioni cliniche possa consentire alla Diaw un rientro in carcere e una compatibilità con il regime detentivo. Stante la buona compliance raggiunta si consiglia il prosieguo della terapia farmacologica". Poiché la struttura specializzata ritiene che la Diaw sia in condizione di sopportare la detenzione e di essere adeguatamente curata in carcere, si ritiene più opportuno che la stessa sconti la pena inflitta, e che successivamente, se sarà considerata permanente la pericolosità sociale, sia applicata la misura di sicurezza del ricovero in un istituto di cura e di custodia per il periodo minimo previsto dalla legge, di un anno.
Non può essere concessa la sospensione condizionale della pena, ostando il giudizio di pericolosità sociale, ai sensi del combinato disposto degli artt. 164, 202 e 203 c.p.. Poiché la Diaw è incensurata, va concesso il beneficio della non menzione.
Per quanto riguarda la domanda di risarcimento del danno, è opportuno che la liquidazione sia effettuata in sede civile, tenuto conto della necessità di accertare con precisione le conseguenze delle lesioni subite dal Kingsbury, sia in termini di danno patrimoniale in senso stretto, sia in termini di danno esistenziale. Si ritiene però equo assegnare, a richiesta della parte civile, una provvisionale provvisoriamente esecutiva che costituisca un serio ristoro per la parte civile, anche se non comporta l'integrale copertura dei danni subiti.
Tenuto conto dei dati forniti dalla parte civile, viste le tabelle in uso nel Tribunale di Roma, considerato che in questo caso il danno morale è assai rilevante, secondo un calcolo ampiamente cautelativo si stima di equità una provvisionale di Euro 400.000,00. Vanno inoltre liquidate le spese di costituzione di parte civile, come da dispositivo.

P.Q.M.

Visti gli artt. 442, 533,535 c.p.p.,
DICHIARA

AISSATOU DIAW
Colpevole

del reato ascritto e, concesse le attenuanti generiche, riconosciuto il vizio parziale di mente, ritenuta l'equivalenza con la contestata aggravante, applicata la diminuente del rito abbreviato, la condanna alla pena di anni due di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali e di quelle di custodia cautelare.
Non menzione della condanna.

APPLICA

ad AISSATOU DIAW la misura di sicurezza del ricovero in un istituto di cura e di custodia per un anno, da eseguirsi dopo l'espiazione della pena detentiva.

CONDANNA

AISSATOU DIAW al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali in favore della parte civile Kingsbury David, da liquidarsi in sede civile, e al pagamento delle spese di costituzione di parte civile, che liquida in Euro 5.000,00. Assegna alla parte civile una provvisionale provvisoriamente esecutiva, che determina equitativamente in Euro 400.000,00.

La sentenza sarà depositata nel termine di 60 giorni.

Roma, 13.9.04
Il Giudice per l'Udienza Preliminare
(dott. Maria Grazia Giammarinaro)