Cass. pen. Sez. VI, 30.04.99, n. 8193



Sentenza

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE VI PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.:
Dott. Fortunato PISANTI - Presidente
Dott. Luciano DI NOTO - Consigliere
Dott. Francesco TRIFONE - Consigliere
Dott. Ilario MARTELLA - Consigliere
Dott. Arturo CORTESE - Consigliere

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso proposto da , nato a ......... il giorno 11.10.1950

avverso la sentenza della Corte di Appello di L'Aquila in data 20.11.1998

Sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. F. Trifone;
udito il Pubblico Ministero nella persona del S.P.G. dott. M. Matera, che ha concluso per la inammissibilità del ricorso con ogni altra conseguenza di legge;
udito il difensore Avv. Carlo De Virgilis, che ha concluso per l'annullamento della impugnata sentenza;

svolgimento del processo - motivi della decisione

Con sentenza del 20.4.1995 il Pretore di Chieti, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alla recidiva, condannava alla pena condizionalmente sospesa di un anno di reclusione, siccome colpevole del delitto di cui all'art. 572 c.p., per avere maltrattato la moglie picchiandola ripetutamente, minacciandola di cacciarla di casa, offendendola ed ingiuriandola. Con la medesima sentenza l'imputato veniva assolto, per insussistenza del fatto, del delitto di cui agli artt. 81 cpv. e 610 c.p., contestatogli per avere ripetutamente costretto, mediante percosse e minacce, la stessa moglie a sottoscrivere numerosi effetti cambiari.
Avverso la sentenza proponeva appello il P.G., che chiedeva la condanna anche per il delitto di violenza privata; la eliminazione del beneficio della pena sospesa, per averne l'imputato già goduto per due volte in precedenza; il conseguente aumento di pena ritenuta la continuazione del reato ex art. 610 c.p. con quello ex art. 572 stesso codice.
In via incidentale avanzava impugnazione anche l'imputato, per il tramite del suo difensore munito di specifico mandato, il quale chiedeva il rigetto dell'appello del P.M. e l'assoluzione del delitto di maltrattamenti in danno del coniuge, instando, in subordine, per la riduzione della pena.
La Corte di Appello di L'Aquila, con sentenza deliberata il 20.11.1998 e depositata il 25.11.1998, rigettava la impugnazione dell'imputato e, in accoglimento del ricorso del P.G., riconosceva colpevole anche del delitto ex artt. 81 cpv. e 610 c.p.; aumentava di un mese la pena della reclusione già inflitta, ritenuta la continuazione tra i due reati e la maggiore gravità del delitto ex art. 572 c.p.; eliminava il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Nell'interesse del ricorre per cassazione il difensore Avv. C. De Virgilis; il quale deduce nei motivi:
1. la violazione della legge penale ed il vizio di motivazione in ordine all'affermata responsabilità circa il delitto di violenza privata nonché circa il delitto di maltrattamenti;
2. la violazione di legge ed il vizio di motivazione circa la entità della pena inflitta.
I motivi di impugnazione sono infondati, onde il ricorso deve essere rigettato con la conseguente condanna del ricorrente alle spese del procedimento.
Quanto al motivo di cui sul 1. in riferimento al delitto di violenza privata - per il quale il ricorrente contesta la attendibilità della dichiarazione di accusa della parte offesa, in quanto derivata da certificazione medica eventualmente riferibile al diverso reato ex art. 572 c.p., e denuncia il vizio di motivazione in ordine all'elemento soggettivo della esercitata minaccia - rileva questa Suprema Corte che il giudizio di credibilità della parte offesa la corte territoriale ha basato non soltanto sulla documentazione medica (elemento, comunque, idoneo a tal fine, dato che il riscontro oggettivo può derivare da qualsiasi circostanza, ancorché non individualizzante), ma anche sulle dichiarazioni di , madre della parte offesa, che con la di lei famiglia aveva convissuto per quattro anni. Costei, infatti, ha confermato l'accusa della , secondo cui il marito con minaccia e violenza l'aveva costretta a sottoscrivere numerosi effetti cambiari, sicché, nell'accertata direzione dei mezzi adoperati alla realizzazione dello scopo voluto dall'imputato, è rimasto provato anche l'elemento intenzionale del delitto ex art. 610 c.p. Il quale indubbiamente concorre materialmente con il reato di maltrattamenti in famiglia, previsto dall'art. 572 c.p., quando le violenze e le minacce del soggetto attivo siano adoperate, oltre che con la coscienza e volontà di sottoporre il soggetto passivo a sofferenze fisiche e morali in modo continuativo ed abituale, anche - come nel caso di specie - con l'intento criminoso di costringere la moglie ad attuare un comportamento, che altrimenti la donna non avrebbe volontariamente compiuto.
Quanto alla censura sempre di cui sub. 1. in riferimento al delitto ex art. 572 c.p. - del quale il ricorrente contesta la sussistenza, non risultando per esso il requisito della abituale condotta in una serie di atti lesivi della integrità fisica e morale della parte offesa - rileva questo giudice di legittimità che, a riguardo, il gravame dell'appello non aveva specificamente coinvolto il punto in questione (sul quale, peraltro, la sentenza di primo grado aveva argomentato in modo convincente, logico ed esaustivo), per cui, trattandosi di motivo nuovo, esso è in questa sede inammissibile.
Infondato, infine, è il motivo di ricorso di cui sub. 2., quanto alla pretesa eccessività della pena, giacché sono state riconosciute le attenuanti generiche; la pena per il più grave reato é stata determinata nel minimo edittale; la valutazione di equivalenza alla recidiva delle attenuanti generiche non è stata oggetto di appello; la richiesta attenuante della provocazione non ha trovato, nell'indagine in fatto congiunta dal giudice di merito, alcun valido elemento di supporto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Roma, 30 aprile 1999.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 24 GIU. 1999