Angelina-Maria Perrino, Mansioni e Mobbing



Mansioni e Mobbing

MANSIONI E MOBBING.

SOMMARIO.
1.- Premessa.
2.- L'inquadramento del lavoratore pubblico. 2.1.- Principi. 2.2.- Le mansioni esigibili e la mobilità orizzontale. 2.3.- La mobilità verticale: premessa. 2.4.- Le regole generali della mobilità verticale. 2.5.- La rilevanza delle mansioni di fatto nell'elaborazione giurisprudenziale. 2.6.- Le mansioni di fatto nel d.leg. n. 165 del 2001. 2.7.- Le ipotesi non regolate. 2.8.- La disciplina transitoria. 2.9.-Una parziale compensazione: la parità di trattamento. 2.10.-Alcuni ulteriori correttivi: le posizioni organizzative e la vicedirigenza
3.- La reazione al potere direttivo del datore di lavoro pubblico: il danno da
mobbing. 3.1.- Premessa. 3.2.- La fattispecie del mobbing. 3.3.- Le fonti normative del mobbing. 3.4.- Le ipotesi di qualificazione del mobbing. 3.5.- Il regime del mobbing. 3.6.- I dubbi sulla qualificazione del mobbing. 3.7.- L'elaborazione della categoria del mobbing è inutile?

1.- Premessa(1).
Il processo di contrattualizzazione del lavoro pubblico ha spezzato l'identità di scopo ed il regime unitario che, nell'ordinamento speciale del pubblico impiego, connotavano le strutture dell'apparato, l'organizzazione del lavoro e la gestione delle prestazioni lavorative.
La distinzione tra organizzazione amministrativa e rapporto di lavoro pubblico si è allacciata alla distinzione tra attività delle pubbliche amministrazioni avente ad oggetto la cura di interessi della collettività (designata "funzione amministrativa"), e la parte dell'attività con cui le amministrazioni provvedono a se stesse (2), in tutto simile al potere organizzativo esercitato dal privato imprenditore(3). Essa si è valsa dell'interpretazione più moderna dell'art. 97 cost.
Si è osservato che il precetto di provvedere con legge all'organizzazione degli apparati è norma di distribuzione del potere di organizzare, che per una parte viene attribuito al legislatore e per un'altra parte al governo-amministrazione(4).
La riserva di legge contemplata dall'art. 97 cost. non consente al governo di organizzare organi dell'amministrazione statale e di altri enti pubblici.
La riserva, tuttavia, non postula l'integrale applicazione di regime pubblicistico in materia di organizzazione(5): spettano alla legge le determinazioni fondamentali sull'assetto organizzativo, ma rientra nella discrezionalità legislativa la scelta tra regime pubblicistico, che comporta funzionalizzazione e controllo sugli atti, e regime privatistico, che esclude la funzionalizzazione e consente soltanto i controlli sui risultati dell'attività colta nel suo insieme.
 

1) La relazione riproduce, con adattamenti ed aggiornamenti, alcuni capitoli del volume di A.-M. PERRINO, Il rapporto di lavoro pubblico, Padova, 2004.
2) M.S.GIANNINI, Corso di diritto amministrativo, cit., 10.
Anche in settori della giurisprudenza amministrativa andava avanzando negli ultimi anni l'opinione che l'attività di gestione dei rapporti di lavoro trovasse attuazione mediante atti non amministrativi, ma di diritto privato: T.A.R. Lombardia, Brescia 2 febbraio 1998, n. 43, in Trib.amm.reg.1998, I, 1315; T.A.R. Lazio, Latina 11 novembre 1997, n. 1031, id., 1997, I, 4295.
3) G. D'AURIA, Il <
> pubblico impiego tra giudice ordinario e giudici amministrativi, in G.CECORA, C. D'ORTA (a cura di), La riforma del pubblico impiego, Bologna, 1994, 124; C. ZOLI, Subordinazione e poteri del datore di lavoro: privato e pubblico a confronto, in Dir.pubbl. 1997, 369.
4) M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, cit., t. 1, 320.
5) Sull'interpretazione dell'art. 97 Cost., in riferimento alla trasformazione nel tempo delle figure organizzative della pubblica amministrazione, vedi G.D'ALESSIO, Il buon andamento dei pubblici uffici, Ancona, 1993; P. CARETTI e C. PINELLI, in Commentario alla Costituzione fondato da BRANCA e continuato da PIZZORUSSO, Bologna-Roma, 1994, sub art. 97; P. CARETTI, C. PINELLI, U. POTOTSCHNIG, G.LONG, G. BORRE', La pubblica amministrazione (artt. 97-98 della Costituzione), in G. BRANCA (diretto da), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, 1994; con particolare attenzione ai profili lavoristici, L.FIORILLO, Le fonti di disciplina del rapporto di lavoro pubblico, Padova, 1990; sul principio d'imparzialità, S. CASSESE, Imparzialità amministrativa e sindacato giurisdizionale, in Riv.it. scienze giur. 1968, 47; A.CERRI, Imparzialità e indirizzo politico nella pubblica amministrazione, Padova, 1973.


Questa lettura è suffragata dalla Consulta (6): <essenziale, resta necessariamente affidata alla massima sintesi politica espressa dalla legge nonché alla potestà amministrativa nell'ambito di regole che la stessa pubblica amministrazione pone>>.
L'interesse privatistico della pubblica amministrazione in qualità di datrice di lavoro va distinto dall'interesse pubblico al cui perseguimento mirano i principi di buon andamento e d'imparzialità previsti dall'art. 97 (7): il buon andamento non è più criterio guida preposto all'esercizio dei poteri di gestione dei rapporti di lavoro, ma è il risultato atteso dall'esercizio dei poteri privati di datore di lavoro e, quindi, dall'azione della dirigenza(8); l'imparzialità è divenuta regola di gestione dei rapporti di lavoro (che si esprime, ad esempio, nel reclutamento per concorso), ben distinta dall'imparzialità che l'amministrazione deve osservare nei rapporti con i cittadini(9).
Il potere direttivo del datore di lavoro pubblico va quindi qualificato come potere privato; il suo esercizio deve rispettare le regole civilistiche della correttezza e della buona fede.
Si registrano, tuttavia, resistenze, anche in giurisprudenza, alla completa equiparazione, sul piano dei principi, tra lavoro pubblico e lavoro privato, che risaltano in alcuni settori nevralgici nei quali acquista specifico rilievo l'esercizio del potere direttivo e, in particolare, nel settore dell'inquadramento.


6) con la sentenza 309/97, cit.
7) C. D'ORTA, Il potere organizzativo delle pubbliche amministrazioni tra diritto pubblico e diritto privato, cit., 159, individua alcuni criteri di raccordo tra potere organizzativo in regime privatistico ed interesse pubblico:
1) la riserva di disciplina di determinate materie alla legge, ad atti normativi e, in generale, al potere unilaterale dell'amministrazione;
2) la previsione legislativa di principi e criteri finalistici per l'esercizio del potere organizzativo;
3) i poteri amministrativi d'indirizzo e di verifica concernenti l'attività dei dirigenti;
4) i meccanismi di indirizzo e controllo della contrattazione collettiva.
8) M. BARBIERI, Problemi costituzionali della contrattazione collettiva nel lavoro pubblico,Bari, 1997, 134.
9) è ai rapporti con i cittadini, ossia al solo profilo esterno che si riferisce il principio d'imparzialità previsto dall'art. 97 Cost.: V. SPEZIALE, Contratto collettivo e lavoro pubblico: rapporti tra le fonti e principi costituzionali, cit., 325 ss.

2.-L'inquadramento del lavoratore pubblico.

2.1.- Principi. Uno dei tratti peculiari dello statuto del pubblico impiego era la nominatività della qualifica. Questo tratto, correlato all'apparentamento di organizzazione degli uffici ed organizzazione del lavoro, ha prodotto un sistema di classificazione del personale imperniato su:
a.-la prevalenza dell'inquadramento formale sulle mansioni in concreto espletate;
b.-la staticità dei ruoli, dovuta alla loro regolamentazione pubblicistica, che richiede formali provvedimenti per ogni modifica.
Ad intaccare i fondamenti del sistema sono intervenuti:
-il riparto di fonti in tema di dotazioni organiche10 e di organizzazione, che ha rimesso ad attività di macrorganizzazione soltanto la definizione delle linee fondamentali di organizzazione degli uffici, la determinazione delle dotazioni organiche complessive, l'individuazione degli uffici di maggiore rilevanza e i modi di conferimento della loro titolarità;
-l'assoggettamento alla contrattazione collettiva della classificazione del personale. L'assoggettamento alla contrattazione sembra escludere la rilevanza della questione del riconoscimento della qualifica di quadro(11) direttamente in base ai criteri legali fissati dalla legge n. 190 del 1985, anche in mancanza del contratto collettivo che provveda alla determinazione dei relativi requisiti(12).
2.2.-Le mansioni esigibili e la mobilità orizzontale. Gli art. 56 e 57 del d.leg. n. 29/93 avevano combinato un dosaggio di fonti nettamente sbilanciato sul versante pubblicistico(13). Non trovava disciplina la c.d. mobilità orizzontale, che circoscrive il c.d. ius variandi del datore di lavoro.
Nel lavoro privato, la mobilità orizzontale è baluardo di tutela della professionalità del lavoratore (14); nel sistema del d.leg. n. 29/93, il ius variandi dell'amministrazione incontrava il proprio limite soltanto nel sistema di classificazione formale(15).

10) contra, P. CAMPANELLA, Mansioni e ius variandi nel lavoro pubblico, ne Il lavoro nelle p.a. 1999, 49, nota 11.
11) In termini, Cass. 5 luglio 2005, 14193; App. Perugia 7 aprile 2004, in Foro it. 2005, I, 1429; App. Trieste 25 febbraio 2002, in Foro it., Rep. 2003, voce Impiegato dello Stato e pubblico, n. 533; trib. Trieste 6 marzo 2003, ibid., n. 531; trib. Monza 30 maggio 2002, ne Il lavoro nelle p.a. 2003, II, 104; vedi, contra, trib. Lodi 20 febbraio 2003, in Foro it., Rep. 2003, voce cit., n. 532.
In dottrina, P. LAMBERTUCCI, Brevi note sull'emersione della categoria dei quadri nella pubblica amministrazione: l'istituzione dell'area della vicedirigenza, ibid., 33.
12) per l'esclusione del riconoscimento, in mancanza del contratto collettivo, Cass. 5 agosto 2000, n. 10338, in Foro it., Rep. 2000, voce Lavoro (rapporto), n. 855; 15 giugno 1999, n. 5953, id., Rep. 1999, voce cit., n. 32.
13) In dottrina, vedi P. ALLEVA, Lo ius variandi, in F. CARINCI (a cura di), Il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, Milano, 1995, 492; E. GRAGNOLI, La carriera nel lavoro pubblico dopo il decreto n. 29 del 1993 e i primi contratti, in Riv.giur.lav. 1996, 439.

14) sulla nozione di equivalenza delle mansioni vedi, da ultimo, vedi trib. Roma

15) febbraio 2005, in Foro it. 2005, I, ?.


Si deve alle novelle del 1998 l'ingresso della mobilità orizzontale, sia pure con una peculiare fisionomia16, oggi contemplata dall'art. 52 del d.leg. n. 165/2001.
Non vi è, tuttavia, equiparazione fra il lavoratore pubblico e quello privato.
Differisce, nel lavoro pubblico, la valutazione dell'equivalenza, quanto a:
1.-chi esprime il giudizio di equivalenza.
Secondo l'orientamento prevalente nel lavoro privato, l'equivalenza va apprezzata in concreto, indipendentemente dalla valutazione convenzionale.
Il giudizio contrattuale di equivalenza può:
-spostare l'onere della prova su chi ne contesti l'effettività in concreto(17);
-integrare un affidabile indice ermeneutico, superabile da accertamento contrario(18);
-essere mero punto di partenza dell'accertamento concreto(19);
ma non è sottratto al divieto stabilito dall'ultimo comma dell'art. 2103 cod.civ.20.
E' minoritaria la tesi che ascrive al giudizio convenzionale valore preminente, inibendo al giudice indagini e valutazioni(21).
A norma dell'art. 52 del d.leg. 165/2001, le mansioni sono <
equivalenti nell'ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi>>.
Alcuni identificano l'equivalenza con quella risultante dalla classificazione professionale dei contratti collettivi(22). Si consente l'intervento del giudice solo
al cospetto di clausole collettive irrazionali o incoerenti, che violino il dovere di correttezza(23). Ne è effetto l'espansione, che può essere incontrollabile, del potere datoriale di mutare le mansioni del dipendente, entro una cornice di equivalenza davvero ampia.


15) M.MARINELLI, Le mansioni nel pubblico impiego, in Riv.giur.lav. 1996, I, 491.
16) oltre a trib. Napoli in epigrafe, vedi trib. Trieste 8 febbraio 2002, in Foro it., Rep. 2003, voce Impiegato dello Stato e pubblico, n. 513.
17) Cass. 3 dicembre 1996, n. 10788, in Foro it., Rep. 1996, voce Lavoro (rapporto), n. 768.
18) Cass. 9 aprile 1992, n. 4314, in Foro it., Rep. 1993, voce Impiegato dello Stato e pubblico, n. 724; 8 aprile 1991, n. 3661, id., Rep. 1991, voce cit., n. 735.
19) Cass. 8 febbraio 1985, n. 1038, in Foro it. 1986, I, 142. Sull'insufficienza della classificazione convenzionale, Cass. 11 settembre 2003, n. 13372, in Foro it., Rep. 2003, voce Lavoro (rapporto), n.992.
20) Cass. 16 aprile 2003, n. 6030, in Foro it., Rep. 2003, voce Lavoro (rapporto), n. 1041.
21) Cass. 20 marzo 1985, n. 2058, in Foro it., Rep. 1985, voce Lavoro (rapporto), n. 848.
22) F. PANARIELLO, Qualifiche e mansioni, in G. SANTORO PASSARELLI (a cura di), Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale. Il lavoro privato e pubblico, Milano, 2000, 1497 ss, spec. 1505. In giurisprudenza, trib. Taranto, ord. 11 maggio 2001, ne Il lavoro nelle p.a. 2002, 630; trib. Ravenna 9 aprile 2002, in www.aranagenzia.it; trib. Napoli 16 gennaio 2004, in Foro it. 2005, I, 1365..
23) S. LIEBMAN, La disciplina delle mansioni nel lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, in Argomenti dir.lav. 1999, 641. In giurisprudenza, trib. Modena 9 gennaio 2004, ne Il lavoro nelle p.a. 2004, 932.

Di contro, già la lettera della norma non rimette alla contrattazione collettiva la
valutazione di equivalenza, ma si limita a collocarne il giudizio

della qualificazione professionale prevista nei contratti collettivi>>. Il senso letterale delle parole collega alle previsioni dei contratti collettivi la -soladeterminazione della qualificazione professionale. Il che vuol dire che la valutazione non può riguardare mansioni che afferiscano a diverse qualificazioni professionali; ma vuol dire anche che, in quell'ambito, le mansioni possono essere equivalenti, oppure no. Non avrebbe senso, altrimenti, la delimitazione di un ambito per la formulazione del giudizio; sarebbe stato sufficiente far coincidere, tout court, le mansioni equivalenti con quelle previste come tali dalla contrattazione collettiva(24).
Si verrebbe altresì a frustrare la ratio di garanzia cui risponde la disciplina della mobilità orizzontale, giacché, a fronte dell'accorpamento, nel sistema delle aree, delle qualifiche funzionali in tre (massimo quattro) categorie, lo spettro di esigibilità delle mansioni si estenderebbe all'intero ambito dell'area e, per conseguenza, il ius variandi potrebbe avere ad oggetto anche mansioni del tutto disomogenee rispetto a quelle reputate equivalenti.
La formulazione del giudizio di equivalenza sèguita a competere all'interprete; ma il ruolo della contrattazione collettiva è potenziato, poiché le regole convenzionali non forniscono all'interprete un mero indice ermeneutico, ma lo vincolano ad operare il giudizio entro l'ambito da esse stabilito(25).
Sembra propendere per questa interpretazione la tesi di chi reputa che, nell'ambito di una medesima area o profilo contrattuale, siano esigibili unicamente le mmansioni equivalenti, ossia quelle giudicate in concreto omogenee dall'interprete(26)
2.-il termine di riferimento del giudizio di equivalenza. Il parametro al quale va ragguagliata l'equivalenza è dato dalle mansioni per le quali il prestatore è stato assunto: manca il riferimento alle
presente nell'art. 2103 cod.civ.
E', questa mancanza, segno della sopravvivenza, nel lavoro pubblico contrattualizzato, di tracce della prevalenza dell'inquadramento formale (e della certezza organizzativo-burocratica) sull'attività effettivamente svolta (e sulle effettive esigenze in questa maniera tutelate)(27).
Di rilievo minore sono le ulteriori modifiche apportate alla disciplina delle mansioni dalle novelle del 1998:


24) P.CURZIO, Pubblico impiego: sospensioni, congedi, aspettative, mutamenti di mansioni, promozioni, in Riv.critica dir.lav. 2002, 265. Vedi anche L. SGARBI, Inquadramento, attività esigibili e progressione professionale nelle amministrazioni pubbliche, cit., 77, secondo cui l'equivalenza concerne unicamente le posizioni economiche.
25) trib. Vicenza 21 agosto 2001, in Foro it., Rep. 2002, voce Impiegato dello Stato e pubblico, n. 378, 879.
26) Trib. Vicenza 16 aprile 2004, in Foro it., Rep. 2004, voce Impiegato dello Stato e pubblico, n. 501; trib. Trieste 8 febbraio 2002, in Lavoro giur. 2003, 465.
27) in termini, trib. Avezzano 21 agosto 2002, in Foro it., Rep. 2003, voce Impiegato dello Stato e pubblico, n. 493.

a.- l'esclusione dei compiti complementari e strumentali al perseguimento degli obbiettivi di lavor onon va enfatizzata, in quanto nel c.d. dovere primario di prestazione si reputano compresi tutti i comportamenti, positivi o negativi, finalizzati non solo a garantire l'esecuzione della prestazione, ma anche a renderla esatta(28);

b.- la soppressione del riferimento all'adibizione a compiti o mansioni inferiori non dispiega significativi effetti, essendo ancora consentito all'amministrazione di assegnare occasionalmente al lavoratore compiti non prevalenti della mansione inferiore(29). Anche nel lavoro privato la giurisprudenza ammette l'adibizione occasionale a mansioni inferiori, purché tali compiti siano transitori o marginali, siano svolti secondo un ordine ciclico sufficientemente breve, si manifestino come complementari o strumentali, ovvero accessori o connessi ai principali(30). Si è reputato legittimo per notevole inadempimento il licenziamento al lavoratore che si sia rifiutato di svolgere mansioni inferiori, assegnategli transitoriamente, al fine di fargli acquisire nuove tecniche lavorative(31).
2.3.-La mobilità verticale: premessa. La rigida applicazione dei principi di buon andamento ed imparzialità ha determinato, prima della contrattualizzazione, il vituperato "mansionismo" del pubblico impiego(32) con la conseguente (
33).
Anche la legge delega n. 421 del 1992 ha stabilito (art. 2, lett. n) i principi di una
disciplina delle mansioni
: la deroga risalta nella previsione secondo cui <attribuisce il diritto all'assegnazione definitiva delle stesse...>>. La legge delega 59/97 ha lasciato immutata la disposizione.
A fissare le regole fondamentali della mobilità verticale è intervenuta la Corte costituzionale, la quale ha reiteratamente osservato che: -il passaggio del lavoratore pubblico ad una fascia funzionale superiore é una forma di reclutamento;
-anche questa forma di reclutamento esige un selettivo accertamento delle attitudini;
-elettivo strumento di selezione rimane il concorso pubblico(34).


28) A.DI MAJO, Delle obbligazioni in generale, in F. GALGANO (a cura di), Commentario del codice civile Scialoja-Branca, Bologna-Roma 1988, 117.
29) V.TALAMO, Giudice amministrativo e mans ioni superiori nel lavoro pubblico (commento a Cons.Stato, ad.plen. 18 novembre 1999, n. 22), in Giornale dir.amm. 2000, 1012.
30) Cass. 10 giugno 2004, n. 11045, in Foro it., Rep. 2004, voce Lavoro (rapporto), n. 326; 4 luglio 2002, id., 2003, I, 205.
31) Cass. 1 marzo 2001, n. 2948, in Foro it. 2001, I, 1869.
32) ossia la continuata adibizione a mansioni diverse e superiori a quelle corrispondenti all'inquadramento formale. Sul fenomeno, vedi M. RUSCIANO, L'impiego pubblico in Italia, Bologna, 1978, 244; A.DE FELICE, L'inquadramento dei pubblici dipendenti, Milano, 1990.
33) P.G.ALLEVA, Lo ius variandi, cit., 1528.
34) vedi Corte cost. 16 maggio 2002, n. 194 e 4 luglio 2002, n. 373, in Foro it. 2003, I, 22. Da ultimo, cfr. Corte cost. 21 aprile 2005, n. 159 che, nel riaffermare il principio, ha dichiarato l'illegittimità della legge regionale della Calabria n. 28 del 2003 che prevedeva un'integrale riserva per il personale interno svolgente funzioni di ispettore fitosanitario per l'accesso alla categoria superiore di funzionario.


Da ultimo, la giurisprudenza di legittimità si è adeguata alle tesi della Consulta(35).
La mobilità verticale è dunque agganciata al concorso; è altresì esclusa, ai fini dell'inquadramento, qualsivoglia rilevanza dello svolgimento di mansioni superiori (ex art. 52, 1° co., d.leg. 165/2001).
L'effetto è l'irrigidimento delle procedure di progressione.
2.4.- Le regole generali della mobilità verticale.
a.- In relazione al concorso, l'orientamento della Corte costituzionale in materia di progressione rischia di minarne la centralità, a seguito della modifica del titolo V della Costituzione.
La Corte postula la distinzione tra la disciplina dei rapporti di lavoro e l'esercizio del potere organizzativo che a questa prelude. Il reclutamento e l'avanzamento professionale, manifestazioni di potere organizzativo pubblicistico, rientrerebbero nella potestà legislativa regionale, che potrebbe quindi varare sistemi di progressione diversificati sul territorio nazionale.
Aderendo alla visione monistica sopra illustrata, la disciplina del reclutamento e della progressione del personale sarebbe sganciata dall'organizzazione potestativa degli uffici, perché espressione di poteri organizzativi di diritto comune: nessuna competenza in materia di reclutamento dovrebbe spettare alle regioni.
Degna di nota è la proposta ricostruttiva che ravvisa nell'"ordinamento civile" la definizione di uno statuto complessivo dei diritti delle persone, anche ove queste si rapportino alle pubbliche amministrazioni(36). Lo sviluppo professionale rientra nello statuto minimo del lavoratore pubblico; dovrebbe quindi spettare allo Stato la competenza esclusiva di garantire la fissazione di regole comuni sul territorio dello Stato.
b.- Lo sviluppo professionale consiste in meccanismi diversi ed alternativi rispetto alle prove concorsuali ed a quelle selettive. Esso richiede una valutazione non comparativa ed implica progressività, gradualità e continuità nella formazione del dipendente. La gradualità non consente il passaggio da una qualifica inferiore ad una superiore, con esclusione di quella intermedia (37).
il 6° comma dell'art. 52 riconosce ai contratti autonomia di regolamentazione degli effetti di cui ai commi 2, 3 e 4.
Rimane fuori dall'ambito di esplicazione della libertà contrattuale il 1° comma della norma, secondo cui  l’esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore

35) vedi Cass., sez.un., 7 luglio 2005, n. 14529; ord. 26 maggio 2004, n. 10183, in Foro it. 2005, I, 1495; ord. 26 febbraio 2004, n. 3948, id., 2004, I, 1755; ord. 10 dicembre 2003, n. 18886, in Foro it., Rep. 2003, voce Impiegato dello Stato e pubblico in genere, n. 315; Cons.Stato, sez. VI, 7 ottobre 2004, n. 6510, id., 2005, III, 411; App. Milano 13 dicembre 2004, in Lavoro giur. 2005, 565; trib. Foggia ord. 10 luglio 2004 e 31 marzo 2004, in Foro it. 2005, I, 2235.
36) A.ORSI BATTAGLINI, Fonti normative e regime giuridico del rapporto d'impiego con enti pubblici, in Giornale dir.lav. relazioni ind. 1993, 461.
37) Trib. Catanzaro 15 maggio 2003, in Giust.civ. 2003, I, 2991.

Un consistente settore della dottrina ritiene che lo sviluppo professionale si riferisca proprio alla previsione contrattuale di meccanismi di avanzamento automatico, sulla base dell'attività effettivamente svolta dal lavoratore pubblico(38); esso differirebbe dall'esercizio di fatto delle mansioni superiori, fondato sul mero fatto compiuto(39).
Prima ancora del tenore letterale dell'art. 52, ad escludere che il contratto collettivo possa incidere sulla regola del 1° comma vi è il principio vincolante della legge delega n. 421/1992 (art. 2, lett. n), secondo cui il governo avrebbe dovuto <
2103 cod. civ., l'esercizio temporaneo di mansioni superiori non attribuisce il diritto all'assegnazione definitiva delle stesse>>(40).
Al contratto può, invece, essere rimessa la determinazione dei meccanismi di sviluppo.
L'ambito della libertà si estende sino a quando non intervengano divieti o limitazioni espressamente previste. Rispettati i principi fissati dalla legge delega, il contratto ben può intervenire a specificare le regole fissate dal legislatore; d'altronde, a norma del 1° comma dell'art. 40 del d.leg. n. 165/2001, <
contrattazione collettiva si svolge su tutte le materie relative al rapporto di lavoro ed alle relazioni sindacali>>.
c.- Le prove selettive consistono in meccanismi di verifica della professionalità non comparativi (per questo tratto si distinguono dalle procedure concorsuali).

38 R.SOLOPERTO, Mansioni, incompatibilità e codice di comportamento, cit., 38; S. LIEBMAN, La disciplina delle mansioni nel lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, cit., 636; F.P. PANARIELLO, Qualifiche e mansioni, cit., 1621. Anche F. NISTICO', Appunti in tema di mansioni superiori del lavoratore pubblico, in Riv.critica dir.lav. 2000, 601, pur ricoscendo che l'autonomia contrattuale riconosciuta dal 6° comma concerne soltanto gli effetti conseguenti alle previsioni dei commi 2, 3 e 4, comunque sostiene che la contrattazione collettiva possa prevedere ipotesi di assegnazione fisiologica a mansioni siperiori diverse da quelle previste dal 2° comma.
Infine, P. ALLEVA, Lo ius variandi, cit., 1550, osserva che, escludendo la possibilità di prevedere possibilità alternative di sviluppo professionali, <
contrattazione collettiva avrebbe poco senso e appare assai più probabile e razionale che la volontà legislativa sia quella di affidamento alla contrattazione di una competenza più complessiva in tema di classificazione dei percorsi professionali>>.
39 S. LIEBMAN, La disciplina delle mansioni nel lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, cit., 636.
40 P. CURZIO, Pubblico impiego: sospensioni, congedi, aspettative, mutamenti di mansioni, promozioni, cit., 270; propendono per l'opinione restrittiva anche A.CHERUBINI, sub art. 25 d.leg. 31 marzo 1998, n. 80, in Gazzetta giuridica Giuffrè Italia Oggi 1998, 29, 61; C.SPINELLI, Il regolamento sull'orrdinamento degli uffici e dei servizi degli enti locali può disciplinare l'adibizione a mansioni superiori?, ne Il lavoro nelle p.a. 1998, 1427; M. CASOLA, Adibizione a mansioni superiori e promozione automatica del lavoratore:
orientamenti giurisprudenziali, in Foro it. 2000, I, 2875.

Anche la definizione e la specificazione delle modalità di svolgimento delle prove selettive può essere rimessa alla contrattazione collettiva.
Nelle previsioni contrattuali, sviluppo professionale, procedure concorsuali e procedure selettive s'intrecciano tra loro.
Abolite le promozioni da una qualifica all'altra nella stessa carriera e venuti meno gli automatismi che consentivano incrementi retributivi legati alla retribuzione (con i meccanismi delle classi e degli scatti periodici)(41), i contratti collettivi hanno regolato e legato al merito la progressione del lavoratore pubblico(42).
In particolare, è stata prevista la possibilità di:
-progressione orizzontale, finalizzata ad ottenere incrementi retributivi nell'ambito della posizione economica denominati super, basati su elementi tratti dalla professionalità acquisita, dai risultati ottenuti, dalle prestazioni rese e dall'impegno professionale(43). Questo sviluppo economico è correlato a procedure selettive, il cui svolgimento è scandito dalla contrattazione integrativa (art. 17, 2° co., del contratto collettivo 1998-2001 del comparto ministeri).
-progressione verticale, mirante all'avanzamento da una posizione economica ad un'altra superiore o da un'area ad un'altra. La contrattazione collettiva ha previsto a tale scopo selezioni interne e corsi di riqualificazione riservati al personale dell'amministrazione, da espletare secondo le regole fissate dalla contrattazione integrativa (art. 15 del contratto collettivo del comparto ministeri; art. 4 del contratto collettivo del comparto regioni ed enti locali; art. 15 del contratto collettivo del comparto parastato; art. 32 del contratto collettivo del comparto scuola).
In particolare, il contratto collettivo del comparto ministeri prevede il passaggio:
- alla posizione economica dell'area immediatamente superiore, previo il superamento di un corso-concorso, riservato ai dipendenti inseriti nell'area sottostante, che siano in possesso del titolo di studio immediatamente inferiore a quello richiesto e della prescritta anzianità nel livello economico di provenienza;
- ad altra posizione all'interno della medesima area a seguito della frequenza di corsi di qualificazione e di aggiornamento professionale.
Il contratto prevede anche che non possano essere indetti concorsi pubblici per la
copertura dei posti vacanti, se le selezioni non abbiano avuto esito negativo o se non siano mancate le professionalità richieste (art. 15, comma B, lett.c).
2.5.-La rilevanza delle mansioni di fatto nell'evoluzione giurisprudenziale.
Il tema tradizionalmente si scompone in due segmenti:
a.- può lo svolgimento di mansioni superiori comportare l'acquisizione di una qualifica superiore?
b.- può lo svolgimento di mansioni superiori fondare il diritto al trattamento economico corrispondente alle mansioni svolte?


41 Vedi in tema P. VIRGA, Il pubblico impiego, Milano, 1991, 282.
42 In argomento, P.VIRGA, Il pubblico impiego dopo la privatizzazione, Milano, 2000, 149.
43 nel contratto collettivo relativo al comparto ministeri, la progressione economica è consentita per la posizione apicale delle tre aree e per la posizione iniziale dell'area C.


a.- Per radicata opinione giurisprudenziale, l'unico parametro idoneo a fornire giuridica rilevanza alle attività svolte dal dipendente pubblico è il formale inquadramento del prestatore, a causa:
-della legittima diseguaglianza fra le parti(44), espressione della supremazia gerarchica esercitata dall'amministrazione nell'ambito di un rapporto che in nessuna misura può essere avvicinato ad una relazione di scambio;
-dell'indisponibilità degli interessi pubblici che l'adibizione alle mansioni superiori è volto a perseguire. Gli interessi sono connessi alla stabilità (rectius, staticità) del ruolo organico ed alla certezza organizzativa, burocratica e finanziaria dell'amministrazione.
Queste proposizioni hanno fondato la costruzione tradizionale dell'impiego pubblico, del tutto avulsa da ogni sinallagmaticità; ne era espressione, nella materia de qua, l'art. 31 del Testo unico sugli impiegati civili dello Stato (d.P.R.
n. 3 del 1957), che subordinava alle speciali esigenze di servizio

, non altrimenti specificate, la destinazione del dipendente ad altra qualifica della stessa carriera, senza contemplare alcun incremento retributivo. Era reputato del tutto estraneo al sistema l'art. 2103 cod.civ., strumento di controllo e di limite della supremazia datoriale(45).
Nel corso dei lavori che hanno corredato la legge delega della seconda privatizzazione (l. n. 59 del 1997) nonché il decreto legislativo n. 80/1998, attuativo della delega, si sono registrati alcuni tentativi volti al completo adeguamento, per i profili in questione, del lavoro pubblico alle regole privatistiche(46).
Ma i connotati particolari del lavoro pubblico e, specificamente, l'esigenza di contenimento della spesa pubblica, hanno indotto il governo ad applicare <
pubbliche amministrazioni l'art. 2103 cod.civ. con gli adattamenti necessari ad evitare che lo svolgimento di fatto di mansioni superiori determini incontrollate

44) L'espressione è dell'adunanza plenaria del Consiglio di Stato, 18 novembre 1999, n. 22, cit.
45) Cons.Stato, sez. VI, 18 maggio 1998, n. 746, in Cons.Stato 1998, I, 971; sez. V, 30 aprile 1997, n. 429, in Foro amm. 1997, 1107; 24 marzo 1997, n. 290, ibid., 796; VI sez., 26 giugno 1996, n. 860, in Cons.Stato 1996, I, 1019.
46) il protocollo d'intesa sul lavoro pubblico del 12 marzo 1997, parte integrante dell'accordo per il lavoro già siglato da governo e parti sociali conteneva l'invito a ricercare <
revisione degli ordinamenti professionali...soluzioni idonee a superare la disciplina transitoria dell'assegnazione a mansioni superiori, per arrivare progressivamente anche in questa materia all'armonizzazione con la disciplina legale vigente nel settore privato>> (lett. A, punto 13). Successivamente, nel corso della riunione del 23 febbraio 1998 con le organizzazioni sindacali rappresentative, convocata ai sensi dell'art. 19 della legge 59/97, CGIL e UIL auspicarono la completa applicazione dell'art. 2103 al lavoro pubblico, al fine di superare la specialità di questo rispetto al lavoro privato. Il testo del protocollo d'intesa ed i contenuti della riunione del 23 febbbraio  1998 si possono leggere in M. D'ANTONA, P. MATTEINI, V. TALAMO (a cura di), Riforma del lavoro pubblico e riforma della pubblica amministrazione. I lavori preparatori ai decreti legislativi n.396 del 1997, n. 80 del 1998 e n. 387 del 1998, Milano, 2001, rispettivamente pag. 101 e 338.

progressioni di carriera, al di fuori dei percorsi di sviluppo professionale e dei criteri di selezione previsti dalla legge e dai contratti collettivi>>(47).
E' rimasto escluso che lo svolgimento di mansioni superiori possa far guadagnare la qualifica ad esse corrispondente (ex art. 35 del d.leg. n. 165/2001).
b.- Maggiormente accidentato è stato il percorso giurisprudenziale relativo alla configurabilità del diritto ad una maggiore retribuzione al cospetto dello svolgimento, in fatto, delle mansioni corrispondenti ad una qualifica superiore.
Si possono individuare tre fasi dell'elaborazione giurisprudenziale:
1.- l'orientamento tradizionale ha graniticamente negato la remuneratività delle mansioni superiori espletate in via di fatto(48).
Argomenti di sostegno sono stati:
- la preminenza degli art. 97 e 98 cost. sull'art. 36 cost., che fissa i principi della giusta retribuzione(49);
-l'inapplicabilità alla materia dell'art. 2126 cod.civ., che concerne la retribuibilità del lavoro prestato sulla base di un titolo invalido: si è sottolineato che del tutto diversa è l'ipotesi, ricorrente nel caso in questione, dell'esercizio di attività lavorativa sulla base di un legittimo provvedimento d'inquadramento o di nomina.
2.- Una prima incrinatura di questo blocco monolitico si deve ad alcune pronunce della Corte costituzionale.
La consulta ha affermato la diretta applicabilità al rapporto di pubblico impiego dell'art. 36 cost., che <
economico del dipendente nella misura corrispondente alla qualità del lavoro effettivamente prestato>>(50). Ha specificato che il principio dell'accesso al pubblico impiego mediante concorso non è incompatibile col diritto dell'impiegato, assegnato a mansioni superiori alla sua qualifica, di percepire il trattamento economico della qualifica corrispondente. Ciò in quanto
<
qualità del lavoro prestato, ai fini dell'art. 36 cost.>>(51).
L'applicazione dell'art. 36 è stata mediata dal richiamo dell'art. 2126 cod.civ. da corte cost. 296/1990(52), secondo cui illegittima non è la condotta del prestatore,

47) relazione al testo del decreto n. 80/1998, punto 13; la relazione si legge in M. D'ANTONA, P. MATTEINI, V. TALAMO (a cura di), Riforma del lavoro pubblico e riforma della pubblica amministrazione. I lavori preparatori ai decreti legislativi n. 396 del 1997, n. 80 del 1998 e n. 387 del 1998, cit., 406.
48) Cons.Stato, sez. V, 28 febbraio 2001, n. 1073, in Riv.personale ente locale 2001, 595; sez. VI, 4 dicembre 2000, n. 6466, in Foro amm. 2000, 3916.
49) vedi, in particolare, Cons.Stato, 6 febbraio 1995, n. 51, in Cons.Stato 1995, I, 160, secondo cui >.
50) Corte cost. 23 febbraio 1989, n. 57, in Foro it. 1989, I, 1741; in termini, Corte cost. ord. 26 luglio 1988, n. 908, pubblicata nella gazzetta ufficiale, 1° s.s., 3 agosto 1988, n. 31.
51) Corte cost. 27 maggio 1992, n. 236, in Foro it. 1993, I, 2453, corretta da Corte cost. ord. 15 luglio 1992, n. 339, pubblicata nella gazzetta ufficiale, 1° s.s., 22 luglio 1992, n. 34.
52) in Foro it. 1991, I, 3016; in termini, Corte cost. ord. 26 marzo 1991, n. 130, pubblicata nella gazzetta ufficiale, 1° s.s., 3 aprile 1991, n. 14; 25 luglio 1997, n. 273, id., 1997, I, 3463.

che, scaduto il termine, continui a svolgere l'attività, ma il comportamento dell'amministrazione, il quale determina l'applicabilità dell'art. 2126 cod.civ. e, quindi, dell'art. 36 cost. La tutela apprestata dall'art. 2126 cod.civ. non abbisogna di atto formale, ancorchè illegittimo, di assegnazione a determinate mansioni, essendo sufficiente il semplice riscontro del loro effettivo svolgimento in conformità ad una disposizione impartita nell'esercizio di potere direttivo.
In sintesi, secondo la corte costituzionale, l'art. 36 cost. impone all'amministrazione, nei limiti dell'art. 2126 cod.civ., di corrispondere la maggiore retribuzione, a causa dell'accertata professionalità e, quindi, della superiore qualità della prestazione resa; non incidono sulle regole le disposizioni di legge che conferiscano all'incaricato di mansioni superiori un importo inferiore a quello relativo alla qualifica corrispondente alle mansioni svolte.
Sulla base di questi principi, la corte ha respinto le diverse questioni di legittimità sollevate in riferimento a norme che si riteneva dovessero essere interpretate nel senso di vietare il riconoscimento del trattamento economico corrispondente alle mansioni superiori di fatto svolte(53).
Sulla scia delle aperture della Corte costituzionale, alcune pronunce del Consiglio di Stato hanno riconosciuto all'impiegato il diritto al trattamento economico corrispondente all'attività svolta(54).
3.- La giurisprudenza amministrativa maggioritaria non si è adeguata al trend inaugurato dalla Consulta.
Sono stati reiteratamente ribaditi gli argomenti tradizionali fondati sull'inapplicabilità all'impiego pubblico dell'art. 36 Cost . e dell'art. 2126 cod.civ.
Una sequenza ravvicinata di decisioni dell'adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha affermato l'inapplicabilità delle norme in questione, contenendo soltanto qualche timida apertura verso il nuovo.
Con la decisione del 18 novembre 1999, n. 22(55), il Consiglio di Stato, vigente la disciplina anteriore al d.leg. n. 387/1998, ha nuovamente escluso che il rapporto di impiego pubblico possa essere assimilato ad un rapporto di scambio (ex art. 98 cost.) ed ha ritenuto la necessità (ex art. 97 cost.), a fini del controllo
di spesa, di un assetto rigido dell'organizzazione amministrativa, del quale è espressione la superiorità del parametro della qualifica rispetto a quello delle mansioni.

53) la questione è stata affrontata soprattutto con riferimento all'art. 33 del D.P.R. n. 3/1957, il quale, secondo la Consulta, concerne l'ipotesi fisiologica, ma non disciplina l'ipotesi eccezionale di destinazione del dipendente pubblico a mansioni superiori: Corte cost. 4 luglio 2003, n. 229, in Giust.civ. 2003, I, 2989; 10 aprile 2002, n. 100, in Giur.cost. 2002, 844; 6 novembre 2001, n. 349, in Giust.civ. 2002, I, 785.
54) Cons.Stato, ad.plen., 29 febbraio 1992, n. 1, in Foro it. 1993, III, 33, con nota di S.CASSESE; ad.plen., 5 marzo 1992, n. 5, ibid., III, 29; ad.plen., 9 settembre 1992, n. 10, in Cons.Stato 1992, I, 1033; 16 maggio 1991, n. 2, in Foro it. 1991, III, 473.
55) ne Il lavoro nelle p.a. 2000, 598, con nota di I.ANTONINI, Le adunanze plenarie del
Consiglio di Stato e la disciplina delle mansioni superiori.

Il primo tentativo di superare le tradizionali posizioni di chiusura si legge nella decisione dell'adunanza plenaria del 28 gennaio 2000, n. 10(56), secondo la quale le differenze retributive vanno riconosciute al lavoratore sin dal momento dell'emanazione del d.leg. n. 387/98 e non a partire dalla stipulazione dei nuovi contratti collettivi.
La terza adunanza plenaria del 23 febbraio 2000, n. 12(57) ha proseguito su questa via, ammettendo che la contrattualizzazione del lavoro pubblico ha costituito una riforma radicale, capace di scuotere i principi tradizionali; ma, nel caso concreto, ha negato il riconoscimento del corrispettivo per l'espletamento di mansioni superiori, deducendo la posteriorità all'ambito temporale oggetto della vertenza delle innovazioni contenute nell'art. 56.
4.- In posizione mediana si colloca la tesi di chi richiede, per corrispondere la maggiore retribuzione, la riferibilità dell'esercizio delle mansioni superiori ad un posto vacante in organico ed un provvedimento formale d'incarico adottato dall'organo competente(58).
Soltanto di recente la giurisprudenza amministrativa, ormai fuori tempo, ha riconosciuto l'utilità dell'adibizione del lavoratore allo svolgimento di mansioni superiori e addirittura la coerenza dell'adibizione col canone del buon andamento. E' l'ipotesi dell'assegnazione di mansioni superiori relative ad un posto vacante, in corso di svolgimento del concorso, al fine di scongiurare vuoti di organizzazione e, quindi, disfunzioni dell'attività amministrativa(59).

56) in Foro it. 2000, III, 119.
57) in Lavoro nelle p.a. 2000, 598, con nota di I.ANTONINI, cit.
58) Cons.Stato 26 aprile 1994, n. 356, in Foro amm. 1994, 788; 15 marzo 1994, n. 251, in Cons.Stato 1994, I, 335; Cons.giust.amm.sic. sez.giurisd., 25 febbraio 1994, n. 79, in Giur.amm.sic. 1994, 35, hanno richiesto l'emanazione di un provvedimento, idoneo ad esternare l'interesse pubblico alla prestazione e la conformità allo schema normativo; hanno in conseguenza reputato irrilevanti le dichiarazioni rilasciate ex post dai dirigenti. Altre sentenze hanno richiesto insieme col provvedimento, l'adozione di forme procedimentali idonee ad evidenziare la <
aggiuntivo>> (Cons.Stato, sez. IV, 5 luglio 1999, n. 1150, in Cons.Stato 1999, I, 1086; sez. VI, 24 giugno 1998, n. 1009, in Cons.Stato 1998, I, 1046). In altre occasioni, si è ritenuto sufficiente il provvedimento di assegnazione (Cons.Stato, sez. V, 28 marzo 1999, n. 333, in Guida al diritto 1999, fasc. 16, 81; sez. VI, 18 maggio 1998, n. 757, in Foro amm. 1998, 1479), la vacanza di organico (CGARS 28 settembre 1998, n. 526, ne Il lavoro nelle p.a. 1999, 846), un ordine di servizio (Cons.Stato, sez. V, 7 febbraio 2000, n. 668, in Cons.Stato 2000, I, 245; sez.V, 15 dicembre 1995, n. 1723, in Foro amm. 1995, I, 2178).
59) T.A.R. Sicilia, sez. Catania, sez. II, 22 maggio 2000, n. 981, ne Il lavoro nelle p.a. 2000, 900, con nota di L. ZAPPALA', Mansioni superiori ed efficienza organizzativa: la presa di coscienza <
> della giurisprudenza amministrativa. Il principio era già stato affermato da Corte cost. 31 marzo 1995, n. 101, in Cons.Stato 1995, II, 447.

2.6.- Le mansioni di fatto nel d.leg. n. 165 del 2001
L'art. 52 del d.leg. n. 165/2001 (che riproduce il testo dell'art. 56, dopo l'ortopedia dei d.leg. n. 80 e 387 del 1998), contempla tre ipotesi di svolgimento di fatto di mansioni superiori(60):
a.- l'ipotesi fisiologica, prevista dai commi 2°, 3° e 4° della norma.
Presupposti di applicazione sono:
-l'esistenza di obiettive esigenze di servizio;
-una vacanza di posto in organico;
-la necessità di sostituire altro dipendente assente, con diritto alla conservazione del posto, con esclusione dell'assenza per ferie.
Gli effetti sono:
-nasce in capo al prestatore il diritto al <
superiore>>61;
-si configura in capo al dirigente l'obbligo di avviare <<...immediatamente, e comunque nel termine massimo di novanta giorni dalla data in cui il dipendente è assegnato alle predette mansioni...le procedure per la copertura dei posti vacanti>> (art. 52, 4° co., secondo nucleo normativo). La regola va letta in combinazione col 2° comma, lett. a) dell'art. 52, che prevede la possibilità di adibire il lavoratore alle mansioni superiore > e di prorogare tale adibizione <procedure per la copertura dei posti vacanti...>>.
Ricostruendo la sequenza delle disposizioni datoriali contemplate dalle norme, si ricava che: l'adibizione a mansioni superiori inizialmente non può superare il tetto dei tre mesi, rectius, dei novanta giorni ("termine massimo" decorso il quale scatta l'obbligo di avviare le procedure di copertura dei posti vacanti); il dirigente ha la possibilità di prorogare il termine sino a sei mesi complessivi, anche se nel frattempo non abbia attivato le procedure di copertura.
La violazione del relativo obbligo, trascorsi i primi novanta giorni, non trova sanzione nella norma; decorso questo termine, la possibilità di prorogare ulteriormente l'adibizione alle mansioni superiori sino a dodici mesi dipende dall'effettiva attivazione delle suddette procedure. In mancanza di attivazione, un'eventuale proroga sarebbe invalida nonché fonte di responsabilità disciplinare e patrimoniale del dirigente che abbia agito con dolo o con colpa grave (ex 5° co. dell'art. 52).
b.- l'ipotesi patologica, prevista dal 5° comma dell'art. 52.

60) la classificazione è tratta da F. NISTICO', Appunti in tema di mansioni superiori del lavoratore pubblico, cit., 599. Si deve comunque trattare di mansioni inerenti alla qualifica immediatamente superiore a quella
rivestita.
61) In riferimento al personale dei monopoli di Stato, Cons.Stato, commiss.spec.pubbl.imp., ha precisato (col parere 22 aprile 2002, n. 507), che l'art. 115 l. n. 312 del 1980 va interpretato, a seguito della contrattualizzazione, nel senso che le mansioni superiori vanno retribuite per il periodo di effettiva prestazione, con esclusione dei periodi in cui il dipendente sia stato assente per congedo ordinario o straordinario.

Ricorre l'ipotesi quando:
vi sia un atto di gestione col quale si adibisce il lavoratore a mansioni corrispondenti ad una qualifica superiore a quella da lui rivestita, ma difettino i presupposti indicati sub a.
Gli effetti connessi a quest'ipotesi consistono:
-nella nullità dell'atto di gestione;
-nella responsabilità, per dolo o per colpa grave, del dirigente;
-comunque, nel diritto del prestatore alle differenze retributive.
c.- l'ipotesi residuale, soltanto implicitamente prevista dall'art. 52.
Ricorre quando:
le mansioni superiori siano svolte in mancanza di atti di gestione; il datore non sia al corrente dell'espletamento dell'attività e non ne tragga consapevolmente vantaggio.
Questa terza ipotesi non ha disciplina normativa.
La tendenza all'assimilazione tra lavoro pubblico e lavoro privato e lo sgretolamento dei principi che hanno fatto da base al tradizionale orientamento restrittivo della giurisprudenza amministrativa fanno propendere per l'applicabilità alla specie dell'art. 36 cost. e, quindi, per la remuneratività dell'attività svolta. La mancanza di consapevolezza del dirigente esclude profili di responsabilità.
L'art. 52 del d.leg. n. 165/2001 non riproduce il 2° comma dell'art. 2103 cod. civ., secondo cui ogni patto contrario è nullo. E' sanzionata con la nullità soltanto l'assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, al di fuori delle ipotesi previste dal 2° comma (art. 52, 5° comma)

2.7.-Le ipotesi non regolate.
Rimangono non regolati:
a).- l'ipotesi del patto stretto dal lavoratore e dall'amministrazione (nonché della pattuizione collettiva che abbia questo contenuto) che contempli l'adibizione del prestatore a mansioni inferiori e, a fortiori, b).- il caso dell'adibizione a tali mansioni inferiori, in virtù di atto di gestione unilaterale del datore di lavoro. 
a) Per il lavoro privato, un'interpretazione rigorosa, che si aggancia all'art. 2103 capoverso, ritiene nulla l'adibizione a mansioni inferiori, anche se disposta al fine della conservazione del posto di lavoro(62). Tanto che il legislatore, per introdurre una deroga, l'ha dovuta espressamente disciplinare (con l'art. 4, 11° co., l. 223/1991, il quale contempla la possibilità per gli accordi sindacali che

62) Cass. 23 gennaio 1988, n. 539, in Notiziario giur.lav. 1988, 313; 19 giugno 1987, n. 5388, in Foro it., Rep. 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 857; 17 giugno 1983, n. 4189, in Giust.civ. 1984, I, 1238. Non è pertinente, benchè la lettura della sola massima possa lascaiarlo intendere, Cass. 14 settembre 1995, n. 9715, in Mass.giur.lav. 1996, 88, concernente l'ipotesi d'un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, avverso il quale era stata dedotta la mancata verifica della possibilità di riutilizzo del dipendente anche adibendolo a mansioni inferiori.

prevedano il riassorbimento totale o parziale dei lavoratori ritenuti eccedenti di
assegnarli a mansioni anche inferiori)(63).
La prima giurisprudenza che si è pronunciata sul tema per il lavoro pubblico ha affermato l'applicazione dell'art. 2103 al lavoro pubblico anche per il profilo in questione, facendo leva sul rinvio generale del d.leg. 29/93 alle disposizioni del codice civile e della l. n. 300 del 1970(64).
La soluzione non si condivide.
I patti, individuali o collettivi, che prevedano l'assegnazione del lavoratore a mansioni inferiori, in mancanza dell'espresso divieto formulato dal capoverso dell'art. 2103 cod.civ., dovrebbero essere pienamente validi. Anche in questo caso, si deve riconoscere ampia possibilità di esplicazione all'autonomia privata, dei singoli o dei soggetti collettivi, giacchè non vi sono, a limitarla, norme imperative o principi di ordine pubblico(65) o di buon costume di segno contrario.
b) Una diversa valutazione riguarda gli atti unilaterali con i quali l'amministrazione adibisca il dipendente a mansioni inferiori alla qualifica da lui rivestita.
L'inesistenza di norme imperative o di principi di ordine pubblico escludono che una tale assegnazione sia nulla.
E' però evidente che l'attribuzione di mansioni inferiori a quelle spettanti in base alla qualifica d'inquadramento determini inadempimento contrattuale.
Non può essere negata al dipendente la facoltà di esperire le azioni ordinarie, in primis quella di esatto adempimento, eventualmente corredata, sussistendone i presupposti, da azione risarcitoria.
Sotto il profilo in questione, il lavoro pubblico si colloca in una posizione più arretrata rispetto al lavoro privato sul fronte della tutela del lavoratore.
2.8.-La disciplina transitoria.
63 La giurisprudenza più recente della suprema corte ha in taluni casi ammesso la derogabilità dell'art. 2103 ai fini della salvaguardia del posto di lavoro.
Si è cominciato col riconoscere una possibilità di deroga qualora ricorra una situazione d'urgenza determinata da forza maggiore: Cass. 20 gennaio 1987, n. 491, in Foro it., Rep. 1987, voce Lavoro (rapporto), n. 874. Si è poi affermata l'inoperatività dell'art. 2103 qualora il mutamento di mansioni o anche il trasferimento siano stati disposti su esclusiva richiesta del lavoratore, senza alcuna sollecitazione, anche indiretta, del datore di lavoro: Cass. 2 novembre 1993, n. 10793, in Riv.it.dir.lav. 1994, II, 707; 20 maggio 1993, n. 5695, in Riv.it.dir.lav. 1994, II, 161, con nota di G.CONTE, Sul consenso del lavoratore alla dequalificazione delle mansioni in funzione di propri interessi.
Si è giunti a sostenere il principio in base al quale il lavoratore può ottenere l'assegnazione a mansioni inferiori pur di evitare maggiori ed altrimenti inevitabili svantaggi: Cass. 15 marzo 1995, n. 2990, in Giur.it. 1995, I, 1, 1634; 8 semmbre 1988, n. 5092, in Orientamenti giur.lav. 1988, 1139.

64) Trib. Parma, ord. 28 marzo 2001, n. 125, in Giust.amm. 2001, 626.
65) Per il lavoro privato la cassazione ha escluso che rientri nel divieto posto dal capoverso dell'art. 2103 cod.civ. l'equiparazione, in termini d'inquadramento, di mansioni professionalmente inferiori a mansioni superiori: Cass. 19 aprile 2001, n. 5761, in Foro it., Rep. 2001, voce Lavoro (rapporto), n. 770.


La disciplina transitoria è coerente con la normativa sin qui illustrata.
Sino all'attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali, <
nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza può comportare il diritto ad avanzamenti automatici nell'inquadramento professionale del lavoratore>> (art. 52, 6° co., ultimo nucleo normativo del d. leg. n. 165/2001). E', questo, il testo che risulta in esito all'ortopedia dell'art. 15 del d.leg. n. 387/98, che ha soppresso le parole "a differenze retributive o" .
Rimane confermato che, anche durante il periodo transitorio, il dipendente pubblico ha diritto ad incrementi retributivi corrispondenti alle mansioni superiori di fatto svolte.
La modifica introdotta dal d.leg. n. 387/98 ha evitato una pronuncia della Corte Costituzionale, che era stata chiamata a giudicare della legittimità della disciplina
da un giudice amministrativo(66), il quale aveva prospettato la violazione del diritto al trattamento retributivo corrispondente alle funzioni espletate
che <<è un precetto dell'art. 36 cost.>>, sia del principio di uguaglianza stabilito dall'art. 3 cost., per discriminazione derivante dall'adozione di un criterio cronologico ai fini della identificazione della categoria di soggetti aventi diritto alla retribuzione superiore.
La questione è stata di recente giudicata inammissibile dalla consulta (67).
2.9.-Una parziale compensazione: la parità di trattamento. La soglia arretrata di tutela del lavoratore pubblico rispetto a quello privato sembra compensata, almeno in parte, dall'applicazione del principio di parità di trattamento.
Nel lavoro privato è inapplicabile il principio di parità. Si esclude in radice anche la possibilità di sindacare la ragionevolezza dei criteri con i quali i contratti collettivi operino distinzioni tra i vari tipi di mansioni ai fini dell'inquadramento dei lavoratori e della loro progressione in carriera(68).
Nel lavoro pubblico, invece, si sostiene che la regola paritaria, benchè contenuta in una norma (l'art. 45) inerente al trattamento economico, esplichi efficacia espansiva; in materia retributiva essa risulterebbe pressochè superflua, in considerazione del divieto di deroghe migliorative fissato per la contrattazione individuale, salvi i casi previsti, con specifici presupposti, dai contratti collettivi(69).


66) T.A.R. Lombardia, sez. Brescia 15 maggio 1998, n. 562, pubblicata nella gazzetta ufficiale, 1° s.s., 9 settembre 1998, n. 36. In tema, V. TALAMO, P.MATTEINI, Il terzo decreto legislativo di riforma del lavoro pubblico in attuazione della legge n. 59/97, ne Il lavoro nelle p.a. 1998, 1313.
67) Corte cost. 4 luglio 2003, n. 229, cit.
68) Cass. 4 dicembre 1999, n. 13601, in Foro it., Rep. 2000, voce Impiegato dello Stato e pubblico, n. 879.
69) L. NOGLER, C. ZOLI, Efficacia del contratto collettivo e parità di trattamento, in F.CARINCI, M.D'ANTONA (diretto da), Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, cit., t. II, 1447. Contra, R. SANTUCCI, Parità di trattamento, contratto di lavoro e razionalità organizzative, Torino, 1997, 201.


Proficuo ambito di applicazione è quello delle progressioni in carriera, per le quali il principio paritario impone l'adozione di regole razionali e coerenti, con quello, connesso, dell'adibizione temporanea a mansioni superiori, che pur sempre determina incrementi retributivi70.
Si è espressa in senso contrario, tuttavia, in obiter, cass. 19 marzo 2004, n. 566571.
2.10.- Alcuni ulteriori correttivi: le posizioni organizzative e la vicedirigenza.
All'esigenza di dare sistemazione a funzioni, poteri ed attività che si collocano nell'area che separa i dirigenti dagli altri lavoratori pubblici rispondono, da un lato, l'individuazione, ad opera della contrattazione integrativa, di posizioni organizzative, concernenti funzioni di elevata responsabilità, il cui svolgimento comporta la corresponsione di un'indennità di posizione; dall'altro, la disciplina della vicedirigenza, introdotta dalla l. n. 145 del 2002.
Le posizioni organizzative consistono in incarichi temporanei per lo svolgimento di mansioni di direzione e di coordinamento che
-esulano da quelle del profilo di appartenenza,
-prescindono dall'attivazione di procedure straordinarie per lo svolgimento di mansioni superiori e quindi dall'assetto formale dell'inquadramento e, in conseguenza,
-aggravano la distanza tra inquadramento reale ed inquadramento formale72.
Il conferimento di posizione organizzativa, ha ritenuto la giurisprudenza73, deve essere preceduto da una valutazione comparativa dei dipendenti appartenenti all'area apicale del comparto, tenendo conto della natura e delle caratteristiche dei programmi da realizzare, dei requisiti culturali posseduti, delle attitudini, delle capacità professionali e delle esperienze acquisite.
Al riguardo, tuttavia, Cass. 9747/2004 reputa che questa valutazione sia una questione incidentale, presupposto dell'effetto dedotto in giudizio, aggiungendo che è facoltà del giudice disapplicare anche gli atti di organizzazione e gestione del lavoro coinvolti dalla controversia.

70) vedi Cass. 5 giugno 2001, n. 7617, in Foro it. 2002, I, 489; Cons.Stato, sez. V, 20 dicembre 1996, n. 1568, id., Rep. 1997, voce Impiegato dello Stato e pubblico, n. 386. In dottrina, vedi S.BATTINI, Autonomia negoziale e parità: trattamento nel lavoro pubblico e privato, in Giornale dir.amm. 1996, 1033.
71) in Foro it. 2004, I, 2431.
72) In dottrina, F.PEDRELLI, Gli incarichi relativi all'area delle posizioni organizzative, in Comuni d'Italia 2004, fasc. 6, 80; G.IANDOLO, La funzione dirigenziale e la posizione di area organizzativa nei comuni privi di dirigenza, alla luce delle novità introdotte dal c.c.n.l. del 22 gennaio 2004, ibid., fasc. 5, 66; M.NAVILLI, Problemi aperti in tema di posizioni organizzative: diritto all'attribuzione dell'incarico e irriducibilità della retribuzione (nota a trib. Ascoli Piceno 26 gennaio 2004), in Lavoro nelle p.a. 2004, 253; L.SGARBI, Mansioni e inquadramento dei dipendenti pubblici, Padova, 2004, 125.
73) Cass. 21 maggio 2004, n. 9747, in Foro it. 2005, I, 1365. Vedi anche trib. Milano 4 dicembre 2000, id., Rep. 2001, voce Impiegato dello Stato e pubblico, n. 482.


La tesi sembra in contrasto con la disciplina dell'istituto della disapplicazione, che ha ad oggetto i c.d. atti presupposti (74).
Quanto al regime degli incarichi che concretano posizioni organizzative, si è precisato che:
a.- la natura temporanea e precaria dell'incarico non fonda, in caso di rinnovo delle posizioni organizzative e di attribuzione dei relativi incarichi, alcun diritto dei dipendenti di essere preposti ad una posizione organizzativa, qualora l'abbiano già ricoperta in virtù di un precedente incarico (75);
b.- la correlazione del trattamento economico accessorio spettante al titolare della posizione organizzativa all'incarico ed alle connesse responsabilità (c.d. retribuzione incentivante) comporta che esso non vada più corrisposto quando sia cessato l'incarico (76);
c.- le norme contrattuali stabiliscono che l'incarico possa essere revocato per motivi oggettivi (intervenuti mutamenti organizzativi) o a seguito di accertamento di risultati negativi.
La particolare connotazione dell'incarico ha indotto la giurisprudenza ad escludere che possano essere attribuite posizioni organizzative a lavoratori parttime (77).
L'inconsistenza delle attribuzioni dei vicedirigenti, data dalla mancanza di un'enumerazione dei loro compiti rende ambigua la definizione della categoria.
Al riguardo, taluno ha paventato che si sia delineato uno status privo di poteri, responsabilità, competenze (78).
Da ultimo, la legge 17 agosto 2005, n. 168, di conversione del c.d. decreto omnibus (d.l. 30 giugno 2005, n. 115) ha disposto l'inserimento nell'art. 17-bis del d.leg. n. 165/2001, della parola "separata", riferita all'area della vicedirigenza, per rimarcarne l'autonomia rispetto alla dirigenza.


74) Sulla nozione di atti presupposto nel lavoro pubblico, vedi Cass. 18 agosto 2004, n. 16175, in Foro it., 2005, I, 105.
75) Trib. Ascoli Piceno 26 gennaio 2004, in Lavoro nelle p.a. 2004, 253.
76) Trib. Ascoli Piceno 26 gennaio 2004, cit.
77) Trib. Milano 17 agosto 2002, in Foro it., Rep. 2003, voce Impiegato dello Stato e pubblico, n. 480.
78) L.SODA, Riflessi organizzativi dell'istituzione di un'area quadri nel lavoro pubblico, in Lavoro nelle p.a. 2001, 1031. In argomento vedi anche A.VALLEBONA, La vicedirigenza nel lavoro pubblico tra legge e contratti, in Dir.lav. 2002, I, 309; G.GOLISANO, La vicedirigenza nell'impiego pubblico, in Riv.giur.lav. 2004, I, 27; A.-M. PERRINO, Il rapporto di lavoro pubblico, Padova, 2004, 571.


3.- La reazione al potere direttivo del datore di lavoro pubblico: il danno da mobbing (79).
3.1.- Premessa.
E' quindi emerso che nel settore dell'inquadramento i poteri datoriali sono più estesi e penetranti rispetto a quelli che esercita il datore di lavoro privato:
- quanto alla mobilità orizzontale, l'ampia formulazione dell'art. 52 del d.leg. n.165/2001 rischia di ampliare notevolmente l'ambito di discrezionalità del datore
di lavoro;
-quanto alla mobilità verticale, da un lato l'interpretazione invalsa nella giurisprudenza costituzionale e nella più recente giurisprudenza di legittimità che configura come nuovo reclutamento l'inquadramento in un'area superiore rischia di irrigidire il passaggio da un'area ad un'altra;


79) Da ultimo in dottrina, sul mobbing, M.V. LUMETTI, I danni derivanti dal mobbing nell'impiego pubblico e privato, in Rass. avv. Stato 2002, fasc. 3, 466; F.NISTICO', Mob, mobber, mobbing (con un'appendice psichiatrica a cura di Liliana Dell'Osso, Claudia Carmassi e Claudia Tapponeco), in Informazione prev. 2002, 709; I.DE ASMUNDIS, Mobbing: attacco alla dignità di chi lavora, Napoli, 2003; F. LIGABUE, Mobbing e danno rilevante nell'ambito dei rapporti di lavoro, in Legalità e giustizia 2003, fasc. 2, 135; M.R. MOTTOLA, Il mobbing ed i conflitti d'ufficio: presupposti per il diritto al risarcimento del danno (nota a trib. Cassino 18 dicembre 2002), in Nuova giur.civ. 2003, I, 941; F.PICARDI, Le conseguenze non patrimoniali del mobbing, in Legalità e giustizia 2003, fasc. 2, 195; G.MARINO, Un particolare inadempimento del contratto di lavoro subordinato: il mobbing -Scritti in onore di salvatore Hernandez, in Dir.lav. 2003, 453; G.NAVARRINI, Il mobbing nella recente giurisprudenza civile, in Legalità e giustizia 2003, fasc. 2, 206; A. BENNI DE SENA, Mobbing: risarcimento del danno non patrimoniale da inadempimento contrattuale, in Legalità e giustizia 2003, fasc. 2, 159; E. DEL FORNO, A.MOSTI, Il mobbing: violenza morale o psichica nei luoghi di lavoro, in Arch.civ. 2004, 3; P.DI MARZIO, Il mobbing e gli scenari prossimo venturi in tema di tutela dei diritti della persona, in M.DI MARZIO, F.PECCENINI, M.ROSSETTI, Danno esistenziale - La prova e la liquidazione - Nuovo corso della giurisprudenza e parametri risarcitori del mobbing, in Dir. e giustizia 2004, fasc. 15, 45; A.LIBERATI, La liquidazione del danno esistenziale- Responsabilità del medico - Mobbing - Perdita di animali domestici - Interruzione di gravidanza - Perdita di congiunto - Immissioni, Padova, 2004; M. AUDITORE, Il mobbing come problema giuridico e sociale (nota a T.a.r. Lazio, sez. III, 25 giugno 2004, n. 6254), in Trib.amm.reg. 2004, I, 1652, L. BUSICO, Il mobbing nel pubblico impiego, in Nuova rass. 2004, 1740; P. RAUSEI, Mobbing: tutela dei danni psichici da costrittività organizzativa, in Dir. e pratica lav. 2004, 316; C.ANGELONE, Il mobbing nelle organizzazio ni sociali: norme di contrasto e tutela giuridica, in P.Q.M. 2004, fasc. 1, 11; S.MAZZAMUTO, Il mobbing, Milano, 2004; A. OCCHIPINTI, Sull'utilità giuridica del concetto di mobbing, in Riv.critica dir.lav. 2004, 7; M.T. PALATUCCI, Il mobbing nei luoghi di lavoro: riflessioni in tema di responsabilità datoriale e risarcimento del danno, in Lavoro giur. 2004, 20; .CORSALINI, Il mobbing: tutela giuridica e protezione previdenziale, in Dir. e giustizia 2004, fasc. 33, 89; F.CORSO, Mobbing e competenze legislative in materia di lavoro (nota a Corte cost. 19 dicembre 2003, n. 359), in Riv.it.dir.lav. 2004, II, 484; P. SOPRANI, Mobbing nazionale o regionale?, in Dir. e pratica lav. 2004, 665; R.RUGGIERI, I.PETRUCCELLI, Il mobbing: danno e valutazione, in Argomenti dir.lav. 2004, 333; B.ROMANO, Il mobbing: ai confini del diritto penale?, in Riv.trim.dir.pen. economia 2004, 167; S.RICCI, A.MIGLINO, Mobbing, analisi e rimedi, in Arch.civ. 2004, 573; P.TOSI (a cura di), Il mobbing, Torino, 2004

-dall'altro, la limitata rilevanza dell'espletamento di mansioni di fatto fomenta l'insoddisfazione del dipendente pubblico.
Al cospetto di questa congerie di poteri, l'insoddisfazione del dipendente pubblico rischia di lievitare, traducendosi in malessere.
E' sembrata rispondere all'esigenza di fornire corpo e tutela a questo malessere l'elaborazione della categoria del danno da mobbing.
3.2.-La fattispecie del mobbing.
Elemento costitutivo della fattispecie del mobbing è il comportamento globale, ossia la serie ripetuta di condotte connotata sul piano soggettivo dalla strategia persecutoria del datore di lavoro o di colleghi di lavoro, dal datore tollerata.
In giurisprudenza, ampio è il catalogo delle condotte di mobbing:
a.- si ravvisa mobbing in senso proprio soltanto dopo almeno sei mesi di vessazioni ripetute (80);
b.-si parla di azioni mobbizzanti per periodi più brevi81;
c.- si definisce bossing o mobbing verticale l' ipotesi in cui il datore di lavoro vessi il dipendente allo scopo d'indurlo a dimettersi (82);
d.- si configura come mobbing "ascendente" quello realizzato dai sottoposti nei confronti di un superiore (83);
e.- trib. Bergamo 20 giugno 2005 introduce un'ulteriore distinzione, mutuando ancora una volta lessico e nozioni della psicologia del lavoro e definisce straining (ossia stress forzato) la singola condotta ostile, sia pure duratura nel tempo (84).
Nel lavoro pubblico, la qualificazione degli atti vessatori come illeciti istantanei con effetti permanenti ha indotto il giudice di legittimità85 a reputare che gli atti compiuti prima del 30 giugno 1998 radichino la giurisdizione del giudice amministrativo.
3.3.- Le fonti normative del mobbing.
Da ultimo, Cass. 23 marzo 2005, n. 6326 ha escluso che il mobbing abbia mera rilevanza metagiuridica, valorizzando:
- il d.P.R. 22 maggio 2003 (di approvazione del piano sanitario nazionale 2003-2005) che contempla il mobbing al punto 4.9;
- la delibera del 22 maggio 2003 contenente l'accordo tra il ministro della salute, le regioni e le province autonome sul bando di ricerca finalizzata per l'anno 2003 per i progetti ex art. 12bis del d.leg. 30 dicembre 1992, n. 502;

80) trib. Treviso 4 luglio 2002, in Foro it., Rep. 2002, voce Lavoro (rapporto), n. 903.
81) sulla distinzione, vedi H.EGE, Il mobbing in Italia, Bologna, 1996, 32.
82) App. Torino 21 aprile 2004, in Lavoro giur. 2005, 49; per un'ipotesi di bossing nella pubblica amministrazione, trib. Lecce 31 agosto 2001, in Foro it., Rep. 2001, voce Lavoro  (rapporto), n.809.
83) Trib. Pinerolo 14 gennaio 2003, in Giur.merito 2003, n. 5.
84) Vedi però trib. Marsala in epigrafe che ammette che la singola condotta ostile possa integrare mobbing.
85) Cass., sez.un., 4 maggio 2004, n. 8438, in Foro it. 2004, I, 1692.


- la risoluzione del parlamento europeo n. AS-0283/2001 del 21 settembre 2001, intitolata al "mobbing sul posto di lavoro".
Il catalogo può essere ulteriormente arricchito, annoverando altresì:
-il c.c.n.l. comparto ministeri (art. 6 del c.c.n.l. 28 febbraio 2003 per il 2002-2005), che costituisce un "comitato paritetico sul fenomeno del mobbing" nonchè "sportelli di ascolto";
-la direttiva della Presidenza del Consiglio, dipartimento della funzione pubblica del 24 marzo 2004 (pubblicata nella gazzetta ufficiale 5 aprile 2004, n. 80), recante "misure finalizzate al miglioramento del benessere organizzativo nelle pubbliche amministrazioni", la quale tiene conto, tra l'altro, delle "condizioni emotive dell'ambiente in cui si vive";
-la legge regionale 28 febbraio 2005, n. 1886 varata dalla regione Umbria, volta, da un lato, a prevenire il fenomeno delle condotte persecutorie e delle vessazioni psicologiche nei luoghi di lavoro e, dall'altro, ad assicurare alle vittime ascolto ed assistenza tramite una rete di sportelli antimobbing;
-la legge regionale 8 aprile 2005, n. 7 della regione Friuli Venezia Giulia (87), anch'essa orientata alla prevenzione, all'informazione ed al sostegno alle vittime
di comportamenti discriminatori e vessatori protratti nel tempo (art. 1, 2° co.) mediante previsione di punti di ascolto e di altre misure di aiuto delle vittime.

In parlamento giacciono numerosi disegni di legge. Degno di nota è quello n. S122, volto <le caratteristiche della violenza o della persecuzione psicologica, nell'ambito dei rapporti di lavoro>> (art. 1, 1° co.), che contiene un'esemplificazione delle condotte persecutorie, reputata quantomeno inopportuna dai commentatori (88).
In questa congerie di atti normativi di varia rilevanza il mobbing compare soltanto di striscio. Non se ne rinviene una definizione giuridicamente rilevante; il fenomeno, sebbene sociologicamente frequente, non sembra sussunto in categorie giuridiche.
Sono stati eliminati dall'ordinamento gli unici due atti che ne avevano delineato una nozione e tratteggiato una disciplina, sia pure in ambiti circoscritti:
a.- da un lato, la legge della regione Lazio 11 luglio 2002, n. 16 (Disposizioni per
prevenire e contrastare il fenomeno del mobbing nei luoghi di lavoro) è stata giudicata costituzionalmente illegittima dalla consulta (89).
Le due successive leggi regionali dell'Umbria e del Friuli Venezia Giulia, recependo l'insegnamento dei giudici costituzionali, secondo cui spetta allo stato

86) pubblicata nel BUR n. 12 del 16 marzo 2005; vedi R.NUNIN, La Regione Umbria vara una legge sul mobbing, in Lavoro giur. 2005, 437.
87) Pubblicata nel bollettino ufficiale della regione autonoma Friuli Venezia Giulia n. 15 del 13 aprile 2005; vedi R.NUNIN, La legge sul mobbing della Regione Friuli Venezia Giulia, in Lavoro giur. 2005, 741.
88) sul quale vedi R.COSIO, Il >: alcune riflessioni sul disegno di legge n. S 122, in Foro it. 2004, I, 2320.
89) Corte cost. 19 dicembre 2003, n. 359, in Foro it. 2004, I, 1692.

fornire la nozione giuridica di un fenomeno, come quello del mobbing, inquadrabile nell'ambito dell'"ordinamento civile", non hanno specificato cosa sia il mobbing e quale rilievo esso assuma nel mondo giuridico, limitandosi ad articolare iniziative d'informazione, di prevenzione e di sostegno delle vittime; b.- la circolare dell'Inail n. 71 del 17 dicembre 2003 concernente le modalità di trattazione delle pratiche riguardanti "disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro. Rischio tutelato e diagnosi di malattia professionale", che si riferiva espressamente al mobbing, è stata annullata dal tribunale amministrativo regionale del Lazio.
3.4.- Le ipotesi di qualificazione del mobbing. Al cospetto di questa fluidità di contorni, che rende quantomai sfuggente la figura del mobbing, si è provato ad inquadrare il fenomeno in una categoria capace di aggregare tutti i danni non patrimoniali diversi da quelli morali, in un cerchio più ampio del c.d. danno biologico e di esso comprensivo, comunemente denominato danno esistenziale (90).
Il dato unificante della categoria è quantomai labile, consistendo nella mera compressione di un'attività non reddituale: la definizione più completa del danno esistenziale lo configura come forzosa rinuncia allo svolgimento di attività non remunerative, fonte di compiacimento o di benessere per il danneggiato, perdita non causata da una compromissione dell'indennità psico-fisica91 ovvero come somma di ripercussioni relazionali di segno negativo (92).
In virtù di quest'inquadramento, il danno da mobbing differirebbe:
dal danno biologico perchè non connotato dalla lesione in corpore;
dal danno morale, in quanto mancherebbe la sofferenza, ma vi sarebbe rinuncia ad un'attività concreta93;
dal danno patrimoniale, per la sua indipendenza da qualsiasi compromissione del patrimonio del danneggiato.
Cass. 6396/2005, escludendo il carattere di novità della domanda di risarcimento
del danno da mobbing rispetto a quella di risarcimento del danno biologico e psichico, implicitamente riconosce che i fatti costitutivi del diritto al risarcimento del danno da mobbing equivalgono a quelli costitutivi del diritto al rsarcimento del danno biologico.


90) Vedi, da ultimo, App. Firenze 29 ottobre 2004, in Riv.giur.lav. 2005, 25; trib. Forlì 10 marzo 2005; trib. Agrigento 1 febbraio 2005; trib. Milano 29 giugno 2004, tutte in Resp.civ. 2005, 502. Sull'autonomia del danno esistenziale dal danno biologico e da quello morale, vedi Cass.pen., sez. IV, 25 novembre 2003, Min. economia e finanze in c. Barillà, in Foro it. 2004, II, 138. Sulla configurabilità di danno esistenziale in caso di danno all'immagine della p.a., vedi
Corte conti, sez.riun.gen., 23 aprile 2003, n. 10/QM, id., 2005, III, 74, con osservazioni di N.FRANCIONI cui adde, in dottrina, E.CONTINO, Un po' di ordine nell'ineffabile danno esistenziale, in Giust.civ. 2004, I, 234; A.SCARPELLO, Danno esistenziale e sistema del danno alla persona: la cassazione, la consulta e l'art. 2059 c.c., in Nuova giur.civ. 2004, II, 260.
91) P.CENDON, Non di sola salute vive l'uomo, in Studi Rescigno, V, Milano, 1999, 138-139.
92) Cass. 7 giugno 2000, n. 7713, in Foro it. 2001, I, 187.
93) Vedi trib. Genova 12 ottobre 2003, in Foro it., Rep. 2004, voce Danni civili, n. 227.  Riconduce il danno esistenziale all'art. 2059 cod.civ. Corte conti, sez. I giur.centr.app. 18 giugno 2004, n. 222/A, id., 2005, III, 74.


3.5. Il regime del mobbing.
Alla responsabilità del datore per condotte di mobbing si riconosce natura contrattuale, per violazione dell'art. 2087 e, ricorrendone i presupposti, dell'art. 2103 cod.civ.
Applicando le regole di ripartizione dell'onere della prova,
- spetta al datore dimostrare di aver realizzato tutte le misure necessarie a tutelare l'integrità psico-fisica del dipendente;
- spetta al lavoratore provare l'evento lesivo, l'inadempimento del datore e l'esistenza del nesso causale tra evento ed inadempimento (94.)
L'inquadramento nell'area della responsabilità contrattuale si aggancia all'opinione ormai tradizionale dei lavoristi (in questo settore probabilmente antesignani) che afferma la risarcibilità del danno subito dal lavoratore dalla lesione della personalità morale e, comunque, di diritti inerenti alla propria persona (diritto alla professionalità, alla vita di relazione, alla dignità...) anche se
la fonte del pregiudizio consista nell'inadempimento contrattuale degli art. 2087 e 2103 cod.civ.95;
-vi è, invece, contrasto sulla consistenza dell'onere probatorio relativo alla sussistenza del danno e, per conseguenza, sulle regole della sua quantificazione:
all'orientamento che costruisce la lesione del valore inerente alla persona come evento interno al fatto illecito, ravvisando un danno ex se, risarcibile in via

94) Cass. 28 maggio 2004, n. 10361, in Foro it., Rep. 2004, voce Lavoro (rapporto), n. 1074; trib. Forlì 15 marzo 2001, in Foro it., Rep. 2001, voce Lavoro (rapporto), n. 918..
95) Cass. 27 aprile 2004, n. 7980, in Foro it., Rep. 2004, voce Lavoro (rapporto), n. 1078; 5 novembre 2003, n. 16626, ibid., n. 1269; trib. Roma 15 febbraio 2005, id., 2005, I, 1233, con nota di richiami cui adde trib. Pinerolo 2 aprile 2004, id., Rep. 2004, voce Danni civili, n. 222; trib. Lecce 2 marzo 2004, ibid., n. 226; trib. Parma 17 aprile 2003, id., Rep. 2003, voce cit., n. 187. In dottrina, A.TURSI, Il danno non patrimoniale alla persona nel rapporto di lavoro: profili sistematici, in Ragiusan 2004, fasc. 241, 422; M.C. CIMAGLIA, Il nuovo danno non patrimoniale fa il suo ingresso nel diritto del lavoro (nota a trib. Tempio Pausania 10 luglio 2003), in Riv.it.dir.lav. 2004, II, 311; C.FAVILLI, La violazione degli interessi fondamentali del lavoratore e la quantificazione del danno non patrimoniale (nota a trib. Milano 1 dicembre 2003), in Danno e resp. 2004, 1243; P.ALBI, L'obbligo di sicurezza del datore di lavoro tra inadempimento e danno, ibid., 60. Reputa, invece, che il risarcimento del danno biologico e del danno esistenziale non potrà che avere come riferimento.Quanto ai rapporti di pubblico impiego, la giurisprudenza amministrativa reputava, antecedentemente alla riforma, che, se il dipendente avesse dedotto la violazione dell'art. 2087 cod.civ., la relativa azione avrebbe avuto natura contrattuale, devoluta in quanto tale alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo; se avesse chiesto il risarcimento del danno per lesione dell'integrità fisica, l'azione avrebbe avuto natura extracontrattuale e sarebbe stata demandata alla giurisdizione del giudice ordinario: Cons.Stato, sez. VI, 20 gennaio 2003, n. 182, in Foro it., Rep. 2003, vo ce Impiegato dello Stato e pubblico, n. 647.


equitativa, si giustappone l'orientamento che richiede l'allegazione da parte del
lavoratore del danno risarcibile e la relativa prova (96).
3.6. I dubbi sulla qualificazione del mobbing.
Non sembra, in realtà, che il mobbing identifichi un'autonoma categoria di danni:
-sul piano dogmatico, la "somma di ripercussioni relazionali di segno negativo" per la sua indeterminatezza non è contemplata da alcuna specifica disposizione, nè è altrimenti considerata da altre norme (97).
Essa non risponde alla nozione di danno risarcibile fornita dalla notissima sentenza delle sezioni unite 22 luglio 1999, n. 50098, che ha configurato l'ingiustizia criterio selettore dei danni risarcibili, circoscrivendo la risarcibilità ai soli interessi "presi in considerazione" dalle norme positive;
-sul piano dell'applicazione concreta, il mobbing sembra non riuscire ad identificare condotte illegittime ulteriori rispetto a quelle già sinora reputate lesive dell'integrità psico-fisica del lavoratore (99).
3.7.- L'elaborazione della categoria del mobbing è inutile?
La domanda è legittima, giacché:
-da un lato, si va incrinando la ratio che ha ispirato la elaborazione della categoria del danno esistenziale prima e del danno da mobbing dopo, che era quella di superare le limitazioni risarcitorie dei danni non patrimoniali tradizionalmente ravvisate nell'art. 2059 cod.civ.
La corte costituzionale100 ha reputato risarcibile il danno non patrimoniale anche
nell'ipotesi in cui, in sede civile, la colpa dell'autore del fatto risulti da una presunzione di legge.
La giurisprudenza di legittimità, ulteriormente ampliando la risarcibilità dei pregiudizi non patrimoniali, ha escluso l'applicabilità del limite previsto dagli art. 2059 cod.civ. e 185 cod.pen. allorché siano resi valori della persona costituzionalmente garantiti (101).

96) La cassazione ha rimesso la questione alle sezioni unite con ordinanza 4 agosto 2004, n. 113.
97) vedi, sia pure in senso dubitativo, M.ROSSETTI, Danno esistenziale: adesione, iconoclastia od epochè, in Danno e resp. 2000, 215.
98) in Foro it. 1999, I, 2487.
99 Vedi il catalogo contenuto nella nota di richiami a Corte cost. 19 dicembre 2003, n. 359 ed a Cass., sez.un., 4 maggio 2004, n. 8438, in Foro it. 2004, I, 1692,
100) con sentenza 11 luglio 2003, n. 233, in Foro it. 2003, I, 2201, con nota di E.NAVARRETTA (anticipata da Cass. 12 maggio 2003, n. 7283 e 7281, ibid., I, 2273-2274, con osservazioni di L. LA BATTAGLIA e commento di E.NAVARRETTA). Sulla sentenza della consulta vedi P.PERLINGIERI, L'art. 2059 c.c. uno e bino: una interpretazione che non convince, in Rass.dir.civ. 2003, 775; P.CENDON, P.ZIVIZ, Vincitori e vinti dopo la sentenza n, 233/2003 della Corte costituzionale, in Giur.it. 2003, 177; M.BONA, L'<
> dell'art. 2059 c.c., ma è tempo di vecchie regole !, in Giur.it. 2004, 1136; D.FONDAROLI, Risarcibilità del
danno non patrimoniale, reato e colpa (civilmente) presunta, in Dir.pen. e proc. 2004, 568; A.THIENE, L'inesorabile declino della regola restrittiva in tema di danni non patrimoniali, in Nuove leggi civ. 2004, 13.
101) Cass. 1 giugno 2004, n. 10482, in Foro it. 2005, I, 1487, con osservazioni di A.L. BITETTO nonché, da ultimo, Cass. 19 ottobre 2005, n. 20205.


Sono probabilmente superflue nuove categorie di danno giacché, nel nuovo sistema del danno non patrimoniale, è ormai sfatato il mito della natura necessariamente patrimoniale del danno risarcibile per violazione della lex contractus102;
-dall'altro, sul piano pratico, il mobbing, almeno quando si esprime con le molestie, può interferire con la normativa antiscriminatoria, attuata dai d.leg. 9 luglio 2003 n. 216 e n. 215, recanti rispettivamente "attuazione della direttiva n. 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro" e "attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica", pubblicate, rispettivamente, nelle Gazzette ufficiali n. 187 del 13 agosto 2003 e n. 186 del 12 agosto 2003103. Con questi interventi, il legislatore sembra procedere verso il
superamento delle regole classiche sull'accertamento del danno, ai fini del potenziamento di tutela del soggetto discriminato (104).
Procede in questa direzione anche il d.leg. 30 maggio 2005, n. 145 (di attuazione
della direttiva 2002/73/CE in materia di parità di trattamento tra gli uomini e le donne)105 che, integrando la l. 10 aprile 1991, n. 125, in materia di azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro, ha contemplato la risarcibilità anche del danno non patrimoniale (vedi il nuovo testo del 9° comma dell'art. 4) <(106).


Angelina-Maria Perrino

102) In termini, vedi R.BERTI, in R.BERTI, F.PECCENINI, M. ROSSETTI, I nuovi danni non patrimoniali, Milano, 2004, 46. In giurisprudenza, escludono l'autonoma rilevanza del danno esistenziale trib. Bologna 12 febbraio 2004, in Foro it., Rep. 2004, voce Danni civili, n. 229; trib. Napoli 10 febbraio 2004, ibid., n. 224.
103) In tema, P. CHIECO, Le nuove direttive comunitarie sul divieto di discriminazione, in Riv.it.dir.lav. 2002, I, 75; R.NUNIN, Recepite le direttive comunitarie in materia di lotta contro le discriminazioni, in Lavoro giur. 2003, 905.
104) in tema, vedi M.L. VALLAURI, commento a Cass. 12 febbraio 2004, n. 2690, in tema di danno da stress, in Lavoro giur. 2005, 156.
105 pubblicato nella gazzetta ufficiale n. 173 del 27 luglio 2005.
106) Vedi in tema G.DE SIMONE, Le molestie di genere e le molestie sessuali dopo la direttiva CE 2002/73, in Riv.it.dir.lav. 2004, I, 413; M.MISCIONE, Una forma sempre attuale di discriminazione: le molestie sessuali, in Dir.pratica lav. 2005, fasc. 25, Inserto, VI-VII; L.IMBERTI, Molestie sessuali e riprovevoli comportamenti "scherzosi" tra dipendenti: cosa deve fare il datore di lavoro (secondo la giurisprudenza ), nota a Cass. 8 marzo 2005, n. 4959 ed a Cass. 2 maggio 2005, n. 9068, in Lavoro giur. 2005, 944