Cass. Civ. Sez. lavoro, 10.08.2006, n. 18153



Sentenza


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCIARELLI Guglielmo - Presidente
Dott. MAIORANO Francesco Antonio - rel. Consigliere
Dott. VIDIRI Guido - Consigliere
Dott. DI CERBO Vincenzo - Consigliere
Dott. BALLETTI Bruno - Consigliere

ha pronunciato la seguente sentenza sul ricorso proposto da:
V.V., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE CORTINA D'AMPEZZO 65, presso lo studio dell'avvocato STEFANO NOLA, rappresentato e difeso dall'avvocato MANZOLI PAOLO, giusta delega in atti;
- ricorrenti -
contro
ARVAL S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEGLI SCIPIONI 268/A, presso lo studio dell'avvocato DOMENICO BATTISTA, rappresentata e difesa dagli avvocati RICCI CARLO ALBERTO, FRANCI ROBERTO, giusta delega in atti;
- controricorrente -
e contro
B.M.C.;
- intimata -

avverso la sentenza n. 271/04 della Corte d'Appello di MILANO, depositata 11 15/04/04 - R.G.N. 1285/2002;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica Udienza del 20/06/06 dal Consigliere Dott. Francesco Antonio MAIORANO;
udito l'Avvocato JUCCI per delega RICCI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUZIO Riccardo, che ha concluso per l'accoglimento del primo e secondo motivo del ricorso, assorbito il terzo.

Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo

Con ricorso alla Corte d'Appello di Milano V.V. proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Milano con la quale erano state parzialmente accolte le sue domande proposte contro la ARVAL S.P.A. e B.M.C. e dichiarata la illegittimità del licenziamento disciplinare intimatogli in data (OMISSIS) e condannata la società alla reintegrazione ed al risarcimento del danno ex art. 18 S.L., ma erano state respinte le altre per il pagamento delle differenze retributive correlate all'inquadramento superiore da lui rivendicato, del lavoro straordinario e di risarcimento del danno per i comportamenti ingiuriosi del datore di lavoro ed il carattere ingiurioso del licenziamento.
Gli appellati contrastavano il gravame e proponevano appello incidentale e la Corte d'Appello confermava la sentenza impugnata, sulla base dei seguenti rilievi: preliminare era l'esame dell'appello incidentale che investiva la legittimità del licenziamento, perchè secondo l'assunto il primo giudice avrebbe erroneamente escluso la legittimità del recesso sul presupposto che gli addebiti posti a base della sanzione espulsiva sarebbero stati in parte generici, in parte non provati ed in parte di non particolare gravità.
Le censure mosse non potevano essere condivise: perchè fra gli addebiti indicati nella lettera di contestazione erano effettivamente generici quelli di cui ai numeri 1) (per avere "rimesso nel ciclo produttivo" i "resi" destinati alla distruzione secondo le disposizioni del direttore di produzione), 7) (per non avere mai "segnalato" "inadempienze" a carico "della sig. M." e che erano state invece contestate in data (OMISSIS) dal direttore di produzione) e 8) (per avere il V. "ripetutamente offese con appellativi ingiuriosi" le sig.re D. e C.); perchè si riferivano a fatti non particolarmente rilevanti le contestazioni di cui numeri 5) e 6) per avere dato alle operaie l'ordine di posizionare sulle confezioni il codice a barre in maniera diversa ed avere fatto porre negli astucci duemila confezioni di un prodotto ormai obsoleto (senza che vi sia prova per quest'ultima contestazione che fosse stato comunicato al lavoratore che la relativa produzione era stata sospesa); perchè gli addebiti di cui ai punti 2), 3) e 4) non erano tutti provati, oppure non erano di particolare gravità. Le deposizioni dei testi non fornivano elementi utili per superare il convincimento del primo giudice.
I fatti in realtà si inquadravano nel contesto particolare del passaggio dalla vecchia gestione, durata ben 18 anni, alla nuova diretta dalla B., che aveva introdotto numerose modifiche organizzative alle quali era difficile adeguarsi per chi era abituato al modo di operare della precedente gestione e trovava difficoltà a entrare in sintonia col nuovo "management" ed a conformare la prestazione alle nuove richieste. Non ogni situazione patologica del rapporto si traduceva poi in inadempimento tale da giustificare l'immediata risoluzione del rapporto: le contestazioni di cui ai punti 1), 7) e 8) erano così poco circostanziate da non poter avere alcun rilievo, mentre le altre erano di scarso peso, anche in considerazione delle dettagliate giustificazioni addotte dal lavoratore con la sua lettera del (OMISSIS) indirizzata alla società e della mancanza di prove atte a smentire la versione dei fatti ivi indicata. L'appello incidentale doveva quindi essere rigettato.
In ordine all'appello principale, l'ingiuriosità del licenziamento non poteva essere desunta alla mancanza di giusta causa o dalla genericità delle contestazioni, ma solo dalla forma del provvedimento e dalla sua diffusione; peraltro mancava sia l'allegazione di elementi idonei a configurare l'ingiuria, che la prova del licenziamento ingiurioso che doveva essere data da chi l'invocava, ponendolo a base di una richiesta di risarcimento del danno. I comportamenti vessatori che potessero essere sussunti sotto la fattispecie del mobbing dovevano essere caratterizzati dalla mancanza di ragionevolezza che fosse tale da travolgere la resistenza del destinatario, con tutte le conseguenze negative sull'equilibrio psico-fisico dello stesso. Tali caratteristiche non erano ravvisatali nelle allegazioni del ricorso, perchè non ogni divergenza fra il lavoratore ed il suo superiore che riguardasse l'adempimento della prestazione poteva essere configurata come condotta illecita in danno del primo.
Infondata era la doglianza relativa al mancato riconoscimento della superiore qualifica A1, che veniva attribuita dalla norma contrattuale al personale che ricopriva posizioni preposte a importanti settori dell'attività aziendale e richiedevano:
conoscenza specifica e pluriennale esperienza in più discipline da integrare fra loro, ampia autonomia direttiva nell'ambito delle politiche aziendali, eventuale guida di un significativo gruppo di ricorse umane e responsabilità economiche di impatto rilevante per l'impresa. Tali caratteristiche non si riscontravano nella attività del V., per il quale era stata evidenziata la responsabilità dei reparti di confezionamento e spedizione e la collaborazione con l'Amministratore Unico Vitali, ma non l'autonomia di gestione e la conseguente responsabilità decisionale che caratterizzava la qualifica superiore; il V. forniva i dati necessari sulla base delle istruzioni ricevute, ma spettava al Vitali l'adozione di qualsiasi decisione, nonchè lo studio delle strategie da seguire nella determinazione della produzione e nell'acquisto delle materie prime.
Infondata altresì era la domanda per la corresponsione del compenso per la lavoro straordinario, in mancanza di una precisa prova in merito alle ore lavorative espletate oltre il normale orario di lavoro, non essendo sufficiente la sola presenza in ufficio ove la stessa non fosse collegata a precisi obblighi contrattuali ed alla prestazione effettiva di lavoro.
La domanda per l'indennità di preavviso era stata proposta per la prima volta in appello, in collegamento alla rinuncia alla reintegrazione ed alla richiesta di indennità sostitutiva; la domanda quindi era inammissibile perchè introduceva nel giudizio una pretesa avente presupposti distinti da quelli posti a base della domanda originaria di reintegrazione nel posto di lavoro.
E' domandata ora ad istanza del V. la cassazione di detta pronuncia con tre motivi: col primo si lamenta omessa pronuncia, per avere il giudice riportato nello svolgimento del processo la censura proposta in ordine alla "mancata pronuncia sul diritto del ricorrente a una qualifica gradatamente inferiore rispetto a quella richiesta fondata sui medesimi fatti costitutivi dedotti" e non avere poi pronunciato su tale domanda subordinata senza indicarne in motivazione le ragioni, con palese violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato.
Col secondo motivo si lamenta omessa motivazione sulla medesima domanda subordinata, non essendo individuabile fra le righe nemmeno un capoverso o un concetto identificabile come motivazione per il rigetto del secondo motivo d'appello.
Col terzo motivo si lamenta violazione dell'art. 36 Cost., art. 2103 c.c., e art. 112 c.p.c., perchè il mancato riconoscimento dell'inquadramento nella categoria immediatamente inferiore, a fronte dell'allegato svolgimento di mansioni riconduciteli nelle declaratorie contrattuali delle categorie C, o anche soprattutto B del CCNL dei chimici, costituisce violazione sia dell'art. 36 Cost., che dell'art. 3203 c.c. e sotto il profilo processuale dell'art. 112 c.p.c., in quanto la domanda subordinata era già stata implicitamente avanzata in primo grado con la richiesta di inquadramento della superiore qualifica A ed era stata poi esplicitata in appello.
La sentenza quindi deve essere cassata. Il ricorrente quindi ai fini di una eventuale pronuncia di merito da parte della Corte ai sensi dell'art. 384 c.p.c. ripropone gli argomenti avanzati in grado di appello sulla ammissibilità e accoglibilità della domanda di riconoscimento almeno di una qualifica intermedia B o C, ponendo in evidenza l'infondatezza delle eccezioni di controparte sulla pretesa assorbibilità del superminimo da lui percepito, con gli aumenti dovuti in conseguenza del superiore inquadramento rivendicato. I motivi di ricorso sono stati illustrati con memoria.
Il ricorso è stato notificato anche alla B., ai soli fini della completezza e regolarità del contraddittorio, non essendo stata proposta alcuna censura nei confronti della stessa.
Resiste con controricorso la ARVAL S.P.A..

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato nei limiti appresso specificati.
In ordine al primo motivo si osserva che la "conferma della sentenza appellata" pronunciata dal giudice d'appello comporta il rigetto di tutte le censure mosse da entrambe le parti nei confronti della sentenza impugnata e quindi anche delle varie domande proposte del V., specificatamente indicate nello svolgimento del ricorso.
Infondata quindi è la censura di omessa pronuncia di cui al primo motivo di ricorso.
Il secondo motivo però è fondato perchè mancano totalmente le ragioni per le quali non viene accolta la domanda di inquadramento intermedio fra la qualifica posseduta dal lavoratore ed il superiore inquadramento rivendicato. In proposito si osserva che la Corte ha avuto modo di affermare il principio di diritto secondo cui la domanda del lavoratore, intesa a rivendicare una superiore qualifica in relazione alle mansioni esplicate, include implicitamente la richiesta, ulteriore e subordinata, di una qualifica diversa ed inferiore rispetto a quella specificamente postulata, ma pur sempre superiore a quella riconosciuta dal datore di lavoro; ne consegue che la relativa deduzione può essere formulata per la prima volta in appello senza che ciò implichi domanda nuova, semprechè l'accertamento richiesto non importi nuove indagini di fatto, ma si sviluppi nell'ambito dello stesso accertamento di fatto già compiuto nel giudizio di primo grado (Cass. n. 6195 del 2/6/95; conf. 362/87;
1747/88).
Nella specie, dalla medesima sentenza risulta che "l'appellante lamenta altresì la mancata pronuncia sul diritto del ricorrente a una qualifica gradatamente inferiore rispetto a quella richiesta, che non avrebbe portato alcuna estensione della domanda, poichè fondata sui medesimi fatti costitutivi dedotti". La sentenza impugnata pur avendo esaminato in dettaglio tutti gli altri elementi che caratterizzano la presente controversia, compresa la "doglianza relativa al mancato riconoscimento della superiore qualifica A", non ha detto nulla in ordine alla domanda subordinata di riconoscimento di una qualifica gradatamente inferiore, ma pur sempre superiore a quella riconosciuta dall'azienda, mancando del tutto l'esame delle qualifiche inferiori ed il raffronto fra tali qualifiche e le mansioni di fatto svolte e già accertate con la prova raccolta. Il secondo motivo di ricorso è quindi fondato e va accolto e la sentenza cassata, con conseguente assorbimento del terzo. La causa va rimessa ad altro giudice che si individua nella Corte d'Appello di Milano in diversa composizione, che provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 20 giugno 2006.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2006