E. Fattorini-R. Gilioli, Stress e Mobbing guida per il medico



Stress e Mobbing - guida per il medico



Stress e Mobbing

guida per il medico

OSPEDALE MAGGIORE POLICLINICO MANGIAGALLI REGINA ELENA
FONDAZIONE IRCCS DI NATURA PUBBLICA
Progetto Strategico Ministero della Salute (2000)
Prevenzione dei rischi per la salute negli ambienti di vita e di lavoro
U.O. A1 C "Stress e Mobbing"


Responsabile scientifico: Emanuela Fattorini
ISPESL Dipartimento Medicina del Lavoro
Direttore: Giuseppe Spagnoli
Laboratorio di Psicologia e Sociologia del Lavoro
Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico,
Mangiagalli e Regina Elena
Clinica del Lavoro "Luigi Devoto" - Milano
Direttore: Pier Alberto Bertazzi
A cura di:
Emanuela Fattorini, Laboratorio di Psicologia e Sociologia del Lavoro - ISPESL
Renato Gilioli, Centro per la Prevenzione, Diagnosi, Cura e Riabilitazione della
Patologia da Disadattamento Lavorativo - Clinica del Lavoro "Luigi Devoto" - Milano
Hanno collaborato
Maria Grazia Cassetto, Clinica del Lavoro "Luigi Devoto" - Milano
Luigi Cipollini, ISPESL

PRESENTAZIONE
La violenza psicologica sul lavoro o, come si preferisce dire oggi con un termine di forte appeal massmediatico, mobbing, rappresenta un fenomeno antico quanto le organizzazioni.
Da sempre legato alla sfera delle relazioni interpersonali, in genere non investiva formalmente l'intero management dell'impresa, si consumava piuttosto nel rapporto capo/collaboratore, progressivamente estromesso dal ciclo produttivo e depauperato della sua immagine professionale e personale.
Il cambiamento organizzativo che ha attraversato l'Italia nel decennio scorso con il suo carico di "esuberi", costosi da ri-collocare e di "risorse umane" che sono diventate un peso, ha fatto crescere geometricamente i
numeri del mobbing che d'improvviso si è configurato come un'emergenza sociale.
La presente brochure si colloca nell'ambito del Progetto Strategico (2000) che il Ministero della Salute ha voluto dedicare alla prevenzione dei rischi per la salute negli ambienti di vita e di lavoro e intende richiamare l'attenzione degli operatori sanitari (medico di famiglia, psichiatra, psicologo, ecc.), in quanto interlocutori privilegiati di coloro che si trovano a soffrire personalmente le costrittività di una struttura organizzativa, per diversi motivi (cambiamento organizzativo, mancanza di una politica del personale, stili di leadership inadeguati, ecc.), disfunzionale.
Un richiamo particolare lo rivolgiamo al medico del lavoro, perché è nell'ambiente di lavoro che nascono e si mantengono le azioni stressogene mobbizzanti e perché qualsiasi sostegno alle vittime è destinato a vanificarsi, se il soggetto è costretto a rimanere (o a tornare) in una condizione di lavoro dove nulla cambia. Se non in peggio.
A tutti intendiamo offrire spunti per una riflessione che può essere approfondita con la bibliografia riportata alla fine del volume e indicazioni fruibili per la propria attività diagnostica, terapeutica e, ove possibile,
preventiva.
Infine, in appendice, riportiamo l'elenco delle strutture pubbliche attive sul territorio: centri clinici di diagnosi e terapia delle patologie stress/mobbing correlate a cui si può accedere indipendentemente dalla ASL di appartenenza, con la richiesta del medico di base.

INDICE
Presentazione 3
1 Il significato del lavoro nell'equilibrio di vita
2 Stress e fattori di rischio psicosociali
3 La violenza morale sul lavoro
3.1 Introduzione al fenomeno del mobbing
3.2 Definizioni
3.3 Consapevolezza al livello internazionale
3.4 Consapevolezza in Italia
3.5 Gli esordi degli studi clinici in Italia
3.6 Modalità di esercizio del mobbing
3.7 Metodologia per la valutazione del mobbing
3.7.1 Raccolta dei dati clinici
3.7.2 Valutazioni diagnostiche
3.8 Criteri medico-legali per la diagnosi di sindrome mobbing correlata
3.9 Conseguenze sulla salute
4 Il ruolo del medico di base
5 Danni biologico, morale ed esistenziale
6 Sintesi della Legislazione di riferimento
6.1 Disposizioni e prassi vigenti all'estero
6.2 La situazione italiana
7 Bibliografia
8 Appendice
8.1 I Centri Clinici in Italia
8.2 Circolare INAIL n.71/2003

IL SIGNIFICATO DEL LAVORO NELL'EQUILIBRIO DI VITA
Soffermiamo la nostra attenzione non tanto sugli aspetti strutturali o storici del lavoro né sui rischi che può comportare alla salute, ma su come il lavoro influenzi l'uomo e lo sviluppo della sua personalità.
Se pensiamo alla persona non possiamo prescindere da Sigmund Freud e non rilevare che, già agli inizi del secolo scorso, indicava come parametri di normale funzionalità del soggetto, le capacità di "amare" e di "lavorare". Come a dire che l'amore e il lavoro sono ugualmente alla base dell'equilibrio psichico.
Dunque il lavoro non risponde solo all'esigenza di guadagno. Certo, il danaro libera dai bisogni materiali, peraltro di relativa facile acquisizione in una società organizzata dove funzionano servizi di assistenza sociale,  associazioni di volontariato, sussidi di disoccupazione, ecc.. Nella nostra cultura anche il danaro ha soprattutto una valenza simbolica. È un indicatore di successo.
Secondo Abram Maslow, uno dei massimi studiosi dei bisogni e delle motivazioni umani, l'uomo, una volta acquisiti gli strumenti per sopravvivere fisicamente e socialmente, ha bisogno di relazioni sociali. Ha bisogno di essere accettato dagli altri e di sentirsi parte del gruppo con il quale condivide tempi e spazi della propria vita. Dal rapporto con gli altri emerge l'esigenza di differenziarsi da loro, di definire la propria individualità e di farla rispettare.
L'ultimo livello della cosiddetta piramide di Maslow, consiste nel bisogno di auto-realizzazione. Ciascuno cioè aspira ad esprimersi secondo le proprie caratteristiche. Ad essere ciò che può essere.
Frederik Herzberg e i suoi collaboratori, occupandosi specificamente della motivazione al lavoro, individuano un andamento parallelo a quello di Maslow.
Secondo Herzberg, il conseguimento e il riconoscimento dei risultati, la crescita professionale, l'assunzione di responsabilità e soprattutto la possibilità di esprimersi nel lavoro, rappresentano i principali fattori di
gratificazione del soggetto "organizzativo".
L'uomo, nel lavoro, porta tutti i suoi bisogni di persona e puntualmente il lavoro glieli soddisfa. Gli dà una relativa sicurezza economica, lo fa sentire parte della struttura, gli dà visibilità e potere sociali. Gli conferisce uno status socialmente riconosciuto e apprezzato. Infine gli consente di esprimersi in quello che fa.
Il lavoro è centrale nella Bibbia e fondamento della Costituzione italiana, vale a dire che permea di sé i principi di riferimento religiosi e laici che orientano l'etica della società e ne modulano comportamenti. In Italia se una persona non svolge un'attività contrattualmente riconosciuta, non viene considerata parte della "popolazione attiva".
Non è un caso che anche nella fuoriuscita fisiologica dal lavoro, come in occasione dell'andata in quiescenza, molte persone sviluppino una vera e propria sindrome da abbandono e qualcosa di simile avviene anche in occasione della messa in cassa integrazione guadagni.
A maggior ragione il sentimento di perdita è più forte nei soggetti che, in maniera subdola e spesso del tutto imprevista, si trovino esclusi dal lavoro.
Dequalificati, vessati, isolati, quando non addirittura derisi e/o attaccati nella loro reputazione professionale e personale. La perdita non è solo del lavoro, ma è tutto il sentimento di sé che viene messo in crisi. All'avvilimento per l'esclusione dal lavoro e dallo spazio sociale in cui si svolge, spesso si associa una forma di auto-isolamento che può divenire un vero e proprio isolamento anche dalla società. Non è infrequente, infatti, che si registrino condizioni di "doppio mobbing".
Quanto non appena accennato ci dà il senso del perché nel mondo del lavoro si consumino tanti drammi di umana sofferenza. Hans Leymann, che ha definito mobbing la particolare condizione di cui ci stiamo occupando, stima che l'8% dei suicidi avvenuti in Svezia, in un anno, trovi nel lavoro la causa scatenante.
Se è vero che il mobbing è diventato un fenomeno di massa, è anche vero che nelle diverse ricerche condotte dall'ISPESL e dalle telefonate giunte al Centro d'Ascolto sempre più numerose risultano le denunce di vario malessere presente negli ambienti di lavoro.
Non sono casi di mobbing, ma rappresentano un disagio forte dovuto alla precarizzazione del lavoro che impedisce il progetto del proprio futuro, agli obiettivi organizzativi sempre più pretenziosi, alla scarsa valorizzazione delle risorse umane, alla mancanza di una visone etica del lavoro.
Un malessere che non ha sbocchi per rendersi visibile e che utilizza gli sportelli del mobbing per rappresentarsi. Un malessere con cui gli operatori della prevenzione dovranno confrontarsi nel tempo a venire. Almeno fino a quando il lavoro non avrà trovato un nuovo assetto.

STRESS E FATTORI DI RISCHIO PSICOSOCIALI
È ormai accettato che lo stress si definisce come "la sindrome di adattamento relativamente aspecifica alle sollecitazioni (dette anche stressors o stimoli) dell'ambiente esterno e/o interno. Vale a dire un meccanismo del tutto fisiologico (eustress) che ci consente di rispondere alle richieste della... vita.
Senza stress, diceva Hans Selye, c'è la morte.
Tuttavia in alcune condizioni la risposta di stress può divenire disfunzionale:
1 - per inadeguata intensità degli stimoli (sovra o sottostimolazione)
2 - per eccessiva durata degli stessi
3 - per caratteristiche di personalità del soggetto.
Senza dilungarci troppo e rinviando il lettore agli effetti sulla salute di condizioni stressogene, di cui il mobbing rappresenta una fattispecie, si ricorda che la sindrome da stress negativo (distress) è caratterizzata da disturbi al livello:
a - cognitivo (perdita di concentrazione, difficoltà ad assumere decisioni, persistenti pensieri negativi, diminuita abilità dei managers, ecc.)
b - emozionale (perdita di entusiasmo, irritabilità, ansia, depressione, ecc.)
c - fisico (palpitazioni, mal di schiena, mal di testa, disturbi gastrici,ecc.)
d - comportamentale (decremento della performance, disturbi dell'alimentazione, aumento di errori e infortuni, abuso di alcool e tabacco, stato di sovra o sotto eccitazione, ecc..
Nell'ambito degli studi sullo stress, nel corso degli Anni 70, presso il Laboratory for Clinical Stress Research di Stoccolma, L. Levi ha messo a punto il modello dello stress cosiddetto "psicosociale". Secondo Levi le interazioni sociali e i rapporti interpersonali possono rappresentare per le persone una fonte stressogena, in grado di produrre tutti i disturbi psicosomatici alla pari degli altri stimoli.
Pertanto anche le interazioni presenti in ambito lavorativo, se non gestite in maniera adeguata alle possibilità di compensazione delle persone esposte, possono recare danni alla salute e al benessere proprio come i più noti fattori di rischio quali il rumore, il carico di lavoro, i ritmi, i turni e così via.
È da sottolineare, inoltre, che nei paesi industrializzati e post industriali le malattie professionali tradizionali, a forte determinismo di causa/effetto, sono in continua diminuzione a fronte dell'aumento delle patologie stress correlate, aspecifiche e multifattoriali.
Un'indagine (1999/2000) dell'European Agency for Safety and Health at Work commissionata all'Institute of Work, Health & Organization dell'Università di Nottingham e predisposta dal prof. Tom Cox e dalla dott. Amanda Griffiths, stima che 40 milioni di lavoratori nei dieci paesi allora costituenti l'Unione ritengono di essere "stressati" sul lavoro.
In particolare T. Cox e A. Griffiths (1995) definiscono i rischi psicosociali come "quegli aspetti della progettazione del lavoro e della organizzazione e gestione del lavoro e il loro contesto sociale ed ambientale che hanno la potenzialità di causare danno psicologico o fisico".
Nella medesima ricerca si individuano dieci categorie di variabili "potenzialmente pericolose/rischiose suddivise per caratteristiche dell'impiego, delle organizzazioni e degli ambienti di lavoro". Ci soffermeremo sulle prime sei relative agli aspetti più squisitamente organizzativi e psicosociali:

Caratteristiche stressogene organizzative e psicosociali
Mutuato da "Stress correlate al lavoro"
European Agency for Safety and Health at Work, 2000

CATEGORIA - Contesto lavorativo Condizioni di definizione del rischio
Funzione e Cultura organizzativa: Scarsa comunicazione, bassi livelli di sostegno nella risoluzione di problemi
e sviluppo personale; mancanza di definizione degli obiettivi organizzativi
Ruolo nell'organizzazione: Ambiguità e conflitto di ruolo, responsabilità per i dipendenti
Evoluzione della carriera: Incertezza o fase di stasi per la carriera, promozione insufficiente o eccessiva, bassa retribuzione, insicurezza dell'impiego, scarso valore sociale attribuito al lavoro
Autonomia decisionale/Controllo: Partecipazione ridotta al processo decisionale, mancanza di controllo sul lavoro (il controllo, in particolare nella forma di partecipazione rappresenta anche una questiona  organizzativa e contestuale di più ampio respiro)
Rapporti interpersonali sul lavoro: Isolamento fisico o sociale, rapporti limitati con i superiori, conflitto interpersonale, mancanza di supporto sociale.
Interfaccia famiglia-lavoro: Richieste contrastanti tra casa e lavoro, scarso appoggio in ambito domestico, problemi di doppia carriera.

 Il D.Lgs n.626/94 che recepisce la direttiva europea 390/89 riguardante il miglioramento della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro, al fine di garantire le condizioni di benessere dei lavoratori, accanto alla valutazione dei rischi più tradizionali per la sicurezza e la salute, introduce nel documento di valutazione anche i rischi cosiddetti trasversali (organizzativi e psicosociali).
Rischi che traggono la loro fonte dalle scelte organizzative che possono avere una ricaduta negativa sulle persone sia in termini d'incremento del tasso infortunistico che di disagio fino a sviluppare vere e proprie patologie.

 LA VIOLENZA MORALE SUL LAVORO
3.1 Introduzione al fenomeno del mobbing
La violenza psicologica è un fenomeno antico, presente in molti contesti lavorativi, causato dal deteriorarsi delle relazioni interpersonali e da disfunzioni organizzative. Questo comportamento è legato a molteplici fattori che, oltre a motivazioni di ordine socio-economico, comprendono atteggiamenti discriminatori basati su genere, religione, origine etnica, età, nazionalità, disabilità, cultura, orientamento sessuale ed altre forme di diversità.
È generalmente ammesso che il mobbing si manifesti in tutto il mondo e in ogni ambiente di lavoro, anche se è un fenomeno strettamente legato alla cultura dei singoli paesi; di conseguenza le modalità di esercizio del mobbing e il grado di sensibilità possono variare da paese a paese.
Il primo ricercatore che tratta in modo scientifico il tema è Heinz Leymann, psicologo tedesco che, a conferma di quanto non appena detto, trova maggiore sensibilità e attenzione in Svezia dove trascorre la maggior parte della sua vita di lavoro.
Leymann mutua il termine "mobbing" dall'etologia, in particolare dagli studi di Konrad Lorenz. Il termine che in senso letterale significa "accerchiare qualcuno/a per attaccarlo/la", definisce il comportamento di alcune specie animali che assalgono un componente del gruppo che per vari motivi deve essere espulso.
In questo contesto, il termine mobbing è applicato all'ambiente di lavoro per indicare il comportamento aggressivo e minaccioso di uno o più componenti del gruppo, gli "aggressori", verso un individuo, il "bersaglio" o la "vittima". Occasionalmente il mobbing può essere praticato su gruppi di individui.
Heinz Leymann inizia i suoi studi nei primi Anni ‘80 e a lui va attribuito il merito di aver tracciato un quadro generale del fenomeno, studiandone le varie caratteristiche, tra cui gli aspetti epidemiologici, gli effetti sulla salute e la prevenzione" (OMS-ISPESL-ICP-IST, 2003).
Secondo il Third European Survey on Working Conditions 2000 nei paesi comunitari "quasi 1 lavoratore su 10 (9%) riferisce di essere stato soggetto ad intimidazione nel 2000, facendo registrare un lieve incremento rispetto al 1995 (+1)". Inoltre ..."esistono ampie variazioni tra i paesi, con un massimo del 15% in Finlandia e il 4% in Portogallo. Queste differenze molto probabilmente riflettono la consapevolezza del problema, piuttosto che la realtà".

3.2 Definizioni
Secondo l'Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro "non c'è una definizione univoca di mobbing" .
Un esempio di definizione può essere il seguente:
Il mobbing sul posto di lavoro consiste in un comportamento ripetuto, irragionevole, rivolto contro un dipendente o un gruppo di dipendenti, tale da creare un rischio per la salute e la sicurezza.
In questa definizione: "comportamento irragionevole" sta ad indicare un comportamento che, secondo una persona ragionevole e tenuto conto di tutte le circostanze, perseguita, umilia, intimidisce o minaccia;
"comportamento" comprende le azioni di singoli individui o di un gruppo. Si può far uso di un certo sistema di lavoro per perseguitare, umiliare, intimidire o minacciare; "rischio per la salute e la sicurezza" comprende il rischio alla salute mentale o fisica del lavoratore dipendente. Il mobbing spesso implica uno sviamento o abuso di potere, nel qual caso la vittima del mobbing può incontrare difficoltà nel difendersi.

In Italia l'ISPESL (2001) definisce il mobbing come una "forma di violenza psicologica intenzionale, sistematica e duratura, perpetrata in ambiente di lavoro, volta alla estromissione fisica o morale del soggetto/i dal processo lavorativo o dall'impresa.
Il tema del mobbing ha trovato notevoli resistenze alla sua accettazione e studio a causa di valenze culturali che si sono tradotte in un ostacolo alla sua conoscenza. In anni più recenti tuttavia numerose iniziative a livello internazionale ed anche nazionale ne hanno consentito un ingresso nella cultura scientifica e sociologica così che oggi la situazione si è notevolmente modificata.
In Francia è stata emanata una legge che così definisce il Mobbing: "azioni ripetute di molestie morali che hanno per oggetto o per effetto un degrado delle condizioni di lavoro suscettibili di portare attacco e danno ai diritti e alla dignità, di alterare la salute fisica o mentale o di compromettere l'avvenire professionale" (Harcèlement moral au travail, Loi n° 2002-73 du 17
janvier 2002).

3.3 Consapevolezza al livello internazionale
Il Parlamento Europeo ha emanato una risoluzione in cui "esorta gli Stati Membri a rivedere e, se del caso, a completare la propria legislazione vigente sotto il profilo della lotta contro il mobbing e le molestie sessuali sul posto di lavoro, nonché a verificare e ad uniformare la definizione della fattispecie del mobbing" (Parlamento Europeo, 2001).
L'Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro ha dedicato l'Anno 2002 al tema "Lavorare con stress", promuovendo in tutti gli Stati Membri una settimana di studio e dibattito sui temi dello stress sul lavoro e del mobbing.
Alla fine dell'anno, il 25 novembre 2002, la stessa Agenzia ha organizzato a Bilbao, sede della direzione generale, una giornata di studio su questi temi.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha prodotto nel 2003 una pubblicazione in inglese dal titolo "Raising Awareness of Psychological Harassment at Work", presentata in occasione della Conferenza Internazionale di Medicina del Lavoro (ICOH) che si è svolta nel febbraio 2003 in Brasile. La pubblicazione è stata realizzata dal Consorzio ISPESL/ICP della Clinica del Lavoro "Luigi Devoto" di Milano, in stretta collaborazione con l'Institut Universitaire Romand de Santé au Travail di Losanna ed è distribuita dall'OMS a livello internazionale (WHO-ISPESL-ICP-IST, 2003).
Infine l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) ha approfondito i temi della violenza sul lavoro, compreso il mobbing, ed ha prodotto un codice di comportamento sulla violenza e sulle misure per contrastare questo fenomeno nel settore dei servizi, dal titolo Code of Practice on workplace violence in services sectors and measures to combat this phenomenon (ILO, 2003).

3.4 Consapevolezza in Italia
La Comunità Scientifica Italiana ha prodotto nel 2001 un Documento di Consenso sul tema mobbing intitolato Un nuovo rischio all'attenzione della Medicina del Lavoro: le molestie morali (mobbing), pubblicato sulla rivista La Medicina del Lavoro (Gilioli et al, 2001).
Nel 2001 l'INAIL ha istituito un Comitato Scientifico su Malattie psichiche e Psicosomatiche da Stress e Disagio Lavorativo, compreso il mobbing (delibera CdA 26 luglio 2001, n. 473), che si è riunito per discutere sull'argomento, operando per la pubblicazione di linee guida per il riconoscimento della malattia professionale. Le conclusioni hanno condotto alla Circolare del 17 dicembre 2003 della Direzione Generale INAIL su Disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro. Rischio tutelato e diagnosi di malattia professionale. Modalità di trattazione delle pratiche (INAIL, 2003).
Con Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, datato 27 aprile 2004, è stato approvato l'Elenco delle malattie per le quali è obbligatoria la denuncia, ai sensi e per gli effetti dell'art. 139 del testo unico, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, e successive modificazioni e integrazioni (GU n. 134 del 10-6-2004). Nella lista II di detto elenco (malattie la cui origine lavorativa è di limitata probabilità, Gruppo 7, Malattie psichiche e psicosomatiche da disfunzioni dell'organizzazione del lavoro) sono compresi il Disturbo dell'Adattamento Cronico (codice identificativo II.7.01.F43.2) e il Disturbo Post-Traumatico Cronico da Stress (codice identificativo II.7.01.F43.1) da disfunzioni dell'organizzazione del lavoro (costrittività organizzative), con indicazione delle principali situazioni negative di lavoro già riportate nel documento INAIL.
La Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della Funzione Pubblica ha istituito nel 2002 una Commissione di analisi e studio sulle politiche di gestione delle risorse umane e sulle cause e le conseguenze dei comportamenti vessatori nei confronti dei lavoratori. A conclusione della propria attività detta Commissione ha presentato una proposta di legge nella quale il mobbing viene così definito: "atti, atteggiamenti o comportamenti di violenza morale o psichica in occasione di lavoro, ripetuti nel tempo in modo sistematico o abituale, che portano ad un degrado delle condizioni di lavoro idoneo a compromettere la salute o la professionalità o la dignità del lavoratore" (Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della Funzione Pubblica, 2003).
La Corte Costituzionale, nella sentenza del 19 dicembre 2003 n. 359, si esprime nel seguente modo sul fenomeno mobbing: "è noto che la sociologia ha mutuato il termine mobbing da una branca dell'etologia per disegnare un complesso fenomeno consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui
è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all'obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo....." "....per quanto riguarda il soggetto passivo si pongonoprincipalmente problemi di individuazione e valutazione delle conseguenze e dei comportamenti medesimi. Tali conseguenze, secondo le attuali acquisizioni, possono essere di ordine diverso. Infatti, la serie di condotte in cui dal lato attivo si concretizza il mobbing può determinare: l'insorgenza nel destinatario di disturbi di vario tipo e, a volte, di patologie psicotiche, complessivamente indicati come sindrome da stress posttraumatico; il compimento, da parte del soggetto passivo medesimo o nei suoi confronti, di atti che portano alla cessazione del rapporto di lavoro (rispettivamente: dimissioni o licenziamento), anche indipendentemente dall'esistenza dei disturbi di tipo psicologico o medico di cui si è detto sopra; l'adozione, da parte della vittima, di altre condotte giuridicamente rilevanti, ed eventualmente illecite, come reazione alla persecuzione ed emarginazione" (Corte Costituzionale, 2003).

3.5 Gli esordi degli studi clinici in Italia
In Italia lo studio del mobbing si è ispirato alle prime osservazioni dei ricercatori svedesi negli Anni ‘80.
All'inizio degli anni ‘90 il maggiore ricercatore sul mobbing, Heinz Leymann, fu invitato a tenere una conferenza presso la Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro dell'Università degli Studi di Milano. In quel momento il clima culturale italiano non era ancora pronto allo studio del fenomeno e la proposta della Clinica del Lavoro di Milano di tradurre in lingua italiana il testo tedesco di Heinz Leymann non fu accolta, in quanto l'editore non ne prevedeva una sufficiente diffusione. Inoltre il primo lavoro scientifico (1994/1996) svolto dalla Clinica del Lavoro di Milano sul mobbing, in collaborazione con l'ISPESL, non ottenne allora alcun riconoscimento dalla comunità scientifica.
Nonostante le diffidenze iniziali ed un certo ritardo culturale rispetto agli sviluppi che il tema aveva avuto nei paesi del nord Europa, fu deciso di attivare un Centro specialistico presso la Clinica del Lavoro "Luigi Devoto" di Milano, dotato di una struttura ospedaliera di day hospital.
Questa struttura, denominata Centro per la Prevenzione, Diagnosi, Cura e Riabilitazione della Patologia da Disadattamento Lavorativo (CDL) della Clinica del Lavoro "Luigi Devoto" di Milano fu istituita nell'aprile 1996, al fine di svolgere attività clinico-diagnostica e preventivo-riabilitativa su pazienti con sospetto di malattia legata a condizioni di stress e di disagio lavorativo.
La prima necessità presentatasi fu lo sviluppo di un protocollo valutativo per indagare lo stato delle relazioni interpersonali sul lavoro e le conseguenze a carico della salute.
Come si è detto, all'inizio si presentarono resistenze considerevoli allo sviluppo delle conoscenze sul mobbing. Un'opera determinante nella diffusione delle informazioni è stata svolta dai media, sia della carta stampata che radio-televisivi, che dalla fine degli Anni 90 hanno realizzato una serie considerevole di servizi dedicati all'argomento.
Il contributo dei media si è rivelato fondamentale nella divulgazione del fenomeno e delle sue conseguenze sulle vittime che hanno fortemente impressionato l'opinione pubblica e, di conseguenza, attratto anche l'attenzione della comunità scientifica, degli operatori della prevenzione, dei sindacati, delle istituzioni.
Il CDL della Clinica del Lavoro di Milano ha visto un marcato incremento delle richieste che rapidamente portarono alla saturazione delle possibilità di risposta. Dal 1997 al 2005 sono state osservate oltre 4.000 persone, con un incremento percentuale del 600% e con un'attuale lista di attesa di 4/5 mesi.
Il CDL è un centro interdisciplinare costituito da medici del lavoro, psichiatri, psicologi, psicoterapeuti e tecnici di psicodiagnostica. Gli accertamenti consistono in una serie di valutazioni di medicina del lavoro, psicologiche e psichiatriche, secondo un protocollo valutativo appositamente sviluppato.
Per anni è rimasto praticamente l'unica struttura clinica di riferimento nazionale per questa tipologia di disturbi stress correlati; ciò ha comportato un sovraccarico di lavoro e la conseguente necessità di diffondere non solo le conoscenze, ma anche di promuovere l'attivazione di analoghi centri pubblici in altre regioni. A Taranto esisteva, presso l'ASL locale, una struttura diagnostica per il mobbing attivata in occasione della vertenza delle Acciaierie Ilva, mentre a Roma, sotto la supervisone dell'ISPESL, nel 2001 è sorto il Centro Clinico della ASL RME.
Attualmente i centri pubblici operanti in Italia sono una quindicina, ma non tutti hanno le stesse finalità, modalità e strumenti operativi. Alcuni rilasciano una diagnosi di compatibilità tra lo stato di salute del soggetto e la condizione lavorativa riferita, altri come ad esempio qualche centro sorto nell'ambito del servizio di prevenzione, igiene e sicurezza del Dipartimento di Prevenzione della ASL, avendo compiti di vigilanza, preferiscono offrire una sorta di couseling alla persona e, se del caso, inviare un ispettore o chiedere la collaborazione della struttura omologa competente per territorio, al fine di verificare la situazione dell'impresa interessata. In appendice si riporta l'elenco dei centri dei quali è stata data ampia visibilità, suddivisi per regione.
Infine si ricorda il ruolo informativo e di sostegno ai pazienti svolto in questi anni dall'ISPESL che nel 1999 ha istituito presso il Laboratorio di Psicologia e Sociologia del Lavoro in Roma, il Centro di ascolto per il mobbing con larga utenza nazionale, che nel tempo è divenuto una sorta di Osservatorio in grado di monitorare l'andamento del fenomeno dal suo primo configurarsi in Italia.
Inoltre presso lìISPESL fino al 2002 - gli anni dell'"emergenza mobbing" - sono stati attivi dei gruppi di auto-aiuto per Roma e zone limitrofe.
Più recentemente anche i sindacati, mediante i loro centri di ascolto, svolgono una funzione di informazione e di orientamento alle vittime di mobbing (modificato dal testo di: Gilioli et al, 2003).

3.6 Modalità di esercizio del mobbing
Il mobbing viene più frequentemente esercitato mediante attacchi alla persona e/o minacce alla carriera professionale. Si ritiene opportuno riportare alcune delle modalità più frequenti delle azioni mobbizzanti:
"Attacchi alla persona":
 danneggiamento di oggetti personali
 derisione, soprattutto in presenza di colleghi o superiori
 diffusione di false informazioni
 esclusione
 intrusioni nella vita privata
 isolamento
 istigazione da parte dei colleghi contro la vittima
 maldicenze continue
 minacce di violenza
 molestie sessuali
 offese verbali
 provocazioni
 umiliazioni
"Minacce alla carriera professionale":
 assegnazione di compiti nuovi senza formazione o senza gli strumenti necessari
 assegnazione di compiti pericolosi o inadatti alla salute
 assegnazione di compiti senza significato
 azioni disciplinari infondate
 controllo eccessivo
 critiche e rimproveri ripetuti
 esclusione da riunioni, progetti o corsi di formazione
 inattività forzata
 mancanza di comunicazione
 mancanza di riconoscimento
 minacce di azioni disciplinari
 minacce di licenziamento
 negazione delle informazioni essenziali per lo svolgimento del lavoro
 retrocessioni di carriera
 riduzione graduale dei compiti di lavoro
 rimozione di strumenti essenziali per il lavoro
 sottostima intenzionale o sottovalutazione delle proposte
 sovraccarico di lavoro con scadenze impossibili da rispettare
 trasferimenti ingiustificati in posti lontani o remoti
 valutazioni di profitto ingiustificatamente basse

Nella circolare dell'INAIL, già ricordata, si riporta un elenco di azioni che "riveste un imprescindibile valore orientativo per eventuali situazioni assimilabili":

Esempi di "Costrittività organizzata"
 Marginalizzazione dall'attività lavorativa
 Svuotamento delle mansioni
 Mancata assegnazione dei compiti lavorativi, con inattività forzata
 Mancata assegnazione degli strumenti di lavoro
 Ripetuti trasferimenti ingiustificati
 Prolungata attribuzione di compiti dequalificanti rispetto al profilo professionale posseduto
 Prolungata attribuzione di compiti esorbitanti o eccessivi anche in relazione ad eventuali condizioni di handicap psico-fisici
 Impedimento sistematico e strutturale all'accesso a notizie
 Inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni inerenti l'ordinaria attività di lavoro
 Esclusione reiterata del lavoratore rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione e aggiornamento professionale
 Esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo.

3.7 Metodologia per la valutazione del mobbing
Per la valutazione del mobbing è necessario sottolineare come non esista un'unica modalità valida per ogni contesto, ma che siano reperibili diversi protocolli valutativi ugualmente validi e attendibili. Di seguito è riportato a titolo di esempio la metodologia seguita presso la Clinica del Lavoro dell'Università di Milano/Fondazione IRCCS.
3.7.1 Raccolta dei dati clinici
L'indagine anamnestica occupazionale, nel caso del mobbing, riveste un'importanza del tutto particolare e richiede l'intervento e la collaborazione interdisciplinare del medico del lavoro, dello psichiatra e dello psicologo.
Pertanto i tempi di raccolta sono molto lunghi, nell'ordine di ore, e con ripetute verifiche e confronti da parte degli specialisti.
Questo argomento esige di essere esposto con maggior dettaglio, poiché rappresenta l'aspetto innovativo del protocollo stesso.
L'anamnesi occupazionale, di competenza del medico del lavoro, comprende una raccolta di dati tramite colloquio diretto con il paziente. Inoltre i dati anamnestici sono ulteriormente confermati dalla somministrazione di un questionario ad hoc (CDL 1). L'anamnesi pertanto prende in considerazione una serie di importanti elementi che riguardano:
1. curriculum lavorativo pregresso, con particolare riferimento ai cambiamenti del posto di lavoro, loro frequenza e motivazione, nonché al grado di soddisfazione lavorativa;
2. raccolta di informazioni riguardanti il livello di integrazione nell'ambiente di lavoro e puntualizzazione del momento in cui si sono sviluppate situazioni lavorative meno favorevoli o negative;
3.valutazione delle modalità con cui le azioni negative sono esercitate e da chi provengono;
4. reazioni e/o tentativi di risposta del soggetto.
Naturalmente tutte queste informazioni devono essere vagliate criticamente, in quanto alcuni comportamenti che il lavoratore potrebbe intendere come vessatori, possono invece rappresentare il legittimo esercizio dell'azione direttiva di coordinamento e disciplinare da parte del datore di lavoro e non un'intenzionale volontà di mettere in difficoltà il lavoratore stesso.
È inoltre fondamentale distinguere le situazioni di mobbing che nascono da un esercizio abusivo di potere da quelle che invece riflettono una normale conflittualità tra colleghi e cioè una sana competizione organizzativa, in cui vengono legittimamente impiegate le capacità individuali, la volontà e la costanza nel perseguire determinati obiettivi. Questo tipo di competizione che si svolge in modo aperto e leale, non ha nulla a che fare con comportamenti finalizzati ad obiettivi ambigui e funzionali ad esigenze individuali e aziendali (testo modificato da: ISPESL -Clinica del Lavoro, 2002).

3.7.2 Valutazioni diagnostiche
La diagnosi di sindromi mobbing correlate si basa sull'impiego di un protocollo consolidato che comprende accertamenti di carattere internistico, neurologico, psichiatrico, psicologico ed una particolareggiata indagine
anamnestica occupazionale.
La complessità e multidisciplinarietà dell'esame è richiesta dalla delicatezza della diagnosi e dalla difficoltà di verifica dei dati anamnestici che poggia essenzialmente sull'attendibilità della persona e della storia lavorativa.
Ove possibile, sono anche utilizzati dati desunti da documenti prodotti o testimonianze dirette o indirette.
A questo fine sono effettuati due diversi colloqui, da parte di un neuropsichiatra e di uno psicologo, ottenendo così, oltre ad una conferma o meno dei dati e dell'attendibilità complessiva della persona, anche altri elementi importanti circa lo stile di vita, le relazioni famigliari e sociali, tutti dati assai rilevanti ai fini delle conclusioni eziologiche.
Infine, con la somministrazione di una complessa batteria di test psicodiagnostica, sono verificati gli aspetti cognitivi, la stabilità e la capacità di coping della persona ed il profilo di personalità, anche negli aspetti motivazionali e progettuali, così da ottenere un quadro complessivo del paziente. Questi elementi concorrono ulteriormente a verificare l'attendibilità della persona.
Di seguito è riportato il protocollo valutativo di patologia stress correlata da mobbing, sviluppato nel 1996 da D. Camerino, M.G. Cassitto e R. Gilioli presso il Centro per la Prevenzione, Diagnosi, Cura e Riabilitazione della Patologia da Disadattamento Lavorativo, Clinica del Lavoro "Luigi Devoto", Università degli Studi di Milano/Istituti Clinici di Perfezionamento.

Protocollo valutativo di patologia stress correlata da mobbing
1. Valutazioni Cliniche
 Anamnesi Familiare
 Anamnesi Sociale (Amicizie, Tempo Libero)
 Sintomatologia
 Risorse
 Futuro
 Farmaci
 Esame Psichico
 Colloquio Clinico
2. Valutazioni psicodiagnostiche
Alterazioni dello stato di benessere indotte dalle situazioni di Mobbing
 Alterazioni dell'equilibrio socioemotivo
 Alterazioni dell'equilibrio psicofisiologico
 Disturbi del comportamento
ALTERAZIONI DELL'EQUILIBRIO SOCIOEMOTIVO
Depressione - ansia - stato di preallarme - ossessioni - attacchi di panico
- isolamento - anestesia reattiva - sensazione di depersonalizzazione
ALTERAZIONI DELL'EQUILIBRIO PSICOFISIOLOGICO
Cefalea - vertigini - disturbi gastrointestinali - senso di oppressione toracica
- tachicardia - manifestazioni dermatologiche - disturbi del sonno
- disturbi della sessualità - aggravamento di patologie internistiche preesistenti
DISTURBI DEL COMPORTAMENTO
Disturbi alimentari (ipofagia - iperfagia) - Abuso di alcool, fumo, farmaci
- Reazioni autoaggressive o eteroaggressive - Totale passività

Strumenti di rilevamento soggettivo
 Questionario per la rilevazione del fenomeno "Mobbing" - CDL
 Questionario sullo stress da lavoro - OSQ
 Questionario dei disturbi soggettivi - SSQ
 Questionario di personalità - MMPI (o/e 16 PF di Catell, CBA)
 Test di dinamismo mentale - Matrici progressive di Raven
 Test proiettivo - il Reattivo di Disegno di Wartegg (se è necessario anche TAT)
 Questionario del tono dell'umore - Mood Scale
 Scala Analogica (ripetuta ad ogni visita)

QUESTIONARIO PER LA RILEVAZIONE DEL FENOMENO "MOBBING" - CDL
È un questionario elaborato dalla Clinica del Lavoro dell'Università degli Studi di Milano/Istituti Clinici di Perfezionamento. Comprende le principali azioni mobbizzanti esercitate sul posto di lavoro e ne valuta frequenza e durata. Queste azioni sono raggruppate in:
1. Attacchi alla persona
2. Attacchi alla situazione lavorativa
a) a livello delle capacità e dell'immagine professionale
b) iniziative penalizzanti "in eccesso"
c) iniziative penalizzanti "in difetto"
3. Azioni "punitive"

QUESTIONARIO SULLO STRESS DA LAVORO - OSQ
Sviluppato dall'Istituto di Medicina del Lavoro di Helsinki, tradotto in italiano e adattato dalla Dott.ssa M.G. Cassitto (1995). L'OSQ è uno strumento inteso a valutare come i soggetti percepiscono l'ambiente di lavoro e i suoi effetti sulla salute.
Categorie dell'OSQ:
 Background personale (età, scolarità, mansioni, ecc.)
 Fattori influenti (possibilità di controllo, relazioni sociali)
 Percezione dell'ambiente (caratteristiche del lavoro, carichi di lavoro)
 Stress e soddisfazione (livelli di soddisfazione nel lavoro e nella vita e risorse/ reazioni da stress)
 Necessità di evoluzione professionale e/o di supporto

QUESTIONARIO PER IL RILEVAMENTO DEI SINTOMI SOGGETTIVI - SSQ
Categorie dei sintomi:
 Astenia
 Qualità del sonno
 Memoria
 Attenzione
 Psicomotricità
 Umore
 Identità
 Disturbi psicosomatici
 Disturbi neurologici (formicolio alle dita, crampi ai polpacci)
 Disturbi neurologici (equilibrio, parestesie)
 Disturbi sessuali

QUESTIONARIO DI PERSONALITÀ - MMPI
Minnesota Multiphasic Personality Inventory
Composto da 550 items a risposta chiusa vero - falso.
Composto da 3 scale di validità e da 10 scale cliniche.
Scale di validità:
 L (Lie= bugie)
 F (Frequenza = indicatori disagio)
 K (Fattore di correzione )
10 scale cliniche:
1. Ipocondria (Hs)
2. Depressione (D)
3. Isteria (Hy)
4. Deviazione psicopatica (Pd)
5. Mascolinità/Femminilità (Mf )
6. Paranoia (Pa)
7. Psicoastenia (Pt)
8. Schizofrenia (Sc)
9. Ipomania (Ma)
10.Introversione sociale (Si)

TEST DI DINAMISMO MENTALE - MATRICI PROGRESSIVE DI RAVEN - PM38
Test di intelligenza, non legato a parametri culturali.
Composto da 5 serie contenenti ognuna 12 matrici di crescente difficoltà.
Tempo di lavoro: 20 minuti.

TEST PROIETTIVO - REATTIVO DI DISEGNO DI WARTEGG
È costituito da 8 riquadri che rivelano i seguenti aspetti:
1. Identità
2. Affettività
3. Progettualità, motivazione
4. Ansia
5. Capacità reattive
6. Integrazione razionale - emotiva
7. Sensibilità
8. Rapporti sociali
Criteri di valutazione:
 Profilo di qualità (carattere evocativo)
 Successione nell'esecuzione dei disegni
 Strutturazione dei quadri
 Modi di rappresentazione e attribuzione di significato

QUESTIONARIO DEL TONO DELL'UMORE - MOOD SCALE
Valuta il livello di:
 Arousal
 Stress

SCALA ANALOGICA
Scala di autovalutazione delle condizioni psicofisiche generali che comprende le seguenti dimensioni:
 Ansia
 Stato d'animo
 Debolezza
 Dolore
 Nausea
 Stato generale
 Attività
La scala, ripetuta per ogni visita, fornisce indicazioni sull'andamento delle condizioni nel tempo.

3. Diagnosi clinica secondo ICD-10 o DSM IV TR

3.8 Criteri medico-legali per la diagnosi di sindrome mobbing correlata

 Il mobbing, per definizione, è una condizione avversativa di lavoro che è causa di un disturbo della qualità della vita e che, in alcuni casi, può produrre alterazioni della salute. Pertanto il mobbing può essere alla base di un danno morale, di un danno esistenziale e di un danno all'integrità psicofisica della persona. Per quanto concerne questo ultimo punto la procedura diagnostica per formulare la diagnosi di sindrome mobbing correlata consiste in:
1. riscontro di un disturbo della sfera psicopatologica, psicosomatica e comportamentale;
2. in caso positivo, confronto con la situazione avversativa di lavoro;
3. valutazione di eventuali patologie pregresse di tipo psichico, condizioni predisponenti e/o disturbi della personalità che a loro volta possono spiegare il quadro clinico;
4. valutazione di eventuali malattie generali, specie a carattere cronico invalidante, ugualmente concorrenti o determinanti il disturbo riscontrato;
5. valutazione di altri eventi di vita dotati di potenziale psicotraumatico (ad esempio un lutto di una persona molto cara, un dissesto economico, un divorzio o altro) che ancora possono influire sullo stato psichico della persona.
Una volta escluse altre possibili cause, devono essere valutati:  la reale consistenza della situazione di mobbing attraverso una valutazione della attendibilità complessiva della persona e del suo racconto;il potenziale lesivo1 della specifica situazione di mobbing cui la persona è stata esposta;  il rispetto del criterio cronologico e della compatibilità clinica.

3.9 Conseguenze sulla salute
È un dato di fatto, sostenuto da pubblicazioni a livello internazionale  (Einarsen et al, 2003) che il mobbing abbia il potenziale di causare o contribuire allo sviluppo di molti disturbi psicopatologici, psicosomatici e comportamentali. Non è noto tuttavia, in modo preciso, in quale percentuale le persone esposte ad una situazione di mobbing svilupperanno poi disturbi a carico della salute. Ciò probabilmente dipende dalla durata e dall'intensità degli stimoli stressogeni, anche se i tratti di personalità della vittima possono svolgere un ruolo protettivo o favorente il disturbo stesso. Nei paesi industrializzati la percentuale di lavoratori in cerca di sostegno presso centri specializzati è in costante aumento, ma la consapevolezza su questo tema è ancora molto limitata. Le conseguenze sulla salute più frequentemente correlate al mobbing sono le seguenti:

Psicopatologiche:
- Alterazioni dell'umore
- Apatia     
- Flashback
- Incubi ricorrenti
- Insicurezza
- Insonnia
- Iperallerta 
- Irritabilità e muscolari aggressive
- Melanconia
- Pensiero intrusivo 
- Perdita di iniziativa
- Problemi
- Reazioni d'ansia 
- Reazioni di evitamento
- Reazioni fobiche
- Umore depresso

 Psicosomatiche:
- Cefalea 
-Crisi anginose 
- Crisi emicraniche 
- Dermatite
- Disturbi dell'equilibrio
- Dolori articolari e muscolari
- Gastralgie
- Ipertensione arteriosa
- Palpitazioni
- Perdita di capelli
- Tachicardia
- Ulcere gastroduodenali

 Comportamentali:
- Aumento del consumo alcolico e di farmaci
- Aumento del fumo
- Disfunzioni sessuali
- Disturbi dell'alimentazione
- Isolamento sociale
- Reazioni auto ed etero aggressive

1 Sono comunemente impiegate delle tabelle (ad esempio la scala di Holmes e Rahe) che hanno lo scopo di valutare il potenziale psicotraumatico dei diversi eventi di vita, anche se è necessario sottolineare la modesta validità di queste tabelle per diverse motivazioni:  il filtro esperienziale della persona, e cioè il significato che l'evento in questione ha nella singola persona e nel momento in cui lo sperimenta  il momento storico in cui queste tabelle sono state elaborate  la cultura del paese in cui sono state elaborate, non opportunamente generalizzabile Inoltre più recentemente l'Agenzia per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro dell'Unione Europea ha rilevato che il ruolo di situazioni avversative di lavoro, nel generare effetti psicolesivi, è sicuramente più rilevante di quanto ritenuto nel passato.

La depressione e il disturbo d'ansia sono le diagnosi formulate più comunemente, anche se sono frequenti altri inquadramenti diagnostici e precisamente il disturbo dell'adattamento (DA) e il disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS); infatti, queste ultime due sindromi rappresentano più tipicamente la risposta ad eventi esterni (OMS-ISPESL-ICP-IST, 2003).
Caratteristiche del Disturbo dell'Adattamento e del Disturbo
Post Traumatico da Stress

Disturbo dell'Adattamento o Disturbo Post-Traumatico da Stress o Sindrome da Disadattamento: Il Disturbo dell'Adattamento è una condizione psichiatrica che si verifica come risposta a un agente di stress; numerosi cambiamenti di vita agiscono come fattori precipitanti questa condizione clinica. La persona colpita sperimenta disagio o altera il comportamento funzionale (incapacità a lavorare o a svolgere altre attività).
 Sindrome Post-traumatica da Stress: Il Disturbo Post-Traumatico da Stress è una condizione psichiatrica caratterizzata da: - vissuti ricorrenti e intrusivi dell'evento, sogni angosciosi, incubi e flashback; - evitamento di situazioni che richiamano l'evento; - iperattivazione che ostacola il sonno, la concentrazione e favorisce reazioni di soprassalto.

La Sindrome da disadattamento2 (SDD) è un malessere soggettivo e disturbo emozionale che in genere interferisce con il funzionamento e le prestazioni sociali e che insorge nel periodo di adattamento ad un significativo cambiamento di vita o ad un evento di vita stressante (ICD-10 oppure, secondo il DSM IV, Disturbo dell'Adattamento- DDA).
La Sindrome Post Traumatica da Stress (SPTS) è una risposta ritardata o protratta ad un evento stressante o ad una situazione di natura eccezionalmente minacciosa o catastrofica, in grado di provocare diffuso malessere in quasi tutte le persone (ICD-10 oppure, secondo il DSM IV, Disturbo Post Traumatico da Stress - DPTS).
Sul piano medico-psicologico la sintomatologia è abbastanza uniforme nelle sue manifestazioni, ma con ampia variabilità nella gravità del quadro clinico. Alcuni pazienti, specialmente coloro che sono stati sottoposti ad una situazione di mobbing da breve tempo, presentano disturbi sfumati con qualche segnale di allarme psicosomatico e disturbi del sonno.

2 Il termine disadattamento è inteso non nel senso delle difficoltà di una persona "disadattata" ad integrarsi nelle relazioni sociali, ma secondo la teoria dello stress che vede nell'adattamento una risposta efficace delle strutture biopsichiche ad un mutamento di condizione ambientale. Quando per qualche motivo, ad esempio per l'intensità e la durata di una serie di stimoli, le richieste di adattamento divengono eccessive, l'adattamento può diventare precario e disturbato.

In rapporto alla durata degli stimoli negativi ed all'intensità della situazione dilavoro, si possono osservare disturbi clinici di entità sempre crescente che tendono ad assumere un andamento duraturo nel tempo sino a vere e proprie devastazioni della personalità.
Poiché il mobbing non è uno stato, ma un meccanismo che si sviluppa, anche le conseguenze sull'equilibrio emozionale e più generalmente sulla  salute evolvono progressivamente con un diverso prevalere sintomatologico a seconda dei soggetti. In alcuni casi riacutizzando anche patologie psicosomatiche e/o psichiche precedentemente accusate.
Inizialmente gran parte del disagio sia emotivo che fisico è dovuto allo stato di confusione in cui il soggetto viene a trovarsi e alla progressiva scomparsa di tutti i riferimenti oggettuali e sociali che prima regolavano la sua vita all'interno dell'azienda. Ne consegue uno stato di incertezza, paura di sbagliare, bisogno di aumentare i controlli che, se all'inizio non incidono sulla qualità del lavoro svolto, fanno sentire la persona non più adeguata e all'altezza della situazione.
Quando anche le prestazioni scadono, l'autostima del soggetto è compromessa e questi entra in un circolo vizioso di progressivo deterioramento della qualità della vita e del lavoro. Ne consegue un aggravio nella gestione delle attività lavorative che diventano meno efficienti e produttive.
Questo stato di confusione viene proiettato anche all'esterno dell'azienda in particolare in ambito familiare per la polarizzazione cognitiva sempre più invasiva e inibente sulle problematiche di lavoro. È anche alla base di reazioni di insofferenza e di intolleranza, poiché qualunque  stimolazione interferente anche di lieve entità aumenta la sensazione di incapacità di gestire la realtà quotidiana. Ciò può avere come conseguenza anche il deterioramento dei rapporti interpersonali all'interno della famiglia, con separazioni e divorzi. La persona umiliata, stanca e affetta da molteplici disturbi somatici si ritira anche dal sociale, per la difficoltà di condividere momenti di evasione che sente non le appartengono più.

Sintomi presenti in sindromi mobbing correlate
La vittima del mobbing può presentare una sintomatologia molto varia, costituita essenzialmente da ansia, in tutte le sue manifestazioni, comprese fobie, depressione dell'umore con perdita della volontà di agire, della capacità di progettare il proprio futuro, apatia, disturbi di concentrazione, insonnia, insicurezza ed irritabilità. Inoltre, in alcuni casi sono caratteristici i segni di iperattivazione della persona, con pensiero ricorrente circa gli eventi negativi di lavoro, incubi notturni spesso centrati sul lavoro e flashback.
Questi sintomi spesso sono preceduti o associati a segnali di allarme psicosomatico, rappresentati da cefalea di vario tipo, accentuazione di sindromi emicraniche, dolori diffusi alle articolazioni e alle masse muscolari, dolori gastrici e addominali, tachicardia, sviluppo o
aggravamento di ipertensione arteriosa, attacchi d'asma, palpitazioni cardiache, manifestazioni cutanee varie, perdita di capelli, disturbi dell'equilibrio.
Possono infine comparire veri e propri disturbi del comportamento, caratterizzati da reazioni di aggressività verso se stessi e/o gli altri, disturbi alimentari, aumento del consumo di alcolici, di farmaci o del fumo, disfunzioni sessuali ed isolamento sociale.

RUOLO DEL MEDICO DI BASE INDICAZIONI E SUGGERIMENTI PER IL MOBBIZZATO

Si è accennato alla solitudine del soggetto nell'affrontare la situazione, in uno stato psicofisico che rapidamente si altera e mostra segni nel fisico e nel morale. In queste condizioni i passi falsi che possono compromettere maggiormente la situazione sono frequenti. Si crea un circolo vizioso in cui la vulnerabilità aumenta gli errori che a loro volta intensificano gli attacchi e neutralizzano la capacità di reagire adeguatamente. È quindi essenziale che i soggetti si preparino a resistere alle situazioni adottando una serie di azioni preventive.
In una situazione di compromesso benessere, la prima figura cui il soggetto fa riferimento è il medico di base.
Poiché il medico di base non può entrare direttamente nei conflitti assistitoazienda, non avendone il diritto e tanto meno i mezzi, si ritiene spesso che questa figura non abbia un ruolo rilevante nella gestione del fenomeno. Al contrario, è proprio a partire da lui che può iniziare il recupero del benessere del soggetto. A lui spetta andare incontro alla sofferenza del suo assistito e assicurargli quegli aiuti sia professionali che umani che gli consentano di mantenere sufficienti energie per potersi difendere e/o poter risolvere positivamente la situazione.
Abitualmente, infatti, il lavoratore mobbizzato si rivolge al proprio medico portando alla sua attenzione non il disagio che sperimenta nell'ambiente di lavoro, ma il disagio psicofisico che ne risente. I motivi possono essere diversi.
Soprattutto all'inizio dell'esperienza di violenza morale, lo stesso lavoratore non sempre mette la sua sofferenza in rapporto con i problemi occupazionali ed è quindi il primo a voler indagare le possibili cause organiche del suo star male. Oppure, non ritiene di doverne parlare, non pensa che la causa sociale che spesso giudica immodificabile, possa interessare il medico. Parla quindi di disturbi del sonno, di tensione, di ansia, di paura o di depressione. Oppure di cefalea, mal di stomaco o quant'altro. Solo nei casi di una lunga conoscenza e/o fiducia sperimentata in altre situazioni in cui col proprio medico si sono approfonditi problemi di vita, il soggetto spontaneamente dice quanto siano causa di sofferenza le quotidiane esperienze occupazionali.
Sta quindi al medico cercare di capire cosa ci possa essere dietro il linguaggio del corpo e offrire al paziente uno spazio di accoglimento che consenta la manifestazione del disagio e la narrazione degli eventi. Questa disponibilità all'ascolto richiede tempo, ma dà al soggetto una prima occasione di sentire che quanto riferisce viene accettato, e lo aiuta quindi ad uscire dal suo isolamento. Non bisogna dimenticare che il più sovente i soggetti mobbizzati tendono a non parlare nemmeno in famiglia della loro esperienza nel timore di non essere creduti o perché si sentono umiliati e pensano che li si possa ritenere responsabili della situazione.
Quello che segue è dunque un percorso che suggeriamo al medico per aiutare il suo assistito più efficacemente.
1. La prima terapia è l'ascolto accettante di un'esperienza di sofferenza. Il colloquio con il proprio medico può in alcuni casi essere il primo spazio che il paziente vive in sicurezza, con la certezza di poter esprimere pensieri e sentimenti che non verranno usati contro di lui. Sperimenta una situazione di rispetto per la sua persona, considerato un essere umano e non una "cosa" che può essere utilizzato, ignorato o calpestato a piacere. Aiutarlo a mantenere un sufficiente livello di autostima è il primo atto della prevenzione. Il sentirsi accettato aiuta a convincere il paziente a non prendere decisioni irreversibili come le "dimissioni per disperazione" o accettare prepensionamenti forzati o trasferimenti penalizzanti.
2. Conoscenza. Importante è verificare quanto il soggetto sappia del fenomeno di cui pensa essere vittima e, se necessario, indicargli l'opportunità di raccogliere informazioni, così da meglio capire i meccanismi che lo guidano e non essere colto di sorpresa quando nuove forme di accanimento si manifestano.
3. Comunicazione. Altrettanto importante è suggerire al paziente di non tacere di fronte a comportamenti offensivi ma esprimere chiaramente anche se in maniera controllata le proprie reazioni emotive sia con l'aggressore/i che con i colleghi. Soprattutto all'inizio del meccanismo è possibile trovare alleati da cui poter essere sostenuti e/o aiutati. E utile ripensare ad altre situazioni simili in azienda, parlare con chi è ancora al lavoro o ricontattare coloro che se ne sono andati per questo motivo non solo per avere conferme ma alleati.
4. Ugualmente importante è verificare se il paziente si sia già rivolto a strutture di supporto presenti in azienda, sindacati, responsabili della sicurezza, medico competente. Queste figure essendo autorizzate a verificare la veridicità di quanto riferito possono rappresentare fonti di sostegno e/o svolgere ruolo di intermediazione.
5. Analisi. L'accettazione del medico di quanto il paziente racconta consente anche, successivamente, di aiutare il paziente a ristrutturare la sua esperienza e talvolta a ridimensionare quanto vi può essere di esasperato nella sua testimonianza. Infatti col protrarsi della situazione non ci si deve meravigliare se il soggetto tende ad interpretare come molestie anche comportamenti o decisioni aziendali che non necessariamente sono pensate per danneggiarlo. È l'imprevedibilità e multiformità degli attacchi che favorisce questa tendenza. Il mantenere questa lucidità di giudizio è indispensabile per sviluppare una difesa efficace e delle reazioni appropriate e togliere ai mobbizzatori quella che è la loro arma più efficace e letale, ossia far passare il dipendente come un malato psichico paranoico o, peggio, dissociato.
6. Alternative. Verificare se il paziente ha contemplato possibilità alternative, chiedere un trasferimento ad altro reparto o altra sede, oppure cercarsi un altro posto di lavoro. Talvolta i soggetti non pensano nemmeno alla possibilità di uscire dal gioco perverso del mobbizzatore e alla domanda "perché" rispondono "perché non è giusto". Questa posizione che è di frequente riscontro ed è reazione logica in chi sente di trovarsi in situazione di ingiustizia e abuso di potere deve ad un certo punto essere sottoposta ad una valutazione tra la finalità (avere giustizia) ed i mezzi a disposizione (strumenti per ottenerla e risorse psicofisiche). È importante che il medico
valuti quale rischio per la salute il suo paziente stia correndo e se sia più opportuno suggerirgli una minor rigidità aiutandolo a verificare soluzioni alternative.
7. Documentazione. Sollecitarlo ad essere concreto e preciso nel suo racconto portando fatti e non impressioni, raccomandargli di tenere una specie di diario di bordo delle sue giornate riportando date, avvenimenti e laddove possibile, documenti. Questo gli servirà qualora decida di iniziare un percorso legale.
8. Famiglia. Talvolta, può essere utile intervenire a livello familiare. In genere la famiglia condivide lo stesso medico che è così in posizione privilegiata per rendersi conto della ricaduta che la situazione del suo assistito può avere sull'equilibrio dell'intera famiglia, coniuge e/o figli. L'azione del medico può svolgersi in due direzioni. Nel caso il soggetto non l'abbia fatto, deve spingerlo a parlare con i familiari di quanto succede in azienda favorendo così lo sviluppo di un fronte comune e di un contenitore supportante, pur raccomandandogli di non cadere nell'errore opposto, cioè quello di scaricare sugli altri tutti i problemi diventando ossessivo e indifferente ai loro problemi. Ugualmente, può essere necessario parlare con i familiari quando questi sembrano non rendersi conto che quanto succede al loro congiunto è vero e non deriva da sue presunte responsabilità. Un individuo quotidianamente aggredito e che non può reagire apertamente, tende quando si trova in situazioni di maggior sicurezza ad esprimere la sua aggressività ed è quindi importante sforzarsi di sopportare/contenere reazioni inadeguate e talvolta eccessive.
9. Autoaiuto. Laddove esiste, può essere utile invitare il paziente a partecipare ad un gruppo di autoaiuto dove possa condividere l'esperienza con altri ugualmente colpiti e con cui gli sarà possibile scambiare pareri, trovare soluzioni, ricevere indicazioni di sanitari, legali esperti in questo settore. Potrà trovare supporto a resistere e rinforzare la propria autostima.
10.Terapia. Nell'ambito del mobbing, il problema terapia che è di esclusiva pertinenza del medico deve essere affrontato con particolare cautela. Da un lato, almeno inizialmente, il paziente è una persona sofferente ma non malata in senso tradizionale. Sarà importante aiutarlo a ritrovare un sonno sufficiente, intervenire su un insieme di disturbi psicosomatici che sempre
accompagnano questi stati di disagio, contenere l'ansia e/o un eccesso di reattività. Ma, sarà anche importante rendersi conto quando l'equilibrio psicofisico del suo paziente denunci una deriva psichiatrica e richieda quindi la collaborazione di uno specialista. Quando lo si sente impotente nei confronti degli attacchi o troppo polarizzato sul problema tanto daperdere lucidità o in preda a panico, oltre alla farmacoterapia, potrà essere indispensabile ricorrere ad un supporto psicologico che gli dia gli strumenti per un miglior controllo della situazione.
11.Malattia. Le quotidiane persecuzioni rendono il paziente malato. Oltre ai disturbi psicosomatici ed emozionali, è costante uno stato di affaticamento che rende difficile l'inizio della giornata. La previsione di quanto dovrà affrontare attiva meccanismi di ansia anticipatoria e di evitamento. Allora per quanto riguarda la concessione di periodi di malattia, il medico deve diventare un po' stratega insieme al suo paziente. Deve riuscire a stabilire piani per quando, come e per quanto tempo prescrivere periodi di allontanamento dal lavoro. Brevi periodi di riposo e cura possono essere utili per allentare la pressione psicologica, riacquistare le forze, il sonno, l'appetito e prendere un minimo di distanza e fare il punto dalla situazione.
Compatibilmente con la salute del paziente i lunghi periodi di assenza sono
quasi sempre da evitare poiché peggiorano i rapporti con l'azienda, le consentono di attribuire il marchio di assenteista al soggetto, di abusare in visite fiscali e trovare stratagemmi per un licenziamento. Vi sono poi ragioni di opportunità, strategica appunto, per optare per un periodo di malattia o, al contrario un rientro in azienda e medico e paziente potranno insieme assumere decisioni responsabili, senza dimenticare che lo stato di salute antecedente il problema che il medico conosce sarà la base su cui decidere quanto e come allontanare il proprio paziente da situazioni di rischio aumentato.
12.Vita sociale. È di fondamentale importanza che il soggetto mantenga il più possibile i rapporti sociali e gli interessi precedenti, e si dovrà dunque sollecitarlo a continuare a frequentare gli amici, praticare sport, coltivare hobbies e attività secondarie così da inserire nella quotidiana ossessione momenti di stacco cognitivo che, anche se faticosi, aiutano a non precipitare in un vortice autistico di autoisolamento. Anche in questo caso è bene che il soggetto parli dei suoi problemi di lavoro ma come si è già detto per i familiari senza diventare ossessivo e scaricare continuamente sugli altri tutte le proprie angosce.

DANNO BIOLOGICO, MORALE ED ESISTENZIALE
Negli ultimi decenni il dibattito riguardante il danno alla persona ha assunto sempre maggiore rilevanza dal punto di vista della dottrina giuridica e medico-legale.
Tale percorso dottrinario trova la sua ragion d'essere nel fatto che sempre di più la persona umana è venuta a trovarsi al centro del discorso del diritto privato.
Il concetto di danno biologico costituisce la novità di maggiore rilevanza nel diritto giurisprudenziale per ciò che attiene la tutela della persona: solo con questo strumento giuridico è stato infatti possibile porre nel giusto rilievo la lesione alla integrità fisica e psichica che consegue ad un fatto giuridicamente illecito.
La base su cui il cosiddetto danno biologico trova il suo fondamento sta nella tutela della salute assicurata dall'art. 32 della Costituzione che attribuisce alla salute il rango di situazione soggettiva rilevante al più alto livello dell'ordinamento.
Dal punto di vista strettamente medico-legale il danno può essere definito come ogni modificazione peggiorativa dello stato anteriore della persona risarcibile.
Sulla integrità psico-fisica della persona che, come accennato in precedenza, costituisce l'oggetto della tutela giuridica, si fonda la cosiddetta validità, ovverosia la efficienza psico-fisica allo svolgimento di qualsiasi attività, lavorativa ed extralavorativa.
Pertanto, tutti i fatti giuridicamente illeciti che possono determinare un danno alla persona sotto forma di una diminuzione della integrità psico-fisica (e, quindi, della validità del soggetto) configurano un danno biologico.
Il concetto di validità merita un ulteriore approfondimento. Essa, infatti, deve essere intesa come efficienza psico-somatica allo svolgimento di qualsiasi attività, definizione questa che imprime al danno alla validità il carattere di lesa funzione, di disfunzionalità. A seconda del grado di compromissione della validità si determinerà una maggiore o minore limitazione alla libertà di espansione del soggetto nella vita sociale.
Vita di relazione che riguarda tutti i rapporti interpersonali, compresa l'attività lavorativa.
Pertanto, per tutti quei fatti illeciti da chiunque commessi che determinino un danno alla persona di rilevanza giuridica è possibile configurare una diminuzione della integrità psicofisica del soggetto suscettibile di valutazione da parte del medico-legale. Detta definizione è stata recentemente ribadita in alcuni testi legislativi (L. 57/2001; D. Lgs 38/2000) che per primi hanno recepito gli orientamenti giurisprudenziali precedentemente ricordati elevando il concetto di danno biologico a vera e propria norma legislativa e non più frutto di mera elaborazione giurisprudenziale.Il risarcimento del danno a chi patisce le conseguenze di un fatto illecito è quindi divenuto, con il passare dei decenni ed il mutamento degli orientamenti giurisprudenziali, indipendente dalla attività esercitata dal soggetto e dal guadagno che lo stesso ricava con questa attività.
Infatti gli orientamenti giurisprudenziali più recenti hanno conferito all'uomo un valore, anche economico, che trova il suo fondamento nella integrità della persona e nella sua validità.
Danno alla salute e danno alla validità sono, per loro stessa definizione, eventi a carattere ben più dinamico in confronto al danno biologico che può essere soltanto un danno anatomico, privo cioè di carattere funzionale e quindi medico-legalmente indifferente.
La valutazione del danno biologico avviene, generalmente, mediante un sistema tabellare: si tratta generalmente di cifre orientative che debbono essere applicate con prudenza e flessibilità in ragione del fatto che appare estremamente difficoltoso esprimere in termini matematici le ripercussioni di un danno funzionale sulla validità del singolo individuo, soprattutto nel caso di funzioni complesse e per quelle la cui esplicazione è strettamente legata a condizioni individuali di natura biologica e sociale.
In conclusione si può affermare che il danno biologico costituisce una menomazione della integrità psico-fisica del soggetto in sé e per sé considerata, in quanto incidente sul valore uomo in tutta la sua concreta dimensione, che non si esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza, ma si collega alla somma delle funzioni naturali afferenti al soggetto nell'ambiente in cui la vita si esplica ed avente rilevanza non solo economica, ma anche biologica, sociale, culturale ed estetica.
Forme alternative di danno sono rappresentate dal danno morale e da quello esistenziale.
Per capire che cosa si intenda per danno morale, è importante rifarsi alla definizione data dalla Corte Costituzionale (sent. n. 184/1996) che lo definisce come quel danno che in nessun modo incide sul patrimonio, ma che arreca solo un dolore morale alla vittima, una sofferenza fisica (nel senso di sensazione dolorosa) o psichica. Di conseguenza, il relativo risarcimento soddisfa l'esigenza di compensare le sofferenze fisiche, morali e psichiche patite dal soggetto danneggiato costituendo una forma di danno cosiddetto non patrimoniale.
Il danno non patrimoniale non è suscettibile di risarcimento per equivalente (come avviene, invece, per il danno patrimoniale, che può essere risarcito, anche, in forma specifica), e, di conseguenza, la sua liquidazione è affidata all'apprezzamento discrezionale ed equitativo del giudice di merito, il quale deve tener conto: delle sofferenze patite dall'offeso, della gravità dell'illecito e di tutti gli elementi peculiari del caso concreto. Il giudice, quindi, è chiamato a pronunciarsi sul risarcimento, indicando un ristoro pecuniario che risulti socialmente adeguato alla gravità della lesione. L'adeguatezza del ristoro, infine, deve essere valutata oggettivamente, a prescindere dalla soddisfazione morale che il danneggiato possa provare personalmente, potendosi trattare, anche, di persona incapace di intendere e di volere o di persona giuridica.

 Il danno morale è, infatti, un danno non patrimoniale, che deriva al soggetto leso, dalla commissione di un reato, perseguito a titolo di dolo o di colpa, e quale che sia il titolo del reato.
Nel danno morale (che è danno-conseguenza in quanto deriva dalla realizzazione di una fattispecie lesiva configurabile astrattamente come reato) la lesione non concerne, a differenza che nel danno biologico psichico, la salute, ma la dignità della persona offesa dal reato.
Negli ultimi anni la giurisprudenza ha elaborato una ulteriore fattispecie di danno la cui autonoma esistenza è tutt'oggi oggetto di dibattito.
Con danno esistenziale si vuole intendere qualsiasi danno che l'individuo subisca alle attività realizzatrici della propria persona.
Il danno esistenziale, in buona sostanza, altro non è che la lesione di qualsiasi interesse giuridicamente rilevante per la persona, risarcibile nelle sue conseguenze non patrimoniali. Una nuova categoria della responsabilità civile, dunque, una realtà con cui confrontarsi in campo aperto, alla stregua del danno biologico o di quello patrimoniale, che ha avuto il suo primo ed esplicito riconoscimento dalla Suprema Corte con la pronuncia 7713/2000. In seguito a tale pronunciato deve segnalarsi una giurisprudenza assai più consapevole delle «potenzialità» del danno esistenziale, pur a fonte di obiezioni ragionate (ad es. Trib. Roma 7.3.2002) e aperture «nascoste» (cfr. le Sezioni Unite della Corte di Cassazione 2515/2002, in tema di danno ambientale, che sembrano aver risarcito un pregiudizio riconducibile sostanzialmente nell'alveo del danno esistenziale).
Da quando una nutrita serie di pronunce giurisprudenziali ha dato corso al risarcimento del danno esistenziale, può ben affermarsi che tale figura, stante i suoi aspetti innovativi, si pone al centro di quello che può ritenersi un modello trainante in ordine alla reinterpretazione del sistema di tutela risarcitoria della persona.
Con l'avvento del danno biologico si è determinato un balzo in avanti, nel processo di personalizzazione della responsabilità extracontrattuale: agli occhi del giurista si è rivelata la presenza di vuoti sconosciuti, gli orizzonti del torto sono venuti man mano allargandosi, si è creata una nuova sensibilità presso gli interpreti: di qui la fioritura di una serie di sentenze, più o meno esplicite e consapevoli, di cassazione o di merito, relative ai settori più disparati dell'agire umano, e accomunate però da alcuni tratti: occasioni, tutte quante, di (a) offese arrecate a prerogative individuali diverse dalla salute, (b) con effetti di compromissione più o meno marcata sul terreno delle "attività realizzatrici" dell'interessato, (c) con - nelle vicende giudiziali - esiti finali favorevoli a quest'ultimo.
È venuta affermandosi così una lettura di nuovo tipo, favorevole a ricondurre quelle varie figure nell'ambito di una categoria inedita, intitolata al "danno esistenziale": da intendere, in particolare, come tertium genus all'interno della responsabilità civile, quale insieme ben distinto cioè sia dal tronco del danno patrimoniale, sia da quello del danno morale; una realtà incentrata sul "fare non reddituale" delle persone: una figura da prospettarsi, secondo l'inquadramento preferibile, come entità ricomprensiva di due sotto-alvei fondamentali, quello del danno "esistenziale biologico" (luogo cui ricondurre le ipotesi effettive di aggressione alla salute) e quella del danno "esistenziale non biologico" (sede per le menomazioni inerenti a beni diversi dall'integrità psicofisica).
Particolarmente rilevante la definizione del danno esistenziale è apparsa nel campo medico. Infatti detta fattispecie si è venuta ad inserire in un mondo sino a non molto tempo fa incentrato quasi esclusivamente intorno al polo tecnico/scientifico (cioè diagnostico, prognostico, laboratoriale, anatomico, chirurgico, farmacologico, etc.), con scarsa attenzione per profili differenti.
Oggi invece arricchito dalla consapevolezza circa l'importanza decisiva - nel rapporto medico/paziente - di ogni momento organizzativo e colloquiale, e ciò lungo tutti i versanti che possano venire in risalto: l'attenzione ai passaggi in cui un diritto fondamentale della persona si trova messo in gioco (costosità degli ospedali e dei ricoveri, pregi dell'assistenza domiciliare, igiene personale, delicatezza dei contatti, consenso informato, privacy, rapporti con l'esterno, adeguatezza dei servizi).
In particolare, è stata più volte sottolineata l'inconfondibilità della categoria in esame rispetto alle altre tipologie di danno, che interessano da vicino il comparto aquiliano: Danno patrimoniale, Danno biologico, Danno psichico, Danno morale.
La suddetta fattispecie di danno non è univocamente riconosciuta da tutti gli studiosi del diritto che, anzi, in Alcuni casi tendono addirittura a negarne l'esistenza come entità autonoma. Secondo tali studiosi, infatti, nelle ipotesi sino ad ora riconosciute e qualificate come di "danno esistenziale", non sembrano esserci gli estremi di una lesione del diritto alla salute, quanto, diversamente, disagi e sensazioni, più o meno spiacevoli: si tratta, in altri termini, di pregiudizi soggettivamente caratterizzati e quindi sicuramente più vicini alla sfera del danno non patrimoniale. Lo dice, con estrema chiarezza, l'ultimo interventore per il quale il danno esistenziale "può essere perciò definito come la forzosa rinuncia allo svolgimento di attività non remunerative fonte di compiacimento o benessere per il danneggiato".
Pertanto il risarcimento del danno non patrimoniale, fuori dalla ipotesi di cui all'art. 185 c.p. e delle altre minori ipotesi legislativamente previste, attiene solo all'ipotesi specifiche di valori costituzionalmente garantiti (la salute, la famiglia, la reputazione, la libertà di pensiero, ecc), ma in questo caso non vi è un generico danno non patrimoniale "esistenziale", ma un danno da lesione di quello specifico valore di cui al referente costituzionale.
Il danno esistenziale così come elaborato dalla giurisprudenza non coincide col danno morale perché non consiste in una sofferenza, in un pati, ma in una rinuncia ad un'attività concreta - è stato molto efficacemente osservato che esso non si identifica con le lacrime, ma con una "rinuncia a fare" (Cendon).
Se sul piano concettuale la distinzione tra danno esistenziale e danno morale appare abbastanza agevole, sul piano concreto sorgono difficoltà di non poco momento. È stato infatti osservato che la sofferenza morale è sempre causata da una rinuncia: a fare, se si tratta di lesioni personali, alla presenza del congiunto in ipotesi di uccisione del familiare, ad una generica  tranquillità della propria esistenza nelle altre ipotesi di reato. Allo stesso modo, chi deve rinunciare ad un'attività dell'esistenza prova una vera e propria sofferenza poiché subisce un danno rappresentato non tanto dalla perdita in sé dell'attività, ma dalla sofferenza causata da tale perdita. Si pensi alla vedova che dopo la morte del coniuge rinuncia a svolgere le molteplici attività cui prima attendeva, come andare al cinema, a teatro, a trovare amici a fare viaggi. Ma, si osserva, questo tipo di danno è già oggi risarcito quale conseguenza della sofferenza morale e viene liquidato ai sensi dell'art. 2059 c.c.. È lecito allora chiedersi se in tali casi - cioè qualora si riconosca accanto al danno morale anche la figura del danno esistenziale - si corra il rischio di compiere una duplicazione risarcitoria o se, scomputando le due voci di danno, quello morale rischierebbe di essere svuotato della sua essenza, divenendo una fattispecie vacua e difficilmente valutabile.

SINTESI DELLA LEGISLAZIONE DI RIFERIMENTO

6.1 Disposizioni e prassi vigenti all'estero Più consapevoli del fenomeno, anche per gli studi precocemente intrapresi, molti paesi del nord Europa si sono fatti promotori di iniziative di prevenzione e di tutela delle eventuali vittime. Tuttavia, allo stato attuale, pochi paesi europei hanno adottato norme specifiche, preferendo misure di carattere regolamentare come carte sociali, codici etici di comportamento, linee guida e adozione di buone prassi.
In Svezia esistono delle "Disposizioni relative alle misure da adottare contro forme di persecuzione psicologica negli ambienti di lavoro" (1993) che attribuiscono al datore di lavoro l'obbligo di prevenire e combattere il mobbing e lo ritengono responsabile in caso di mancata tutela del lavoratore.
In Norvegia una legge del 1994 stabilisce che "i lavoratori non debbono essere sottoposti a molestie o altri comportamenti sconvenienti".
In Svizzera nel 1995 viene approvata un'ordinanza federale per l'applicazione della "Loi sur le Travail" che proibisce tutte le forme di surmenage quantitativo e qualitativo, responsabilità eccessive, pressioni psicologiche ed eccessi di monotonia del lavoro. L'imprenditore è civilmente responsabile dei danni procurati dal mobbing ed i dipendenti che importunano i colleghi sono passibili di punizioni che vanno dal richiamo verbale al licenziamento.
In Germania, dove non esiste una normativa specifica, è prassi includere nei contratti di lavoro, di alcune grandi aziende, clausole che prevedano la presenza di figure terze di riferimento per i lavoratori che si ritengano molestati, e dei comitati di conciliazione per risolvere eventuali controversie all'interno dell'azienda stessa.
In Gran Bretagna, pur non esistendo precise disposizioni di legge, molte aziende prevedono che, in caso di reclamo da parte del lavoratore che si ritenga sottoposto a maltrattamento sul lavoro, siano avviate procedure di esame del caso all'interno delle imprese, secondo i codici di comportamento di cui sono dotate.
Negli Stati Uniti, al livello federale, non esistono leggi che proibiscano il mobbing. Particolare attenzione viene posta ai casi di molestie sessuali, di discriminazione razziale, religiosa e legata all'età. Su questa linea la Corte Suprema degli Stati Uniti ha sentenziato (1998) che non tutti i casi di molestia sul posto di lavoro sono illeciti, intendendo che lo sono solo quelli prima citati.
A seguito di un'indagine della Fondazione Europea per il Miglioramento delle Condizioni di Vita e di Lavoro (Dublino) che individua nell'8% la percentuale dei lavoratori dell'Unione colpiti da mobbing negli ultimi 12 mesi, il Parlamento Europeo, in data 20 settembre 2001, emette la "Risoluzione sul mobbing nel posto di lavoro". Il Parlamento, tra l'altro, "esorta gli Stati membria rivedere e, se del caso, a completare la propria legislazione vigente sotto il profilo della lotta contro il mobbing..." In Francia, infine, il 17 gennaio 2002, viene promulgata la legge n. 2003-73 che, oltre a fornire la precisa definizione di molestie morali (precedentemente riportata), contempla sanzioni di carattere penale per il mobber e prevede un ruolo specifico del medico del
lavoro nel controllo del fenomeno.
6.2 La situazione italiana In Italia non esiste una normativa specifica contro il fenomeno del mobbing.
Tuttavia ci sembra di poter individuare nelle disposizioni in vigore strumenti legislativi in grado di tutelare la salute fisica e psicologica dei lavoratori.
Vediamo in rapida sintesi il quadro normativo cui si può fare riferimento:  Costituzione (art. 32) la salute è un diritto dell'individuo e della collettività; (atrt. 42) l'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale e in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.  Codice Civile (art. 2087) l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Come a dire che il legislatore, già all'inizio degli Anni 40, riconosceva la complessità dell'uomo, fatto di struttura organica (integrità fisica), ma anche di emozione, pensiero, sentimento (personalià morale) che l'imprenditore è ugualmente tenuto a tutelare.   Codice Penale prevede sanzioni specifiche in caso di omissione dolosa (art. 437) e colposa (art. 451) di cautele contro gli infortuni sul lavoro.  Inoltre punisce con la reclusione da tre mesi a tre anni "chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente (art. 582)" e punisce con l'arresto chiunque "reca molestie o disturbo" a qualcuno (art. 660).   Legge 300/ 1970 - Statuto dei Lavoratori (art. 13) al dipendente non possono essere date mansioni di livello professionale inferiore a quello d'inquadramento.  D.Lgs 626/1994 riguardante il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro - (art. 4, punto 5) il datore di lavoro adotta le misure necessarie per la sicurezza e la salute dei lavoratori; (at 17, punto 1, comma a) il medico competente collabora ...alla predisposizione dell'attuazione delle misure per la tutela della salute e dell'integrità psicofisica dei lavoratori.
Sull'esperienza tedesca e, in particolare, sull'accordo aziendale in vigore dal 1996 preso la Volkswagen, a Torino, la locale Azienda di trasporto urbano ha dato vita congiuntamente ad un accordo di clima per "contrastare molestiesessuali, mobbing e discriminazioni" sul posto di lavoro. Tale accordo prevede la costituzione di una Commissione "composta da tre componenti di designazione aziendale e tre di designazione delle OO.SS. sottoscrittrici; i sei componenti, all'unanimità, nominano un Presidente scelto tra Magistrati in quiescenza". Una scelta che, per i risultati soddisfacenti prodotti, nel citato anno europeo dedicato ai temi dello stress, l'European Agency for Safety and Health at Work ha attribuito all'allora ATM e Satti il premio per le "Good
Practices" .
Si ricorda, infine, che dal 1996, sia da parte di esponenti di governo che dell'opposizione, sono state presentate al Parlamento circa quindici proposte di legge, nel tentativo di dotare l'Italia si una specifica legge antimobbing.
In attesa di una legge quadro nazionale, alcune Regioni hanno promulgato leggi regionali in materia: Friuli Venezia Giulia (08.04.'05), Umbria (28.02.'05), Abruzzo (11.08.'04). È in discussione la Legge Regionale Piemontese. mentre il Lazio, prima regione a legiferare ha emanato ben due leggi regionali, l'ultima delle quali nel 2002. È stata ritenuta incostituzionale dal TAR.

8.2 Circolare n. 71, INAIL, Disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro. Rischio tutelato e diagnosi di malattia professionale. Modalità di trattazione delle pratiche.
Direzione Generale
Direzione Centrale prestazioni
Sovrintendenza Medica Generale
Circolare n. 71
Roma, 17 dicembre 2003
Ai Responsabili di tutte le Strutture Centrali e Territoriali
e p.c. a Organi Istituzionali
Magistrato della Corte dei conti delegato all'esercizio del controllo
Nucleo di valutazione e controllo strategico Comitati consultivi provinciali
Oggetto: Disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro.
Rischio tutelato e diagnosi di malattia professionale.
Modalità di trattazione delle pratiche.
Quadro Normativo
D.P.R. n. 1124 del 30 giugno 1965: "Testo Unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali", art. 3. Sentenza della Corte Costituzionale n. 179 del 18 febbraio 1988: introduzione del "sistema misto" di tutela delle malattie professionali. Circolare n. 35/1992: "Sentenze nn. 179 e 206 del 1988 della Corte Costituzionale: prima fase del decentramento della trattazione di pratiche di tecnopatie non tabellate". Decreto Legislativo n. 38 del 23 febbraio 2000, art. 10, comma IV: conferma legislativa del "sistema misto" di tutela delle malattie professionali. Decreto ministeriale del 12 luglio 2000: "Approvazione di Tabella delle menomazioni, Tabella indennizzo danno biologico, Tabella dei coefficienti, relative al danno biologico ai fini della tutela dell'assicurazione contro gli
infortuni e malattie professionali". Delibera del Consiglio di Amministrazione n. 473 del 26 luglio 2001: definizione di percorsi metodologici per la diagnosi eziologica delle patologie psichiche e psicosomatiche da stress e disagio lavorativo. Lettera del 12 settembre 2001 della Direzione Centrale Prestazioni e della Sovrintendenza Medica Generale: "Malattie psichiche e psicosomatiche da stress e disagio lavorativo, compreso il mobbing. Prime indicazioni operative".
Premessa Con lettera del 12 settembre 2001 sono state fornite le prime istruzioni per la trattazione delle denunce di disturbi psichici determinati dalle condizioni organizzativo/ambientali di lavoro ed è stato disposto che, data l'esigenza di acquisire un adeguato patrimonio di informazioni e conoscenze sulla materia, tutte le fattispecie con documentazione completa e probante fossero inviate all'esame centrale.
L'esame degli oltre 200 casi pervenuti (denunciati all'Inail quasi sempre dopo accertamenti e trattamenti terapeutici) ha consentito di monitorare il fenomeno e di conoscere l'approccio diagnostico dei vari centri specialistici nazionali che fanno capo a Cattedre Universitarie, Ospedali, Ambulatori e Centri di Salute Mentale delle AA.SS.LL. operanti sul territorio.
L'accertamento del rischio, effettuato sulla base della denuncia di malattia professionale - integrata ove necessario da richieste specifiche ai datori di lavoro e dai risultati di incarichi ispettivi mirati - nonché le ulteriori indagini cliniche specialistiche eseguite, hanno condotto al riconoscimento della natura professionale della patologia diagnosticata nel 15 per cento circa dei
casi esaminati.
Contemporaneamente, l'apposito Comitato Scientifico, dopo aver approfondito gli aspetti più complessi e controversi del problema, è pervenuto alle conclusioni contenute nel documento che si allega per opportuna conoscenza.
Completata questa propedeutica fase di studio e monitoraggio, si forniscono nuove e più articolate istruzioni sulle modalità di trattazione di questi casi.
Le istruzioni di seguito indicate tengono conto:  dell'esperienza maturata nel periodo di osservazione  della Relazione del Comitato Scientifico  della letteratura in materia

I Fattori di rischio
La posizione assunta dall'Istituto sul tema delle patologie psichiche determinate dalle condizioni organizzativo/ambientali di lavoro trova il suo fondamento giuridico nella Sentenza della Corte Costituzionale n. 179/1988 e nel Decreto Legislativo n. 38/2000 (art. 10, comma 4), in base ai quali sono malattie professionali, non solo quelle elencate nelle apposite Tabelle di legge, ma anche tutte le altre di cui sia dimostrata la causa lavorativa.
Secondo un'interpretazione aderente all'evoluzione delle forme di organizzazione dei processi produttivi ed alla crescente attenzione ai profili di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, la nozione di causa lavorativa consente di ricomprendere non solo la nocività delle lavorazioni in cui si sviluppa il ciclo produttivo aziendale (siano esse tabellate o non) ma anche quella riconducibile all'organizzazione aziendale delle attività lavorative.
I disturbi psichici quindi possono essere considerati di origine professionale solo se sono causati, o concausati in modo prevalente, da specifiche e particolari condizioni dell'attività e della organizzazione del lavoro.
Si ritiene che tali condizioni ricorrano esclusivamente in presenza di situazioni di incongruenza delle scelte in ambito organizzativo, situazioni definibili con l'espressione "costrittività organizzativa".
Le situazioni di "costrittività organizzativa" più ricorrenti sono riportate di seguito, in un elenco che riveste un imprescindibile valore orientativo per eventuali situazioni assimilabili.

ELENCO DELLE "COSTRITTIVITÀ ORGANIZZATIVE"
 Marginalizzazione dalla attività lavorativa
 Svuotamento delle mansioni
 Mancata assegnazione dei compiti lavorativi, con inattività forzata
 Mancata assegnazione degli strumenti di lavoro
 Ripetuti trasferimenti ingiustificati
 Prolungata attribuzione di compiti dequalificanti rispetto al profilo professionale posseduto
 Prolungata attribuzione di compiti esorbitanti o eccessivi anche in relazione a eventuali condizioni di handicap psico-fisici
 Impedimento sistematico e strutturale all'accesso a notizie
 Inadeguatezza strutturale e sistematica delle informazioni inerenti
l'ordinaria attività di lavoro
 Esclusione reiterata del lavoratore rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione e aggiornamento professionale
 Esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo.

Nel rischio tutelato può essere compreso anche il cosiddetto "mobbing strategico" specificamente ricollegabile a finalità lavorative. Si ribadisce tuttavia che le azioni finalizzate ad allontanare o emarginare il lavoratore rivestono rilevanza assicurativa solo se si concretizzano in una delle situazioni di "costrittività organizzativa" di cui all'elenco sopra riportato o in altre ad esse assimilabili.
Le incongruenze organizzative, inoltre, devono avere caratteristiche strutturali, durature ed oggettive e, come tali, verificabili e documentabili tramite riscontri altrettanto oggettivi e non suscettibili di discrezionalità interpretativa.
Sono invece esclusi dal rischio tutelato:  i fattori organizzativo/gestionali legati al normale svolgimento del rapporto di lavoro (nuova assegnazione, trasferimento, licenziamento)  le situazioni indotte dalle dinamiche psicologico-relazionali comuni sia agli ambienti di lavoro che a quelli di vita (conflittualità interpersonali, difficoltà relazionali o condotte comunque riconducibili a comportamenti puramente soggettivi che, in quanto tali, si prestano inevitabilmente a discrezionalità interpretative).
Modalità di trattazione delle pratiche
ACCERTAMENTO DELLE CONDIZIONI DI RISCHIO
Come per tutte le altre malattie non tabellate, l'assicurato ha l'obbligo di produrre la documentazione idonea a supportare la propria richiesta per quanto concerne sia il rischio sia la malattia.
L'Istituto, da parte sua, ha il potere-dovere di verificare l'esistenza dei presupposti dell'asserito diritto, anche mediante l'impegno partecipativo nella ricostruzione degli elementi probatori del nesso eziologico.
L'esperienza fin qui maturata ha dimostrato che non sempre sono producibili dall'assicurato, o acquisibili dall'Istituto, prove documentali sufficienti.
È perciò necessario procedere ad indagini ispettive per raccogliere le prove testimoniali dei colleghi di lavoro, del datore di lavoro, del responsabile dei servizi di prevenzione e protezione delle aziende e di ogni persona informata sui fatti allo scopo di: acquisire riscontri oggettivi di quanto dichiarato dall'assicurato  integrare gli elementi probatori prodotti dall'assicurato.
Ulteriori elementi potranno essere attinti dall'eventuale accertamento dei fatti esperito in sede giudiziale o in sede di vigilanza ispettiva da parte della Direzione Provinciale del Lavoro o dei competenti uffici delle AA.SS.LL..
Come per tutte le altre malattie professionali6, l'indagine ispettiva mirata ad acquisire i riscontri oggettivi nonché gli eventuali elementi integrativi di quanto asserito e prodotto dall'assicurato dovrà essere attivata su richiesta della funzione sanitaria, che provvederà anche ad indicare gli specifici aspetti da indagare.
Diversamente invece dalle altre malattie professionali (per le quali l'intervento ispettivo è previsto solo se necessario) per le patologie in oggetto l'indagine ispettiva deve essere sempre effettuata. Fanno ovviamente eccezione le ipotesi in cui la funzione sanitaria, già al termine della prima fase istruttoria, è giunta alla determinazione di definire negativamente il caso per l'assenza della malattia o per la certezza della esclusione della sua origine professionale.


L'ITER DIAGNOSTICO DELLA MALATTIA PROFESSIONALE DA COSTRITTIVITÀ ORGANIZZATIVA
L'iter diagnostico da seguire ai fini di una uniforme trattazione medicolegale dei casi denunciati all'Istituto è descritto di seguito.
Anamnesi lavorativa pregressa e attuale  Indicare settore lavorativo, anno di assunzione, qualifica e mansioni svolte.
 Descrivere la situazione lavorativa ritenuta causa della malattia individuando le specifiche condizioni di costrittività organizzativa.
 Disporre, se non già in atti, le necessarie indagini ispettive con la conseguente acquisizione di dichiarazioni del datore di lavoro, testimonianze dei colleghi di lavoro, eventuali atti giudiziari, ecc..
Anamnesi fisiologica: riportare le abitudini di vita (alimentazione, fumo, alcoolici, hobby, titolo di studio, ecc.)
Anamnesi patologica remota
Anamnesi patologica prossima:
 Riportare la diagnosi formulata nel 1° certificato medico di malattia professionale.
 Descrivere il decorso ed i sintomi del disturbo psichico.
 Comprendere, nella documentazione medica di interesse, le certificazioni specialistiche, gli accertamenti sanitari preventivi e periodici svolti in azienda ed eventuali "precedenti Inps".
Esame obiettivo completo
Indagini neuropsichiatriche:
 Visita e relazione neuropsichiatrica corredata di eventuali test psicodiagnostici, se è presente in Sede lo specialista neuropsichiatra.
 Consulenza specialistica esterna, in convenzione con specialista in neuropsichiatria di comprovata esperienza o con struttura pubblica, se non è presente in Sede lo specialista neuropsichiatra.

Test psicodiagnostici:
 La particolarità della materia lascia al singolo specialista, in relazione alla sua esperienza professionale, la scelta dei test da somministrare, test che integrano l'esame obiettivo psichico ma non possono sostituirlo. Tali test, nel complesso del videat psichiatrico, assumono indubbia importanza per la loro riproducibilità e confrontabilità nel tempo e dunque per finalità medico-legali. Elenchiamo di seguito quelli usati più frequentemente.
a) Questionari di personalità (MMPI e MMPI2, EWI, MPI, MCMI ecc.)
b) Scale di valutazione dei sintomi psichiatrici:
- per ansia e depressione, di auto e eterovalutazione (BDI, HAD scale, HAM-A, HAM e Zung depression rating scale, MOOD scale)
- per aggressività e rabbia (STAXI)
- per disturbo post-traumatico da stress (MSS-C)
- per amplificazione di sintomi somatici (MSPQ)
c) Tests proiettivi (Rorschach, SIS, TAT, Reattivi di disegno ecc.)
Diagnosi medico-legale:
 Per l'inquadramento nosografico, fare esclusivo riferimento ai seguenti due quadri morbosi:
- sindrome (disturbo) da disadattamento cronico
- sindrome (disturbo) post-traumatica/o da stress cronico.
La diagnosi comunemente correlabile ai rischi in argomento è il disturbo dell'adattamento cronico, con le varie manifestazioni cliniche (ansia, depressione, reazione mista, alterazione della condotta, disturbi emozionali e disturbi somatoformi). La valutazione di queste manifestazioni consentirà la classificazione in lieve, moderato, severo.
La diagnosi di sindrome (o disturbo) post traumatico da stress può riguardare quei casi per i quali l'evento lavorativo, assumendo connotazioni più estreme, può ritenersi paragonabile a quelli citati nelle classificazioni internazionali dell'ICD-10 e DSM-IV. Questi casi vengono definiti come "estremi/eccezionalmente minacciosi o catastrofici" (a tale riguardo giova ricordare la possibilità che fattispecie che configurino un "evento acuto" devono trovare naturale collocazione nell'ambito dell'infortunio lavorativo).
Escludere, ai fini della diagnosi differenziale, la presenza di:
- sindromi e disturbi psichici riconducibili a patologie d'organo e/o sistemiche, all'abuso di farmaci e all'uso di sostanze stupefacenti
- sindromi psicotiche di natura schizofrenica, sindrome affettiva bipolare, maniacale, gravi disturbi della personalità.
Valutazione del danno biologico permanente
La tabella delle menomazioni, relativa alla valutazione del danno biologico in ambito INAIL8, prevede la presenza di due voci che attengono entrambe al solo disturbo post-traumatico da stress cronico, di grado moderato (voce 180) e severo (voce 181).
L'intervallo valutativo riportato offre un adeguato riferimento per consentire, in analogia, la valutazione del danno biologico anche da disturbo dell'adattamento cronico. I due quadri menomativi, anche se derivano da un evento lesivo diverso, possono presentare infatti pregiudizi della sfera psichica in parte sovrapponibili e coincidenti.
La valutazione del danno terrà conto del polimorfismo e della gravità dei sintomi psichiatrici e somatoformi, secondo le indicazioni delle classificazioni internazionali sopra richiamate, così come riscontrati nel singolo caso.
Codifica
Dovranno essere utilizzati i seguenti codici:
Codice amministrativo A: 99.0
Codice di malattia M: 144 (9) Disturbo dell'adattamento cronico
145 (10) Disturbo post traumatico da stress cronico
Codice di agente causale: Da individuare nel gruppo "Fattori psicologici" in relazione alla condizione di costrittività organizzativa ritenuta prevalente
Disposizioni
La fase di sperimentazione può considerarsi completata. Questa circolare, infatti, riporta un esaustivo ed articolato quadro di riferimento che consente, già da ora, di garantire omogeneità e correttezza nella trattazione delle pratiche.
Sono inoltre previsti specifici corsi di formazione, programmati per il prossimo mese di gennaio, nonché ulteriori direttive di carattere generale in relazione alle problematiche che dovessero emergere.
A partire dalla data della presente circolare, le denunce di disturbi psichici da costrittività organizzativa saranno definite direttamente a cura delle Sedi senza il parere preventivo della Direzione Generale.
Le Direzioni Regionali, nell'ambito delle loro funzioni di indirizzo, coordinamento e controllo, adotteranno ogni iniziativa idonea a garantire uniformità e completezza di lettura della presente circolare e conseguenti correttezza ed omogeneità di comportamento sul territorio.
Per quanto non specificato in questo contesto, si fa rinvio ai vigenti indirizzi in materia di trattazione delle malattie professionali non tabellate.
Il Direttore Generale f.f.
Dr. PASQUALE ACCONCIA