Carlo Sorgi, relazione



La valutazione del danno da mobbing nella giurisprudenza



La valutazione del danno da mobbing nella giurisprudenza

1. Il problema del linguaggio

Come ogni fenomeno complesso che coinvolge una serie di campi della conoscenza umana il mobbing è destinato a determinare infinite discussioni e naturali incomprensioni. Uso il termine naturale perché ritengo assolutamente ragionevole che affrontando un tema che appare identico ma con diverse angolazioni, gli interlocutori si trovino in enorme difficoltà per la comprensione reciproca: si realizza la sindrome della Torre di Babele, le persone parlano della stessa cosa ma con linguaggi diversi e non riescono a capirsi.

Mi sono occupato per molti anni, e continuo a farlo, delle tossicodipendenze come magistrato e come giurista ed in ogni occasione in cui c’è stata la possibilità di confrontarsi con altre professionalità, della medicina o del sociale , il problema più grande è sempre stato quello di non avere un linguaggio comune, di intendere con lo stesso termine due concetti diversi o di dare una valenza diversa ad uno stesso fenomeno. Per superare questo impasse era necessario che tutti gli interlocutori, con umiltà, ascoltassero gli altri per imparare a comprenderli e poter uniformare il linguaggio o, comunque, intendersi nella diversità.

Il mobbing è un fenomeno sicuramente recente a livello di definizione ( le molestie morali nel lavoro sono vecchie come il mondo ) ed interessa svariati campi: da quello sociale a quello medico a quello specificatamente psicologico a quello giuridico. In un contesto del genere inevitabilmente si creano delle incomprensioni e momenti di confronto e di dialogo risultano impegnativi ma indispensabili se si vuole fornire una risposta complessiva e non settoriale ad un fenomeno che, data la sua complessità, richiede un intervento di largo respiro.

Cercherò in questa sede di fornire un approccio giuridico all’argomento che tenga conto di un uditorio variegato come professionalità. Questo mi porterà inevitabilmente ad un inquadramento generale, forse inutile per qualcuno ma essenziale per chi non ha una formazione giuridica, ed a uno sforzo definitorio per non correre rischi di comprensione parziale. L’argomento specifico del mobbing sarà trattato solo dopo tale parte generale ma spero che a quel punto i concetti da me utilizzati saranno fruibili da parte di tutto l’uditorio e riusciremo ad intenderci in uno sforzo comune di confronto ed in una volontà di crescita culturale.

2. Il danno alla persona: concetti generali

" La tutela della persona umana assume in ogni epoca ed in ogni ordinamento i risvolti adeguati allo stadio di civiltà raggiunto dai popoli ed alle concezioni etico-politico-sociali che ispirano l’azione dello Stato…Tanto maggiore è l’ampiezza e la profondità della protezione dei soggetti come singoli e come collettività , quanto più alto è il grado di maturazione della coscienza di un popolo e più affinati gli strumenti giuridici che il legislatore appresta in materia" ( 1 ). Questa osservazione che si condivide completamente deve servire come chiave di lettura di tutto questo lavoro perché se l’impegno è quello di trasmettere concetti e comunicare un linguaggio giuridico la trama del discorso, che si spera sia comune indipendentemente dalla formazione culturale dell’interlocutore, riguarda i valori che sono sottesi alla problematica in generale ed in particolare una adesione convinta a quella gerarchia di valori che si ricava dalla nostra Costituzione.

Nel nostro sistema giuridico il principio di responsabilità può avere origine contrattuale ( ad esempio in caso di mancato adempimento di un obbligo assunto con un accordo ) oppure extracontrattuale, o aquiliana, cioè derivare da danno ingiusto ex art. 2043 c.c. che recita testualmente :" qualunque fatto, doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno". Questa regola generale trova una ulteriore specificazione nella fondamentale distinzione tra danno di natura economica e danno senza contenuto economico. Un infortunio mi procurerà conseguenze patrimoniali (spese per cure mediche, c.d. danno emergente, e riduzione della mia capacità di reddito, c.d. lucro cessante ) e conseguenze non economiche ( la sofferenza derivante da tale episodio, il cambiamento nella mia vita a seguito dell’infortunio ). Per quello che riguarda i danni non patrimoniali la regola dettata dal codice civile è nell’art. 2059 che recita :"il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge". Questa regola generale è stata intesa lungamente, ed ancora è letta da una parte della dottrina ( 2 ) per escludere qualsiasi ipotesi di risarcibilità di danni non patrimoniali non derivanti da reato ( il c.d. danno morale ). Altra dottrina ritiene, al contrario, che tale articolo debba necessariamente essere interpretato alla luce dei valori costituzionali, in una gerarchia naturale e non cronologica delle fonti del diritto, e che conseguentemente la risarcibilità di un danno possa derivare direttamente dalle garanzie fondamentali richiamate nella Costituzione ( 3 ). Chi scrive ritiene preferibile tale seconda opinione che proprio con riferimento alla tematica del mobbing offre una possibile lettura che consente di affrontare il fenomeno anche nella situazione attuale e prima di un intervento normativo nella materia, per altro auspicabile per introdurre elementi di certezza che ancora appaiono lontani dall’essere raggiunti.

3. Il danno biologico in particolare

Per introdurre il concetto di danno biologico dobbiamo considerare che siamo di fronte ad una creazione giurisprudenziale e, conseguentemente, avere riguardo al momento in cui questo si è verificato. Ritengo che il discorso, dunque, debba articolarsi in tre momenti ben distinti: prima della creazione giurisprudenziale del danno biologico, dopo tale creazione e la situazione attuale dopo il riconoscimento normativo di tale concetto.

Infatti la creazione giurisprudenziale del danno biologico può avere un momento di consacrazione ben preciso che serve a distinguere il prima ed il dopo.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 184/86 ( 4 ) statuendo l’incondizionata risarcibilità del danno alla salute anche in presenza di un mero illecito civile ha consacrato la rivoluzione copernicana avvenuta nel sistema risarcitorio del danno alla persona ( 5 .).

Prima di tale sentenza detto sistema era essenzialmente dominato dal requisito della patrimonialità del danno tanto che il concetto di incapacità lavorativa generica venne utilizzato come necessario espediente per poter riconoscere un risarcimento anche a certe menomazioni che non avevano alcuna incidenza sul reddito. Per la verità già la Corte Costituzionale, con la sentenza n.88/79 aveva parlato del diritto alla salute nella prerogativa tutelata dall’art. 32 Cost., che parla, appunto, di tale diritto come di un diritto primario ed assoluto, pienamente operante anche nei rapporti tra i privati. Nonostante gli sforzi della migliore giurisprudenza, di merito e di legittimità, la rottura della precedente situazione appariva problematica. Senza l’intervento autorevole e determinante della Corte Costituzionale con la ricordata sentenza n.184/86 sicuramente la strada dell’evoluzione della materia sarebbe stata molto più complessa.

Superando la vecchia dicotomia tra danno patrimoniale e non patrimoniale la decisione strutturò il nuovo sistema su una tripartizione danno biologico-danno patrimoniale –danno morale. Partendo dal presupposto che l’art. 2059 c.c., già ricordato, si riferiva esclusivamente al danno morale, la Corte, rilevando che non veniva escluso che altre disposizioni prevedessero la risarcibilità del danno biologico, individuava nell’art. 2043 c.c. in relazione all’art. 32 Costituzione, già ricordato , la disposizione che permetteva la risarcibilità in ogni caso di tale pregiudizio.

Da questo momento il danno biologico non può più essere ignorato ma deve riconoscersi comunque la possibilità di risarcimento qualora un danno ingiusto abbia procurato delle conseguenze negative alla salute di un soggetto.

Una volta riconosciuto ed acquisito il concetto di danno biologico lo stesso venne utilizzato come contenitore per inserire, però, anche degli aspetti che non hanno nulla a che vedere con la salute e l’integrità fisica di un soggetto. Già con la sentenza n.356/91 la Corte Costituzionale chiarì che la categoria del danno biologico non era riferita alla sola ipotesi del pregiudizio alla salute o all’integrità psico-fisica ma tendeva ad espandersi sino a comprendere tutte le attività, tutte le situazioni ed i rapporti in cui la persona esplica sé stessa nella propria vita, in una parola toccava tutte le attività realizzatrici della persona umana. Questa esigenza espansiva della categoria del danno biologico era dovuta per un verso alla mancanza di definizione normativa del danno biologico, che consentiva l’elasticità descritta, ma anche dall’esigenza avvertita, in particolare nel settore del diritto del lavoro, di tutelare tutte quelle situazioni che pur non producendo un effettivo danno all’integrità psico-fisica del lavoratore provocavano comunque un danno connesso alle lesioni dei diritti fondamentali della persona. Veniva fatto l’illuminante esempio del caso di dequalificazione del prestatore di lavoro ove il danno alla salute costituiva poco più di un pretesto mentre il vero pregiudizio per il lavoratore era quello dell’immagine e della professionalità e comunque alla personalità ed alla dignità dello stesso , ambedue valori fondamentali, parimenti protetti dalla Costituzione agli articoli 2 e 3 ( 6 ). Il ventaglio delle applicazioni concrete appariva sempre più vasto comprendendo casistica abbastanza eterogenea: dalle molestie sessuali alle violenze che avevano determinato le dimissioni in tronco della lavoratrice, dalla dequalificazione appunto alle mortificanti inattività alle quali poteva essere costretto un lavoratore reintegrato dopo l’annullamento del licenziamento.

La situazione appare oggi radicalmente cambiata dopo i recenti interventi normativi che hanno fornito una definizione del danno biologico precisa e che non ammette più espansioni di tale concetto, rendendo contemporaneamente indispensabile un ripensamento di tutto quel settore rimasto scoperto dalla operazione definitoria operata dalla legge.

Ci si riferisce agli articoli 13 del D.Lgs. 38/2000, in ambito di tutela Inail, e 5 della l.57/2001 , in tema di danni nella circolazione dei veicoli, (entrambe le norme contengono una definizione assolutamente sovrapponibile di danno biologico indicato come :"lesione all’integrità psicofisica suscettibile di valutazione medico legale della persona") che comportano un radicale mutamento rispetto al sistema precedente e rendono, a giudizio di chi scrive, la categoria del danno esistenziale non più un lusso lessicale bensì una specificazione indispensabile per tutelare determinate categorie di diritti.

4. Il danno esistenziale in particolare

La situazione creatasi, in particolare per la giurisprudenza di merito di alcuni giudici che cercavano di tutelare situazioni comunque riconosciute meritevoli di tutela

dall’ordinamento, seppure non da normative specifiche ma dalle regole generali dettate dalla Costituzione, determinava una incertezza definitoria proprio perché con il termine di danno biologico non si indicava più una realtà ben definita ed univoca. Parte della dottrina aveva proposto di introdurre l’altro concetto di danno esistenziale per coprire quel settore che innaturalmente era stato tutelato dal danno biologico ed al quale non apparteneva. Veniva definito danno esistenziale quello che andava a colpire la qualità della vita del soggetto danneggiato in maniera da renderla differente in termini considerevoli ed evidenti. Probabilmente l’ostacolo maggiore all’affermarsi del concetto di danno esistenziale prima della definizione normativa del danno biologico è stato proprio l’elemento di duttilità di questo secondo concetto, che rendeva sostanzialmente non indispensabile la creazione di una nuova categoria, per altro dai contorni quantomeno evanescenti.

Oggi si può affermare con sicurezza che l’intervenuta definizione normativa del danno biologico rende i termini della questione sicuramente più chiari, senza possibilità di sovrapposizioni di concetti e con l’esigenza di riconoscere il danno esistenziale se non si vuole lasciare priva di copertura tutta quell’area di situazioni prima coperte con l’estensione del concetto di danno biologico, oggi non più possibile.

Riassumendo: nella materia di danni alla persona non patrimoniali e non derivanti da reato ci troviamo oggi con il concetto di danno biologico che richiama esplicitamente ed esclusivamente la lesione suscettibile di valutazione medico legale. Tutta quella parte di situazioni soggettive comunque riconosciute dalla Costituzione come meritevoli di tutela, a cominciare nel settore del lavoro dalla dignità del lavoratore stesso, devono essere comunque tutelate e tale tutela non può oggi essere offerta che dalla nuova categoria del danno esistenziale se non si vuole correre il rischio che tali situazioni non vengano più riconosciute come meritevoli di tutela. Pensiamo al principio sancito dall’art. 41, secondo comma, della Costituzione per il quale l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con la sicurezza, la libertà e la dignità della persona umana e colleghiamolo all’art. 2043 c.c.ed avremo un sistema adeguatamente rispondente a quanto richiesto dall’art. 2059, almeno quanto il combinato disposto dello stesso art. 2043 c.c. con l’art. 32 Costituzione per il danno biologico.

Secondo questa ricostruzione due sono le voci di danno attraverso le quali si realizza la tutela piena ed effettiva della persona: il danno biologico, di portata più ristretta e connesso alla specifica tutela del diritto alla salute, ed il danno esistenziale, di portata più ampia e connesso alla tutela dei diritti fondamentali dell’individuo costituzionalmente garantiti ( 7 ).

5. Il mobbing nel contesto descritto

Questa lunga premessa di concetti generali e di definizioni è stata necessaria per affrontare il tema specifico del mobbing dalla prospettiva richiesta a questo intervento.

Una prima avvertenza per evitare confusioni: quando in questa sede parlo di mobbing mi riferisco ad un concetto ripreso dalla psicologia del lavoro che affronto sotto il profilo della tutela risarcitoria, essendo in questa sede non utile affrontare altri aspetti tecnici della prova del mobbing, essenziali per il giurista ma solo in un contesto di valutazione ai fini del giudizio. Altra avvertenza necessaria è che mi riferirò esclusivamente a tematiche lavoristiche , escludendo quelle che richiamano lo stesso concetto, ritengo impropriamente, anche per altri settori ( 8 ).

Prendiamo una situazione tipo e classifichiamola come mobbing: un dipendente subisce per un periodo consistente una serie di molestie morali ( 9 )da parte di colleghi o del datore di lavoro e si rivolge al giudice per essere tutelato.

Nell’attuale contesto normativo se le condotte non hanno contenuti discriminatori, per i quali sono previsti dall’ordinamento peculiari tutele, e non arrivano a realizzare ipotesi di reato, l’unica forma di tutela è quella risarcitoria, nel senso di condannare civilmente il responsabile di tali condotte a risarcire la vittima per il danno subito ( 10 ).

Tralasciamo gli aspetti più squisitamente tecnici di competenza ( giudice del lavoro o giudice civile in caso di mobbing orizzontale ) e di natura della tutela ( contrattuale ex art. 2087 c.c. o extracontrattuale ex art. 2047 c.c. o entrambi i profili ) perché non essenziali in questo contesto.

La domanda che dobbiamo porci in questo contesto è per quale tipo di danno ci sarà la condanna e con quale criterio sarà determinato il risarcimento.

Con riferimento al danno utilizzando i concetti esposti nella parte iniziale sarà consequenziale rispondere che se la condotta mobbizzante avrà prodotto un lesione all’integrità psicofisica suscettibile di valutazione medico legale della persona inevitabilmente il danno da prendere in considerazione sarà quello biologico. Ma tale risposta è solo parziale perché la medesima condotta oltre a procurare tale danno, per altro solo eventuale, avrà sicuramente colpito la sfera dei diritti del lavoratore costituzionalmente protetti, in particolare con riferimento alla sua dignità. In questo senso il danno sarà anche, o esclusivamente, esistenziale.

La vittima del mobbing, al pari della vittima delle molestie sessuali nel lavoro o del lavoratore demansionato ingiustamente o comunque sottoposto a comportamenti lesivi della sua dignità, potrà agire per l’ottenimento del risarcimento di eventuali danni patrimoniali, qualora sussistenti, per il danno morale, se ravvisabile un reato nella condotta subita, per il risarcimento del danno biologico, , se è stata compromessa l’integrità psicofisica del soggetto in termini valutabili da un punto di vista medico, e per il risarcimento del danno esistenziale , questo incerto solo nel quantum e non nell’an. In sostanza la vittima , per ottenere riparazione al pregiudizio subito, non sarebbe costretta a dimostrare di aver riportato una sindrome patologica ma le sarebbe sufficiente dimostrare la ricorrenza di una condotta illecita lesiva dei diritti fondamentali e inviolabili ( 11 ).

Per quanto concerne i criteri di risarcimento del danno evidentemente occorre distinguere la natura del danno. Una volta chiarita la natura risarcitoria del danno patrimoniale ed equitativa del danno morale resta da definire le ipotesi del danno biologico e del danno esistenziale.

Per il danno biologico trattandosi , come premesso, sicuramente di un contesto lavorativo la conseguenza sarà quella di richiamare l’art. 13 del D.Lgs. 38/2000 ed applicare i criteri indennitari previsti a seconda del grado di invalidità derivato dalla condotta in esame. Molto difficile il primo aspetto, la determinazione del danno stesso, piuttosto che la consequenziale liquidazione.

Nessun dubbio, infatti, che in un sistema di garanzia misto a liste aperte esistente ( 12 ) nel caso di danno biologico derivante da mobbing la tutela Inail sarebbe riconosciuta in caso di soggetto tutelato.

Sotto l’aspetto della valutazione del danno conseguente a mobbing deve evidenziarsi la delicatezza del tema e l’esigenza per il giudice di avvalersi delle adeguate professionalità come periti ( 13 ).

Relativamente al profilo del danno esistenziale sarebbe dovuto un risarcimento la cui quantificazione risulta, al contrario, sicuramente più complessa. Dato per scontato il criterio di equità al quale dovrà richiamarsi il giudice per la liquidazione del risarcimento risulterà indispensabile una pur sintetica enunciazione dei parametri seguiti nella liquidazione. Il giudice di merito dovrà illustrare il procedimento logico giuridico attraverso il quale è pervenuto a giudicare proporzionata una certa misura del risarcimento , indicando gli elementi a tal fine valorizzati ( 14 ).

Anche in tema di danno esistenziale, per altro, astrattamente non potrà escludersi l’utilizzo di consulenti per le valutazioni delle conseguenze del mobbing al fine, ad esempio, di esprimersi sulla possibilità della vittima di continuare a svolgere determinate attività che prima svolgeva ( 15 )

6. Dottrina e giurisprudenza sul mobbing

" Il mobbing , che sembra destinato a riscuotere notevole successo nell’ambito del diritto del lavoro, pare, in realtà, un buon concetto contenitore , idoneo a ricomprendere in sé riassuntivamente, ma efficacemente, una serie di fenomeni finora studiati singolarmente come espressione di lesione alla salute del lavoratore " ( 16 ).

Il rischio che si corre attualmente, in un contesto nel quale le facili profezie richiamate si sono realizzate in pieno, è quello di inflazionare un concetto riducendone le potenzialità e, contemporaneamente, perdere la capacità critica di individuare situazioni che hanno in comune sicuramente il valore tutelato, la dignità del lavoratore, ma un contenuto assolutamente diverso, con la conseguenza di appiattire il tutto e non consentire una tutela efficace.

Provo a spiegarmi in termini più espliciti: sempre più spesso si leggono articoli di dottrina e si trovano sentenze che parlano di mobbing ( 17 ). Mi pare che i primi, sempre più spesso, non abbiano il dono dell’originalità e le seconde quello dell’approfondimento.

Se si vuole scrivere qualcosa sul mobbing, affrontando il tema sotto il punto di vista giuridico, difficilmente si potrà dire qualcosa di nuovo, dato l’enorme numero di pubblicazioni nel breve periodo relative all’argomento.

Al contrario se si deve decidere in tema di mobbing occorrerà affrontare l’argomento consapevoli della difficoltà che una questione così complessa, sostanzialmente originale nella giurisprudenza, comporta affrontando tutti gli aspetti problematici, dei quali in questa sede solo alcuni sono stati accennati.

Il tutto in un contesto particolare in cui, come visto, la definizione normativa del danno biologico ha, ritengo, definitivamente aperto la strada al riconoscimento dell’autonomia del danno esistenziale con la necessità di ridefinire i settori di appartenenza delle singole categorie di danno.

Significativo considerare le date di pubblicazione degli scritti richiamati in nota del presente intervento. A parte le sentenze della Corte Costituzionali e due riferimenti a testi

fondamentali e risalenti nel tempo, tutte le altre pubblicazioni sono dell’ultimo biennio e i richiami sono solo una minima parte di quello che è stato scritto sui temi del danno esistenziale e sul mobbing, segno inequivocabile di una materia in assoluta evoluzione e che determina un largo interesse, anche per le potenzialità delle rivendicazioni connesse.

In attesa di una sistemazione normativa del tema, utile anche se non indispensabile, ed auspicando che la stessa riesca a superare l’imperante cultura panpenalistica alcune considerazioni possono essere formulate.

Un rischio grande che si corre è che la moda del mobbing assorba fattispecie altrettanto tutelabili ma differenti nella realizzazione concreta. Questo dato potrà risultare negativo per la tenuta di un giudizio, qualora nei successivi gradi si rilevi l’inesistenza di una fattispecie di mobbing. In ogni caso risulterà deleterio perché non consentirà di ricostruire tutta la ricchezza della casistica collegata con la tutela dei valori costituzionali posti nei confronti del lavoro anche per modularne la gravità e i possibili interventi.

Quindi il giurista dovrà oltre che sforzarsi a ricercare un confronto con altre professionalità diverse dalla sua per comprendere un fenomeno complesso come quello in esame, come anticipato nell’introduzione, impegnarsi a guardare il caso concreto in profondità per poter catalogare la fattispecie ed iniziare una azione con definizioni non approssimative. Il rischio del " tutto è mobbing, niente è mobbing", è concreto e presente. Potrà essere solamente superando l’approssimazione che sembra caratterizzare queste primi momenti di studio e di utilizzazione dei concetti esposti.

7. Conclusioni

Nell’ottobre del 2000 Magistratura Democratica la Uil hanno organizzato un convegno nazionale a Trento sul tema del lavoro molestato, con riferimento alle molestie sessuali e quelle morali.

Quando si è pensato di parlare di lavoro molestato si è detto che il riferimento alle molestie sessuali e morali era un dato di facile ed immediata riconoscibilità. Ma se si riflette un momento sul significato della parola — molestia è ogni atto che arreca danno o disturbo — si comprende che il lavoro risulta molestato sotto una molteplicità di aspetti, alcuni anche più gravi di quelli relativi al tema specifico di questo scritto.

Basti pensare al tema degli infortuni sul lavoro: le statistiche riportano dati agghiaccianti più simili a bollettini di guerra che a risultati di attività lavorative. Il lavoratore è molestato nel suo diritto all'integrità fisica, sempre messa in pericolo da un sistema che pur prevedendo un quadro normativo assolutamente dignitoso non vede l'adeguamento della realtà a tale volontà legislativa. L'attenzione agli infortuni sul lavoro si accende, per qualche attimo soltanto, ad ogni dramma per poi spegnersi subito, quasi fosse un lusso che il paese non può permettersi. La sicurezza del lavoro dovrebbe essere la grande battaglia di un fronte unito oltre ogni schieramento ed invece stenta a trovare adeguata audience: se i mass media martellassero sul tema degli infortuni come martellano, ad esempio, sul tema della sicurezza tout court certamente la riflessione e l'attenzione sarebbe maggiore. Allora bisogna chiedersi perché ed impegnarsi per spingere in controtendenza.

Continuiamo con le accezioni ampie del termine molestia e pensiamo alla garanzia del lavoro ed ai lavoratori irregolari.

Un lavoratore in nero è molestato nel suo diritto al riconoscimento di una pari dignità rispetto agli altri lavoratori.

Pensiamo a tutti gli immigrati clandestini costretti ad accettare condizioni di lavoro non degne delle tradizioni del nostro paese, un paese di emigranti e di lavoratori. C’è da

chiedersi dove siano quelli che si lamentano delle leggi troppo permissive sull'immigrazione quando si tratta di denunciare i connazionali che si arricchiscono alle spalle degli immigrati, affittando case, spesso stamberghe, al prezzo di alberghi di lusso o sfruttando il loro lavoro nero.

Quando si parla di maggiore flessibilità si dovrebbe riflettere anche su questi problemi ed allora verrebbe da dire che flessibilità, in certi ambiti, non manca ma è, addirittura, eccessiva.

Troppo spesso, allora, il lavoro è molestato ed in tutti i sensi. Il problema centrale è quello della dignità del lavoratore e del rispetto che deve essere riconosciuto a chi lavora ancora più che ad ogni altro soggetto, se è vero che è il primo articolo della nostra Costituzione che dice che l'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro.

Non a caso lo Statuto dei lavoratori del 1970 era intitolato :" norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori " ponendo sullo stesso piano di importanza la libertà e la dignità per chi lavora, richiamando nella mente con l'endiade libertà-dignità l'articolo 36 sempre della nostra Costituzione dove si legge con riferimento alla retribuzione del lavoratore che deve in ogni caso essere sufficiente ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa..

Tra i punti posti in evidenza dall’ex Ministro della Sanità Veronesi come quelli da seguire con maggiore attenzione era stato posto il mobbing inteso come rischio di condizioni di lavoro non consone alla persona ed alla sua dignità di lavoratore, dimostrando una grande sensibilità sullo specifico aspetto ( 18 ).

Lavoriamo tutti, nei rispettivi ambiti, per non fare cadere tale sensibilità.

Forlì/Pescara, 22/9/2001

Carlo Sorgi

Note

1. G. Marando, Le azioni di responsabilità civile per infortuni sul lavoro e malattie professionali, Giuffrè, 1987, pag.1

2. Vedi, per tutti, M. Rossetti, Il danno da lesione della salute, Cedam, 2001, pag. 783, che proprio con riferimento al mobbing esclude la possibilità di prevedere un risarcimento per danni non biologici o patrimoniali proprio dalla regola dell’art. 2059 c.c. poiché la risarcibilità di un c.d. danno esistenziale costituirebbe una surrettizia interpretatio abrogans dell’articolo citato poiché non espressamente prevista dal nostro ordinamento

3. L. Montuschi, Problemi del danno alla persona nel rapporto di lavoro, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro, 1994, pag. 330

4. Vedi Foro Italiano, 1986, parte I, 2053

5. Per una storia del periodo precedente e una analisi della sentenza ricordata vedi T. Pirani, Danno biologico e rivalsa Inail prima della riforma di cui al D.Lgs. n.38/2000, in Danno e Responsabilità, 12/2000, pag. 1264 e seg

6. Vedi L. Montuschi, cit, pag. 328

7. E. Gambacciani, Danno biologico, danno esistenziale e tutela Inail, in Rivista degli infortuni e delle malattie professionali, 3/2000, pag. 456

8. Vedi la sentenza della Corte di Appello di Torino 21/2/2000, in Foro It., 2000, 1555, dove si affronta il tema del c.d. mobbing familiare. Ben diverso è il concetto di doppio mobbing, cioè della ricaduta nell’ambiente familiare della situazione lavorativa di disagio. Sul tema specifico vedi H. Ege, Il mobbing in Italia, Pitagora, 1997, pag. 97.

9. Per altro le molestie possono essere anche sessuali se contestualizzate in una situazione mobbizzante. Infatti i due fenomeni sono fortemente imparentati oltre che per il rilievo empirico della stretta correlazione fattuale anche per l’identità dei beni giuridici lesi da  comportamenti illegittimi e per la strumentazione offerta dall’ordinamento a tutela. Vedi, sul punto A. Pizzoferrato, Molestie sessuali sul lavoro, Cedam, 2000, pag. 242

10. In prospettiva L. Greco, Danno Esistenziale e risarcimento da mobbing, in Rivista critica di diritto del lavoro, 2/2001, pag. 412, ritiene che sarebbe meglio prevedere a favore delle vittime anche benefici quali il prepensionamento come accade in Germania, eliminando la tentazione di configurare il mobbing come specifico reato come avviene in Svezia e come nella proposta di legge Fiori. Per un quadro completo delle proposte di legge sul mobbing vedi P.G. Monateri, M. Bona, U. Oliva, Mobbing, vessazioni sul lavoro, Giuffrè, 2000.

11. A. Pizzoferrato, cit., pag. 314

12. Subentrato al sistema tabellare chiuso dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 179/88, vedi Foro It., 1988, 1031

13. P.G. Monateri, M. Bona, U. Oliva, Quali periti, in Trattato breve dei nuovi danni, Cedam, 2001, pag. 2843 e seg.

14. P. Ziviz, La valutazione del danno esistenziale, in Trattato Breve dei nuovi danni, cit , 2796. L’autrice propone una prima ipotesi di sistemazione tabellare anche per la liquidazione del danno esistenziale, con sforzo sicuramente lodevole e necessità di approfondimento del tema in esame

15. Monateri, Bona Oliva, Quali periti, cit., pag. 2870

16. A.M. Perrino, nota in Foro It, 2000, 1555

17. La monografia di Monateri, Bona e Oliva della Giuffrè citata alla nota 10 contiene riferimenti molto completi, anche dei siti internet sull’argomento. Per una rassegna sintetica ma più aggiornata delle fonti vedi L. Greco, RCDL, cit., pag. 416

18. vedi la stampa nazionale del 14/12/2000