Laura Carrera, Violenza domestica



VIOLENZA DOMESTICA E ORDINI DI PROTEZIONE CONTRO GLI ABUSI FAMILIARI

VIOLENZA DOMESTICA E ORDINI DI PROTEZIONE CONTRO GLI ABUSI FAMILIARI

di Laura Carrera

I caratteri della violenza domestica e le finalità della L. n. 149/2001 e della L. n.154/2001
La violenza nelle relazioni familiari rappresenta un dato ricorrente nella storia dell'umanità, tradizionalmente descritto come fenomeno sommerso e trasversale. L'abuso domestico, infatti, appare difficile da scoprire e quantificare, anche in quanto non limitato ad ambienti socialmente degradati, ma diffuso e radicato in ogni strato del tessuto sociale (1).
La prassi testimonia, inoltre, che la condotta violenta è posta in essere da parte di un soggetto in posizione di forza - prevalentemente l'uomo - nei confronti di donne, minori, disabili e anziani. Si parla, a questo proposito, di violenza come fenomeno di «genere», indicando con questa espressione la matrice comune di tutte le condotte violente: la loro specifica connotazione «sessuata» e cioè l'essere compiute da un genere - quello maschile - nei confronti di un altro genere - quello femminile (2).
La tematica della «violenza di genere» si colloca in quella più ampia della differenza di genere: essa, partendo dal dato biologico-culturale, fondante l'identità, che i generi sono due, è la radice di tutte le differenze, categoria costitutiva del reale, espressiva di un processo di identità sociale in divenire (3). Il «filo rosso» della riflessione è costituito dalle parole chiave uguaglianza, parità e differenza. Donne e uomini costituiscono al tempo stesso due soggettività uguali e distinte: la differenza costituisce forza della parità e fondamento dell'uguaglianza.
Parlare di violenza come fenomeno di genere non significa stigmatizzare un sesso, considerandolo aprioristicamente e collettivamente responsabile. Vuol dire, invece, leggere la violenza come problema sociale, costante nel tempo, perché legato al modo in cui si strutturano le relazioni tra gli uomini e le donne (4).
In tale contesto si collocano la legge 28 marzo 2001, n. 149 , recante modifiche alla L. n. 184/1983 sul diritto del minore ad una famiglia e la legge 4 aprile 2001, n. 154 , sulle misure contro la violenza nelle relazioni familiari.
La prima prevede la possibilità di allontanare dalla residenza familiare non solo il minore, come nell'originaria formulazione degli artt. 330 e 333 c.c ., ma anche il genitore o il convivente maltrattante o abusante, congiuntamente all'adozione di un provvedimento ablativo o limitativo della potestà genitoriale.
La seconda introduce, invece, una doppia tipologia di interventi paralleli nel settore civile e penale, costituiti, rispettivamente, dagli ordini di protezione contro gli abusi familiari ( artt. 342 bis , 342 ter c.c . e 736 bis c.p.c. ) e dalla misura cautelare coercitiva dell'allontanamento dalla casa familiare ( art. 282 bis c.p.p. ).
Gli ordini di protezione, nati negli Stati Uniti d'America e giunti in Europa dopo la Quarta Conferenza mondiale sulle Donne di Pechino (1995) (5), costituiscono l'espressione di quel processo normativo che concepisce la violenza domestica non come questione privata, ma come problema pubblico da affrontare con specifici strumenti di contrasto che escludano dal patto sociale la coercizione della volontà altrui, attraverso un'azione di riconoscimento di identità sociali plurime (6).
Il punto di partenza dell'evoluzione normativa che coinvolge le leggi sui consultori familiari ( L. n. 405/1975 ), sull'interruzione volontaria di gravidanza ( L. n. 194/1978 ), sulla violenza sessuale ( L. n. 66/1996 ) e sulla pedofilia ( L. n. 269/1998 ) è rappresentato dalla riforma del diritto di famiglia del 1975 e con essa dall'abbandono del modello della famiglia patriarcale, retta da una struttura gerarchica, fondata sull'autorità del pater (7).
Esiste, infatti, un'intima connessione tra trasformazione del concetto di famiglia, approccio alla violenza domestica come questione sociale e processo politico di liberazione della donna e del minore (8): il nuovo modo di intendere il ruolo della donna nella famiglia costituisce, infatti, il portato di una diversa concezione delle relazioni maschili e femminili nella società.
Gli ordini di protezione appaiono perfettamente coerenti con il volto costituzionale della famiglia, ispirato ai valori dell'uguaglianza morale e giuridica nei rapporti coniugali e con la prole. Le nuove misure contro la violenza nelle relazioni familiari esprimono, infatti, secondo una linea ideale che unisce gli artt. 2 e 3 agli artt. 29, 30 e 31, compresi gli artt. 32, 33, 34, 36, 37, 38 Cost., la rilevanza giuridica prioritaria riconosciuta agli interessi del singolo rispetto a quelli della famiglia, tutelata in quanto formazione sociale di arricchimento e sviluppo della personalità del soggetto (9). Si tratta di provvedimenti che, pur avendo una collocazione formale endoprocessuale, assolvono ad una prioritaria finalità esoprocessuale (10): difendere i diritti fondamentali della persona nel caso in cui la realizzazione della condotta violenta travolga e pregiudichi lo svolgimento dei rapporti familiari.
L'ambito soggettivo di applicazione degli ordini di protezione appare, inoltre, in linea con le più recenti interpretazioni sul fondamento costituzionale della famiglia di fatto ( art. 2 Cost. ): la legittimazione attiva e passiva spetta, infatti, al coniuge, al convivente (art. 342 bis c.c.) o ad altro componente del nucleo familiare ( art. 5, L. n. 154/2001 ). L'assimilazione degli strumenti di tutela tra famiglia legittima e di fatto costituisce la sintesi tra gli opposti principi di responsabilità e libertà: giusta l'esigenza di difendere l'autonomia di chi rifiuta l'istituzionalizzazione connessa al matrimonio, non va trascurato il richiamo al senso di responsabilità che questa scelta implica e verso il partner e verso i figli (11).
La L. n. 149/2001 e la L. n. 154/2001 rispondono a molteplici finalità di intervento, nel tentativo di porre rimedio alle carenze dei tradizionali strumenti di tutela penale e civile, evidenziate dall'esperienza dei centri antiviolenza.
In primo luogo, la possibilità di ottenere tutela tramite un'azione di tipo civilistico elimina l'intrinseca avversione psicologica della vittima a denunciare o querelare il partner violento (12).
In secondo luogo, la legge persegue il significativo intento di fornire una protezione tempestiva, rapida, e sollecita, volta a interrompere il ciclo della violenza nell'immediatezza dei fatti, mantenendo aperta la strada alla ricostruzione e al recupero delle relazioni familiari. Si tratta, infatti, di misure che, se da un lato, non presuppongono la definitiva rottura o l'attenuazione del rapporto familiare come, invece, l'adozione, il divorzio e la separazione anche di fatto, dall'altro, permettono di evitare i lunghi tempi e costi processuali, inevitabilmente legati all'addebito della separazione ( art. 151, comma 2, c.c. ), al risarcimento del danno per la violazione dei doveri coniugali o genitoriali ( art. 2043 c.c. ) (13) o alla possibilità di chiedere il divorzio in presenza del giudicato penale su specifiche tipologie delittuose ( art. 3, L. n. 898/1970 ).
Un ulteriore obiettivo della legge è quello di affievolire pericolosi meccanismi di colpevolizzazione, cui è soggetta la vittima della violenza, impedendo a chi ha subito l'aggressione di compiere nelle more del processo civile o penale la scelta penalizzante di abbandonare la casa familiare ovvero per il minore di subire il trauma aggiuntivo dell'allontanamento disposto dal giudice, secondo l'originaria previsione degli artt. 330 e 333 c.c. La prassi, infatti, ha sempre dimostrato una certa riluttanza ad allontanare il familiare violento, tanto in sede civile attraverso il ricorso alla tutela cautelare atipica ( art. 700 c.p.c. ) (14) ovvero mediante l'emanazione di «provvedimenti convenienti» (art. 333 c.c.) (15), quanto in sede penale con l'adozione della misura cautelare del divieto e obbligo di dimora ( art. 283 c.p.p. ) (16).
Infine, la misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare presenta dei benefici sia per l'autore della violenza, quale alternativa alla custodia cautelare in carcere, sia per la pubblica amministrazione, sollevandola dagli oneri economici del soggiorno della vittima presso idonea struttura.
Gli elementi posti a fondamento degli ordini di protezione: la non perseguibilità d'ufficio del fatto
Nel provvedimento in epigrafe il Tribunale di Genova accoglie l'istanza della ricorrente sulla base di tre elementi: la querela presentata per un episodio di aggressione fisica; il deposito del ricorso per separazione; la mancata presentazione del convenuto.
In ordine al primo elemento, dalla lettura del decreto risulta che la moglie, recatasi in data 20 ottobre 2002 a casa della suocera per prendere la figlia e per vedere il figlio, veniva «accolta» dal coniuge armato di matterello. Questi iniziava a percuoterla con violenza al capo, al viso, alle braccia, alla schiena e alle gambe, dandosi poi alla fuga, dopo essere stato interrotto da un agente di polizia in borghese passante in quel frangente. La donna, accompagnata con l'ambulanza al pronto soccorso, veniva ricoverata per tre giorni con diagnosi di politraumatismo da aggressione.
Un ragionamento di tipo prognostico induce, in prima battuta, a qualificare il fatto in termini di lesioni lievissime ( art. 582, comma 2, c.p. ). Si tratta, infatti, di una fattispecie di lesioni procedibile a querela di parte, diversamente dalle lesioni lievi (art. 582, comma 1, c.p.), gravi e gravissime ( artt. 583 c.p. ) che sono procedibili d'ufficio. Del resto, l'art. 582, comma 2, c.p. esclude espressamente che la qualità di coniuge del soggetto passivo determini la perseguibilità ex officio delle lesioni lievissime, in deroga alla regola sancita all' art. 577, comma 2, c.p.
Se la ricostruzione è corretta, nel caso di specie appare integrato uno degli elementi costitutivi oggettivi negativi della fattispecie dell'»abuso familiare», legittimante l'adozione degli ordini di protezione: la non procedibilità d'ufficio del fatto. Tale presupposto si traduce in un limite di tipo esterno, rappresentando lo «spartiacque» tra competenza del giudice civile e del giudice penale nell'adozione degli strumenti di contrasto della violenza domestica e, quindi, tra il concetto di violenza domestica in ambito civile e penale (17).
Si possono, quindi, distinguere tre diverse aree d'intervento.
Nella prima, riservata esclusivamente alla competenza del giudice civile, rientrano gli abusi familiari non integranti gli estremi di un reato ovvero le condotte che, pur costituendo un delitto perseguibile d'ufficio, presentano limiti edittali di pena che non consentono l'adozione di misure cautelari personali, ivi inclusa quella dell'allontanamento dalla casa familiare, in quanto non appartengono al novero tassativo delle fattispecie elencate all' art. 282 bis, comma 6, c.p.p. Così, ad esempio, in un caso affrontato dalla giurisprudenza di minaccia aggravata, perseguibile ex officio, ma punita con la reclusione fino ad un anno ( art. 612, comma 2, c.p. ) (18). Il problema si pone anche rispetto alle lesioni lievi, incriminate con la reclusione da tre mesi a tre anni.
È noto, infatti, che la nuova misura cautelare di cui all'art. 282 bis c.p.p. è subordinata ai limiti di pena previsti in via generale per le misure cautelari, diverse dalla custodia in carcere: ergastolo o reclusione superiore nel massimo a tre anni ( art. 280, comma 1, c.p.p. ) (19). Tuttavia, il legislatore rispetto ad un numero circoscritto di delitti ha riconosciuto al giudice penale la possibilità allontanare il familiare violento anche in deroga ai suddetti limiti di pena. Si tratta dei reati di violazione degli obblighi di assistenza familiare ( art. 570 c.p .), abuso di mezzi di correzione ( art. 571 c.p. ), prostituzione minorile ( art. 600 bis, comma 2, c.p. ), pornografia minorile ( art. 600 ter, comma 4, c.p. ), detenzione di materiale pornografico ( art. 600 quater c.p. ), violenza sessuale ( art. 609 bis, comma 3, c.p. ), atti sessuali con minorenne ( art. 609 quater, comma 3, c.p. ), corruzione di minorenne ( art. 609-quinquies c.p. ), violenza sessuale di gruppo (art. 609 bis, comma 3, come richiamato dall' art. 609 octies c.p. ).
La ratio della deroga è chiara: colmare una vistosa lacuna normativa, fonte di sicuro pregiudizio per la vittima, posta nell'impossibilità beneficare della cautela penale in una serie cospicua di fattispecie di violenza domestica.
Gli ordini di protezione costituiscono l'unico rimedio esperibile anche rispetto ai reati per cui è stata sporta querela, ma che sono puniti con una pena diversa dall'ergastolo o dalla reclusione superiore nel massimo a tre anni e non rientrano nell'elenco tassativo dell'art. 282 bis, comma 6, c.p.p., quali ad esempio: minaccia non aggravata, lesioni dolose lievissime, lesioni colpose ( art. 590 c.p. ), percosse ( art. 581 c.p. ) e ingiuria ( art. 594 c.p. ) (20).
La seconda area di intervento è di competenza esclusiva del giudice penale, riguardando reati procedibili d'ufficio, i cui limiti di pena rientrano in quelli dell'art. 280 c.p.p. Così, ad esempio, i maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli ( art. 572 c.p. ), le lesioni personali dolose aggravate, la violenza privata (art. 610 c.p.), sequestro di persona ( art. 605 c.p. ), le fattispecie di omicidio (artt. 575, 584, 586, 589 c.p.) e l'incesto ( art. 564 c.p. ).
Infine, nelle altre situazioni costituite dai reati perseguibili a querela, puniti con una pena edittale che consente l'applicazione di misure cautelari personali, la vittima ha due possibilità di scelta: dare inizio al procedimento penale sporgendo querela e attendere la richiesta del p.m. di allontanamento del familiare violento oppure esperire ricorso ex art. 342-bis c.c., a prescindere dalla presentazione della querela. Così, per le fattispecie di violenza sessuale a querela irritrattabile (art. 609-septies c.p.) (21), per la violazione di domicilio (art. 614 c.p.) e per la sottrazione di persona incapace (art. 574 c.p.).
Dal quadro appena delineato, emerge la natura residuale della competenza del giudice civile, come confermato dalla giurisprudenza edita in tema di ordini di protezione. Il Tribunale di Bari ha, infatti, ritenuto applicabili i rimedi di cui all'art. 342-bis c.c., nonostante che per i medesimi episodi fosse stata presentata formale querela alle autorità competenti (22).
Ad avviso di chi scrive nel caso di specie, il giudice civile avrebbe potuto dichiarare la propria incompetenza.
Non si tratterebbe di lesioni lievissime, ma di lesioni aggravate dall'uso di arma impropria, quale il mattarello. Ai sensi dell'art. 582, comma 2, c.p., l'impiego di armi improprie determina, a prescindere dalla durata della malattia, un aggravamento della pena ex art. 585 c.p. e, conseguentemente, il passaggio dalla procedibilità a querela alla procedibilità d'ufficio. La riconducibilità del matterello o di un randello di legno nella categoria delle armi improprie è stata affermata dalla giurisprudenza in base al disposto dell' art. 4, comma 2, L. n. 110/1975 . Secondo tale norma devono considerarsi tali tutti quegli strumenti, anche non da punta o da taglio, che, in particolari circostanze di tempo o di luogo, possano essere utilizzati per l'offesa della persona (23).
Per evitare di declinare la propria competenza il Tribunale di Genova avrebbe potuto porre a fondamento della decisione altri episodi di aggressione posti in essere dal marito: gli insulti proferiti di persona, telefonicamente o tramite SMS, gli arbitrari tentativi di far lasciare alla donna il proprio lavoro, le infondate contestazioni in ordine all'educazione dei figli, l'abbandono del domicilio coniugale, gli schiaffi subiti dalla donna in data 29 giugno 2002, ma non denunciati nella speranza che si trattasse di un episodio isolato (24) e, infine, l'arbitraria introduzione del marito - ormai abitante dalla propria madre - nella casa coniugale, mentre la moglie era al lavoro, accompagnata dalla modificazione della combinazione della cassaforte, peraltro non successivamente comunicata alla donna.
Alcuni dei fatti considerati non integrano illeciti penalmente rilevanti, altri invece potrebbero costituire ipotesi di delitti perseguibili a querela e, pertanto, rientranti nella cognizione del giudice civile.
Se da un lato non pare dubbia la sussistenza del delitto di ingiuria rispetto alle offese e agli insulti proferiti al coniuge ( art. 594 c.p. ), più delicata è, invece, la configurabilità del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.).
La giurisprudenza ha, infatti, individuato il momento centrale della fattispecie nella sottrazione agli obblighi giuridici di assistenza inerenti alla qualità di coniuge ( art. 143 c.c. ) o di genitore ( art. 147 c.c. ). Tale fatto vale a qualificare come abbandono l'allontanamento dalla residenza familiare, ogni qual volta non si accompagni alla contestuale domanda di separazione ( art. 146, comma 2, c.c. ) o divorzio, salvo che l'allontanamento avvenga su accordo dei coniugi o in presenza di situazioni di fatto addebitabili ad uno di essi, idonee a fondare lo stato di necessità, anche putativo (25).
Nel caso di specie il marito sembra avere lasciato la casa coniugale per circostanze non ascrivibili alla moglie, ma in base alla libera scelta di trasferirsi dalla madre. Risulta, inoltre, che egli non abbia provveduto «in alcun modo al mantenimento dei figli, né ad affrontare le spese per la loro educazione e cura».
L'introduzione nel domicilio domestico da parte del marito integra gli estremi materiali e morali del reato di violazione di domicilio. Infatti, secondo l'opinione prevalente deve ritenersi titolare dello jus excludendi colui che attualmente e legittimamente abita o dimora in un certo luogo, qualunque ne sia il titolo (26). L'elemento psicologico del reato si concreta nella coscienza e volontà dell'agente di introdursi e trattenersi nell'altrui abitazione, contro la volontà del titolare del diritto di esclusione, a nulla rilevando il motivo dell'introduzione - cambiare la combinazione della cassaforte- (27).
Senza addentrarsi nella problematica, si potrebbe, inoltre, provare a considerare i diversi episodi di violenza nel loro complesso, ritenendo integrati gli estremi materiali e psicologici del delitto di maltrattamenti in famiglia e, in particolare, il requisito della abitualità della condotta (28) e del c.d. «dolo unitario o uniforme» (29) . Infatti, se da un lato, la convivenza è situazione di fatto, sufficiente a realizzare la fattispecie, non altrettanto necessaria appare, invece, la coabitazione (30). Resta fermo che se il soggetto fosse stato indagato per maltrattamenti, la competenza all'allontanamento dalla residenza familiare sarebbe spettata al g.i.p. ex art. 282 bis c.p.p., in quanto reato procedibile d'ufficio.
Le diverse opzioni ricostruttive fino a qui esaminate non costituiscono un esercizio ermeneutico fine a se stesso, ma appaiono strumentali a confermare la necessità di abrogare il limite esterno della non perseguibilità d'ufficio del fatto di cui all'art. 342 bis c.c.
Questa, del resto, sembra essere l'intenzione del legislatore, come dimostrato dalla proposta di legge approvata il 14 maggio 2003 dalla Commissione Giustizia della Camera in sede legislativa (31).
La condizione della non perseguibilità d'ufficio era stata introdotta dal Senato nella fase finale dell'iter di approvazione della L. n. 154/2001, per il timore di operare uno stravolgimento del sistema, affidando al giudice civile compiti che naturalmente spettano al giudice penale, in assenza delle garanzie proprie di questo processo.
L'argomento si espone, però, ad alcune critiche (32). In primo luogo, le misure cautelari penali non hanno lo scopo precipuo di tutelare la persona offesa, ma la collettività (33). Tale obiettivo è, infatti, generalmente affidato al giudice civile.
In secondo luogo, nell'azione civile la mancanza di un giudizio successivo a cognizione piena è giustificata dalla temporaneità della misura, stabilita dal giudice e avente durata massima pari a sei mesi, prorogabile una tantum in presenza di gravi motivi (art. 342 ter, comma 3, c.c.). Senza contare che il doppio grado di giudizio e il controllo collegiale sul provvedimento adottato inaudita altera parte sembrano costituire una sufficiente garanzia di contraddittorio per il destinatario ( art. 736 bis c.p.c. ).
La modifica dell'art. 342 bis c.c., appare necessaria per preservare lo spirito della L. n. 154/2001: una piena tutela della vittima attraverso la realizzazione di un doppio binario civile e penale, rimettendo ad essa la scelta degli strumenti da utilizzare.
Subordinare l'esercizio dell'azione civile alla non perseguibilità d'ufficio rende estremamente elevato il rischio che il giudice dichiari inammissibile il ricorso per carenza del presupposto, proprio nelle situazioni connotate da maggior gravità. È vero che il tribunale civile ha il dovere di trasmettere gli atti alla Procura della Repubblica per l'avvio del procedimento penale, ma ciò realizza una dilazione dei tempi della protezione e, quindi, della tempestività dell'intervento, garantita dalla informalità del contraddittorio, propria dei procedimenti semplificati in camera di consiglio.
L'attuale sistema è fonte, inoltre, di un'ingiustificata disparità di trattamento: chi è soggetto passivo di reati perseguibili a querela di parte può avvalersi, in presenza dei necessari limiti di pena, tanto dell'ordine di protezione quanto degli strumenti offerti dal procedimento penale, risultando così maggiormente tutelato rispetto a chi subisce fatti integranti delitti perseguibili d'ufficio.
Il grave pregiudizio all'integrità fisica o moraleovvero alla libertà del familiare convivente
Giova comunque rilevare che la mancata qualificazione in termini di reato dei fatti oggetto della complessa vicenda in esame non vale a privarli di disvalore giuridico in sede civile. In ogni caso, infatti, la loro globale valutazione pare realizzare l'evento della fattispecie dell'abuso familiare: il grave pregiudizio all'integrità fisica o morale o alla libertà del coniuge (34).
Il legislatore ha preferito non definire la condotta pregiudizievole, in modo da includervi ogni comportamento in cui si sostanzi la violenza domestica, ponendo invece l'accento sull'illegittimo evento dannoso che ad essa consegue. Il caso affrontato dal Tribunale di Genova dimostra, infatti, che la violenza è un concetto graduabile, che può assumere una pluralità di forme, alcune delle quali integrano gli estremi di specifiche fattispecie criminose, mentre altre sono invece penalmente lecite, ma non per questo senza significato giuridico.
La locuzione «grave pregiudizio» non è nuova al legislatore civile. Essa ricorre in numerose disposizioni, accomunate all'art. 342 bis c.c. dalla natura non patrimoniale del danno. Così, ad esempio, il «grave pregiudizio» ricorre: tra i presupposti della separazione, avuto riguardo all'educazione della prole (art. 151 c.c.), con riferimento al danno derivante al marito dall'uso del proprio cognome da parte della moglie ( art. 56 bis c.c. ), nella norma che consente al padre di adottare provvedimenti urgenti nell'esercizio della potestà genitoriale in caso di contrasto (art. 316 c.c.) e, infine, tra le condizioni della dichiarazione di decadenza dalla potestà (art. 330 c.c.).
Nell'interpretare il concetto di evento pregiudizievole di cui all'art. 342 bis c.c. è possibile rifarsi all'elaborazioni formulate in sede penale e, in particolare, a quelle che attengono ad alcuni dei beni giuridici nei delitti contro la persona (35).
Il pregiudizio all'integrità fisica si verifica quando la persona è vittima di atti di violenza che incidono direttamente sul suo corpo, come nel caso di percosse o lesioni.
Con l'espressione integrità morale si fa riferimento al patrimonio dei valori dei quali il soggetto può essere depositario (36).
L'irrinunciabile tutela della salute, valore protetto dalla Carta costituzionale ( art. 32 Cost. ), rende, inoltre, assolutamente inaccoglibile un'interpretazione della norma che non includa anche il pregiudizio all'integrità psichica, particolarmente esposta nel caso di rapporti familiari patologici.
Nel valutare il concetto di pregiudizio all'integrità morale e psichica potrebbe assumere rilevanza il c.d. mobbing familiare. Tale termine, impiegato tradizionalmente per designare forme di «terrorismo psicologico» sul luogo di lavoro, ha fatto recentemente ingresso nell'ambito del diritto di famiglia. La Corte d'Appello di Torino ha, infatti, affermato che costituisce causa di addebito della separazione il comportamento del marito che assuma in pubblico atteggiamenti di mobbing nei confronti della moglie, ingiuriandola, denigrandola o offendendola sul piano estetico, svalutandola sia come consorte, sia come madre (37). I comportamenti in cui esso si estrinseca appaiono, infatti, riconducibili al concetto di violenza psicologica, nozione di tipo non giuridico, ma in uso nella prassi dei centri antiviolenza.
Il valore della libertà, invece, si apprezza per il suo significato più ampio, non circoscritto alla personalità morale dell'individuo, ma esteso a tutti quei profili che consentono al soggetto di autodeterminarsi ( artt. 2 , 13, 15, 21 Cost. ) (38).
Il pregiudizio di cui all'art. 342-bis c.c. legittima l'adozione degli ordini di protezione solo se raggiunge la soglia quantitativa e/o qualitativa della «gravità». Sebbene la giurisprudenza pronunciatasi sul punto non sia ancora cospicua, è possibile individuare due diverse interpretazioni. La prima, incentrata sul concetto di condotta pregiudizievole, desume la gravità dalla reiterazione di azioni ravvicinate nel tempo, senza soluzioni di continuità temporale e consapevolmente dirette a ledere i beni tutelati, in modo che il regime di normale convivenza del nucleo familiare risulti gravemente alterato (39). La seconda, invece, pone l'accento sulla tipologia dell'evento che ad essa consegue, così ampliando l'ambito di applicazione della norma: anche un solo episodio violento, ma di entità tale da far temere la reiterazione della condotta, può giustificare il ricorso ex art. 342-bis c.c. (40).
Nel caso in questione caratterizzato da numerosi episodi di aggressioni fisiche e verbali entrambe le interpretazioni avrebbero comportato l'accoglimento dell'istanza. Tuttavia la prima non appare condivisibile, in quanto fuorviante e fonte di un controsenso. Se così inteso, il comportamento che legittima la tutela protettiva in sede civile dovrebbe, infatti, presentare gli stessi elementi del delitto di maltrattamenti (abitualità e dolo unitario) e cioè di un fatto che, in quanto perseguibile d'ufficio, era escluso dall'ambito oggettivo di applicazione degli ordini di protezione.
Nel caso in questione non si pone il problema di accertare l'elemento psicologico della fattispecie, trattandosi pacificamente di comportamenti dolosi, commessi da un soggetto capace di intendere e di volere. Vale, tuttavia, la pena di chiedersi se esso rilevi ai fini della concessione dei provvedimenti protettivi ovvero se invece sia sufficiente un mero comportamento obiettivo del soggetto, come nei casi di cui agli artt. 330 e 333 c.c. (41).
La giurisprudenza sembra sposare un'interpretazione soggettivistica della norma, negando l'allontanamento del marito affetto da gravi disturbi psichici. Correttamente nel decreto si sottolinea che la ratio della L. n. 154/2001 non è certo quella di espellere, anche se provvisoriamente, dal nucleo familiare il componente malato (42).
In ordine alla tipologia del legame esistente tra abusante e abusato, il Tribunale di Napoli ha precisato che il ricorso ex art. 342 bis c.c. non può essere accolto in difetto del presupposto della convivenza. Nella specie la ricorrente affermava di essere stata costretta ad abbandonare la casa coniugale a fronte di intimidazioni dei genitori e dei fratelli del marito, non conviventi con la coppia (43).
Non occorre, invece, che la coabitazione sia in atto al momento dell'adozione del provvedimento. Così, Il tribunale del riesame di Roma nell'accogliere l'appello proposto dal p.m. avverso il provvedimento con cui il g.i.p. aveva respinto la domanda di allontanamento, per mancanza di una convivenza in itinere, ha affermato che la misura cautelare di cui all'art. 282 bis c.p.p può essere applicata non solo nella prospettiva di interrompere una convivenza a rischio attualmente in corso, ma anche al fine di evitare che riprenda una convivenza già temporaneamente cessata, contro la volontà della persona offesa. Consente agevolmente di superare una diversa interpretazione restrittiva la lettera della norma che prevede, alternativamente e disgiuntamente («ovvero»), l'ordine del giudice di lasciare la casa familiare e quello di non farvi rientro (44). Sebbene la pronuncia si riferisca alla misura cautelare, l'identità di ratio che presiede all'introduzione degli artt. 342-bis c.c. e 282-bis c.p.p. porta a ritenere applicabile analogo principio anche nei confronti degli ordini di protezione.
La pendenza del ricorso per separazione
Il secondo elemento posto a fondamento degli ordini di protezione emessi dal Tribunale di Genova è costituito dalla pendenza del ricorso per separazione. L' art. 8 comma 1, L. n. 154/2001 dispone, infatti, che gli artt. 342-bis e 342-ter c.c. non trovano applicazione, qualora abbia avuto luogo l'udienza presidenziale di comparizione dei coniugi nel procedimento di separazione ( art. 706 c.p.c. ) o divorzio ( art. 4, L. n. 898/1970 ). Tale circostanza appartiene al novero degli elementi oggettivi negativi della fattispecie dell'abuso familiare, sub specie di limite interno alla competenza del giudice civile.
Il provvedimento in commento conferma, pertanto, l'orientamento che reputa ammissibile la domanda ex art. 342 bis c.c. anche nelle more tra la presentazione del ricorso per separazione o divorzio e la fissazione dell'udienza presidenziale (c.d. zona grigia). Solo l'avvenuta celebrazione dell'udienza di comparizione davanti al Presidente, non di mero rinvio, preclude l'accoglimento del ricorso per la protezione contro gli abusi familiari (45). Non è, infatti, consentito al giudice interpretare estensivamente o analogicamente ipotesi d'inammissibilità o improponibilità di domande giurisdizionali, che in quanto limitative del diritto di difesa, costituzionalmente protetto, non possono esplicarsi oltre i casi e i tempi in esse considerati ( art. 24 Cost. ).
Dati i tempi non sempre brevi che intercorrono tra deposito dell'istanza di separazione e divorzio e fissazione dell'udienza presidenziale, si vuole evitare che la vittima sia sprovvista di tutela durante la pendenza del relativo ricorso (46). Resta comunque fermo che, una volta adottati i provvedimenti presidenziali, gli ordini di protezione sono destinati a perdere automaticamente efficacia (art. 8, L. n. 154/2001).
Infatti, dopo la comparizione delle parti davanti al Presidente del tribunale, la misura dell'allontanamento è sostituita dai provvedimenti provvisori adottati ex art. 708 c.p.c. per la separazione ed ex art. 4, L. n. 898/1970 per il divorzio. Con i predetti provvedimenti il Presidente del tribunale decide sia in ordine all'assegnazione della casa familiare, con l'obbligo per l'altro coniuge di allontanarsene, sia in merito al versamento dell'assegno di mantenimento a carico di una delle parti. Si tratta, in sostanza, degli stessi contenuti dell'ordine di protezione, con la differenza che in fase di separazione o divorzio tali misure sono volte a regolare in modo stabile la situazione dei coniugi.
Per evitare disparità di trattamento, l'art. 8, comma 1, L. n. 154/2001 prevede che gli ordini di protezione possano essere assunti dal giudice istruttore anche nel corso dei procedimenti di separazione o di divorzio. In questo caso, però, la loro adozione è regolata, sotto il profilo processuale, rispettivamente, dagli artt. 706 e ss. c.p.c. e dalla L. n. 898/1970. Tale ordine potrà avere per oggetto l'allontanamento dalla casa coniugale, quando il Presidente del tribunale nulla abbia disposto circa l'assegnazione della casa medesima, in mancanza di prole minorenne. Pare, invece, da escludere che il giudice istruttore possa emettere un ordine di pagamento a carico del datore di lavoro, essendo la materia già regolata dagli artt. 148, comma 2, c.c. , 156, comma 6, c.c. e dalla L. n. 898/1970 (47).
Contenuto e natura del provvedimento
Il provvedimento emesso dal Tribunale di Genova non presenta tutto il catalogo tipico degli ordini di protezione, contenuto nei primi due commi dell'art. 342 ter c.c.
Sussiste, certamente, il nucleo essenziale della fattispecie, consistente nell'ordine rivolto al marito di cessare dalla condotta pregiudizievole nei confronti dalla moglie e dei figli (48).
Tra le misure eventuali, invece, il giudice ritiene opportuno disporre soltanto l'allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla moglie e, in particolare, al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d'origine ovvero al domicilio di altri prossimi congiunti o di altre persone e in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia. Non compaiono, invece, né l'ingiunzione al pagamento di un assegno di natura assistenziale a favore della vittima priva di mezzi adeguati, né l'intervento dei servizi sociali.
Del resto, come sottolineato da parte della dottrina, il rapporto tra le varie tipologie di provvedimenti si fonda sulla loro reciproca autonomia. Non sono, quindi, ravvisabili ordini accessori che possano essere emessi solo qualora ne siano concessi altri, fermo restando che l'ordine di cessazione della condotta deve essere sempre pronunciato (49). In questo modo, troverebbero adeguata tutela le situazioni in cui sono prevalentemente ravvisabili gli estremi della c.d. «violenza economica».
Di diverso avviso è, invece, la giurisprudenza. Il Tribunale di Bari ha, infatti, escluso che la moglie, priva di propri redditi, potesse beneficiare esclusivamente della misura patrimoniale dell'assegno in assenza dei presupposti legittimanti la cessazione della condotta pregiudizievole e l'allontanamento dalla casa familiare, trattandosi di una misura cumulativa e non autonoma (50).
I giudici hanno, inoltre, precisato che le ulteriori prescrizioni di cui all'art. 282 bis c.p.p. - ma il discorso si può estendere anche all'art. 342 ter c.c. - adempiono al precipuo scopo di costituire una sorta di «schermo protettivo» indispensabile per un'ordinata ripresa della vita del nucleo familiare c.d. «superstite» (51).
In particolare, la misura patrimoniale è stata opportunamente prevista dal legislatore al fine di evitare che il timore di conseguenze pregiudizievoli di carattere economico possa costituire una remora ad ottenere l'ordine giudiziale di cessazione delle condotta pregiudizievole. Non è infatti infrequente che le persone accusate di abusi familiari rappresentino la sola fonte di reddito della famiglia (52).
L'intervento dei servizi sociali, dei centri di mediazione familiare e delle associazione a difesa delle donne e dei minori maltrattati dovrebbe essere finalizzato al sostegno delle parti durante l'attuazione della misura ed alla preparazione della fase successiva all'esaurimento degli effetti degli ordini di protezione: eventuale recupero dei rapporti familiari o definitivo allontanamento del familiare violento (53).
Secondo parte della dottrina quest'indicazione non è munita di sufficiente obbligatorietà: questo è forse uno dei punti di maggiore debolezza della legge. Dovendo agire all'interno di un ambito così delicato come la famiglia, è necessario che venga creato un sistema di supporto intorno alla vittima, a spese dello Stato, per seguire le sue decisioni e sostenerla dal punto di vista psicologico, materiale e di assistenza legale (54).
L'intervento del giudice è estremamente penetrante, in quanto incide su diritti fondamentali della persona riconosciuti e garantiti dalla Costituzione e, in particolare, sulla libertà personale ( art. 13 Cost. ), sulla libertà di circolazione ( art. 16 Cost. ) e sulla proprietà privata ( art. 42 Cost. ) (55).
Non sembra, tuttavia, che possano sollevarsi fondati dubbi di legittimità costituzionale, né che la L. n. 154/2001 si muova in controtendenza alle nuove esigenze manifestatesi nel diritto di famiglia, attente e rispettose dell'autonomia negoziale dei coniugi nel momento della crisi familiare (56).
Bisogna, infatti, considerare che le fondamentali libertà sopra richiamate sono lese solo temporaneamente, in favore della tutela di un altro diritto egualmente inviolabile: l'integrità fisica e psichica della vittima. È, inoltre, del tutto evidente che di autonomia negoziale si può parlare quando i coniugi si trovano su un piano di formale e sostanziale parità e non certo quando le loro relazioni sono caratterizzate da prevaricazioni e abusi.
Anche a fronte di tali considerazioni pare opportuno che il divieto di frequentazione di luoghi sia assistito da una sufficiente specificità e determinatezza, allo scopo di rendere effettiva la proibizione. Il provvedimento in questione, come del resto le altre misure protettive edite, si limita, invece, ad un'indicazione di carattere generico, riproduttiva del dettato legislativo. Non sono specificate con precisione nemmeno le previsioni attinenti alle modalità di attuazione, quali i singoli aspetti relativi al cambio di residenza o le condizioni per il ritiro dei propri effetti personali, come l'assistenza da parte di terzi. Sul punto, il Tribunale di Genova si è limitato a prevedere che la ricorrente potrà richiedere l'intervento della forza pubblica per far rispettare il decreto, come del resto sancito all'art. 342 ter, ultimo comma, c.c.
Pare, peraltro, opportuno sottolineare l'assenza di una disposizione che sospenda il porto d'armi alla persona sottoposta alla misura di protezione (57), nonché di prescrizioni inerenti l'affidamento dei figli e il diritto di visita dell'altro genitore.
Per quanto concerne la durata del provvedimento protettivo, la contemporanea pendenza del ricorso per separazione induce il giudice e non effettuare una quantificazione specifica. Tuttavia, egli dispone che la misura in questione abbia efficacia sino all'emissione dei provvedimenti provvisori che il Presidente assumerà nella causa di separazione. Non sembra, quindi, che possano porsi problemi di validità del provvedimento, in quanto appare, comunque, rispettato il limite massimo dei sei mesi (art. 342 ter, comma 3, c.c.). Infatti, tra la data del deposito in cancelleria del provvedimento (7 gennaio 2003) e quella dell'udienza di comparizione delle parti davanti al Presidente (27 gennaio 2003) non intercorrono più di venti giorni.
Per quanto concerne la natura degli ordini di protezione la giurisprudenza e la dottrina prevalente concordano nel senso che si tratti di un provvedimento sostanzialmente cautelare (58). Così, il Tribunale di Bari, pur sottolineando che il ricorso ex art. 342-bis c.c. non si atteggia ad azione cautelare in senso stretto, in difetto della imprescindibile strumentalità rispetto al successivo giudizio di merito, ne afferma comunque la sovrapponibilità rispetto al ricorso ex art. 700 c.p.c., a fronte dei comuni profili procedimentali e contenutistici (59). Entrambe le procedure, cautelare e protettiva, sono, infatti, caratterizzate da: immediatezza di accesso; sommarietà della cognizione; speditezza della trattazione, anche durante i termini feriali; competenza in capo al giudice monocratico, con decisione reclamabile al collegio; adozione inaudita altera parte in caso d'urgenza, salvo successiva conferma, modifica o revoca. Quanto al contenuto, l'ordine è tendenzialmente satisfattivo sia pure in via temporanea e provvisoria degli interessi familiari incisi dal comportamento pregiudizievole.
Non pare, invece, da condividere l'interpretazione del Tribunale di Roma che nell'adottare gli ordini di protezione dispone che la ricorrente inizi il giudizio di merito entro 30 gg. (60).
Certamente nella maggior parte dei casi, entro il termine di scadenza della misura, la persona offesa adotterà le opportune cautele, anche procedurali, per evitare i rischi di una ricaduta nella violenza. Le strade aperte restano il ricorso per separazione o divorzio, una causa di nullità matrimoniale o nel caso di conviventi la richiesta di rilascio dell'immobile familiare senza titolo o la sua assegnazione, autorizzata dalla nota interpretazione della Corte costituzionale (61). Imporre, però, l'adozione di una strada obbligata non prevista dalla legge significa darne un'interpretazione forzata.
La violenza nei confronti dei minori: il rapporto tra gli artt. 342 bis c.c. e gli artt. 330 e 333 c.c.
Nel valutare la gravità del pregiudizio il Tribunale di Genova tiene in debita considerazione anche la c.d. violenza indiretta o di riflesso e cioè quella subita dai minori che assistono alle manifestazioni di aggressività dirette contro la loro madre.
La violenza nell'ambito familiare, quali che siano le forme nelle quali essa si manifesta, non riguarda unicamente il soggetto che la pone in essere e quello che ne è vittima, ma interessa tutte le componenti del nucleo familiare. L'essere stati testimoni di fatti violenti provoca in ogni caso sofferenza e sensi di colpa, generando prima o poi in comportamenti aggressivi o in patologie depressive. Nel provvedimento si legge, infatti, che «i bambini risultano gravemente condizionati dal comportamento paterno: in particolare, il maschio assume atteggiamenti aggressivi anche se chiaramente emulativi, si chiude dentro sé stesso e manifesta sintomi di disagio».
La relazione tra il padre e i figli appare, inoltre, condotta in modo del tutto arbitrario ed esclusivo. Il marito non solo contesta ogni scelta della moglie in ordine all'educazione e alla crescita dei figli minori, ma cerca di imporre le sue unilaterali decisioni nel rapporto con la prole. In particolare, pretende e decide lui come e quando prendere con sé i figli, per poi lasciarli con la nonna paterna, al solo fine di imporre nuove sofferenze all'esponente. Nel periodo estivo il padre porta con sé il figlio per tutto il mese di agosto, impedendo alla mamma di trascorrere anche un solo giorno di vacanza con il minore. La donna, per non provocare in alcun modo il proprio coniuge, accetta le imposizioni, subendo minacce ed ogni sorta di insulto.
La ricorrente, invece, che chiedere l'allontanamento del coniuge dalla casa familiare al tribunale ordinario ex art. 342 bis c.c., avrebbe potuto presentare ricorso al tribunale per i minorenni ex artt. 330 c.c., quale provvedimento accessorio alla decadenza della potestà. L'ablazione della potestà genitoriale è subordinata all'accertamento di una violazione dei doveri o di un abuso dei poteri ad essa inerenti, da cui deve derivare un grave pregiudizio per il figlio. Per disporre anche l'allontanamento del coniuge o del convivente che maltratti o abusi del minore occorre, inoltre, la sussistenza di gravi motivi.
Nei primi commenti successivi all'entrata in vigore della L. n. 154/2001, la dottrina ha affrontato il problema del coordinamento sistematico tra gli artt. 330-333 c.c., come modificati dalla L. n. 149/2001 e gli artt. 342 bis e 342 ter c.c. (62). Dalla lettura dei due testi normativi emerge, infatti, il possibile ambito di sovrapposizione, qualora il destinatario della condotta pregiudizievole sia un minore: mentre gli artt. 330 e 333 c.c. tutelano esclusivamente il minore, l'art. 342 bis c.c. estende la sua portata a tutti i componenti del nucleo familiare, ivi, compresa la prole minorenne.
Si parla a questo proposito di concorso apparente di norme, in quanto più norme appaiono prima facie tutte egualmente applicabili alla medesima fattispecie. La questione si sostanzia, quindi, nello stabilire se nei casi in cui la vittima della violenza sia un minore, la competenza a disporre l'allontanamento spetti al tribunale ordinario o al tribunale per i minorenni.
A seguito dell'abrogazione del limite esterno della non perseguibilità d'ufficio del fatto, l'ambito di sovrapposizione tra le due norme sarà totale in ordine ai presupposti oggettivi: grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà nell'art. 342 bis c.c. e condotta di maltrattamento o abuso nell'art. 330, comma 2, e 333 c.c.
Nell'originaria formulazione dell'art. 342 bis c.c. la dottrina aveva limitato la problematica in questione ai soli casi in cui la condotta violenta, nei confronti del minore, fosse sostanziata nell'abuso (63). In mancanza di una definizione specifica di tale concetto, occorre, infatti, fare riferimento alla L. n. 154/2001: da essa emerge che l'abuso si estrinseca in una condotta, che è causa di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà del familiare.
Dopo le modifiche apportate dalla L. n. 304/2004 sussiste concorso apparente di norme nelle ipotesi di maltrattamento del minore, la cui nozione non può che essere mutuata dall'ambito penalistico e, in particolare, dall'art. 572 c.p. Come già sottolineato, si tratta di un reato procedibile d'ufficio e, quindi, suscettibile di legittimare il ricorso ex art. 342 bis c.c. Il tribunale per i minorenni dovrà verificare, sotto il profilo oggettivo, la sussistenza del requisito dell'abitualità della condotta pregiudizievole. Tale accertamento non è, ovviamente, munito dell'autorità del giudicato, in quanto di natura incidentale e, quindi, con effetti meramente interni al giudizio in materia di potestà.
Per risolvere il conflitto la dottrina ha fatto uso del noto criterio di specialità astratta, sancito all' art. 15 c.p. , ma avente portata generale: la prevalenza della legge speciale su quella generale conduce ad affermare l'applicazione delle sole norme degli artt. 330-333 c.c. Tra le due misure sussiste, infatti, una differenza di tipo funzionale: negli artt. 330 e 333 c.c. l'allontanamento è un provvedimento strettamente accessorio a quello relativo alla potestà genitoriale, presupponendo sempre la pronuncia di un provvedimento principale che incida su di essa. Nell'art. 342 bis c.c. l'allontanamento è, invece, una misura autonoma, provvisoria, direttamente funzionale alla cessazione della condotta pregiudizievole (64).
Possono fondare l'applicazione dell'art. 330 c.c. episodi di aggressione posti in essere non solo nei confronti dei minori, ma anche nei riguardi della madre.
Il tribunale per i minorenni ha, infatti, affermato che anche i maltrattamenti a carico del solo coniuge possono concretare il grave pregiudizio che consente la decadenza della potestà parentale, qualora tale condotta turbi l'atmosfera della famiglia nel suo complesso e, quindi, l'equilibrio psicofisico dei figli (65).
Per quanto concerne i figli, invece, appare configurabile il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare e, nei riguardi del solo figlio maschio, quello di sottrazione di persone incapaci (art. 574 c.p.), entrambi procedibili a querela di parte. Sottrarre significa, infatti, condurre un soggetto da un luogo ad un altro. Risulta accertato che in data 29 novembre 2002 il padre, senza preavvertire la consorte, si era recato presso la scuola frequentata dal ragazzino e lo aveva accompagnato in un'abitazione di cui l'istante non conosce l'indirizzo. Da quel giorno il figlio non ha più fatto ritorno a casa.
L'art. 574 c.p. prevede la sussistenza di un delitto comune plurioffensivo, il cui soggetto attivo può essere non soltanto la madre, ma anche il padre (66). Dopo la riforma del 1975 l'esercizio della potestà parentale spetta, infatti, ad entrambi i genitori, quale situazione giuridica complessa funzionale alla crescita e allo sviluppo del minore. La Corte di Cassazione ha affermato che il bene giuridico tutelato dalla norma può essere individuato sia nel diritto di chi esercita la potestà genitoria, sia nel diritto del figlio di realizzare la propria personalità nell'habitat naturale secondo le indicazioni e le determinazioni del genitore stesso (67).
Diversamente dall' art. 573 c.p. , l' art. 574 c.p. non richiede il consenso del minore, quale presupposto di applicazione della norma: qualora esso fosse presente, non avrebbe alcuna rilevanza, dal momento che oggetto materiale del reato è un minore degli anni quattordici. È sempre richiesto, invece, il dissenso del genitore, che deve costituire oggetto del dolo generico, insieme alla coscienza e volontà di sottrarre il minore: in altri termini, è necessario che il soggetto attivo sappia dell'esistenza di una contraria volontà del genitore (68). Posto che il reato ha natura permanente, occorre che la sottrazione sia realizzata per un apprezzabile lasso di tempo, circostanza che non pare essere in discussione nel caso di specie, in quanto all'epoca dell'emanazione degli ordini di protezione non risulta che il figlio abbia fatto ritorno a casa della madre (69).
Da ultimo, giova rilevare che il contenuto degli artt. 330-333 c.c. appare decisamente più limitato rispetto a quello dell'art. 343 ter c.c. Il tribunale per i minorenni ha, infatti, un nudo potere di allontanamento dell'abusante, laddove il giudice ordinario può disporre sia in sede civile, che in sede penale, oltre all'allontanamento, altri provvedimenti accessori.
La diseguale tutela offerta dalle due leggi può delineare un'alternativa: adeguamento della tutela minorile a quella adulta, attraverso lo strumento dell'interpretazione estensiva o analogica ovvero dichiarazione di illegittimità costituzionale per disparità di trattamento (art. 3 Cost.) (70).
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(1) Le statistiche elaborate dall'Istat non forniscono una rappresentazione attendibile, a causa della mancanza di procedure uniformi nell'acquisizione delle notizie di reato, in grado di evidenziare le caratteristiche della persona offesa e del delitto commesso. La connaturata sottostima del fenomeno dipende, inoltre, dalla scarsa propensione della vittima alla denuncia, imputabile sia agli stretti vincoli affettivi che la legano all'abusante, sia al senso di profonda vergogna che pervade l'animo di chi ha subito la violenza, così Governatori, La violenza domestica nella legislazione italiana: lo stato della questione, in La violenza domestica: un fenomeno sommerso a cura dell'ADMI - Associazione Donne Magistrato Italiane, Milano, 1995, 45 ss.
(2) In questi termini, Romito, La violenza di genere su donne e minori: un'introduzione, Milano, 2000, 25; Terragni, La definizione di violenza, in Libertà femminile e violenza sulle donne a cura di Adami, Basaglia, Bimbi, Tola, Milano, 2000, 30. Secondo G. Bimbi, Tipologie di violenza e relazioni sociali, in Libertà femminile e violenza sulle donne, cit., 53, la violenza sui minori costituisce una declinazione di fenomenologie interne alla violenza nei confronti del partner, suo sostituto funzionale, ricorrente quanto più le donne sono discriminate socialmente e differenziate giuridicamente.
(3) La teorizzazione si deve a Irigaray, Essere due, Torino, 1994.
(4) La differenza è, infatti, categoria non dialettica, in quanto non bellica e cioè non volta alla distruzione dell'antitesi Menapace, Economia politica della differenza sessuale, Roma, 1982, 7.
(5) Sugli ordini di protezione negli altri sistemi giuridici vedi la recente monografia di Cianci, Gli ordini di protezione familiare. Familia. Quaderni diretti da S. Patti, n. 2, Milano, 2003, 17 e ss.; Henrich, La tutela contro la violenza nella famiglia: la riforma tedesca, in Familia, 2002, 765; Blick, A Civil Remedy to Domestic Violence in the U.S., in Violenza domestica: un fenomeno sommerso, cit., 224 e ss.
(6) L'iniziale posizione astensionistica dell'ordinamento giuridico nei confronti della violenza domestica, legata ad una minimizzazione del fenomeno, diffusa nella coscienza sociale e istituzionale e nella psiche della vittima, è sintetizzata dalla famosa frase di Jemolo: la famiglia è «un'isola» che «il mare del diritto» può soltanto lambire, ma non penetrare, in quanto realtà tendenzialmente pregiuridica, insofferente di qualsiasi regolamentazione, Jemolo, La famiglia e il diritto, in Annali Univ. Catania, 1948, II, 38 e ss., cit. in Codice della famiglia: rapporti personali e patrimoniali a cura di Dogliotti, Milano, 1996-1999, 3, sub art. 29 Cost.
(7) Sulla riforma del diritto di famiglia, anticipata dalla legge 5 giugno 1967, n. 432 sull'adozione speciale e dalla legge 1 dicembre 1970, n. 898, sul divorzio, vedi Bessone, Alpa, D'Agelo, Ferrando, Spallarossa, La famiglia nel nuovo diritto, Bologna, 2002, 29; Bessone, Roppo, Il diritto di famiglia. Evoluzione storica, principi costituzionali, prospettive di riforma, Torino, 1979. Per quanto concerne i suoi effetti mediati in ambito penale, Violante, La famiglia nel diritto penale, in Pol. dir., 1980, 33; Contento, Riforma del diritto di famiglia e disciplina penalistica dei rapporti familiari, in Dir. fam. pers., 1979, 167.
(8) La stretta connessione tra condizione giuridica della donna e del minore emerge con particolare evidenza nell'ambito del diritto del lavoro, ove è durata sino agli anni `60, Carinci, De Luca Tamajo, Tosi, Treu, Il diritto sindacale, Torino, 1994, 153.
(9) Sul ruolo della famiglia nella Costituzione, Dogliotti, Principi della costituzione e ruolo sociale della famiglia, in Dir. fam. pers., 1977, 1488; Cuocolo, voce Famiglia (I.Profili costituzionali), in Enc. giur., vol. XIV, 1989, 4.
(10) Entrambi gli interventi del legislatore del 2001 non incidono sul catalogo delle fattispecie penali, ad esclusione dell'art. 6, L. n. 154/2001 che rinvia quod poenam all'art. 388 c.p. nel caso di violazioni delle prescrizioni impartite dal giudice civile ex art. 342-bis c.c., Riondato, Introduzione a «Famiglia» nel diritto penale italiano, in Diritto penale della famiglia. Parte generale a cura di Riondato, in Trattato di diritto di famiglia, Milano, 2002, 33.
(11) La letteratura sulla famiglia di fatto è molto vasta, tra gli altri, Roppo, Benedetti, voce Famiglia (III. Famiglia di fatto), in Enc. giur., v. XIV, 1999, 1; Dogliotti, voce Famiglia di fatto, in Dig. disc. priv., VIII, 1992, 188.
(12) Così, Silvani, L. 4.4.2001 n. 154 (GU 28.4.2001 n. 98) - Misure contro la violenza nelle relazioni familiari, in Legislaz. pen., 2001, nn. 3 e 4, 677.
(13) Il riconoscimento della tutela aquiliana anche nell'ambito del diritto di famiglia, fondato sulla natura non meramente morale, ma giuridica degli obblighi inerenti il rapporto coniugale e di filiazione, appare collegato alla crisi dell''istituto dell'addebito, avente limitate conseguenze nell'ambito del diritto patrimoniale e successorio. Fra le altre, vedi Trib. Firenze 13 giugno 2000, inFamiglia e Diritto, 2001, n. 2, 161 , con nota di Dogliotti, La famiglia e l«altro» diritto: responsabilità civile, danno biologico e danno esistenziale.
(14) L'accoglimento dell'istanza ex art. 700 c.p.c. si fonda, infatti, sul possesso di un titolo contrattuale, costringendo inoltre il beneficiario ad iniziare successivamente un procedimento di cognizione piena, volto alla determinazione del diritto leso. Sul punto, Pret. Latina 20 gennaio 1989, in Temi rom., 1989, 135: anche al convivente, usufruttuario dell'abitazione in cui risiede more uxorio, è concesso il rimedio di cui all'art. 700 c.p.c., al fine di ottenere l'inibizione del convivente allontanatosi di accedere successivamente ad libitum nell'appartamento, stante il pregiudizio derivante alla bambina da essi nata e rimasta con la madre.
(15) Per un tentativo non riuscito, Trib. min. Bologna 13 aprile 1992, in Famiglia e Diritto, 1994, n. 1, 89 e Trib. min. Bologna 2 dicembre 1992, ivi, 89, con nota critica di Figone, Allontanamento del genitore dalla casa familiare.
(16) Vedi Gallina Fiorentini, Tommasini, Crisi coniugale e sospetto di abusi sessuali sui figli, inFamiglia e Diritto, 1995, n. 4, 409 , che riportano un caso in cui il g.i.p., su richiesta del p.m., dispone la sospensione dell'esercizio della potestà genitoriale per sei mesi e il divieto di dimora nel Comune di residenza, a seguito di sospetto di abuso sessuale della figlia minore da parte del padre.
(17) Con la legge 6 novembre 2004, n. 304 è stato modificato l'art. 342 bis c.c., eliminando il presupposto della «non perseguibilità d'ufficio» per l'esercizio dell'azione. La nota in esame, partendo dal tenore originario della norma, illustra le ragioni poste a fondamento della predetta abrogazione.
(18) Vedi, Trib. Taranto 25 febbraio 2002, inFamiglia e Diritto, 2002, n. 6, 625 , con nota concorde di De Marzo, Ordini di protezione: le applicazioni della giurisprudenza: la moglie si era vista costretta a chiedere l'aiuto dei Carabinieri, in quanto minacciata esplicitamente di morte.
(19) L'allontanamento dalla casa familiare è, per un verso, sottoposto all'ordinario regime delle misure cautelari coercitive, sia quanto ai presupposti di applicazione - gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 c.p.p (c.d. fumus commissi delicti) e sussistenza di almeno una delle esigenze cautelari di cui all'art. 274 c.p.p. (c.d. pericula libertatis) - sia quanto all'interrogatorio di garanzia (art. 294 comma 1 bis c.p.p.). Per altro verso, invece, prevede dei presupposti specifici (art. 282 bis, comma 6, c.p.p.). Sul punto la dottrina è concorde, Cianci, Gli ordini di protezione familiare, cit., 234; Silvani, L. 4.4.2001 n. 154 (GU 28.4.2001 n. 98) - Misure contro la violenza nelle relazioni familiari, cit., 685; Ranzatto, Misure a tutela delle vittime della violenza in famiglia, in Dir. pen. e proc., 2001, n. 11, 1335; Figone, La legge sulla violenza in famiglia, inFamiglia e Diritto, 2001, n. 4, 356 ; Abram, Acierno, Le violenze domestiche trovano una risposta normativa, in Quest. giust., 2001, n. 2, 223; Dosi, La violenza domestica non abita più qui, in Dir. giust., 2001, n. 13, 10; Pistorelli, Misure contro la violenza nelle relazioni familiari: allontanamento dalla casa familiare; pagamento di un assegno, in Diritto penale della famiglia, cit., 90. Contra, De Marzo, La legge sulla violenza familiare: uno studio interdisciplinare, inFamiglia e Diritto, 2002, n. 5, 537 , che esclude la possibilità di invocare l'art. 274 c.p.p., in quanto tale norma è volta ad evitare il rischio della realizzazione di specifiche condotte contro la generalità dei consociati e non nei confronti di uno specifico soggetto. La misura cautelare dell'allontanamento in sede penale presenta, invece, i medesimi presupposti degli ordini di protezione civili.
(20) De Marzo, La legge sulla violenza familiare: uno studio interdisciplinare, cit., 539 sottolinea, inoltre, che sfuggono dalle maglie della competenza del giudice penale i delitti tentati di cui all'art. 280 bis, comma 6, c.p.p., quando la pena prevista non sia superiore nel massimo a tre anni di reclusione.
(21) Contra, Auletta, L'azione civile contro la violenza nelle relazioni familiari, in Riv. dir. proc., 2001, 1046, nota n. 1: i casi di querela irrevocabile rientrano nella competenza del giudice penale, perché in siffatte evenienze l'azione, dopo che la querela è stata sporta, diviene irretrattabile in concreto e, quindi, perseguibile d'ufficio.
(22) Trib. Trani 12 ottobre 2001, decr., Trib. Bari 7 dicembre 2001, decr., Trib. Bari 20 dicembre 2001, decr. inFamiglia e Diritto 2002, n. 4, 396 ss . con commento di Petitti, Le misure contro la violenza nelle relazioni familiari: modalità applicative e problemi processuali. Contra Silvani, L. 4.4.2001 n. 154 (GU 28.4.2001 n. 98) - Misure contro la violenza nelle relazioni familiari, cit., 695; Figone, La legge sulla violenza in famiglia, cit. 353; Id., Violenza in famiglia e intervento del giudice, inFamiglia e Diritto, 2002, n. 5, 506 , secondo cui nelle ipotesi di procedibilità a querela sussiste la competenza del giudice civile, solo ove questa non sia stata presentata.
(23) Così, Cass. 24 maggio 1990, Massimino, in Riv. pen., 1991, 611. Sul concetto di arma impropria, vedi, Basile, in Codice penale commentato. Parte speciale a cura di Dolcini, Marinucci, Milano, 1999, 2968, sub art. 585 c.p.
(24) Gli studiosi nel descrivere le dinamiche delle aggressioni e prevaricazioni tra le mura domestiche parlano di «ciclo della violenza». L'alternanza circolare tra momenti di crescente tensione e momenti di calma e tranquillità determina nella vittima la tendenza a sopportare le violenze, per raggiungere prima possibile lo stadio di successiva apparente tranquillità nella costante, ma vana speranza, che l'abuso sia soltanto un evento passeggero, destinato a cessare. Tale espressione è stata elaborata da Walker, The Battered Woman Sindrome, New York, 1984.
(25) Cass. 12 marzo 1999, Innamorato, in Cass. pen., 2000, 1285 e Cass., 20 dicembre 1995, Incle, in Giust. pen., 1996, II, c. 371. In dottrina, Ansaldo, in Codice della famiglia: rapporti personali e patrimoniali tra coniugi, cit., 201, sub art. 146 c.c.: le ipotesi di giusta causa di cui all'art. 146 c.c. non sono tassative, ben potendo essere integrate dalle ulteriori previsioni dell'»intollerabilità della prosecuzione della convivenza» e del «grave pregiudizio per la prole» previste in tema di separazione (art. 151 c.c.).
(26) Cass. 27 ottobre 1982, Bortolotto, cit. in Magri, in Codice penale commentato. Parte speciale, cit., 3241, sub art. 614 c.p.: il diritto può essere esercitato anche contro il proprietario o il possessore.
(27) Cass. 8 ottobre 1987, Frezzolini, in Riv. pen., 1989, 28: nella specie l'imputato si era introdotto con l'intendimento di parlare con il coniuge separato e con i figli.
(28) La giurisprudenza prevalente sposa la tesi del reato necessariamente abituale proprio: il perfezionamento della fattispecie richiede la sussistenza di un vero e proprio regime di vita doloroso, vessatorio e avvilente, espresso attraverso la reiterazione di più condotte identiche o omogenee, anche penalmente irrilevanti o non punibili, non essendo sufficiente una sola azione od omissione, Trib. Trento 8 febbraio 1998, Valorz, in Riv. pen., 1998, 375; Cass. 17 aprile 1998, Visintainer, in Cass. pen., 1999, 2164; Cass. 12 febbraio 1996, Adamo, in Riv. pol., 1997, 637; Cass. 28 febbraio 1995, Cassani, in Cass. pen., 1996, 1439.
(29) Si parla di dolo unitario e uniforme per sottolineare che l'elemento psicologico dei maltrattamenti si differenzia sia dalla coscienza e volontà di ogni singolo atto di sopraffazione, sia dal dolo del reato continuato, in quanto non richiede la programmatica e preventiva rappresentazione di tutti gli episodi criminosi, ben potendo realizzarsi in modo graduale eprogressivo, in presenza di una consapevole e volontaria persistenza nell'attività illecita, Trib. Trento 8 febbraio 1998, Valorz, cit., 375;Cass., 8 febbraio 1995, Santoro, in Cass. pen., 1996, 1438; Cass., 17 ottobre 1994, Fiorillo, ivi, 1996, 511; Cass. 6 novembre 1991, Faranda, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1994, 119.
(30) In applicazione di tale principio, la giurisprudenza ha ritenuto integrato il reato in questione in danno della moglie e dei figli non più coabitanti con il reo, a seguito di separazione legale o di fatto e nei confronti della «concubina» non convivente, in costanza di una abituale relazione sessuale, Trib. Rovereto 26 giugno 2001, in Giur. merito, 2002, n. 3, 788; Cass., 1 febbraio 1999, Valente, in Cass. pen., 2000, 1966; Cass. 26 gennaio 1998, Traversa, in Cass. pen., 1999, 1083; Cass. 12 ottobre 1989, Cancellieri, in Riv. pen., 1990, 1072; Cass. 18 dicembre 1970, Imbesi, in Giust. pen., 1971, II, 835.
(31) Vedi progetto di L. n. 1495/2003 di iniziativa parlamentare dell'onorevole Lucidi, su www.parlamento.it/leg/14/Bgt/Schede/Ddliter/1547.htm, consultato in data 6 giugno 2003. Ma ricorda le osservazioni alla nota 17.
(32) In dottrina sono favorevoli all'abrogazione Abram, Aciermo, Le violenze domestiche trovano una risposta normative, cit., 222, Silvani, L. 4.4.2001 n. 154 (GU 28.4.2001 n. 98) - Misure contro la violenza nelle relazioni familiari, cit., 690; Dosi, I maltrattamenti in famiglia superano con qualche difficoltà il debutto, in Dir. giust., 2001, n. 39, 60, nota a Trib. Roma 27-28 giugno 2002.
(33) De Marzo, La legge sulla violenza familiare: uno studio interdisciplinare, cit., 537.
(34) Gli altri elementi oggettivi positivi sono la condotta e il nesso di causalità, Cianci, Gli ordini di protezione familiare, cit., 138: la casualità, che esplica notevole importanza nel campo del diritto penale (art. 40 c.p.), della responsabilità contrattuale (art. 1223 c.c.) ed extracontrattuale (art. 2043 c.c.), rileva anche ai fini del legame intercorrente ex art. 342-bis c.c. tra condotta del familiare e danno alla personalità individuale
(35) Antolisei, Manuale di diritto penale. Parte speciale, I, Decima edizione aggiornata e integrata a cura di Conti, Milano, 1992, 37 e ss.
(36) Si pensi all'impiego dell'espressione nelle decisioni in tema di delitti contro l'onore, Cass. 4 dicembre 1999, Soloru, in Riv. pen., 1999, 336; Cass. 28 febbraio 1995, Lambertini, Padovani, in Cass. pen., 1995, 2534, in questi termini, De Marzo, La legge sulla violenza familiare: uno studio interdisciplinare, cit., 544. Secondo Riondato, Introduzione a «Famiglia» nel diritto penale italiano, cit., 34, il concetto di integrità morale è ambiguo, perché ben può riferirsi non solo a quella individuale, ma anche a quella familiare, evocando alla mente elaborazioni giuridiche ormai superate.
(37) App. Torino 21 febbraio 2000, in Foro it., 2000, c. 1555.
(38) Secondo Cianci, Gli ordini di protezione familiare, cit., 133, la distinzione tra lesione dell'integrità e della libertà risiede nel fatto che nel primo caso la persona viene colpita nel suo essere, mentre nel secondo viene privata del diritto ad un facere, che costituisce una forma di manifestazione della propria individualità.
(39) Trib. Trani 12 ottobre 2002, inFamiglia e Diritto, 2002, n. 4, 395 .
(40) Così Trib. Palermo 4 giugno 2000, in Dir. fam. pers., 2001, 1102, che proprio a fronte di tale pericolo, ha disposto l'allontanamento dalla casa coniugale del marito che, con l'appoggio attivo di ben sei familiari, aveva aggredito e insultato la moglie in presenza della figlia di quattordici mesi. Analogamente, Trib. Bari 18 luglio 2002, inFamiglia e Diritto, 2002, n. 6, 623 , Trib. Bari 7 dicembre 2001, ivi, 2002, n. 4, 396 e che si segnala, inoltre, per la precisazione del concetto di grave pregiudizio all'integrità morale. Si tratta di un «vulnus alla dignità dell'individuo di entità non comune o per la particolare delicatezza dei profili della dignità stessa concretamente incisi o per modalità forti dell'offesa arrecata o per la ripetitività e prolungata durata nel tempo della sofferenza patita dall'offeso». In dottrina concorda Petitti, Le misure contro la violenza nelle relazioni familiari: modalità applicative e problemi procedurali, ivi, 2002, n. 4, 399, cit.; Trib. Bari 20 dicembre 2001; Ranzatto, Misure a tutela delle vittime della violenza in famiglia, cit., 1336: la gravità potrà desumersi, oltre che dalle concrete modalità del singolo comportamento violento, anche dalla sua reiterazione.
(41) Dogliotti, in Codice della famiglia: rapporti personali e patrimoniali tra coniugi, cit., 239, sub artt. 330-333: l'articolo in esame, considerato tradizionalmente come mezzo di sanzione per il genitore colpevole, pone a fondamento del provvedimento limitativo o ablativo della potestà genitoriale il comportamento obiettivo del genitore, a prescindere dall'accertamento del dolo o della colpa.
(42) Vedi Trib. Trani 12 ottobre 2001, in Famiglia e Diritto, 2002, n. 4, 395
(43) Trib. Napoli 1 febbraio 2002, inFamiglia e Diritto, 2002, n. 5, 504 . La convivente avrebbe potuto esperire altre azioni per ritornare nella disponibilità dell'appartamento e, prima fra tutte, l'azione di reintegrazione (art. 1168 c.c.), essendo la violenza uno degli elementi costitutivi dello spoglio, così Figone, Violenza in famiglia e intervento del giudice, cit., 506.
(44) Trib. Roma, sez. riesame, 25 giugno 2002, Servizio, in Giur. merito, 2002, n. 6, 1290.
(45) Trib. Bari 18 luglio 2002, inFamiglia e Diritto, 2002, n. 6, 623 , Trib. Bari 20 dicembre 2001, ivi, 2002, n. 4, 397 e in dottrina De Marzo, La legge sulla violenza familiare: uno studio interdisciplinare, cit. 547, secondo cui occorre che l'udienza presidenziale abbia trovato compiuto svolgimento, traducendosi nell'assunzione di provvedimenti provvisori e urgenti
(46) Grazioso, Le misure contro la violenza nelle relazioni familiari approvate dalla Commissione giustizia del Senato in sede referente: è in arrivo la «separazione cautelare»?, in Dir. fam. pers., 1999, 451, che proprio a questo proposito parla di «separazione cautelare».
(47) Petitti, Le misure contro la violenza nelle relazioni familiari: modalità applicative e problemi procedurali, cit., 401; Figone, La legge sulla violenza in famiglia, cit., 359, secondo cui anche il Presidente del tribunale può disporre l'adozione degli ordini di protezione: ciò assicurerebbe una continuità di tutela tra udienza presidenziale che caduca i precedenti provvedimenti e udienza istruttoria
(48) Nell'art. 282 bis c.p.p., modellato sulla falsa riga degli ordini di protezione, l'allontanamento dalla casa familiare costituisce, invece, parte del contenuto necessario della misura cautelare, così Cinaci, Gli ordini di protezione, cit., 236. Allo stato non si ravvisano, tuttavia, ordini di protezione limitati alla sola cessazione della condotta pregiudizievole
(49) In tal senso, Cianci, Gli ordini di protezione, cit., 163, Auletta, L'azione civile contro la violenza nelle relazioni familiari (art. 736-bis c.p.c.), cit., 1050; De Marzo, Ordini di protezione: le applicazioni della giurisprudenza, cit., 628; Silvani, L. 4.4.2001 n. 154 (GU 28.4.2001 n. 98) - Misure contro la violenza nelle relazioni familiari, cit., 689.
(50) Trib. Bari 18 luglio 2002, inFamiglia e Diritto, 2002, n. 6, 623 : costituisce fonte di sicuro disagio per la donna il fatto che il marito, nell'ambito di una crisi coniugale improvvisamente insorta da pochi mesi, non fornisca alla moglie il denaro occorrente per le esigenze primarie di quest'ultima e della famiglia. Tuttavia, tale pregiudizio non è in grado di assurgere alla dimensione qualificata di cui all'art. 342 bis c.c. In senso conforme, alla natura accessoria degli altri provvedimenti personali e patrimoniali di cui all'art. 342 ter c.c., R. Brichetti, Per superare le difficoltà dei nuclei indigenti al giudice penale l'arma dell'assegno alle vittime, in Giuda al diritto, 2001, n. 18, 21 e Pistorelli, Misure contro la violenza nelle relazioni familiari, in Diri. pen. fam., cit., 91.
(51) Trib. Palermo, 25 giugno 2001, Lo Coco, in Giur. merito, 2002, n. 4/5, 1047.
(52) Un importante aspetto innovativo della L. n. 154/2001 è che l'assegno può essere disposto tra i conviventi, anche in mancanza di figli, per il limitato periodo dell'ordine di protezione, senza che ciò implichi il sorgere di alcuna obbligazione alimentare nell'ipotesi di definitiva rottura dell'unione di fatto, Paladini, La filiazione nella famiglia di fatto, in Familia, 2002, 62. Si tratta di un vero e proprio obbligo legale del convivente di versare l'assegno eventualmente fissato dal giudice, a fronte, invece, del mero dovere morale di provvedere al mantenimento del convivente, qualificabile come obbligazione naturale.
(53) Secondo Silvani, L. 4.4.2001 n. 154 (G.U. 28 aprile 2001 n. 98) - Misure contro la violenza nelle relazioni familiari, cit., 694 l'ottica del recupero delle relazioni familiari non è estranea nemmeno al legislatore penale. Qualora, infatti, il procedimento si svolga davanti al giudice di pace il D.Lgs. 28 agosto 2001, n. 274 prevede l'esperibilità di un tentativo di conciliazione tra querelante e querelato, attuabile con l'ausilio dell'attività di mediazione dei centri e delle strutture pubbliche o private presenti sul territorio.
(54) Sulla opportunità dell'intervento del servizio sociale, vedi anche Grazioso, Le misure contro la violenza nelle relazioni familiari approvate dalla Commissione giustizia del Senato in sede referente: è in arrivo la «separazione cautelare»?, cit., 452 e Abram, Aciermo, Le violenze domestiche trovano una risposta normative, cit., 229.
(55) Tra la dottrina che non guarda con favore gli ordini di protezione, Grazioso, Le misure contro la violenza nelle relazioni familiari approvate dalla Commissione giustizia del Senato in sede referente: è in arrivo la «separazione cautelare»?, cit., 443, secondo cui si tratta di provvedimenti la cui emanazione dovrebbe spettare solo al giudice penale; Riodanto, Introduzione a «Famiglia» nel diritto penale italiano, cit., 32, secondo cui si tratta di una misura di prevenzione mascherata sotto il manto formal-civilistico degli ordini di protezione; Pistorelli, Misure contro la violenza nelle relazioni familiari: allontanamento dalla casa familiare; pagamento di un assegno, cit., 87.
(56) Figone, La legge sulla violenza in famiglia, cit., 353; Dosi, I maltrattamenti in famiglia superano con qualche difficoltà il debutto, cit., 61: gli strumenti per interrompere la violenza domestica, fenomeno di gravissima compromissione della serenità e della incolumità delle persone, non possono che superare la soglia ordinaria; Cianci, Gli ordini di protezione familiare, cit., 69 ss.
(57) Cianci, Gli ordini di protezione, cit., 193: in attesa di un intervento normativo in tal senso, la cui opportunità è di palese evidenza, il beneficiario dell'ordine deve provvedere alle segnalazioni necessarie all'autorità competente, adducendo gli specifici rischi determinati dal comportamento del soggetto.
(58) Sui profili processuali vedi in particolare, per quanto concerne l'azione civile Abram, Acierno, Le violenza domestiche trovano una risposta normativa, cit., 231 e Auletta, L'azione civile contro la violenza nelle relazioni familiari, cit., 1044 e per l'azione penale De Marzo, La legge sulla violenza familiare: uno studio interdisciplinare, cit., 538.
(59) Trib. Bari 20 dicembre 2001, inFamiglia e Diritto, 2002, n. 4, 397 : nella specie il giudice dichiara inammissibile il ricorso ex art. 700 c.p.c. proposto dopo il deposito del ricorso per separazione e prima dell'udienza presidenziale di comparizione delle parti, stante la sussistenza del rimedio specifico.
(60) Trib. Roma 28 giugno 2001, in Dir. giust., n. 39, 2001, 61, con nota di Dosi, I maltrattamenti in famiglia superano con qualche difficoltà il debutto.
(61) Corte cost. 13 maggio 1998, n. 166, in Dir. fam. pers., 1998, 1349.
(62) Su punto vedi Figone, Violenza in famiglia e intervento del giudice, cit., 507; Id., La legge sulla violenza in famiglia, cit., 357 e Paladini, La filiazione nella famiglia di fatto, cit., 616.
(63) Paladini, La filiazione nella famiglia di fatto, cit., 616.
(64) Nei casi in cui la condotta violenta nei confronti del minore provenga dal convivente della madre non troveranno, quindi, applicazione gli artt. 330 e 333 c.c., ma l'art. 342 bis c.c., sempreché il comportamento prevaricatore del convivente non sia casualmente collegato ad una azione od omissione della madre stessa che legittima l'adozione di provvedimenti ablativi o limitativi, Sacchetti, Allontanamento dell'autore della violenza dalla casa familiare: un problema aperto, inFamiglia e Diritto, 2001, n. 6, 664 .
(65) Trib. min. Torino 6 febbraio 1982, in Giur. it., 1983, I, 2, 158 e, più in generale, sulla condotta violenta del padre, Trib. min. L'Aquila 7 dicembre 1993, in Dir. fam., 1994, 1043.
(66) Tra le pronunce in tema di sottrazione di un minore da parte di un coniuge in danno dell'altro coniuge, vedi Cass. 8 aprile 1999, Barbieri, in Cass. pen., 2000, 2654.
(67) Pret. Rovereto 19 maggio 1999, Boschi e altro, in Indice pen., 2000, 913; Cass. 7 luglio 1992, Bonato, in Cass. pen., 1994, II, 110.
(68) In tema di sottrazione consensuale di minorenni la giurisprudenza ha, peraltro, affermato che il dissenso dell'esercente la potestà, soprattutto quando non sia espresso, non può essere presunto, ma deve formare oggetto di un accertamento in concreto, con riferimento ad inequivoci elementi obiettivi, quali le particolari condizioni di ambiente, di abitudini, di consuetudini morali in cui il minore vive ed il modo con il quale la vigilanza sullo stesso viene esercitata, oltre naturalmente ad eventuali specifici e peculiari comportamenti dei titolari della detta potestà genitoriale, incompatibili con una volontà consenziente, Cass., 29 ottobre 1996, Bianco, in Giust. pen., 1997, II, 661.
(69) Sulla natura permanente del reato, vedi Pret. S. Angelo Lombardi 21 gennaio 1997, Vuotto, in Giur. merito, 1997, 566; Cass., 25 giugno 1986, Ratiu, in Cass. pen., 1988, 861.
(70) Così, Sacchetti, Allontanamento dell'autore della violenza dalla casa familiare: un problema aperto, cit., 664. Anche per quanto riguarda la legittimazione passiva del minore, qualora questi sia responsabile della condotta pregiudizievole nei confronti di altri membri della famiglia, non vi è ancora chiarezza. Ci si chiede, a tal proposito, se il genitore o l'avo possano adire al Tribunale ordinario per chiedere che il giudice emetta un ordine di protezione nei confronti di un minore violento. Ranzatto, Misure a tutela delle vittime della violenza in famiglia, cit., 1336.