Cass. Civ. Sez. lavoro, 14.09.2007, n. 19248



Sentenza

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE LUCA Michele - Presidente
Dott. MAIORANO Francesco A. - Consigliere
Dott. DI NUBILA Vincenzo - rel. Consigliere
Dott. PICONE Pasquale - Consigliere
Dott. D'AGOSTINO Giancarlo - Consigliere

ha pronunciato la seguente sentenza

sul ricorso proposto da:
M.P.G. in atti generalizzato, rappresentato e difeso dagli avv. BOSCHI Aldo e Giorgio De Arcangelis per delega in calce al ricorso, elett. Dom. in Roma presso lo studio del secondo, via Sabotino 2 ed ora dom. in Via Monte Zebio, 9;
- ricorrente -
contro
FALLIMENTO B. in persona del curatore dott. F.P., rappresentato e difeso dagli avv.ti CASUCCI Roberto e Saverio Janari per delega a margine del controricorso e ricorso incidentale, elett. Dom. in Roma presso lo studio del secondo, via Cassiodoro 19;
- intimato controricorrente -
nonchè sul ricorso incidentale proposto da:
FALLIMENTO B. in persona del curatore dott. P.P., rappresentato e difeso dagli avv.ti Roberto Casacci e Saverio Janari per delega a margine del controricorso e ricorso incidentale, elett. Dom. in Roma presso lo studio del secondo, via Cassiodoro 19;
contro
M.P., come sopra rappresentato e difeso entrambi avverso la sentenza della Corte di Appello di
Trieste n. 141.03 in data 24.7.2003, depositata il 17.10.2003;

udita la relazione della causa fatta dal dott. Vincenzo Di Nubila all'udienza del 5.7.2007;
udito il Procuratore Generale in persona del Sostituto dott. IGNAZIO PATRONE, il quale hac oncluso per il rigetto del ricorso principale e accoglimento del ricorso incidentale.

Svolgimento del processo

1. Con ricorso depositato in data 6.5.1996, M.P.G. adiva il Pretore di Pordenone ed esponeva di essere dipendente della spa B., assunto formalmente nel 1989 ma di fatto dal 1986, con il compito di curare iniziative ed investimenti immobiliari. Nel 1991 i rapporti col datore di lavoro si
deterioravano, tanto che esso attore veniva licenziato. Il licenziamento veniva annullato in sede
giudiziale, onde il M. veniva reintegrato nel posto di lavoro, ma con compiti sempre più marginali.
L'attore adiva nuovamente il giudice per rivendicare il diritto a qualifica superiore (nel 1994) e da allora subiva la sospensione di diversi benefici connessi alla sua posizione retributiva, quali i buoni carburante, le riparazioni gratuite alla macchina; gli veniva imposto l'obbligo di timbrare un cartellino di presenza; da ciò era conseguito anche un danno alla salute.
2. Si costituiva la spa B. ed eccepiva che il rimborso del carburante aveva sempre riguardato i soli viaggi di lavoro; che l'obbligo di timbrare il cartellino era stato disposto per tutti i dipendenti; che il M. non aveva patito alcuna discriminazione nè alcun danno alla salute.
3. La causa veniva istruita mediante audizione di testi e consulenza tecnica di ufficio. Indi il processo veniva interrotto (e riassunto) a causa del fallimento della B.. Il Pretore rigettava le domande attrici. Proponeva appello l'attore; si costituiva il fallimento il quale eccepiva che la causa era attratta nella competenza del Tribunale fallimentare.
4. La Corte di Appello confermava la sentenza di primo grado così motivando:
la questione di competenza è infondata, perchè l'attore non avanza solo rivendicazioni economiche, ma chiede la reintegrazione nelle mansioni svolte in precedenza; peraltro l'eccezione è stata proposta solo in appello, quindi tardivamente;
non possono essere prese in considerazione le domande di risarcimento del danno alla professionalità o da dequalificazione, perchè non proposte in primo grado;
- nel merito, le pretese dell'attore sono infondate, in quanto i buoni carburante vennero ridotti per tutti i dipendenti, le auto aziendali furono soppresse, nulla è emerso circa i costi di riparazione dell'autovettura dell'attore;
- la timbratura del cartellino veniva disposta per tutti i dipendenti;
- non sussiste alcun danno alla salute risarcibile, posto che lo stato ansioso-depressivo risale alcuni anni addietro.
5. Ha proposto ricorso per Cassazione M.P.G., deducendo due motivi. Resiste con controricorso il
fallimento B., il quale propone ricorso incidentale affidato ad un motivo.
Il fallimento ha presentato memoria integrativa.

Motivi della decisione

6. Col primo motivo del ricorso, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3 dell'art. 2697 c.c., artt. 420 e 421 c.p.c.: le prove assunte sono state erroneamente valutate, è mancato ogni riferimento analitico e critico ai singoli fatti, non è stato esercitato il potere-dovere di ricerca della verità materiale.
7. Con il secondo motivo del ricorso, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione, a sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 2103 e 2087 c.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 5: contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di Appello, il M. sostiene di avere tempestivamente proposto tutte le domande, in particolare quella di risarcimento del danno da "bossing" ovvero "mobbing". I relativi comportamenti datoriali dovevano essere esaminati non singolarmente, ma nella loro concatenazione, in relazione alla precisa "strategia persecutoria" posta in essere dalla B. a seguito della forzata riassunzione del lavoratore avvenuta nel 1994. Quando alla diagnosi del consulente tecnico, trattasi di conflitto tra medico e soggetto esaminato, il quale ha posto capo ad una "diagnosi preconcetta". 8. Con l'unico motivo del ricorso incidentale, il Fallimento B. ripropone l'eccezione di incompetenza per materia, trattandosi di controversia di natura economica e risarcitoria, attratta nella generale competenza del Tribunale fallimentare.
9. Il ricorso principale ed il ricorso incidentale, risultando proposti contro la stessa sentenza, vanno riuniti. Per motivi logici, va presa in esame preliminarmente l'eccezione di incompetenza per materia del giudice del lavoro ordinario.
10. Ove l'eccezione proposta in appello dal fallimento dovesse considerarsi di incompetenza per
materia, a sensi dell'art. 38 c.p.c., essa dovrebbe essere dichiarata inammissibile, in quanto formulata oltre la prima udienza successiva alla riassunzione della causa. Ma la giurisprudenza costante al riguardo ritiene che non si tratti di questione di competenza per materia, bensì di proponibilità della domanda Cass. 13.6.2000 n. 8018: "Le questioni concernenti l'autorità giudiziaria dinanzi alla quale va introdotta un pretesa creditoria nei confronti di un debitore assoggettato a fallimento, anche se impropriamente formulate in termini di competenza, sono in realtà (e prima ancora) questioni attinenti al rito. Pertanto, proposta una domanda volta a far valere, nelle forme ordinarie, una pretesa creditoria soggetta al regime del concorso, il giudice erroneamente adito è tenuto a dichiarare non la propria incompetenza, ma l'inammissibilità, l'improcedibilità o l'improponbilità della domanda, siccome proposta secondo un rito diverso da quello previsto come necessario dalla legge, trovandosi in presenza di una vicenda litis ingressus impediens concettualmente distinta da un'eccezione di incompetenza, con la conseguenza che la relativa questione, non soggiacendo alla preclusione prevista dall'art. 38 c.p.c., comma 2 (nella sua formulazione in vigore dopo il 30.4.1995) può essere dedotta o rilevata d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio". 11. L'orientamento di cui sopra, presumibilmente ispirato anche all'esigenza di temperare il rigore processuale introdotto dal nuovo art. 38 c.p.c., viene ripreso da Cass. 6.10.2005 n. 19496, la quale ritiene che "il Tribunale investito della domanda di un imprenditore di ammissione alla procedura di amministrazione controllata può dichiarare la propria incompetenza territoriale anche oltre il limite temporale di cui all'art. 38 c.p.c., comma 1, atteso che detta norma trova applicazione soltanto nei procedimenti giurisdizionali contenziosi disciplinati dal c.p.c. e non è di per se suscettibile di applicazione analogica nei procedimento giurisdizionali disciplinati da leggi speciali (salvo l'eventuale richiamo da parte di queste ultime) e che comunque nell'ambito delle procedure concorsuali non è riscontrabile una udienza avente struttura e funzione analoghe alla prima udienza di trattazione nel procedimento ordinario". Cass. 18.5.2005 n. 10414 riprende testualmente il principio affermato dalla sentenza n. 8018.2000, riaffermando che l'erronea proposizione di una domanda risarcitoria nei confronti di un fallimento dinanzi al giudice ordinario non comporta una incompetenza per materia, ma una inammissibilità improponibilità del ricorso.
12. Questa Corte condivide i principi dianzi enunciati, con la conseguenza che le domande tutte proposte dall'attore, una volta intervenuto il fallimento del datore di lavoro, dovevano essere riproposte come insinuazione nello stato passivo. Soltanto in tale ipotesi il lavoratore può sentirsi riconoscere il proprio credito e, soprattutto, il relativo eventuale grado di prelazione (il che agli effetti pratici può significare la pratica possibilità di soddisfacimento o meno).
13. Sulla base dei suesposti motivi, la sentenza di appello va cassata senza rinvio. Infatti, il M. ha proposto una domanda che esula dalla impugnativa del licenziamento (unica ipotesi riconosciuta dalla giurisprudenza per la sopravvivenza della giurisdizione del lavoro) ed è incentrata sull'obbligo di ripristino delle mansioni precedenti in funzione del risarcimento del danno da dequalificazione, condanna di controparte alle differenze relative e risarcimento del danno alla salute. Pretese tutte che dovevano essere proposte non dinanzi al giudice del lavoro, ma dinanzi al Tribunale fallimentare, il cui accertamento è l'unico titolo idoneo per l'ammissione allo stato passivo e per il riconoscimento di eventuali diritti di prelazione. I motivi del ricorso principale rimangono assorbiti.
14. Giusti motivi, in relazione all'opinabilità della materia del contendere ed al comportamento processuale delle parti, consigliano la compensazione integrale delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso incidentale, assorbito il ricorso principale. Cassa senza rinvio la sentenza impugnata e compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 luglio 2007.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2007