Cass. pen. Sez. III, sentenza 22.04.1998, n. 4752



Sentenza

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.:
Dott. Gennaro TRIDICO Presidente
Dott. Aldo RIZZO Consigliere
Dott. Aldo GRASSI Rel. Consigliere
Dott. Ferdinando IMPOSIMATO Consigliere
Dott. Carlo GRILLO Consigliere

ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da

, nato a ....... il 16 Settembre ........; , nata a ........il 23 Maggio ......; ;

avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano in data 15 Gennaio '97;

Visti gli atti, la sentenza denunciata ed il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione del Cons. Grassi;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del S. Procuratore Generale dott. V. Geraci, che ha concluso per l'annullamento con rinvio dell'impugnata sentenza;
Udito l'Avv. difensore d'ufficio degli imputati; N. 31447-97 R.G.

Svolgimento del processo

Con sentenza del Tribunale di Milano in data 30 novembre 1995 C. S. e B. V.venivano condannati, previo riconoscimento solo alla seconda delle circostanze attenuanti generiche dichiarate equivalenti alle contestate aggravanti, alle pene principali, rispettivamente, di tredici anni e di sei anni e sei mesi di reclusione, alle pene accessorie di legge, nonché al risarcimento dei danni morali in danno di F. L., costituitosi parte civile, liquidati in cinquanta milioni di lire a carico della V., in quanto colpevoli - in concorso fra loro e singolarmente - dei delitti, unificati dalla continuazione, previsti dall'art. 81 c.p., cpv., dagli artt. 110, 519, 521, 530, 542, comma 3, n. 1, c.p., dall'art. 61, n. 11, c.p. e dall'art. 572 c.p., loro ascritti perché, in tempi diversi e con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, dopo essersi stesi sul letto a fianco del L. che non aveva ancora compiuto nove anni ed era figlio della V., abbassati a costui i pantaloni del pigiama, lo avevano masturbato, gli avevano leccato il pene o questo avevano introdotto in bocca, costringendolo a congiunzione carnale con minacce e con abuso di relazioni domestiche e di ospitalità, essendo lo S.convivente della V., ovvero si erano masturbati ed avevano avuto fra loro rapporti carnali orali in presenza del detto minore, mentre - altre volte - lo S. aveva strusciato il pene fra le natiche del bambino e compiuto su di lui atti di libidine diversi dalla congiunzione carnale e la V., da sola, aveva masturbato il figlio e gli aveva leccato e ciucciato il pene, costringendolo a congiunzione carnale per via orale, fatti commessi in Cor..... fino al Luglio 1994.
Il Tribunale, dopo aver proceduto all'audizione protetta del L.presso i locali del Centro Bambino Maltrattato in cui era stato ricoverato, acquisiva agli atti del fascicolo del dibattimento - con ordinanza in data 28 novembre 1995 - i verbali delle dichiarazioni rese dallo stesso agli organi di P.G. ed al P.M. in fase di indagini preliminari ritenendo che di essi le parti, sebbene non intervenute nel corso dello esame, si fossero serviti per effettuare delle contestazioni, dato che il medesimo al termine della audizione aveva confermato tutte tali dichiarazioni.
Il primo Giudice, inoltre, procedeva all'audizione, come testi, delle psicologhe A. C., L. S. e P. C., del V. Questore S. De B., dell'Assistente sociale M. A. S., dello Agente di Polizia V. Di I., del responsabile della Comunità terapeutica in cui il minore era stato ricoverato dopo lo allontanamento dalla madre, dei fratelli e della madre di costei - R., Fabiana, V. e G.G. -, della insegnante elementare C. R., la cui classe il L. aveva frequentato, di O. G. educatrice presso la Comunità di Santo Stefano Ticino e di U. G., autore - su incarico del P.M. - della consulenza medica in ordine alle caratteristiche cromatiche e ad eventuali anomalie anatomiche degli organi genitali dello S., nonché all'esame degli imputati.
All'esito il Tribunale riteneva ed affermava:
a) che il minore F. L. fosse da considerare intrinsecamente attendibile per la analiticità e costanza del contenuto delle dichiarazioni rese, per la sofferenza sempre dimostrata nel rievocare i fatti dei quali era stato vittima e protagonista, per l'assenza di motivi validi per sospettare che quanto riferito fosse frutto di etero suggestione o di intento calunniatorio nei confronti della madre e dello S. convivente di costei e per la reiterata tendenza dimostrata a rifare con compagni di scuola ciò che in casa era costretto a subire;
b) che le dichiarazioni del detto minore fossero anche oggettivamente riscontrate dal rinvenimento e sequestro, in casa, di cassette pornografiche che, per lo stato della loro conservazione, non erano certo tenute, dallo S., a scopo di commercio e dalla conversazione telefonica - intercettata - intercorsa il 6 gennaio 1995 fra la B.V. e la sorella F., da cui emergeva che la visione di dette cassette veniva abitualmente imposta al bambino e spesso precedeva le pratiche sessuali cui lo stesso veniva poi sottoposto;
c) che quanto riferito dallo S. in ordine a pretese anomalie cromatiche ed anatomiche dei suoi organi genitali, che il L. avrebbe dovuto notare e stranamente non aveva riferito, era stato smentito dai risultati della consulenza medico-legale all'uopo disposta;
d) che ad atti di abuso sessuale il detto minore era stato sottoposto anche dai bisnonni, E. V. e G. Di M., nonché dallo zio G. A., convivente della F. V., i quali venivano separatamente processati;
e) che il G. A. aveva patteggiato, per i reati contestatigli come commessi ai danni del F. L., la pena - applicatagli - di due anni di reclusione;
f) che l'imputato S. era stato accusato anche dalla convivente B. V., madre del L., non solo nel corso di conversazioni telefoniche intercettate, ma anche in giudizio;
g) che le accuse mosse dal F. L. alla madre, per le pratiche sessuali cui la stessa lo aveva sottoposto da sola ed in compagnia dello S., erano reiterate, analitiche e costanti e trovavano riscontro anche nella difficoltà di quest'ultimo ad avere con la donna normali rapporti sessuali e nella necessità di ricorrere alla visione di cassette di contenuto pornografico ed al coinvolgimento del bambino per eccitarsi e raggiungere l'orgasmo;
h) che anche le psicologhe ed i funzionari di Polizia che più volte avevano, con cautela, parlato con il L. dei fatti per cui è processo, avevano ritenuto che costui riferisse, sia pure con ritrosia e con enorme sofferenza, episodi e circostanze realmente vissuti;
i) che detti fatti integravano tutti i reati dei quali gli imputati erano chiamati a rispondere, dato che gli atti sessuali compiuti su e con il minore o in presenza di lui, non sempre erano culminati in coiti orali, integranti gli estremi della violenza carnale e spesso erano consistiti in meri atti di libidine; la loro reiterazione, nonostante la ritrosia sempre dimostrata dal bambino, aveva inflitto allo stesso sofferenze morali e fisiche tali da integrare anche il reato di maltrattamenti; le pratiche sessuali poste in esser dagli imputati in presenza del L. erano state idonee a corrompere costui e le aggravanti contestate erano esistenti, convivevano, sicché lo S. aveva anche approfittato delle relazioni di coabitazione e di ospitalità nella casa dello stesso minore;
l) che il delitto di violenza carnale era perseguibile di ufficio, anche nei confronti dello S., perché da lui commesso in concorso con la madre del bambino, responsabile di un reato perseguibile d'ufficio e perché connesso con il delitto di cui all'art. 572 c.p., perseguibile d'ufficio;
m) che, nonostante la particolare gravità dei fatti, la donna appariva meritevole del riconoscimento di circostanze attenuanti generiche, equivalenti alle aggravanti contestate, essendo stata, a sua volta, oggetto, in tenera età, di abusi sessuali.
Contro tale decisione veniva proposta impugnazione da parte degli imputati i quali chiedevano:
a) la assoluzione, dai reati loro ascritti, almeno per insufficienza di prove, stante la inattendibilità del minore per le difficoltà dimostrate nella rievocazione dei fatti; per la commistione di questi, nella narrazione, con giochi e fantasie; per la suggestione ingeneratagli dalle assillanti domande degli psicologi, dei funzionari di Polizia e del P.M. prima del dibattimento e perché detti psicologi e funzionari avevano riferito fatti e circostanze appresi da terzi, dei quali non erano stati testimoni diretti;
b) che le dichiarazioni rese dal minore nella fase delle indagini preliminari fossero considerate non utilizzabili in quanto i relativi verbali erano stati acquisiti al fascicolo del dibattimento in violazione dello art. 500, comma 4, c.p.p., non essendo state effettuale al L., nel corso dell'esame protetto cui era stato sottoposto in giudizio, contestazioni di sorta;
c) in subordine, che il reato di atti di libidine fosse dichiarato assorbito da quello di violenza carnale; che allo S. fossero riconosciute circostanze attenuanti generiche e quelle applicate alla V. fossero dichiarate prevalenti sulle aggravanti; che le pene irrogate in primo grado fossero comunque ridotte, perché successive;
d) che fosse disposta la rinnovazione parziale della istruttoria dibattimentale per esaminare nuovamente il minore L..
La Corte di Appello di Milano con sentenza del 15 gennaio 1997, in riforma dell'impugnata decisione che nel resto confermava:
- assolveva gli imputati dal delitto di violenza carnale loro contestato al capo A) della rubrica, per insussistenza del fatto e da quello di corruzione di minore, di cui sub B), perché il fatto non costituisce reato per mancanza del dolo specifico richiesto dallo art. 609 quinquies c.p., norma più favorevole agli imputati di quella di cui all'art. 530 c.p.;
- assolveva lo S. dal delitto di atti di libidine in danno del L., contestato come commesso non in concorso con la V. [capo D) della rubrica] e costei da quello di violenza carnale in danno del figlio per fatti commessi non in concorso con lo Spina [capo F) della rubrica], per insussistenza dei fatti;
- determinava le pene irrogate agli imputati per i reati residui, continuati, di atti di libidine violenti, aggravati e maltrattamenti in danno del detto minore - con le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti già riconosciute alla V. - in 3 anni e 10 mesi di reclusione per costei ed in 4 anni ed 8 mesi di reclusione per lo S., con interdizione - per entrambi - dai pubblici uffici per cinque anni e revoca della pena accessoria della interdizione legale durante la espiazione della pena agli stessi inflitti in primo grado.
A tale decisione la Corte di merito perveniva dopo avere dichiarato inutilizzabili le dichiarazioni rese dal L., in fase di indagini preliminari, alla P.G. ed al P.M. - i cui verbali erano stati dal tribunale acquisiti al fascicolo del dibattimento con ordinanza del 28 novembre 1995 ritenuta illegittima - in quanto di esse le parti non s'erano servite per effettuare allo stesso contestazioni non essendo, sia la difesa, che il P.M., intervenuti nel corso dell'audizione protetta dal detto minore - e non potevano darsi per effettuate solo perché alla fine dell'esame al L. erano state fatte confermare, in maniera generica, tutte le precedenti dichiarazioni.
La Corte di merito, inoltre:
a) rigettava la richiesta di rinnovazione parziale del dibattimento, per procedere a nuova audizione del L., ritenendo di poter decidere allo stato degli atti superfluo e non decisivo detto atto istruttorio in considerazione del tempo ormai trascorso dai fatti e dello atteggiamento assunto dal minore nel corso dell'esame cui era stato sottoposto in primo grado;
b) dichiarava utilizzabili le testimonianze rese in sede di giudizio dagli Ufficiali di P.G. De B. e Di I. in quanto la norma di cui all'art. 197, lett. d), c.p.p. - la quale limita la possibilità di testimoniare per coloro che hanno svolto funzione di ausiliari del P.M. - deve intendersi come applicabile esclusivamente all'attività svolta dalla P.G. nel redigere gli atti previsti dallo art. 373 c.p.p., ad essa delegati espressamente dal P.M. e che vanno documentati, non anche alla attività autonoma compiuta nello esercizio delle funzioni proprie di polizia giudiziaria;
c) riteneva utilizzabili le dichiarazioni rese da C. R. - che aveva detto di avere appreso da I. G. i fatti poi da lei riferiti, dai quali aveva preso avvio la indagine penale sfociata nel processo in esame - in quanto la inutilizzabilità prevista dallo art. 195, comma 3, c.p.p. scatta solo se della persona da cui il teste dice di avere appreso i fatti venga chiesta la audizione e questa non sia stata dal Giudice disposta, mentre nel caso in specie nessuna delle parti aveva chiesto che la G. fosse sentita e, dunque, la testimonianza della R. era inutilizzabile;
d) riteneva attendibile il minore F. L. dato che non vi erano elementi per ritenere che quanto lo stesso aveva riferito fosse frutto di auto o di etero suggestione; le di lui dichiarazioni erano riscontrate oggettivamente non solo dagli elementi al riguardo evidenziali dal tribunale, ma anche dalle ammissioni di G. A. che, confessando di aver abusato anch'egli del ragazzo, aveva patteggiato la pena per i reati ascrittigli e dal fatto che per analoghi abusi di carattere sessuale in danno dello stesso minore anche i di lui bisnonni erano stati sottoposti a processo penale;
e) rilevava che l'aspetto generale gravemente sofferente e debilitato che il L. presentava; l'accertata presenza, in lui, di angosce; la carente capacità di attenzione, nonché la tendenza in più occasioni dimostrata di fare giochi in cui l'elemento sessuale e la sofferenza erano sempre commisti; la ambivalenza dimostrata nei confronti della madre, verso cui aveva dimostrato di nutrire amor e rabbia; la erotizzazione denunziata associando al sesso il dolore e cercando di rifare con compagni di scuola quanto era costretto a subire a casa; la costante ritrosia dimostrata nel parlare dei fatti oggetto del processo, definiti come "cose brutte" e la reiterazione costante ed analitica della narrazione di essi, erano sintomi univoci degli abusi sessuali dei quali il ragazzo era rimasto vittima ed inducevano a ritenerlo anche intrinsecamente quale persona attendibile, avendo dimostrato di sapere distinguere ruoli e comportamenti degli imputati nelle varie occasioni;
f) affermava che, espunte dal processo le dichiarazioni rese dal minore alla P.G. e al P.M., da quelle dibattimentali - la cui videoregistrazione era stata esaminata ed il cui contenuto era stato trascritto - non emergeva prova sicura nè dei coiti orali ai quali, secondo la imputazione, il L. era stato sottoposto da entrambi gli imputati e dalla madre anche singolarmente, nè degli strusciamenti del pene dello S. contro le di lui natiche, mentre era provato che egli era stato oggetto di reiterati atti di libidine;
g) riteneva che dal delitto di corruzione di minori gli imputati fossero da assolvere perché il fatto non costituisce reato non essendovi prova sicura del dolo specifico richiesto ora dall'art. 609-quinquies c.p., applicabile in quanto norma più favorevole e ciò perché a detti atti il L. era stato probabilmente sottoposto per esigenze e perversioni di natura sessuale dello S., non per corromperne l'integrità morale.
Avverso la sentenza d'appello hanno proposto ricorso per Cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Milano ed i due imputati chiedendone lo annullamento per violazioni di legge e difetto ed illogicità di motivazione.
Deduce, il primo, che la decisione impugnata non sarebbe logica perché, dopo avere affermato la responsabilità dello S. e della V.in ordine al reato di maltrattamenti cui il L. era stato sottoposto attraverso una serie di abusi sessuali dei quali era rimasto vittima e dopo aver più volte indicato le ragioni per cui le dichiarazioni del minore sono da considerarsi attendibili, avrebbe assolto gli stessi da tutti i fatti di violenza sessuale loro contestati.
Entrambi gli imputati deducono:
a) che illogicamente il L. sarebbe stato ritenuto non attendibile per ciò che riguarda i coiti orali dei quali sarebbe rimasto vittima e attendibile in ordine alle riferite masturbazioni ed ai toccamenti cui sarebbe stato sottoposto;
b) che illegittimamente sarebbero state utilizzate le dichiarazioni rese dagli Ufficiali di P.G. De B. e Di I., nonostante la loro qualifica di ausiliari del P.M.;
c) che la Corte di merito non avrebbe motivato sulla volontà degli imputati di infliggere al L. vessazioni morali e sofferenze fisiche, requisito essenziale perché si possa configurare il delitto di cui all'art. 572 c.p.;
La V. deduce, inoltre:
a) che gli atti di libidine in danno del figlio, di cui è stata ritenuta colpevole, sarebbero assorbenti del delitto di maltrattamenti per il quale è stata pure condannata;
b) che le dichiarazioni rese dai detti Ufficiali di P.G. in ordine ai fatti loro riferiti dal L. sarebbero state illegittimamente ritenute utilizzabili, sebbene quelle rese loro dallo stesso minore fossero state espunte dal processo;
c) che il L. sarebbe stato ritenuto attendibile senza considerare che era stato sicuramente suggestionato da coloro che con molta fatica lo interrogavano e che confondeva sistematicamente il gioco con la realtà;
d) che non sarebbero state adeguatamente indicate le ragioni per cui le attenuanti generiche, riconosciutele, non sono state dichiarate prevalenti sulle aggravanti;
e) che non vi sarebbe prova di atti di libidine da lei commessi sul figlio non in concorso con lo Spina.

Motivi della decisione

La censura d'illogicità mossa all'impugnata sentenza dal P.G. ricorrente muove dal presupposto erroneo che lo S. e la V. siano stati assolti in appello da tutti i reati di violenza sessuale loro contestati e condannati solo per il delitto di maltrattamenti integrato proprio dai reiterati abusi sessuali cui il L. è stato sottoposto.
In realtà gli imputati sono stati assolti solo dai reati di violenza carnale e corruzione di minore, loro contestati, non anche da quelli di atti di libidine violenti in danno del L. ed i maltrattamenti inflitti a costui sono stati dal Giudice di merito ravvisati proprio negli atti di libidine cui lo stesso era stato reiteratamente sottoposto.
Le testimonianze in giudizio degli Ufficiali di P.G. De B. e Di I. sono state legittimamente utilizzate perché la disposizione di cui all'art. 197 c.p.p., comma 1, lett. d), che sancisce, fra l'altro, la incompatibilità a testimoniare per coloro che nello stesso processo svolgono o abbiano svolto funzioni di ausiliari del Giudice o del P.M., non prevede una ipotesi di incompatibilità assoluta a testimoniare, ma mira solo ad evitare che tali soggetti possano essere assunti come testi sulle conoscenze relative a fatti circostanze, di cui si debba acquisire prova in giudizio, appreso nello esercizio della funzione di ausiliario per la redazione degli atti di cui allo art. 373 c.p.p., non anche nel corso della attività compiuta nello espletamento delle loro funzioni di P.G. (vedi conf. Cass., Sez. VI, 21 aprile 1994, Tigani e sez. I, 21 luglio 1993, Maiorano).
Nel caso in esame i due Ufficiali di Polizia giudiziaria sopra menzionati hanno testimoniato, in giudizio, su fatti di cui erano venuti a conoscenza nello esercizio delle funzioni di p.g. e non nell'espletamento di funzioni di ausiliari del P.M. per la redazione di alcuno degli atti indicati nell'art. 373 c.p.p..
L'eliminazione, dal fascicolo del dibattimento, delle dichiarazioni rese dal minore F. L. alla P.G. ed al P.M., in quanto non utilizzate, nel corso dell'esame dello stesso giudizio, per effettuare contestazioni al medesimo, non era ostativa all'assunzione delle testimonianze dei detti Ufficiali di P.G., utilizzate soprattutto al fine di valutare la attendibilità intrinseca del Loconte.
Le censure relative alla ritenuta responsabilità degli imputati in ordine ai delitti di atti di libidine violenti, continuati ed aggravati, in danno del detto minore non sono ammissibili perché sotto la apparente deduzione di vizi di legittimità della sentenza impugnata, mirano ad una nuova e diversa valutazione, in fatto, delle risultanze processuali, non consentita in questa sede di legittimità in presenza di motivazione, sul punto, incensurabile perché adeguata, logica e corretta.
La Corte di merito, infatti, espunte dal processo tute le dichiarazioni rese dal L. alla P.G. e al P.M. in fase di indagini preliminari, ha ritenuto, sulla scorta di quelle da lui rese in giudizio, che non vi fossero prove sicure di coiti orali allo stesso praticati dagli imputati e del fatto che lo S. gli avesse strofinato il pene contro le natiche, non essendo stati - tali fatti specifici - riferiti dal ragazzo con costanza e determinazione, mentre ha ritenuto provati gli atti di libidine perché descritti dal minore con dovizia di particolari e reiterata costanza e riscontrati oggettivamente dal rinvenimento delle cassette pornografiche, dal contenuto dello stesso L. che aveva più volte cercato di compiere con compagni di scuola gli stessi atti sessuali dei quali era stato, in casa, spesso protagonista e vittima.
L'attendibilità intrinseca del L. è stata ritenuta pure in considerazione del fatto che non sono emersi elementi per ritenere che egli avesse motivi di astio o di rancore nei confronti della madre o dello S., sì da rivolgere a loro accuse calunniose o che fosse stato suggestionato o comunque indotto alla narrazione di fatti non rispondenti alla realtà, fatti - quelli ritenuti provati - peraltro narrati con costanza e con dovizia di particolari e riscontrati oggettivamente.
Il delitto di maltrattamenti in famiglia, che ha natura abituale, consiste in una serie di atti lesivi dell'integrità fisica, della libertà o del decoro del soggetto passivo - nei confronti del quale viene posta in essere una condotta di sopraffazione sistematica e programmata tale da rendere la stessa convivenza particolarmente dolorosa - atti sorretti dal dolo generico integrato dalla volontà cosciente di ledere la integrità fisica o morale della vittima.
Nel caso in esame i Giudici di merito hanno ritenuto che lo abituale coinvolgimento del L., il quale non aveva ancora compiuto nove anni, da parte degli imputati, nei loro giochi amorosi; il costringere lo stesso a vedere con loro filmini pornografici ed a rifare, poi, con loro stessi, ciò che nel film prima gli era stato fatto osservare, integri gli estremi del reato di cui all'art. 572 c.p., per la sofferenza morale al ragazzo inflitta - provata anche dal rifiuto che lo stesso spesso aveva cercato di opporre alla visione dei detti filmini ed alle pratiche sessuali in cui era poi coinvolto e dalla ritrosia dimostrata nel rievocare quelle "cose brutte" - e per la dimostrata volontà degli imputati, fra cui la madre del minore, di perseverare nella condotta in questione senza curarsi dei traumi che si creavano nel ragazzo e delle offese arrecate alla di lui dignità.
Il reato in esame non è assorbito da quello di atti di libidine, del quale i ricorrenti sono stati pure dichiarati colpevoli, stante la diversità del bene giuridico offeso.
In verità, quando con azioni integranti gli estremi dei maltrattamenti si ledono volutamente altri beni, interessi o valori del soggetto passivo, oggetto di tutela penale - quale quello della libertà personale sotto i profilo sessuale - lo agente risponde di entrambi i tipi di reati che l'ordinamento prevede a tutela di valori diversi (v. conf. Cass., Sez. III, 1 febbraio 1996, Calì).
Il giudizio di comparazione per il quale le circostanze attenuanti generiche riconosciute alla V. sono state dichiarate equivalenti, e non prevalenti, sulle contestate aggravanti, risulta motivato adeguatamente e logicamente con riferimento alla particolare gravità dei fatti dalla stessa posti in essere in danno del figlio ed alla violazione dei doveri di educazione e cura che nei confronti dello stesso lei aveva.
Alla luce delle esposte considerazioni i ricorsi vanno tutti rigettati, perché infondati, con conseguente condanna degli imputati ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta i ricorsi proposti dal Procuratore Generale della repubblica presso la Corte di Appello di Milano, da B. V. e da C. S. avverso la sentenza della stessa Corte d'Appello in data 15 gennaio 1997 e condanna la V. e lo S., in solido, al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma il 9 marzo 1998

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 22 APRILE 1998