Maria Giovanna Ruo, relazione



La violenza assistita

MARIA GIOVANNA RUO
Presidente Camera Minorile in CamMino

Ringrazio la Presidente della Commissione parlamentare per l'infanzia per il gentile e gradito invito e il professor Pinheiro per il suo ampio, approfondito, prezioso lavoro e la sua stimolante relazione. Cercherò di essere molto sintetica in ragione dell'ora anche perché molti temi sono stati già affrontati con dovizia di particolari. Non parlerò volutamente della difesa dei minori nei procedimenti che li riguardano perché è argomento troppo ampio e di emergente attualità per confinarlo in pochi minuti. Spero che ci siano prossime occasioni ad hoc di parlare di difesa e rappresentanza dei minori nel processo e dell'applicazione della Convenzione di Strasburgo anche in relazione alla recente entrata in vigore della legge n. 149/2001 che sta creando non pochi problemi ad interpreti e operatori.
Mi riporto invece a quanto ha detto poco fa il professor Pinheiro: i diritti umani non si fermano alla porta di casa ma purtroppo molto spesso sono le capacità di diagnosi e di indagine a fermarsi sulla soglia, perché non vi è possibilità di varcarla. Proprio questa prospettiva chiama in prima linea l'avvocatura: infatti agli avvocati la ‘porta di casa' viene aperta dagli stessi protagonisti delle vicende. I legali fiduciari ne ricevono le confidenze, conoscono fatti e situazioni proprio dall'interno, secondo la visione delle persone che si rivolgono a loro, ma al contempo hanno una prospettiva complessa ed articolata che deriva anche dalla dialettica con le altre parti nel e fuori dal processo. Non tutte le domande di giustizia che provengono dalle persone che si rivolgono agli avvocati vengono portate all'autorità giudiziaria. Ve ne sono alcune, anzi molte, che trovano soluzione prima in un accordo; altre che non possono essere portate nelle aule di giustizia perché mancano gli strumenti giuridici che tutelino le relative situazioni in un ordinamento pensato per una famiglia stabile, destinata a durare nel tempo, isola felice che il diritto doveva solo lambire, per usare un'espressione a tutti nota di Carlo Arturo Jemolo sempre meno attuale. Così il diritto ignora talvolta alcune situazioni emergenti in
una "società liquida" sempre più frastagliata e frammentata nella quale le fragilità personali e relazionali invece richiederebbero con frequenza crescente un intervento dell'autorità a tutela dei soggetti deboli coinvolti. Altre volte manca poi nelle persone che vorrebbero domandare giustizia, e che meriterebbero di ricevere adeguata protezione, la volontà o la forza, anche economica, di richiedere l'intervento del giudice.
In tutte queste situazioni ignote alle statistiche, il rapporto fiduciario tra assistito e avvocato fa sì che a questo ultimo vengano "spalancate le porte di casa", quelle che rimangono chiuse ai normali strumenti di indagine: cosicché è proprio l'avvocatura ad avere "il polso della situazione" anche al di là delle statistiche giudiziarie e che può cogliere alcuni cambiamenti sociali e culturali prima che questi divengano fenomeni diffusi. Vorrei quindi aggiungere da questa particolare prospettiva alcune brevi osservazioni su alcuni dei temi trattati.
1) La violenza assistita. La violenza assistita da parte dei minori è una duplice violenza: è violenza in sé, fa male ai bambini assistere a scene di aggressione verbale e fisica tra i genitori o tra persone alle quali vogliono bene perché frantuma il loro mondo affettivo, la loro fiducia verso le figure di adulti che lo circondano. Inoltre è scuola di violenza. Si tratta però di una violenza che molto spesso non viene portata in evidenza, che fa parte di quel numero oscuro al quale mi riferivo prima: un fenomeno sommerso al quale non si presta la dovuta attenzione. Il genitore che subisce la violenza - e che normalmente è la donna - ancora oggi ha paura a denunciare la situazione, a richiedere la tutela giurisdizionale. Spesso sostiene di volersi in tal modo sacrificare per i figli: con ciò dimostra di non essere consapevole né del fatto che per i figli assistere a comportamenti violenti è violenza in sé che sono costretti a subire inermi e che prima o poi emergerà con conseguenze a carico del loro sviluppo psico-fisico, né del fatto che i figli saranno portati poi a riprodurre quegli stessi comportamenti violenti che hanno subìto o che hanno visto subire. Lo faranno spesso appena un po' cresciuti in famiglia e questo noi avvocati lo sappiamo: c'è un numero crescente ed oscuro di violenze endofamiliari da parte di minori appena un po' più cresciuti che riproducono i comportamenti violenti subìti o assistiti sugli altri minori e anche sui genitori, spesso proprio sul genitore debole che non ha avuto la forza e la possibilità di rescindere il legame collusivo con il suo carnefice. C'è da chiedersi se e come si possa intervenire su questo problema. Esistono possibilità di intervento: la prima è la prevenzione e consiste nel rendere consapevole il genitore che nel momento in cui subisce violenza davanti ai figli, o con i
figli che ne sono coscienti, la stessa violenza la fa subire proprio a loro che vorrebbe tutelare invece con il proprio sacrificio. Bisogna far capire che ciò è un danno grave ai minori, alla famiglia e alla società. Ho visto con molto favore la pubblicità contro la violenza in famiglia, che mi sembra un grande segno di civiltà: anche per le modalità con le quali è stata realizzata, rendendo esplicito il dilemma nel quale si dibatte la vittima della violenza, il suo desiderio di coprire la situazione. Tuttavia l'aspetto pur importante della violenza assistita non mi sembra fosse messo in evidenza: sarebbe invece importante che si aiutassero le persone che subiscono violenza in famiglia a capire che una tale scuola ha una ricaduta immediata sui figli e, anche senza voler scadere in determinismi, ha un'alta possibilità di comportare la riproduzione di altrettante situazioni di violenza. Un secondo intervento possibile sarebbe una maggiore attenzione al problema da parte della giurisdizione. In ambito penale vi è un atteggiamento complessivamente ‘tollerante' verso le problematiche di violenza endofamiliare. Molte denunce-querele vengono archiviate come storie di normale conflittualità familiare con l'assurda conseguenza che lo stesso comportamento al di fuori della famiglia viene sanzionato penalmente, all'interno invece no. Tale ‘tolleranza' finisce con il legittimare la violenza in famiglia, la rende "Far West", luogo sottratto alla legge in cui tutto può divenire se non lecito almeno possibile. In ambito civile troppo spesso succede che denunce-querele di comportamenti violenti all'interno della famiglia prodotte in procedimenti civili relativi alla separazione della coppia genitoriale o alla potestà dei genitori vengano addirittura considerate dal giudice della famiglia con disfavore, come elementi rilevatori di conflittualità e quindi negativi proprio per la persona che ha sporto le denunce-querele. Se nella giurisdizione penale assistiamo a fenomeni massivi di archiviazione di denunce di violenza endofamiliare, nella giurisdizione civile, dove pure sarebbe importante rilevare il comportamento del genitore se non altro ai fini della sua adeguatezza o inadeguatezza genitoriale, assistiamo a una non considerazione del fenomeno o a un suo travisamento cosicché viene ritenuto irrilevante persino ai fini della valutazione della idoneità genitoriale. È invece evidente che se un genitore si è comportato violentemente nei confronti dell'altro genitore ciò deve essere considerato un fatto rilevante anche sul piano della sua capacità educativa. La Convenzione dei diritti del fanciullo di New York si occupa specificamente del contenuto dell'educazione all'art. 29 e certamente i comportamenti violenti di un genitore nei confronti dell'altro trasmettono disvalori non compatibili con tale norma. Quindi prevenzione e anche attenzione della giurisdizione che deve essere incisiva nelnon tollerare e rimuovere con tutti gli strumenti di cui dispone situazioni di questo genere.
2) La SAP - Sindrome da alienazione parentale. Non mi diffondo, evidentemente, sulla definizione e descrizione del fenomeno noto a tutti gli addetti ai lavori, ma vorrei sottolineare qui che si tratta in ogni caso di violenza. Non di violenza tipica, vis compulsiva come ci hanno insegnato, ma in ogni caso di una violenza mutilante e gravissima perché quando un genitore con propri comportamenti pressori, manipolatori, con un
atteggiamento persuasivo, pervasivo e invasivo porta il figlio ad eliminare dalla vita l'altro genitore, lo conduce ad un'automutilazione del proprio mondo affettivo e relazionale e lo destina a permanenti sensi di colpa nei confronti del genitore eliminato dalla propria vita affettiva e relazionale. Se non è violenza questa, anche se non agìta con percosse, non so cosa possa considerarsi violenza. È un fenomeno del quale noi avvocati costatiamo una crescita allarmante e nel contempo si tratta di situazioni sulle quali è difficile riuscire ad incidere: il genitore alienante molto spesso si comporta in tal modo in ottima buona fede, non è consapevole del danno che produce e non ha concrete possibilità di contenere razionalmente il proprio comportamento perché spesso è a sua volta necessitato dai propri condizionamenti. Il genitore che aliena il figlio dall'altro, proietta sul bambino le proprie ansie, le proprie istanze di protezione, ritiene di proteggere il figlio da chi avverte come pericoloso se non devastante. Anche di fronte a questo fenomeno la giurisdizione appare spesso timida e impacciata: quando la situazione è al suo insorgere, i giudici difficilmente intervengono con provvedimenti incisivi e pertinenti. Ma quando invece la sindrome è già conclamata, il danno è divenuto spesso irreversibile e diventa molto difficile intervenire: il figlio è ormai appiattito sulle posizioni del genitore che ha operato l'alienazione e sarebbe un'ulteriore violenza quella di sottrarglielo tentando di ricollocarlo in modo equilibrato - e quindi con il pieno apporto emotivo, affettivo, educativo di entrambi i genitori - all'interno del suo mondo affettivo come pure avrebbe diritto.
3) Le leggi come strumento pedagogico. La cosiddetta legge sull'affido condiviso ne è un esempio e ribadire il principio della bigenitorialità (che era già presente nel nostro ordinamento, anche in forza della legge n. 176/1991 di ratifica della Convenzione dei diritti del fanciullo di New York dove tale principio è affermato e coniugato variamente) è stata certamente un'operazione di rilievo culturale oltre che giuridico. Tuttavia è necessario che le norme siano applicate con intelligente attenzione al caso particolare e con la consapevolezza, ad esempio, che l'affido condiviso è un ottimo principio generale ma in alcuni casi non può funzionare perché vi sono delle ‘disfunzionalità' nella coppia genitoriale e nella sua relazione interna che sono paralizzanti di un dialogo nell'interesse dei figli. In questi casi l'affido condiviso diviene lesivo del diritto di questi ultimi al sano sviluppo psicofisico perché sono assoggettati dai genitori a continui conflitti di lealtà, a messaggi contraddittori e devastanti. Insomma l'ottimo principio generale se applicato in modo generalizzato ed indistintamente a tutti i casi produce effetti contrari a quelli che si prefigge.
4) L'audizione del minore nel processo. Protocolli sull'ascolto del minore sia in sede civile sia in sede penale sono urgenti, perché altrimenti sul territorio assistiamo ad una pluralità di prassi non sempre rispettose della serenità e libertà del minore e/o delle regole processuali. È infatti necessario ricordare che se l'opinione del minore è uno degli elementi che il giudice deve tenere presente per la decisione, la situazione nella quale il giudice apprende la volontà del minore è un momento endoprocessuale, nel quale debbono essere assicurati, compatibilmente con la particolare tutela della quale il minore ha bisogno, anche il contraddittorio e il diritto di difesa dei genitori. A Roma è stato firmato un protocollo per l'ascolto del minore in sede civile tra il Presidente del tribunale per i minorenni e il Presidente del consiglio dell'ordine degli avvocati, formulato dopo mesi di incontri tra avvocati e magistrati, che ha tentato di dare normazione al momento dell'ascolto tenendo presente la duplice necessità di cui ho detto.
5) Violenza nelle scuole. C'è difficoltà ad avere notizie dalle scuole e ciò vuol dire che è difficile per la dirigenza scolastica ammettere il problema. Nel 2004 Camera minorile in CamMino, nelle fasi preparatorie del convegno "Disagio minorile, trasgressione, devianza: ipotesi interpretative a risolutive a confronto", promosse un'indagine in alcune scuole medie e superiori romane nelle quali si aveva notizia certa e diretta dell'esistenza di problemi di violenza interna tra studenti: fu predisposto un questionario volto ad indagare le tipologie di violenza, le tentate tipologie di intervento, la sensibilità dei genitori al problema, il dialogo tra scuola e famiglia al riguardo. Il tutto, ovviamente, garantendo il totale anonimato. Ebbene, su 25 questionari inviati abbiamo avuto risposta soltanto da 3 scuole. Abbiamo interpretato la mancata risposta come rifiuto dell'indagine conoscitiva, paura del fenomeno, volontà di mantenerlo nel segreto. Ma il problema sussisteva e noi lo sapevamo per certo e direttamente e non c'è possibilità di porvi rimedio se non attraverso un'indagine serena ed obiettiva. La presa in carico del problema da parte delle agenzie educative che se ne debbono occupare, scuola e famiglia in collaborazione tra di loro, non può prescindere dalla volontà di essere consapevoli del problema e di indagarne cause e modalità.
6) Infanticidi. Gli infanticidi e i momenti di fragilità emotiva che sfociano in atti violenti nei confronti della prima infanzia da parte del genitore che dovrebbe essere il primo accudente e tutelante sono anche essi in crescita: basta guardare le cronache. Sono anche in crescita i fenomeni di stanchezza e di incuria genitoriale nei primi mesi connessi spesso alla crisi della coppia subito dopo la nascita di un figlio. Spesso registriamo rifiuto del bambino anche nei colloqui con le giovani madri. Due fattori sociali mi sembrano rilevanti. Il primo è la frammentazione della famiglia, la diffusione crescente del modello mononucleare se non monoparentale. La famiglia allargata non esiste più e non è stata sostituita da adeguati ammortizzatori sociali: prima la  donna che aveva un figlio trovava accoglienza e appoggio da parte dei genitori propri e del partner, delle zie più anziane, delle sorelle più grandi che si avvicendano intorno a lei nel puerperio, che è un momento difficile anche per i problemi ormonali e quelli psicologici connessi, fortemente destabilizzanti. Inoltre, sempre nella famiglia allargata, la giovane madre aveva già vissuto indirettamente la vicenda della nascita, l'ingresso di un neonato in famiglia, i problemi di altre giovani mamme. Infine si riposava, se non per i fatidici 40 giorni, almeno per un periodo congruo. Oggi si trova sola, inadeguata rispetto ad un compito che non conosce affatto, in preda ai fenomeni ormonali e ai problemi psicologici connessi che la modernità non può certo dire che siano stati risolti o che si possano risolvere perché sono fisiologicamente connessi con la maternità. Inoltre riceve messaggi sociali che ne accrescono la sensazione di inadeguatezza: deve essere di nuovo subito bella, magra, scattante, efficiente, tornare al più presto nel mondo del lavoro e farsi perdonare l'assenza. La donna che partorisce deve, per condizionamento ambientale, quantomeno avere l'apparenza di aver eliminato dalla sua vita la maternità come problema. Questi messaggi sociali destabilizzanti uniti alla solitudine provocano spesso una deriva che a sua volta può sfociare in violenze tragiche che talvolta riemergono a distanza di anni come veniva ricordato; ha spesso anche come effetto la disgregazione della coppia. Un'ultima questione, sulla quale mi sembra doveroso dire una parola, è quella dei tempi del tribunale per i minorenni: verissimo, spesso sono biblici. Ma parliamo anche di numeri dei tribunale dei minorenni: sono 29 in tutta Italia, insufficienti per dare una risposta alla domanda di giustizia.

Grazie.