Disegno di Legge n.471 del 19.5.06



Disposizioni a tutela dalla persecuzione psicologica negli ambienti di lavoro

SENATO DELLA REPUBBLICA
XV LEGISLATURA

DISEGNO DI LEGGEN. 471

 COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 19 MAGGIO 2006


d'iniziativa del senatore TOFANI

Disposizioni a tutela dalla persecuzione psicologica negli ambienti di lavoro


Onorevoli Senatori. - Il mobbing e` un fenomeno antico e ben conosciuto in ogni cultura, ma e` stato descritto in maniera sistematica, per la prima volta, nel 1982 in una ricerca pubblicata (nel 1984) dal Ministero nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro svedese (Leymann e Gustavsonn, 1984).
Il primo ricercatore che ha analizzato i contenuti e lo sviluppo del mobbing sul posto di lavoro e` stato Heinz Leymann, psicologo del lavoro dell'Universita` di Umea, in Svezia.
Il progetto di ricerca di Leymann fu avviato su iniziativa del Governo svedese a causa dell'incremento sempre piu` massiccio dell'assenteismo dovuto al disagio lavorativo.
Il termine etologico mobbing costituisce l'ennesimo «anglicismo» recentemente entrato a far parte delle parole di uso comune anche nella pratica giudiziaria: esso rievoca scenari di aggressivita` (to mob significa: assalire, aggredire in gruppo) che si pongono in contrasto con l'ordinato vivere sociale e con il regolare svolgimento di un rapporto di lavoro subordinato, e viene associato propriamente alle diverse molestie e pratiche di vessazione, persecuzione, ritorsione e violenza psicologica messe in atto deliberatamente e ripetutamente dal datore di lavoro o dai superiori, ma anche da colleghi di pari livello o subalterni, nei confronti di un soggetto designato, tali da porlo in una condizione di estremo disagio caratterizzata da isolamento e terrore psicologico, che puo`danneggiare l'equilibrio psicofisico anche fino a comprometterlo gravemente.
L'estrema attualita` del predetto fenomeno, contrassegnata anche dal rilievo dato dai mezzi di comunicazione di massa, ha offerto lo spunto per diversi, recenti interventi sul tema, specie sotto il profilo del danno alla persona del lavoratore.
Grazie agli studi effettuati da esperti in neuropsichiatria e in medicina del lavoro, si e` potuto affermare che il mobbing e` fenomeno ubiquitario piuttosto diffuso in tutte le realta` lavorative, non solo private ma anche pubbliche e, tuttavia, e` con riferimento alle prime che esso si e` primariamente palesato ed e` stato oggetto di studi approfonditi sotto il profilo sia medico sia legale.
Il mobbing, alla luce anche dell'esperienza sin qui maturata, puo` definirsi come «un'attivita` persecutoria posta in essere da uno o piu` soggetti (non necessariamente in posizione di supremazia gerarchica) e mirante ad indurre il destinatario della stessa a rinunciare volontariamente ad un incarico ovvero a precostituire i presupposti per una revoca attraverso una sua progressiva emarginazione dall'ambiente di lavoro». Tale attivita` deve avere una durata di piu` mesi (normalmente sei, secondo le piu` recenti ipotesi della medicina del lavoro) per poter essere sussunta nel concetto di mobbing.
Nel rapporto di lavoro privato il fenomeno e` gia` piu` volte giunto all'attenzione della scienza medico-legale e del lavoro, approdando anche presso l'Autorita` giudiziaria, sebbene cio` sia accaduto da noi con gran ritardo rispetto ai paesi nord-europei, ove vi e` una maggiore cultura della difesa dell'integrita` psicofisica del lavoratore.
L'emarginazione dal lavoro, ingiustamente attuata attraverso il depontenziamento e la demotivazione del singolo lavoratore, pur non essendo stata positivizzata in una specifica norma (com'e` invece accaduto in Svezia) costituisce comunque una situazione rilevante sotto il profilo, sia medico sia legale, che, ove accertata, puo` comportare una reazione da parte dell'ordinamento giuridico.
Esso, inteso quale «attivita` persecutoria ed inibitrice» esercitabile nell'ambito del rapporto di lavoro dipendente, non rappresenta certamente una novita`, tant'e` che il legislatore del 1942 si era interessato del problema ponendo nell'articolo 2087 del codice civile (Tutela delle condizioni di lavoro) il principio secondo il quale incombe al datore di lavoro l'obbligo di tutelare la salute psicofisica dei propri dipendenti.
La Costituzione repubblicana ha poi specificato che l'attivita` economica non puo` svolgersi in contrasto con la dignita` umana e, ciononostante, il problema del mobbing si e` presentato - di recente - anche nel pubblico impiego ove si e` certamente «slatentizzato» per l'innesto massiccio di logiche privatistiche nell'organizzazione e nell'operato dell'Amministrazione, consacrato nel decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (abrogato dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165).
In alcuni settori, esso ha avuto maggiore presa come nel mondo della sanita`, ove ha trovato un terreno particolarmente fertile nei delicati rapporti esistenti fra personale medico e paramedico, fra struttura apicale sanitaria e dirigenza generale alla quale ultima sono stati attribuiti, dalle piu` recenti leggi di riforma, poteri decisionali caratterizzati dalle piu` ampie discrezionalita`, tali da sfociare in forme di vero e proprio arbitrio, non facilmente sindacabili da parte dell'autorita` giudiziaria.
Anche in seno alle autonomie locali si sono registrati comportamenti «mobizzanti», ad esempio nei confronti dei segretari comunali, dopo le recenti leggi di riforma della categoria.
E gli esempi potrebbero continuare: si avverte, infatti, un crescente e generalizzato malessere nei diversi settori attraverso i quali si articola l'amministrazione pubblica, generato da crescenti condotte asseritamente vessatorie perpetrate nei confronti del lavoratore.
Individuata l'esistenza di un vizio genetico nella vigente legislazione, che favorisce il diffondersi di atteggiamenti discriminatori nel mondo della pubblica amministrazione e, conseguentemente, segnalata l'esigenza di un intervento legislativo riparatore come prima difesa di fronte al fenomeno, va comunque affermato che l'attivita` persecutoria posta in essere dal detentore di poteri decisionali capaci di incidere nell'altrui sfera giuridica, ove provata, costituisce un atto illecito, cioe` un atto che devia dai canoni del buon andamento della pubblica amministrazione e che e` meritevole di sanzione da parte dell'ordinamento giuridico.
Di fronte ad atteggiamenti palesemente «mobizzanti», il lavoratore pubblico o privato puo` certamente trovare una prima forma di tutela giudiziale nell'invocazione di provvedimenti d'urgenza di tipo inibitorio innanzi al giudice del lavoro (vedi Pretura di Milano, sentenza 31 gennaio 1997) e, tuttavia, tale ipotesi non sembra di facile realizzazione anche per la mancanza di norme processuali ad hoc.
Nella ricerca di una disciplina giuridica che permettesse, da un lato, la tutela del lavoratore ed il risarcimento per i danni subiti in conseguenza di comportamenti persecutori sul lavoro e che, dall'altro, sanzionasse e scoraggiasse detti comportamenti, la giurisprudenza consolidata ha fatto uso di diversi princı`pi e norme appartenenti a molteplici rami del diritto. Sono richiamabili in materia sia disposizioni internazionali e comunitarie, sia norme costituzionali, nonche´ regole civilistiche, penali e legislazioni speciali.
Il mobbing, infatti, costituisce una fattispecie complessa che comporta il coinvolgimento (e la compromissione) di diritti fondamentali non solo dell'individuo in qualita` di prestatore di lavoro, ma anche della persona in quanto tale.
Ne deriva la costruzione di un articolato impianto normativo dove le regole vengono a combinarsi e a sovrapporsi, in relazione alle modalita` concrete di attuazione delle condotte persecutorie ed ai beni giuridici che esse ledono.
La base della ricostruzione giurisprudenziale consolidata in questa materia, che tiene conto dei princı`pi fondamentali, comunitari e costituzionali, e` costituita da una lettura combinata delle norme costituzionali di cui all'articolo 32 della Costituzione (che costituisce il diritto primario e assoluto della salute) ed all'articolo 41, secondo comma, della Costituzione (che pone un limite al principio della liberta` di iniziativa economica privata laddove ne vieta l'esercizio con modalita` tali da pregiudicare la sicurezza e la dignita` umana) con le norme civilistiche contenute nell'articolo 2087 del codice civile (che delinea invece la responsabilita` extracontrattuale), nonche´ gli articoli 1175 e 1375 del codice civile (princı`pi di correttezza e buona fede).
In particolare, l'articolo 2087 del codice civile, che, ad integrazione delle obbligazioni nascenti dal contratto di lavoro, dispone che «L'imprenditore e` tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa tutte le misure che, secondo la particolarita` del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrita` fisica e la personalita` morale dei prestatori di lavoro», e` interpretato in quest'ambito della costante giurisprudenza come una norma di chiusura del sistema di protezione del lavoratore, che impone al datore di lavoro non solo l'adozione delle misure richieste specificamente dalla legge, dall'esperienza e dalle conoscenze tecniche, ma anche l'obbligo piu` generale di attuare tutte le misure generiche di prudenza e diligenza necessarie  al fine di tutelare l'incolumita` ed integrita` psicofisica del lavoratore.
Da questa disposizione viene quindi fatto derivare sia il divieto per il datore di lavoro di compiere direttamente qualsiasi comportamento (quali ne siano la natura e l'oggetto) lesivo dell'integrita` fisica e della personalita` del dipendente, sia di prevenire e scoraggiare la realizzazione di simili condotte nell'ambito ed in connessione con lo svolgimento dell'attivita` lavorativa. L'inadempimento di tale suo obbligo, genera la responsabilita` contrattuale del datore di lavoro.
Tralasciando gli aspetti penali, che pure potrebbero rilevare in ipotesi di comportamenti vessatori ai danni dei pubblici dipendenti, e` evidente che il mobbing puo` essere causa di «danno biologico» risarcibile innanzi al giudice ordinario, danno biologico che ha trovato la sua prima definizione in sede legislativa con il comma 3 dell'articolo 5 della legge 5 marzo 2001, n. 57, che, seppure ad altri fini, lo ha definito come «lesione all'integrita` psicofisica della persona
suscettibile di accertamento medico-legale» che «e` risarcibile indipendentemente dalla sua incidenza sulla capacita` di produzione del reddito del danneggiato».
L'ipotesi del risarcimento del danno biologico e`, dunque, quella che statisticamente dovrebbe essere preminente. Essa postula un duplice accertamento fattuale: innanzitutto, relativo alla sussistenza di un atteggiamento ingiustificatamente vessatorio e, solo successivamente, l'accertamento dell'esistenza di effetti pregiudizievoli per l'equilibrio psicofisico del dipendente direttamente connessi al fatto «mobbistico», accertamento da compiersi essenzialmente attraverso un'attenta consulenza medico-legale (i parametri generalmente applicabili sono quelli del disagio psicofisico, come descritti nella sentenza resa dal Tribunale di Torino in data 11 dicembre 1999 e pubblicata in Foro Italiano n. 1/2000, p. 1555; cfr, altresı`, le autorevoli considerazioni sul tema del consigliere M.Oricchio).
Successivamente a tale duplice accertamento si potra` procedere alla determinazione del risarcimento del danno da effettuare probabilmente in via equitativa tenendo altresı` presente che - vertendosi in ipotesi di responsabilita` contrattuale - si dovra` tener conto del limite della «prevedibilita` del danno» di cui all'articolo 1225 del codice civile, ove non sia provato il dolo del debitore.
All'uopo la Corte di cassazione, con sentenza 8 gennaio 2000, n. 143, ha stabilito che qualora da un comportamento mobizzante derivi un pregiudizio per il lavoratore, implicante lesione del bene primario della salute o integrante quel tipo di nocumento che dalla dottrina e dalla giurisprudenza viene definito biologico, evidente e` la responsabilita` del datore di lavoro purche´ sia accertata l'esistenza di un nesso causale tra il suddetto comportamento doloso o colposo e il pregiudizio che ne deriva. La prova degli elementi essenziali deve essere fornita dal lavoratore.
Talche´, pur non potendosi escludere che il reperimento delle varie fonti di prova possa risultare particolarmente difficoltoso a causa di eventuali sacche di omerta`, sempre presenti, tuttavia non v'e` chi non veda che la mancata acquisizione della prova in questione, riguardo alle cause
che hanno determinato la lesione dedotta e gli effetti asseritamente derivati, impedisce al giudice l'accoglimento della domanda.
Nel caso in cui siano poste in essere nei confronti del lavoratore delle condotte ingiuriose, la giurisprudenza ha riconosciuto la responsabilita` del datore di lavoro ed ha ritenuto risarcibili il danno morale (configurabile ex articolo 2059 del codice civile nel caso in cui sia integrato il reato - nella specie - di ingiuria, articolo 594 del codice penale), il danno patrimoniale e anche quello biologico.
Sia la Corte di cassazione che la Corte costituzionale, nella loro funzione di concorrere alla certezza del diritto, l'una, e di garantire la conformita` delle leggi, l'altra, hanno posto congiuntamente, negli ultimi anni, alcuni punti fermi, seppure a volte in contrasto fra loro.
Il primo punto e` costituito dall'affermazione del principio del neminem laedere come immanente nell'ordinamento giuridico, quando la lesione attiene ai diritti umani inviolabili, tra i quali vi e` la salute (principio presente anche nella Costituzione europea, articolo II-95 del Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa.
L'altro punto fermo e` che «il risarcimento del danno alla persona deve essere totale» (non parzialmente indennizzatorio), patrimoniale e non patrimoniale.
Cio` in linea con il legislatore che, nella riforma dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (introdotta con decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38) e nel progetto di danno alla persona sembra ispirarsi a tale principio, affermando la natura non patrimoniale e areddituale del danno stesso (articolo 13 del decreto legislativo citato).
Si tratta, poi, di stabilire, discostandosi per un momento dallo stretto ambito di applicazione dell'articolo 2087 del codice civile, ovvero dalla casistica di lesioni dell'integrita` psicofisica del lavoratore subordinato, se la Cassazione ha seguito o meno la proposta interpretativa della Corte costituzionale contenuta nella sentenza n. 372 del 1994 (la nota sentenza «Mengoni»), ove la differenziazione tra la lesione della salute fisica e la lesione della salute psichica sembro` divenire massima.
La Corte, infatti, nell'affermare la piena risarcibilita` del danno alla salute, intese evitare ogni distinzione tra integrita` fisica e integrita` psichica, confermando tale orientamento anche in successive sentenze nelle quali ha sostenuto il principio in virtu` del quale il diritto alla salute e` un «diritto erga omnes» garantito immediatamente dalla Costituzione e come tale direttamente tutelato e azionabile dai soggetti legittimati nei confronti degli autori dei comportamenti illeciti.
Il presente disegno di legge e` finalizzato ad avviare un dibattito sulle problematiche esposte, generate dall'eccessivo dilatarsi del fenomeno del mobbing, che incidono pesantemente sulla dignita` e sull'integrita` psico-fisica dei soggetti che ne sono coinvolti.
Esso intende favorire l'attuazione di un'azione preventiva efficace di atti e comportamenti cosı` fortemente lesivi al fine di controllare il mobbing e i suoi effetti.
Sono necessari, a tal fine, innanzitutto una risposta legislativa adeguata che tenda a prevenire la possibile insorgenza, nel settore pubblico e in quello privato, di atteggiamenti «mobbistici» e un concreto utilizzo degli organi di controllo interno ad ogni amministrazione per monitorare la situazione dei dipendenti sotto il profilo non solo del rendimento, ma anche della corretta gestione delle risorse umane. Solo la costante applicazione di tali metodi evitera` un prevedibile massiccio ricorso alla giurisdizione per reprimere ogni tipo di condotta asseritamente «mobbistica », con il conseguente aumento di cause per risarcimento del danno biologico da mobbing.
L'ordinamento giuridico del lavoro in Italia e` stato costruito sul presupposto che i rapporti tra datori e prestatori di lavoro siano presidiati da regole vincolanti, dettate dal legislatore o convenute in sede di contrattazione collettiva. Spesso, si tratta di precetti eccessivamente rigidi, sovente inattuabili, tali da favorire l'evasione e gli aggiramenti, fomentando comunque il contenzioso.
Nei paesi di common law esistono strumenti diversi, come per esempio i codes of practice e, piu` in generale, le soft laws («norme leggere»), che mirano ad orientare l'attivita` dei soggetti destinatari, senza peraltro costringerli ad uno specifico comportamento, vincolandoli tuttavia al conseguimento di un determinato obiettivo.
Il «Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia» contiene, tra le altre, proposte per contribuire alla riflessione circa l'identificazione di indicatori di qualita` a livello europeo, nella consapevolezza che, in ogni caso, essi non dovranno tradursi in ulteriori vincoli, bensı` in strumenti per incentivare opportuni investimenti, anche di carattere formativo, nelle risorse umane.
Giova ricordare che nella passata legislatura, a partire dal 14 marzo 2002, la 11ª Commissione (Lavoro, previdenza sociale) del Senato ha avviato l'esame di alcuni disegni di legge sulla materia a cui, nel corso dello svolgimento, se ne sono aggiunti altri.
Il presente disegno di legge riproduce il testo unificato adottato come testo base dalla Commissione il 28 giugno 2005.
L'articolo 1 indica le finalita` del provvedimento, fornendo al comma 2 una definizione di violenza o persecuzione psicologica, intese come ogni atto o comportamento adottati dal datore di lavoro, dal committente, dall'utilizzatore ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, da superiori ovvero da colleghi di pari grado o di grado inferiore, con carattere sistematico, intenso e duraturo, finalizzati a danneggiare l'integrita` psicofisica della lavoratrice o del lavoratore. Gli atti o comportamenti
devono essere idonei a compromettere la salute o la professionalita` o la dignita` della lavoratrice o del lavoratore.
L'articolo 2 reca disposizioni relative all'attivita` di prevenzione e di accertamento, la cui adozione e` affidata ai datori di lavoro o committenti, pubblici e privati, agli utilizzatori di cui all'articolo 20 del citato decreto legislativo 276 del 2003 e alle rappresentanze sindacali.
In particolare, il comma 3 prevede la facolta` di adottare codici antimolestie e codici volti alla prevenzione degli atti e comportamenti, anche mediante procedure di carattere conciliativo e tecniche incentivanti.
L'articolo 3 prevede la possibilita`, per i datori di lavoro, rappresentanze sindacali, eccetera, di porre in essere iniziative di informazione periodica sulle fattispecie di cui all'articolo 1, comma 2, e attribuisce ai lavoratori il diritto di riunirsi fuori dell'orario di lavoro - nei limiti di cinque ore su base annuale - per discutere dei problemi attinenti alle problematiche in oggetto.
L'articolo 4 prevede l'adozione, da parte del personale ispettivo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, del provvedimento di disposizione di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124, e stabilisce l'applicazione di sanzioni amministrative per la mancata ottemperanza alla disposizione.
L'articolo 5 reca norme volte a garantire la tutela giudiziaria ai lavoratori, su ricorso degli stessi, nel caso di atti o comportamenti posti in essere ai sensi dell'articolo 1, comma 2.
L'articolo 6 stabilisce che su istanza della parte interessata, il giudice puo` disporre che della sentenza di accoglimento o di rigetto di cui all'articolo 5 venga data informazione.
L'articolo 7 reca le norme finanziarie, prevedendo che gli obblighi derivanti dagli articoli 2 e 3 a carico delle pubbliche amministrazioni trovano applicazione esclusivamente nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio.

Art. 1.
(Definizione ed ambito di applicazione)

1. La presente legge ha la finalita` di dettare i principi fondamentali in tema di mobbing, intendendosi per tale la violenza o persecuzione psicologica, come definita dal comma 2. Sono fatte salve le competenze delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano con riferimento agli interventi sociosanitari in materia.
2. Si intende per violenza o persecuzione psicologica ogni atto o comportamento adottati dal datore di lavoro, dal committente, dall'utilizzatore ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, da superiori ovvero da colleghi di pari grado o di grado inferiore, con carattere sistematico, intenso e duraturo, finalizzati a danneggiare l'integrita` psicofisica della lavoratrice o del lavoratore. Gli atti o comportamenti devono esseri idonei a compromettere la salute o la professionalita` o la dignita` della lavoratrice o del lavoratore.
3. Le disposizioni di cui alla presente legge si applicano a tutte le tipologie di lavoro, pubblico e privato, indipendentemente dalla loro natura, nonche´ dalla mansione
svolta e dalla qualifica ricoperta.

Art. 2.
(Attivita` di prevenzione e di accertamento.Codici antimolestie)

1. I datori di lavoro o i committenti, pubblici o privati, ovvero gli utilizzatori ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e le rappresentanze sindacali adottano tutte le iniziative necessarie, intese a prevenire e a contrastare i fenomeni di violenza e di persecuzione psicologica di cui all'articolo 1, comma 2.
2. Qualora siano denunciati, da parte di singoli o di gruppi di lavoratori, atti o comportamenti di cui all'articolo 1, comma 2, il datore di lavoro, il committente o l'utilizzatore ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, sentite le rappresentanze sindacali e ricorrendo, ove ne ravvisi la necessita`, a forme di consultazione dei lavoratori dell'area interessata, provvede tempestivamente all'accertamento dei fatti denunciati e predispone misure idonee per il loro superamento.
3. I soggetti che stipulano i contratti collettivi nazionali di lavoro hanno la facolta` di adottare codici antimolestie e, in particolare, codici volti alla prevenzione degli atti e comportamenti di cui all'articolo 1, comma 2, anche mediante procedure di carattere conciliativo e tecniche incentivanti.

Art. 3.
(Attivita` di informazione)

1. I datori di lavoro o i committenti, pubblici o privati, ovvero gli utilizzatori ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e le rappresentanze sindacali pongono in essere iniziative di informazione periodica sulle fattispecie di cui all'articolo 1, comma 2.
2. I lavoratori hanno diritto di riunirsi fuori dall'orario di lavoro, nei limiti di cinque ore su base annuale, per discutere riguardo alle violenze ed alle persecuzioni psicologiche di cui all'articolo 1, comma 2. Le riunioni sono indette e si svolgono con le modalita` e con le forme di cui all'articolo 20 della legge 20 maggio 1970, n. 300.

Art. 4.
(Potere di disposizione)

1. Il personale ispettivo del Ministero del lavoro e della previdenza sociale adotta, nei confronti dei soggetti che pongono in essere gli atti o comportamenti di cui all'articolo 1, comma 2, il provvedimento di disposizione di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124.
2. La mancata ottemperanza alla disposizione, emanata ai sensi del comma 1, comporta l'applicazione della sanzione amministrativa da euro 1.000,00 ad euro 6.000,00.
Nei confronti dei lavoratori la mancata ottemperanza di cui al primo periodo comporta l'applicazione della sanzione amministrativa da euro 300,00 ad euro 600,00.

Art. 5.
(Tutela giudiziaria)

1. Qualora vengano posti in essere atti o comportamenti definiti ai sensi dell'articolo 1, comma 2, su ricorso del lavoratore o, per sua delega, di organizzazioni sindacali, il tribunale territorialmente competente in funzione di giudice del lavoro, nei cinque giorni successivi, convocate le parti e assunte sommarie informazioni, se ritenga sussistente la violazione di cui al ricorso, ordina al responsabile del comportamento denunziato, con provvedimento motivato e immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo, dispone la rimozione degli effetti degli atti illegittimi, stabilisce le modalita`di esecuzione della decisione e determina
in via equitativa la riparazione pecuniaria dovuta al lavoratore per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione del provvedimento.
Contro tale decisione e` ammessa, entro quindici giorni dalla comunicazione alle parti, opposizione davanti al tribunale, che decide in composizione collegiale, con sentenza immediatamente esecutiva, la quale determina altresı` in via equitativa la riparazione pecuniaria per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione della medesima. Si osservano le disposizioni degli articoli 413 e seguenti del codice di procedura civile. L'efficacia esecutiva del provvedimento di cui al primo periodo non puo` essere revocata fino alla sentenza del tribunale che definisce il giudizio instaurato ai sensi del secondo periodo.
2. Qualora dagli atti o comportamenti di cui all'articolo l, comma 2, derivi un pregiudizio per il lavoratore, quest'ultimo ha diritto al risarcimento dei danni, ivi compresi quelli non patrimoniali, da far valere in sede di giudizio di cognizione ordinaria. Resta comunque fermo quanto previsto dall'articolo 13 del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38, e successive modificazioni.
3. Le variazioni nelle qualifiche, nelle mansioni e negli incarichi ed i trasferimenti che costituiscano atti o comportamenti di cui all'articolo 1, comma 2, nonche´ le dimissioni determinate dai medesimi atti o comportamenti sono impugnabili ai sensi dell'articolo 2113 del codice civile, secondo, terzo e quarto comma, fatto salvo il risarcimento dei danni ai sensi del comma 2 del presente articolo.
4. Resta ferma la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per il personale di cui all'articolo 3, del decreto legislativo  30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni.
5. E` fatta salva la competenza delle consigliere e dei consiglieri di parita` ai sensi degli articoli 36, 37, 38 e 39 del codice delle pari opportunita` tra uomo e donna di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198.

Art. 6.
(Pubblicita` del provvedimento del giudice)

1. Su istanza della parte interessata, il giudice puo` disporre che della sentenza di accoglimento ovvero di rigetto di cui all'articolo 5 venga data informazione, a cura del datore di lavoro, del committente o dell'utilizzatore ai sensi dell'articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, mediante lettera ai lavoratori interessati, per unita` produttiva o amministrativa nella quale si sia manifestato il caso di violenza o persecuzione psicologica, oggetto dell'intervento giudiziario, omettendo il nome della persona che ha subito tali azioni.

Art. 7.
(Norme finanziarie)

1. Gli obblighi derivanti dagli articoli 2 e 3 a carico delle pubbliche amministrazioni, in qualita` di datori di lavoro o di committenti, trovano applicazione esclusivamente nei limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio.
2. Dall'attuazione dei medesimi articoli 2 e 3 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.