Cass. pen. Sez. VI, 10.10.2001, n. 36576



Sentenza

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sezione VI penale

composta dai Signori Magistrati:
Dott. Francesco ROMANO - Presidente -
Dott. Giovanni CASO - Consigliere -
Dott. Giangiulio AMBROSINI - Consigliere -
Dott. Tito GARRIBBA - Consigliere -
Dott. Ilario Salvatore MARTELLA - Consigliere -

ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:

, nato a Melilli l' 8.5.1960;

avverso la sentenza, in data 21.6.2000, del Corte di appello di Milano;

visti gli atti, la sentenza denunziata e il ricorso;
udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Ilario S. Martella;
udito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. dr. Gianfranco IADECOLA, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo - motivi della decisione

1. Con sentenza in data 13.12.1996, il Pretore di Milano condannava , previa concessione delle attenuanti generiche ritenute equivalenti alla recidiva, alla pena di anni uno, mesi due di reclusione, e lire duecentomila di multa, ritenendolo colpevole di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p., capo a) in danno della ex convivente che, nel periodo compreso tra l'agosto 1990 e il 3 febbraio 1994 aveva più volte percosso e vessato moralmente; del reato di tentata violenza privata (art.56 - 610 c.p., capo b) per avere cercato di indurre la a non denunciare tali fatti, minacciandola di lesioni alla sua persona e di farle sottrarre la figlia minore nata nell'ottobre 1990; del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570, comma 1 ~ e 2° n. 2 c.p., capo c), per essersi del tutto disinteressato della figlia minore cui faceva mancare anche i mezzi di sussistenza.
2. Interposto gravame dall'imputato, la Corte d'appello di Milano con sentenza in data 21.6.2000, in parziale riforma dell'impugnata decisione, esclusa la continuazione interna al capo c, riduceva la pena inflitta ad anni uno giorni venticinque di reclusione e lire duecentomila di multa.
3. Con il proposto gravame si deduce:
- violazione e falsa applicazione degli artt.li 125, 546 1 ~ co., 192 1 ~ co c.p.p. in relazione all'art. 606 lett. b) ed e) c.p.p., per avere la Corte d'appello confermato la sentenza impugnata sulla base delle sole dichiarazioni della parte lesa, di cui si contesta la concludenza;
- violazione e falsa applicazione degli artt.li 125, 546 lett. e) c.p.p. e 572 c.p. in relazione all'art. 606 lett. b).
Si contesta che, anche in caso di convivenza more uxorio, possa trovare luogo il reato di maltrattamenti;
- violazione e falsa applicazione degli artt.li 125, 146 lett. e), 192 c.p.p., 610 c.p., in quanto è rimasto sfornito di prova il capo di imputazione relativo alla violenza privata;
- violazione e falsa applicazione degli artt.li 525, 546 lett. e) c.p.p. e 571 c.p. (rectius 570 c.p.) in relazione all'art. 606 lett.
b) ed e) c.p.p..
Si sostiene che non è stata accertata l'esistenza materiale del reato.
4. Il ricorso è manifestamente infondato in relazione a tutte le doglianze proposte che dal testo dell'impugnata sentenza risultano essere già state disattese dal giudice di appello con motivazione logico - giuridica ineccepibile.
Ciò premesso si osserva, con riferimento al primo dei motivi proposti, che trattasi di censura in fatto improponibile in questa sede, stante la non riscontrabilità dell'eccepito vizio di motivazione.
I giudici del merito hanno sul punto basato il loro convincimento della responsabilità del in ordine a tutti i reati contestati, non sola sulle dichiarazioni dibattimentali rese da ritenute coerenti, logiche ed equilibrate, ma, altresì, sugli ulteriori elementi probatori raccolti, attestanti che la donna è stata più volte percossa dal prevenuto durante il regime di convivenza - ossia dal 1990 e l'aprile 1991 e poi dal 1992 al 1994 - e ciò alla stregua sia della documentazione ospedaliera prodotta, sia delle testimonianze rese da , e dal padre specificamente richiamate.
Non vi è, dunque, dimostrazione da parte difensiva che il provvedimento impugnato sia manifestamente carente di manifestazione e di logica, parte che non può opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dai giudici di merito una diversa ricostruzione, sia pure improntata a una "propria" logica.
Passando all'esame delle ulteriori doglianze si osserva: costituisce ormai jus receptum che sono da considerare membri della famiglia - ex art. 572 c.p. - e, perciò, potenziali soggetti attivi di tale reato, anche i componenti della famiglia di fatto, fondata cioé sulla volontà comune di vivere insieme, di avere figli, di avere beni comuni: di dar vita, cioé, a un nucleo stabile e duraturo. Questa interpretazione è stata ritenuta la più coerente con i principi ispiratori del nostro ordinamento, nonché con la realtà sociale moderna. Del resto l'introduzione del divorzio e il suo largo utilizzo, hanno dimostrato che il matrimonio non è più un legame indissolubile, ed hanno eliminato, dunque, il presupposto più plausibile per una tutela diversificata dei due rapporti (cfr. ex pluribus: Cass. 3.7.1997 Milani, 26.1.1998 Traverso).
Consegue che tutte le volte in cui l'unione familiare non sia ancorata a un vincolo giuridico, si dovrà dimostrare (così come nel caso in esame lo è stato) che si sia costituita una famiglia di fatto.
Per quanto, infine, attiene alla censura in ordine alla ricorrenza del reato ex art. 570 comma 1 ~ e 2° n. 2 c.p., il giudice a quo ne ha motivatamente ritenuto la sussistenza alla stregua sia delle dichiarazioni della ex convivente , sia perché non è in alcun modo provato che il si sia trovato in difficoltà economiche tali da costituire vera e propria indigenza, e, quindi, impossibilitato ad adempiere almeno in parte, alla prestazione dei mezzi di sussistenza alla figlia minore.
Da quanto sopra consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché di una somma in favore della Cassa delle ammende, somma che si ritiene di giustizia stabilire in lire un milione.


P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di lire un milione in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma 10 luglio 2001

DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 10 OTT. 2001