M. Mocco, E. Parroni, G. C. Bondi, Considerazioni medico-legali



Considerazioni medico-legali sulle propblematiche del mobbing



CONSIDERAZIONI MEDICO-LEGALI SULLE PROBLEMATICHE DEL 'MOBBING'

Milena Mocco, Eleonora Parroni, Giuseppe Cave Bondi

'Mobbing' è una parola derivante dalla lingua inglese ed in particolare dal verbo 'to mob' che significa aggredire, assalire. Si tratta di un termine coniato dallo scienziato Konrad Lorenz nel 1971 per indicare un meccanismo di difesa collettivo che si attua nel mondo animale e mediante il quale un branco mantiene la sua omogeneità espellendo "il non simile" attraverso comportamenti di isolamento e lesivi.
Tale termine, proprio per un'analogia comportamentale che gli uomini assumono, è stato applicato ad una serie di atteggiamenti di lavoratori avversi ad un collega. Da 'mobbing' deriva quindi 'mobber', termine con cui si vuole indicare l'elemento attivo nella dinamica, e 'mobbizzato', neologismo con cui viene definita la vittima.
Il fenomeno del 'mobbing' ha acquisito dignità nel mondo medico-scientifico già nel 1986 quando lo psicologo tedesco Prof. Heinz Leymann cominciò ad illustrare le conseguenze, soprattutto sulla sfera neuropsichiatrica, di chi è esposto ad un comportamento vessatorio e persecutorio, protratto nel tempo, da parte di superiori e/o colleghi nell'ambiente di lavoro. Egli definisce il 'mobbing' come una forma di "terrore psicologico che implica un atteggiamento ostile e non etico diretto in modo sistematico da una o più persone preferenzialmente nei confronti di un solo individuo che, a causa del 'mobbing', viene a trovarsi in una condizione indifesa divenendo oggetto di continue ‘'mobbing' activities'. Queste azioni debbono ricorrere con una determinata frequenza (statisticamente almeno una volta alla settimana) e per un lungo periodo di tempo (statisticamente per almeno sei mesi). A causa dell'elevata frequenza e della lunga durata di tale comportamento ostile, questa forma di maltrattamento comporta considerevoli sofferenze mentali, psicosomatiche e sociali". Tale definizione esclude, come lo stesso Autore precisa successivamente, i 'conflitti temporanei', soprattutto sulla base della frequenza ridotta con cui questi ultimi vengono inflitti. La distinzione viene fatta dunque in base ad un parametro 'temporale' piuttosto che 'modale'.
I più recenti dati statistici indicano che in Europa il 'mobbing' colpisce circa 12 milioni di lavoratori, mentre in Italia si contano circa un milione di vittime; sempre in Italia, la stima sale a 5 milioni di persone, se si considerano anche coloro i quali sono in qualche modo coinvolti nel fenomeno come spettatori o amici o familiari delle vittime stesse.
Tuttavia nel nostro Paese non c'è ancora una cultura in grado di identificare chiaramente questo fenomeno. La motivazione è probabilmente da ricercare, come sostiene Ege, nel fatto che l'Italia presenta una caratteristica originale non rilevabile elle altre nazioni europee: un elevato tasso di conflittualità che viene percepito come la regola. Di conseguenza, sempre secondo l'Autore, noi Italiani avvertiamo una condizione di 'mobbing' in una fase avanzata rispetto ai colleghi d'oltralpe, in quanto viviamo nell'ambiente di lavoro un conflitto fisiologico accettato come norma.
Il 'mobbing', essendo di così recente "scoperta", non è stato ancora inquadrato in modo univoco da un punto di vista clinico, né, di conseguenza, da un punto di vista nosologico. Fino ad ora, da quanto emerge dalla letteratura, gli Autori che hanno studiato il fenomeno del 'mobbing' si sono in effetti limitati a descrivere il corteo sintomatologico che si sviluppa in un soggetto 'mobbizzato'. Si tratta sostanzialmente di una forma di terrore psicologico che viene esercitato sul posto di lavoro attraverso attacchi ripetuti da parte di colleghi o dei datori di lavoro nei confronti di un collega che si traduce più frequentemente da un punto di vista clinico in una sindrome depressiva o in attacchi di panico (con o senza agorafobia).
Questa persecuzione psicologica può essere di tipo individuale o collettivo, esercitata sia in "orizzontale", ovvero tra pari, sia in "verticale" cioè da capo a subordinato o, addirittura, da subordinato a capo e può manifestarsi attraverso diverse forme. Dalla semplice emarginazione alla diffusione di maldicenze, dalle continue critiche alla sistematica persecuzione, dall'assegnazione di compiti dequalificanti alla compromissione dell'immagine sociale nei confronti di clienti e superiori. Data la vastità e la complessità della patologia sono stati effettuati vari tentativi di sistematizzare i diversi atteggiamenti che delineano la mobbizzazione nonché il quadro sintomatologico e clinico.
Per quanto attiene le modalità di mobbizzazione il fenomeno è caratterizzato da comportamenti volti ad insinuare insicurezza e disistima nel soggetto colpito, attraverso una serie di atteggiamenti quali: eccessivi controlli e critiche con intenti maligni, assegnazione di compiti al di sotto o al di sopra delle capacità, rifiuto di permessi, negazione di informazioni necessarie per eseguire correttamente il proprio lavoro, imposizione al mobbizzato di obiettivi impossibili da raggiungere. A volte il 'mobbing' si può esplicitare anche attraverso tattiche di terrore, aggressione aperta, abusi e oscenità, urla e rabbia incontrollata; umiliazione davanti ad altri colleghi, insulti personali e diffusione di voci maligne infondate, esclusione ed ascolto negato ai punti di vista altrui, togliendo la parola alla vittima durante le conversazioni, fino ad arrivare a minacce, intimidazioni ed attacchi fisici.
Tutto ciò si traduce nell'insorgenza di ansia, attacchi di panico, depressione, emicrania e cefalea muscolo-tensiva, nonché perdita di memoria, difficoltà di concentrazione ed insonnia. Associata alla sintomatologia neurologica, possono manifestarsi segni clinici obiettivabili a carico dell'apparato cardiorespiratorio (tachicardia, palpitazioni, infarto del miocardio, dispnea), digerente (problemi gastrici, bruciori di stomaco, ulcera), della cute (dermatosi, psoriasi).
Per ciò che concerne il risarcimento del danno per 'mobbing', quest'ultimo non trova ancora nel nostro ordinamento giuridico una disciplina specifica. Sottolineiamo "ancora" in quanto è del 1996 la prima proposta di legge elaborata da un gruppo di parlamentari in tema di 'mobbing'. Successivamente su iniziativa di Onorevoli sia della Camera sia del Senato sono state presentate altre proposte di legge, che tuttavia sono al vaglio dei due rami del Parlamento.
Abbiamo quindi ritenuto opportuno, anche alla luce delle recenti sentenze pronunciate dal Tribunale di Torino il 16 novembre ed il 30 dicembre 1999, di affrontare il problema 'mobbing' nell'ambito civilistico volgendo particolare attenzione al ruolo che il medico-legale potrebbe avere in qualità di consulente.
Il danno biologico è definito come "qualsiasi menomazione dell'integrità psico-fisica incidente sul valore uomo in tutta la sua concreta dimensione: non si esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza, ma si collega alla somma delle funzioni naturali afferenti al soggetto nell'ambiente in cui la vita si esplica, ed aventi rilevanza non solo economica, ma anche biologica sociale, culturale e estetica".
Sotto il profilo civilistico, il danno che si viene a configurare in una persona vittima del 'mobbing' risponde ai caratteri che delineano il danno biologico in termini di danno psichico e psicosomatico. Per quanto concerne la nozione di danno biologico la giurisprudenza ha infatti riconosciuto che qualunque danno alla salute comporta anche un danno in termini di ostacoli alla normale vita di relazione che, conseguentemente,
risulta menomata.
Secondo l'articolo 2043 del codice civile, l'esistenza di un danno ingiusto, che nella fattispecie si configura come danno della sfera psichica, presuppone il risarcimento che, in un caso di 'mobbing', indipendentemente dalle obbligazioni che gravano sul datore di lavoro ai sensi degli articoli 2049 e 2087, va totalmente addebitato in maniera personale e diretta all'autore e/o agli autori di violenze psicologiche. In base all'articolo 2087 del Codice Civile il datore di lavoro è tenuto a garantire l'integrità fisico-pisichica dei propri dipendenti e, quindi, ad impedire e scoraggiare eventuali contegni aggressivi e vessatori da parte di preposti e responsabili, nei confronti dei rispettivi sottoposti.
Quindi, alla luce di quanto sopra, il datore di lavoro non solo deve rispettare le norme anti-infortunistiche che disciplinano il lavoro stesso in luoghi pericolosi o insalubri, prescrivendo specifici mezzi di prevenzione e protezione, ma deve anche prevenire i danni alla salute adottando tutti gli strumenti resi disponibili dall'attuale stato della scienza e della tecnica, benché non espressamente contemplati dalle norme anti-infortunistiche. In conclusione è tenuto al risarcimento del danno biologico derivante anche da una menomazione psichica subita nell'espletamento della attività lavorativa.
Dunque l'obiettivo iniziale sarà quello di inquadrare le effettive situazioni di molestie morali che una volta accertate dovranno essere direttamente correlate, secondo la criteriologia medico-legale, con l'incivile comportamento dei 'mobbers'.
Il presupposto infatti è che il lavoratore sia stato oggetto di vessazioni, anche in modo del tutto "legale". Infatti il risarcimento di ogni danno, ivi compreso quello biologico, presuppone la natura illecita del comportamento che l'ha cagionato. Tuttavia, in determinate condizioni, anche un comportamento astrattamente lecito può essere
fonte di risarcimento del danno. Infatti, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 475, pronunciata il 19 gennaio 1999, riconosceva che le reiterate visite di controllo sul lavoratore assente per malattia, richieste dal datore di lavoro, configuravano un comportamento persecutorio, con conseguente diritto da parte del lavoratore, al risarcimento del danno. Pertanto, anche l'esercizio di un diritto, se avviene con modalità vessatorie, può cagionare un danno risarcibile ed, in sintesi, 'mobbing'.
Può accadere tuttavia che non tutti quelli che lamentano di essere vittime del 'mobbing' lo sono effettivamente. E' noto che vi sono personalità disturbate, persone che hanno difficoltà di adattamento al modificarsi delle situazioni, oppure soggetti che si reputano degli incompresi. Allo stesso modo un comportamento incongruo del dipendente nei confronti dell'azienda, per esempio mediante diffusione, a mezzo stampa, di accuse diffamatorie, può giustificare il licenziamento del lavoratore per giusta causa.
Pertanto, ogni qual volta un individuo intenta una causa civile "per 'mobbing'", si renderà necessario provare anche lo stato psichico del mobbizzato, ovvero un approfondimento da parte di specialisti, al fine di valutare l'esistenza reale della patologia psichiatrica. In effetti per provare l'effettiva menomazione della salute della vittima è essenziale provare l'esistenza di una patologia che sia correlabile al vissuto.
L'approccio iniziale dovrebbe volgere ad inquadrare il soggetto con un colloquio occupazionale molto accurato che riguardi l'intera vita lavorativa del soggetto e con un colloquio clinico di tipo specificamente psicologico per analizzare le caratteristiche di personalità e gli approcci relazionali. Il lavoratore dovrebbe essere successivamente sottoposto ad una visita neuropsichiatrica con esami strumentali ed accertamenti di tipo diagnostico mirati sia a valutare lo stato psichico ed i danni subiti, sia a raccogliere elementi per una diagnosi differenziale. In definitiva, comunque, dovrebbe emergere un'anamnesi negativa per precedenti patologie di natura psichica e che la mobbizzazione sia stata la causa, per quanto sia possibile parlare di causa in psichiatria, della patologia.
Tale compito risulta di esclusiva pertinenza medico-legale, ma dalla lettura del testo delle due sentenze pronunciate a Torino, si evince un orientamento giurisprudenziale decisamente in contrasto. Infatti nel corso dei processi veniva richiesta dalle parti una consulenza medico-legale al fine di chiarire eziologia, natura e gravità della patologia sofferta dai rispettivi ricorrenti, ma il giudice, il medesimo in entrambi i processi, respingeva l'istanza ritenendo del tutto superfluo l'accertamento peritale, dal momento che l'istruttoria stessa era da sola in grado di definire ogni profilo della vertenza.
In definitiva, il medico-legale perde il proprio ruolo di consulente nella misura in cui il Giudice, peritus peritorum, decide che l'elaborato risulta del tutto superfluo. Tale posizione sembra essere condivisa da alcuni Autori (peraltro giuristi) che affermano "...  a fronte del carattere temporaneo delle lesioni subite dalle vittime, delle prove testimoniali sulla durata delle patologie e dei documenti clinici prodotti dalle ricorrenti
nei giudizi in questione, sarebbe stato invero superfluo ricercare ulteriori conferme nella consulenza di un esperto". Vorremmo ribadire in tale sede il ruolo fondamentale del medico-legale come consulente del Giudice nel corso dei processi, in quanto, di norma, il suo elaborato costituisce un'indagine tecnica in cui viene formulato un parere motivato in merito al caso. La forma mentis dello specialista gli consente di valutare correttamente non solo l'esistenza di un danno e del nesso causale ma, in base al rapporto giuridico cui il caso attiene, la valutazione del caso medesimo in termini adeguati. Il giusto inquadramento clinico del soggetto in causa, interpretato da un punto di vista medico-legale, potrebbe addirittura escludere la presenza di un danno biologico.
Da qualunque punto di vista si affronti l'argomento sembra lecito formulare una domanda: "è davvero necessaria una legge sul 'mobbing'?". Se lo chiedono Monateri, Bona e Oliva a conclusione della loro monografia sull'argomento e la loro posizione in proposito è chiara quando affermano "... il migliore ombrello di tutela è quello fornito da poche e chiare norme di principio, da riempire di volta in volta attraverso l'esperienza giurisprudenziale, piuttosto che da un'analitica previsione normativa di figure di illecito". In effetti i casi di 'mobbing' sembrano potersi configurare in altre forme di reato quali, ad esempio, il danno alla salute, che potrà essere risarcito secondo l'articolo 2087 del codice civile e/o l'articolo 2043; se poi nell'ambito della 'mobbizzazione' la vittima viene trasferita a "mansioni dequalificanti" il risarcimento a
tale azione risulta previsto dall'articolo 2103 sempre del codice civile. Ma, in primis, sono i principi fondamentali della Costituzione (art. 2, 4, 13 e 32 della Costituzione) che vengono ad essere lesi in ogni caso di 'mobbing'.
La questione dovrà essere ulteriormente approfondita, ma, in linea di massima, non dissentiamo dal parere dei precitati Autori. Anche perché l'ambito di applicazione specifico della infortunistica lavorativa non sembrerebbe particolarmente giovarsi di norme quadro di carattere generale, quanto piuttosto di una valutazione caso per caso.