TAR Lazio, 21.04.2007, n. 3315



Sentenza

TAR DELLA REGIONE LAZIO

SENTENZA N. 3315/2007 DEL 21/04/2007


Fatto e diritto

Attraverso il ricorso in esame, notificato il 26 maggio 2005, la signora X. - Agente scelto del corpo di Polizia Penitenziaria, alla data degli atti prodotti in giudizio - chiede il risarcimento dei danni subiti per cosiddetto "mobbing", ovvero per il "comportamento illegittimo e dispotico della sig.ra XX e del sig. XX in veste di direttrice e comandante della XXXX, all'epoca dei fatti superiori
gerarchici" della ricorrente; nella medesima impugnativa è contenuta, inoltre, una domanda di
annullamento di non chiara definizione, esplicitata solo nelle conclusioni del ricorso come richiesta di "annullare totalmente il menzionato atto", mentre nella parte espositiva dei fatti di causa si afferma di voler impugnare "i procedimenti disciplinari", già oggetto di "memorie difensive" e di "regolare ricorso gerarchico"; altre doglianze sembrano investire, inoltre, le classifiche riportate dalla ricorrente negli anni 2000 e 2001, nonché un non meglio precisato "demansionamento".
L'Amministrazione intimata, costituitasi in giudizio, resiste formalmente all'accoglimento dell'impugnativa.
In rapporto al contesto delle domande proposte in giudizio, il Collegio deve rilevare d'ufficio, in via preliminare, che la domanda di annullamento, contenuta nell'impugnativa nei termini sopra
sintetizzati, risulta irricevibile oltre che inammissibile per genericità.
Sembra appena il caso di ricordare, infatti, che il giudizio amministrativo, avviato per la declaratoria di illegittimità di atti autoritativi e per il relativo annullamento, deve essere avviato con notifica del ricorso entro 60 giorni dalla comunicazione, o comunque dalla piena conoscenza del provvedimento, da parte del soggetto che si ritiene leso, con formalizzazione di censure che
circoscrivano l'ambito della cognizione processuale, non potendo il Giudice Amministrativo, in sede di giudizio di legittimità, procedere ad accertamento "ultra petita" dei vizi dell'atto impugnato.
Nel caso di specie, non solo i provvedimenti contestati vengono indicati in modo confuso e generico, senza chiara esplicitazione dell'ordine di censure a ciascuno di essi riconducibile, ma risultano investiti delle pur generiche contestazioni provvedimenti (di natura disciplinare, o relativi all'assegnazione delle classifiche annuali) risalenti ad un periodo compreso fra gli anni 2000 e 2004, molto al di là di qualsiasi possibilità di impugnazione, entro i termini decadenziali di cui all'articolo 21 legge 1034/71.
Più delicata - e relativamente nuova - appare invece la problematica riconducibile al cosiddetto
"mobbing", in ordine al quale si pone, innanzi tutto, un problema di giurisdizione, che il Collegio
ritiene di poter superare solo in parte positivamente, in primo luogo per l'inapplicabilità dei criteri conseguenti alla privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, essendo il personale del XXXX (oggi XX) compreso fra i settori lavorativi non privatizzati, a norma dell'articolo 2, comma 4 del D.Lgs 29/1993 (cfr. anche, sul punto, Tar X, X, 1930/03), mentre, sotto altro profilo, deve rilevarsi che - per il personale in questione - il più recente indirizzo della Corte di Cassazione a Su lascia sussistere quel "doppio binario" di giurisdizione, che il legislatore sembrava intenzionato a rimuovere, almeno fino alla nota pronuncia della Corte Costituzionale 204/04.
Il dipendente può rivendicare, infatti, il risarcimento del danno derivante da mobbing in due modi: in via extra-contrattuale, a norma dell'articolo 2043 cc, ovvero in via contrattuale, tenuto conto dell'obbligo del datore di lavoro, riconducibile all'articolo 2087 cc, di tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro (cfr. in tal senso, fra le tante, Cassazione Su 7394/98).
Un primo orientamento della giurisprudenza, in ogni caso (cfr. CdS, Sezione quinta, 5414/02; Tar Lazio, Roma, Sezione terza, 6254/04; Tar Veneto, 2/2004), tendeva a ricondurre alla giurisdizione amministrativa esclusiva tutte le controversie patrimoniali inerenti al rapporto di impiego, senza distinguere fra responsabilità contrattuale e aquiliana, essendo sufficiente per radicare la cognizione del giudice amministrativo - per i rapporti di lavoro rientranti nella giurisdizione del medesimo - un comportamento illegittimo del datore di lavoro e quindi un collegamento non occasionale fra la causa pretendi e il rapporto di impiego. Non risulta conforme al predetto indirizzo, tuttavia, il più recente orientamento della Corte di Cassazione a Su, che pone a base del riparto di cui trattasi non la prospettazione delle parti, ma il cosiddetto petitum sostanziale, da individuare anche in funzione della causa pretendi, ovvero dell'intrinseca natura della posizione soggettiva dedotta in giudizio, come individuata dal Giudice in relazione ai fatti allegati ed al rapporto giuridico di cui tali fatti sono manifestazione; tenuto conto di quanto sopra, risulta necessario accertare la natura giuridica dell'azione di responsabilità in concreto proposta, in quanto solo l'azione per responsabilità contrattuale è ritenuta rientrante nella cognizione del Giudice Amministrativo, mentre deve ritenersi di competenza del Giudice Ordinario l'azione proposta in via extra-contrattuale (Cassazione Su 8438/04).
Il predetto indirizzo, in effetti, appare più conforme alle linee-guida, che emergono dalla già citata sentenza della Corte Costituzionale 204/04, in quanto la responsabilità extra-contrattuale per mobbing è riconducibile, sostanzialmente, a comportamenti vessatori dei superiori gerarchici o dei colleghi di lavoro del dipendente interessato, al di là quindi dei limiti, che la Suprema Corte ha indicato quali parametri di rango costituzionale per la giurisdizione del Giudice Amministrativo, da considerarsi sempre riferita ad atti e non a comportamenti (fatta salva, deve ritenersi, la valutazione in via incidentale di questi ultimi, trattandosi di valutazione indispensabile, in particolare, nel giudizio risarcitorio).
Nel caso di specie, esula pertanto dalla giurisdizione di questo Tribunale la domanda risarcitoria,
direttamente ricondotta a quello che, nel ricorso, viene definito "il comportamento illegittimo e dispotico della sig.ra X. X. e del sig. XX", comportamento che si sarebbe estrinsecato in abuso ed uso strumentale del potere disciplinare, nonché in "boicottaggi, umiliazioni ed ingiustificati giudizi nelle progressioni di carriera, osservazioni e provocazioni quotidiane, atti e comportamenti di violenza privata, diniego di permessi" ed altri atti vessatori.
La medesima ricorrente, tuttavia, sottopone a giudizio non solo la tipica ipotesi di mobbing, riconducibile a conflitti caratteriali, che inducono alcuni soggetti a danneggiare in modo sistematico un lavoratore nel suo ambiente di lavoro (ipotesi che, si ripete, vede sussistere la giurisdizione del Giudice Ordinario), ma anche l'altra tipologia, pure riconducibile a mobbing, che si traduce in demansionamento, o comunque in emanazione di atti illegittimi, con violazione di specifici obblighi contrattuali derivanti dal rapporto di impiego (ipotesi, quest'ultima, in cui la responsabilità, anche per danno alla salute del dipendente, è di tipo contrattuale e rientra nella giurisdizione del Giudice Amministrativo, per i settori lavorativi per cui tale giurisdizione ancora sussista).
Nella situazione in esame, dunque, il Collegio ha giurisdizione per valutare l'eventuale danno biologico, derivante da mobbing, nella misura strettamente riconducibile ad un contesto di specifiche inadempienze agli obblighi del datore di lavoro, inadempienze che, nella situazione in
esame, si affermano concretizzate in demansionamento, procedure disciplinari arbitrarie e incongrue valutazioni annuali, ovvero in una serie di atti illegittimi, che globalmente considerati potrebbero configurare violazione del già citato articolo 2087 Cc. Sotto tale ultimo profilo, in effetti, il più recente indirizzo della Corte di Cassazione a Su (Cassazione Su, ordinanze 13660/06 e 13911/06) consente di superare il precedente orientamento giurisprudenziale (CdS, Ap, 4/2003), secondo cui l'azione risarcitoria, proposta davanti al Giudice Amministrativo per lesione di interessi legittimi è ammissibile - dopo lo storico pronunciamento della Corte di Cassazione a Su con sentenza 500/99 - ma dovrebbe essere preceduta, entro gli ordinari termini decadenziali, da tempestiva impugnazione degli atti ritenuti affetti da vizi di legittimità.
A seguito, invece, dell'orientamento di cui alle citate ordinanze della Suprema Corte è ormai possibile proporre azione risarcitoria, per lesione di interessi legittimi, entro gli ordinari termini di
prescrizione quinquennale, anche senza previa impugnazione dell'atto lesivo: un orientamento, quello appena indicato, di particolare rilievo proprio in situazioni - riconducibili a mobbing - normalmente connesse a vizi che interessano non un singolo provvedimento, ma una serie di atti, la cui illegittimità, complessivamente considerata, riveli intenti persecutori e sia fonte di danno per la salute del dipendente.
Quanto alla tipologia di vizi, rilevanti nell'ottica in esame, appare corretto riferirsi all'indirizzo già
consolidato, in materia di risarcimento per lesione di interessi legittimi: indirizzo, in base al quale possono essere fatti valere solo i vizi di legittimità, riconducibili alla peculiare dimensione di colpevolezza, che la ricordata sentenza 500/99 della Cassazione e la successiva giurisprudenza amministrativa (cfr., fra le tante, Tar Sicilia, Catania, 103/00; Tar Puglia, Bari, 169/00; Tar Lazio, Roma, Sezione seconda bis, 6902/02) riferiscono in via esclusiva a violazione dei principi di buona amministrazione, in termini non coincidenti con quelli di cui all'articolo 2043 Cc (da ritenere recettivo del concetto di colpa anche come mera "inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline", ex articolo 43, comma 3, Cp; cfr. anche, per il principio, CdS, Sezione quinta, 4239/01).
Anche per l'individuazione del danno biologico da mobbing, nei limiti in cui il medesimo rientra nella giurisdizione del Giudice Amministrativo, deve pertanto ricercarsi quella inosservanza delle  regole di "imparzialità, correttezza e buona amministrazione", che si traduce in violazione delle regole del giusto procedimento (come codificato, in particolare, dalla legge 241/90). Detta violazione può ravvisarsi in comportamenti omissivi, contraddittori o dilatori dell'Amministrazione, ovvero in violazione di norme, sulle quali non sussistano incertezze interpretative o la cui interpretazione sia ormai pacifica, o ancora (nella fattispecie specifica del mobbing), nella reiterazione di atti affetti anche da illegittimità formali, ma che nel loro insieme denotino grave alterazione del rapporto sinallagmatico, tale da determinare un danno alla salute del dipendente.
Nella fattispecie, tuttavia, la domanda risarcitoria proposta dall'attuale ricorrente risulta, ad avviso del Collegio, inammissibile.
Il danno derivante da mobbing infatti, nei limiti in cui può considerarsi rimesso alla cognizione di
questo Tribunale, non è sottratto alle regole del processo amministrativo, che richiedono - se non più, sotto il profilo in esame, tempestiva impugnazione dei singoli atti - quanto meno chiara individuazione dei provvedimenti lesivi, enunciazione dei vizi che determinerebbero l'illegittimità di ciascuno di essi e principio di prova, in ordine al danno morale e biologico del soggetto leso.
Nella vicenda sottoposta a giudizio, la difesa della ricorrente segnala vicende personali senz'altro drammatiche e dolorose, che avrebbero dovuto assicurare al soggetto coinvolto comprensione e sostegno anche nell'ambiente di lavoro; non si dà alcun riscontro, tuttavia, di un danno psicofisico, direttamente connesso ad atti di gestione illegittimi del rapporto sinallagmatico in corso e, soprattutto, non si fornisce né una chiara elencazione di tali atti, né una prospettazione di motivi di gravame, specificamente rilevanti nell'ambito del processo amministrativo.
In tale situazione, risulta impossibile al Collegio valutare i profili di responsabilità contrattuale, che vengono enunciati in termini sommari ed apodittici, tali da determinare l'inammissibilità della domanda, nella parte in cui la stessa può essere valutata da questo Tribunale; quanto alle spese giudiziali, tuttavia, il Collegio stesso ne ritiene equa la compensazione, in considerazione del peculiare carattere della vicenda in questione.

PQM

Il Tar per il Lazio, (Sezione prima quater) dichiara il proprio parziale difetto di giurisdizione in ordine al ricorso 5257/05, specificato in epigrafe, per quanto riguarda l'istanza risarcitoria avanzata in via extra-contrattuale; dichiara il ricorso stesso, per quanto riguarda le altre domande proposte, in parte irricevibile ed in parte inammissibile, nei termini di cui in motivazione; compensa le spese giudiziali.