Cass. Civ. Sez. lavoro, 03.10.2007, n. 20730



Sentenza

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARTONE Sergio - Presidente

Dott. MAIORANO Francesco Antonio - Consigliere

Dott. MONACI Stefano - rel. Consigliere

Dott. STILE Paolo - Consigliere

Dott. BALLETTI Bruno - Consigliere

ha pronunciato la seguente sentenza

sul ricorso proposto da: SALES S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZALE CLODIO 32, presso lo studio dell'avvocato TOSI PAOLO C/O CIABATTINI, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato PACCHIANA PARRAVICINI AGOSTINO, giusta delega in atti (- ricorrente -)

contro: C.D. (- intimato -)

e sul 2 ricorso n 07601/05 proposto da: C.D., domiciliato in ROMA presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato GLIOZZI ETTORE, giusta delega in atti (- controricorrente e ricorrente incidentale -)

e contro: SALES S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA P.LE CLODIO 32, presso lo studio dell'avvocato ST CIABATTINI, rappresentato e difeso dagli avvocati TOSI PAOLO, PACCHIANA PARRAVICINI AGOSTINO, giusta delega in atti  (- controricorrente al ricorso incidentale -)

avverso la sentenza n. 1270/03 della Corte d'Appello di TORINO, depositata il 21/01/04 r.g.n. 1261/03;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 15/05/07 dal Consigliere Dott.Stefano MONACI;

udito l'Avvocato TOSI PAOLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

Svolgimento del processo

1. Il signor C.D., già dipendente della società Sales s.p.a. licenziato con lettera del 14 settembre 2000, ha impugnato il licenziamento, chiedendo la sua reintegrazione nel posto di lavoro e di condannare la Sales a corrispondergli le retribuzioni maturate e da maturare dal licenziamento alla reintegrazione.

Il ricorrente lamentava di essere stato soggetto a comportamenti persecutori di mobbing da parte dell'azienda e che erano da ricondurre casualmente ad essi i disturbi psichici e fisici da lui accusati, e sosteneva che l'intera procedura di mobilità adottata dalla ditta era finalizzata alla sua espulsione dall'azienda; che non sussisteva il requisito numerico richiesto dalla
L. n. 223 del 1991, art. 24 e che non esistevano specifiche modalità di attuazione dei criteri di scelta del lavoratore da licenziare ai sensi dell'art. 4 della stessa legge.

Costituitosi la società Sales, ed istruita la causa, il giudice di primo grado respingeva il ricorso e compensava le spese.

2. Con sentenza n. 1270/03, in data 4 dicembre 2003/21 gennaio 2004, la Corte d'appello di Torino dichiarava, invece, inefficace il licenziamento intimato dalla Sales al C. e la condannava al pagamento a titolo di risarcimento del danno un'indennità mensile dal licenziamento alla reintegrazione ed a versare i contributi assicurativi.

3. Avverso la sentenza, che non risulta notificata, la società Sales ha proposto ricorso per cassazione, con tre motivi, notificato, in termine, l'11 gennaio 2005.

L'intimato C.D. ha resistito con controricorso notificato, in termine, il 17 febbraio 2005, ed ha proposto contestualmente ricorso incidentale con un motivo.

A sua volta la società Sales ha resistito al ricorso incidentale con proprio controricorso notificato, in termine, il 23 marzo 2005, ed ha depositato successivamente una memoria difensiva.

Motivi della decisione

1. La sentenza impugnata ha ritenuto che il materiale probatorio raccolto escludesse che i comportamenti addebitati dal C. alla Sales, fossero riconducibili, anche se valutati globalmente, ad un intento persecutorio nei confronti del dipendente.

Non risultava neppure che fosse stata appurata l'esistenza di una lesione alla integrità psicofisica del C. riconducibile come causa ad un comportamento illegittimo della società. Secondo la sentenza era infondata, inoltre, la richiesta del C. di valutare quello intimatogli dalla società come licenziamento individuale e non collettivo: il fatto che la procedura, iniziata per una riduzione di cinque unità lavorative, poi ridotte a due, al termine aveva portato al licenziamento soltanto del C. non impediva che licenziamento dovesse essere considerato collettivo.

La sentenza riteneva, invece, che sussistesse un vizio della procedura di licenziamento collettivo per la mancata indicazione ed individuazione delle specifiche modalità di attuazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare.

Su questo punto l'appello del C. è stato ritenuto fondato, ed accolto.

2. Con il primo motivo del ricorso principale la società ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione
dell'art. 437 c.p.c., e l'omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia.

Afferma, innanzi tutto, che l'adempimento procedurale, previsto dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, a carico del datore di lavoro una volta raggiunto l'accordo sindacale oppure esaurite le fasi precedenti della procedura, era costituito dalla comunicazione agli uffici amministrativi competenti ed alle associazioni di categoria dell'elenco dei lavoratori da licenziare, e si esauriva in questo.Nel ricorso introduttivo ai sensi

dell'art. 414 c.p.c. proposto in primo grado, il C. si era limitato ad eccepire l'inesistenza di specifiche modalità di attuazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, senza dedurne come conseguenza una illegittimità della procedura di licenziamento collettivo. La censura sul punto di mancata o insufficiente comunicazione delle modalità di applicazione dei criteri di scelta che avevano comportato il licenziamento del lavoratore era stata proposta per la prima volta soltanto nelle note di udienza e successivamente nell'atto di appello.Secondo la società questo aveva comportato una mutatio libelli. Il licenziamento del C. era avvenuto, peraltro, in applicazione di esigenze tecnico-organizzative aziendali concordate con le organizzazioni sindacali e queste esigenze erano state indicate nella comunicazione di apertura della mobilità. 3. Con il secondo motivo la società deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 12 preleggi nonchè della L. 23 luglio 1991, n. 223, artt. 4 e 5.

Sostiene a questo proposito che la comunicazione delle modalità di applicazione dei criteri di scelta aveva natura formale e non sostanziale.

Nè la comunicazione prevista dal comma 9 rientrava tra le "procedure" la cui inosservanza comportava l'inefficacia dei licenziamenti.

A questi effetti la procedura era quella descritta nei commi precedenti (6, 7 ed 8), ed una volta che sì fosse esaurita, ed indipendentemente dal suo esito, l'impresa poteva decidere di collocare i lavoratori in mobilità. 4. Con il terzo motivo la ricorrente principale lamenta l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia.

La sentenza di appello non aveva esaminato la domanda subordinata proposta dalla società di valutare quello del C., se non ne fosse stata accertata la validità come licenziamento collettivo, anche sotto il profilo del giustificato motivo oggettivo.

Infatti, era stato attuato per effettive esigenze di riorganizzazione dell'azienda a seguito della perdita di numerose commesse, che avevano reso necessaria la riduzione di organico del reparto cui era addetto il C., e questo ultimo era il dipendente meno fungibile rispetto agli altri, e perciò quello più difficilmente ricollocabile.

5. Nell'unico motivo del ricorso incidentale il C. prospetta i vizi di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia e di violazione di norme di diritto.

Lamenta che la Corte d'Appello abbia erroneamente valutato le risultanze dell'istruttoria, ed abbia escluso il carattere vessatorio del comportamento aziendale esaminando separatamente uno per uno i singoli episodi, senza invece valutarli nel loro complesso e rilevare la loro concatenazione.

L'azienda, inoltre, aveva utilizzato in maniera strumentale la procedura di licenziamento collettivo per espellere dall'azienda in modo definitivo il C..

Questo aveva comportato un abuso del diritto, con conseguente responsabilità contrattuale a carico della società. 6. I due ricorsi, quello principale e quello incidentale, proposti contro la stessa sentenza, debbono essere riuniti obbligatoriamente ai sensi dell'art. 335 c.p.c..

7. Il primo motivo del ricorso principale è infondato. Secondo la stessa narrativa su questo punto del ricorso principale della Sales, nel ricorso introduttivo del giudizio ai sensi dell'art. 424 c.p.c. il C. aveva denunziato la "inesistenza di specifiche modalità di attuazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare" (pag. 6), mentre nelle note difensive e nel ricorso in appello aveva lamentato che non sarebbero state "illustrate le esigenze tecnico organizzative che avevano determinato la espulsione del C. D., sebbene la norma richieda espressamente la specificazione di applicazione di questo criterio di scelta (art. 4, comma 9)" (pag. 7).

Come risulta palesemente anche da questa ricostruzione del ricorrente principale, la prima di queste due proposizioni indica, le ragioni della domanda, mentre la seconda contiene una argomentazione difensiva anche per questo non sussiste contrasto tra le due proposizioni, che del resto sono connesse strettamente l'una all'altra, costituiscono prospettazioni diverse di una medesima denunzia di illegittimità del comportamento aziendale.

La mancata indicazione, lamentata nel ricorso introduttivo, dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare e delle modalità per la loro attuazione comportava, per quel che riguardava la posizione del C. (l'unica che era oggetto della domanda del lavoratore e che quest'ultimo avesse motivo di tutelare e titolo per farlo), la mancata illustrazione dei criteri in base ai quali era stato scelto proprio lui come lavoratore da porre in mobilità.

In realtà il lavoratore aveva denunziato fin dall'inizio il mancato rispetto da parte del datore di lavoro dell'obbligo di comunicazione dei criteri di scelta dai lavoratori proprio perchè senza quella comunicazione non era possibile verificare se quelli adottati fossero stati corretti, e correttamente applicati, e lo fosse la decisione di inserirlo nella procedura di mobilità.

Il C., perciò, non ha modificato la propria domanda e non sussiste la mutatio libelli lamentata dalla ricorrente principale.

8. E' infondato, a sua volta, anche il secondo motivo del ricorso principale.

Come chiarito, infatti, dalle Sezioni Unite di questa Corte, "nella materia dei licenziamenti disciplinati dalla
L. n. 223 del 1991, la sanzione dell'inefficacia del licenziamento, prevista dalla cit. L. n. 223, art. 5 per il caso di inosservanza delle procedure previste dall'art. 4 della citata legge, ricorre anche nel caso di violazione della disposizione di cui al comma 9 del citato art. 4 (disponente che il datore di lavoro dia comunicazione ai competenti uffici del lavoro e alle organizzazioni sindacali delle specifiche modalità di applicazione dei eri ter di scelta dei lavoratori da licenziare)" (Cass. civ., Sezioni Unite, 13 giugno 2000, n. 419; Sezioni Unite, 11 maggio 2000, n. 302).

Anche la comunicazione ai sindacati rientra nell'ambito della procedura di mobilità di cui scandisce un momento decisivo, il vero punto nodale della garanzia, costituito dalle comunicazioni da fornire ai sindacati, e indirettamente, attraverso i sindacati, ai lavoratori interessati, sulla correttezza delle procedura di mobilità e della scelta dei lavoratori, sul fatto che la procedura non venga utilizzata in modo strumentale.

Anche, e soprattutto, il mancato rispetto di questo passaggio comporta l'inefficacia (quanto meno come recessi per collocazione in mobilità) dei licenziamenti intimati. Il carattere "formale" della comunicazione non si risolve, in realtà, in una mera formalità, ma assume una valenza sostanziale per la necessaria funzione di garanzia.

9. Il terzo motivo del ricorso principale, con il quale la società lamenta che la Corte d'Appello avrebbe omesso di pronunziarsi sulla domanda subordinata, che sarebbe stata formulata dalla stessa Sales, di valutare il licenziamento intimato al C. come licenziamento per giustificato motivo oggettivo, è inammissibile per mancanza di autosufficienza. Non risulta, infatti, che la ricorrente principale avesse già proposto la questione nelle precedenti fasi del giudizio.

Nella sentenza impugnata non è riportata la menzione di questa domanda subordinata, e la società non specifica se e dove le aveva proposta, se, come necessario, l'aveva formulata nelle proprie difese di primo grado e rinnovata in quelle di appello, ed in quali atti.

In mancanza di queste indicazioni non vi è prova che la domanda sia stata proposta.

10. Anche il ricorso incidentale del C. è infondato.

L'unico motivo di impugnazione proposto è inammissibile perchè si limita a riproporre questioni di fatto che di per se stesse non suscettibili di riesame in questa sede di legittimità. Il ricorrente incidentale chiede che venga accolta una propria interpretazione dei fatti diversa da quella del giudice del merito, ma una diversa valutazione dei fatti è preclusa a questa Corte, che può soltanto apprezzare la motivazione ed il suo sviluppo logico.

Nel caso di specie però la motivazione della sentenza è completa e puntuale, e, di conseguenza, il ricorso incidentale è infondato.

11. Concludendo, i due ricorsi riuniti, entrambi infondati, debbono essere rigettati.

Stante la reciproca soccombenza sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese.

P.Q.M.

la Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2007.

Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2007