TAR Lazio Sez. III-bis, aprile 2004



Sentenza

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

Sezione Terza-bis


ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 13740/2002 proposto dalla professoressa RITA FOSSATELLI, rappresentata e difesa dagli Avv. ti Arturo Sforza e Fausto Checcacci, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del primo in Roma, Via Ettore Rolli, 24

CONTRO:  MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITA' E DELLA RICERCA, in persona del Ministro p.t., - LICEO GINNASIO STATALE "AUGUSTO" di ROMA, in persona del Dirigente scolastico p. t., costituitisi in giudizio, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, e domiciliati presso gli uffici della stessa in Roma, Via dei Portoghesi, 12; - "DIRIGENTE GENERALE REGIONALE P.T. PER LA PUBBLICA ISTRUZIONE NELLA REGIONE LAZIO"; - "CENTRO SERVIZI AMMINISTRATIVI", in persona del Dirigente p.t.; - Ispettore ROSARIO MUSMECI, non costituitosi in giudizio; - Prof. ALESSANDRO D'ALESSANDRO, non costituitosi in giudizio per l'accertamento del diritto della ricorrente al risarcimento a titolo di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale dei danni subiti ad opera dell'amministrazione resistente.


Visto il ricorso con i relativi allegati; visto l'atto di costituzione in giudizio del MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITA' E DELLA RICERCA e del LICEO GINNASIO STATALE "AUGUSTO" di ROMA; viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese; visti gli atti tutti della causa; udito, alla pubblica udienza del 12 gennaio 2004, il relatore dott. Francesco Arzillo; uditi gli avvocati delle parti come da verbale di udienza; ritenuto in fatto e diritto quanto segue:

FATTO E DIRITTO

1. La professoressa Rita Fossatelli, docente di latino e greco presso il Liceo Ginnasio Statale "Augusto" di Roma, ha impugnato una serie di provvedimenti illegittimi relativi al proprio rapporto di servizio con sei ricorsi presentati negli anni dal 1998 al 2000. Detti ricorsi sono stati riuniti e accolti da questo Tribunale con la sentenza della Sezione III - bis n. 2268 del 22 marzo 2001, passata in giudicato, che ha annullato i seguenti provvedimenti: - il provvedimento di assegnazione alla ricorrente della cattedra di "Lettere" nel ginnasio per l'a.s. 1998/99; - i "criteri" per l'assegnazione delle cattedre ai docenti per l'anno scolastico 1998/99, approvati dal Consiglio d'Istituto del Liceo "Augusto" di Roma nell'adunanza del 19.6.1998; nonché, per quanto di interesse, dell'"assegnazione cattedre" deliberata dal Preside e ratificata dal collegio dei docenti nella seduta del 20.6.1998; - le "ipotesi di assegnazione cattedre" formulate dal Collegio dei docenti nella seduta del 9.6.1998, con gli eventuali ordini di servizio del Capo d'Istituto di assegnazione della cattedra alla ricorrente per l'a.s. 1998/99 in contrasto con le richieste dalla medesima formulate; - il decreto della Direzione classica del Ministero P.I. (Div. I) in data 24 novembre 1998 con cui si convalida il provvedimento n. 1832 del 17 novembre 1998 di "sospensione cautelare" dal servizio emesso dalla preside del liceo "Augusto" di Roma; - il parere espresso dal collegio dei professori sull'adozione del provvedimento ex art. 506, comma 4, del D.Lgs. 297/94 e la relazione ispettiva del dr. Rosario Musmeci; - il decreto del Provveditore agli Studi di Roma, n. 89 Ris. in data 17 febbraio 1999, con cui si convalida il provvedimento di sospensione dal servizio della ricorrente adottato dal Preside vicario del liceo "Augusto" di Roma; - il parere espresso dal collegio dei docenti del Liceo "Augusto" di Roma l'11 febbraio 1999, ai sensi dell'art. 468 del T.U. 297/94; - la proposta di trasferimento d'ufficio per incompatibilità; le relazioni dell'Ispettore Rosario Musmeci con tutte le richieste e le conclusioni con le medesime formulate in danno della ricorrente; - il decreto del Provveditore agli Studi di Roma, prot. n. 19774 - Uff. disciplina - in data 10 aprile 2000, con cui si dispone il trasferimento d'ufficio della prof.ssa Rita Fossatelli dal Liceo classico "Augusto" di Roma al Liceo classico "Eliano" di Palestrina; - i provvedimenti relativi all'accertamento dei posti vacanti nei licei classici di Roma e provincia per l'a.s. 1999/2000: i pareri espressi rispettivamente dal Consiglio di disciplina presso il C.N.P.I. in data 18 giugno 1999 ed 8 settembre 1999, nonché tutte le relazioni ispettive in danno della ricorrente; - il decreto provveditoriale n. 19773 (Uff. disciplina) datato 4 aprile 2000, e comunicato in data 22 aprile 2000 con nota del Liceo Ginnasio "Augusto" di Roma (n. 104 Ris. del 14 aprile 2000), con cui viene inflitta la sanzione disciplinare della "sospensione dall'insegnamento per giorni sette" a decorrere dal 17 novembre 1998; - le relazioni ispettive; il parere espresso dal competente Consiglio di disciplina presso il Consiglio Nazionale della P.I. nell'Adunanza del 23 febbraio 2000 ed il provvedimento con cui è stata respinta l'istanza di ricusazione dell'ispettore tecnico Rosario Musmeci; - il decreto del Provveditore agli Studi di Roma, prot. n. 824 in data 3 luglio 2000 con cui si dispone l'utilizzazione con effetto immediato della ricorrente presso il Liceo Classico "Foscolo" di Albano Laziale; - il provvedimento del Provveditore agli Studi di Roma n. 6383 del 30 agosto 2000, con cui la ricorrente è stata destinata, a decorrere dal 1° settembre 2000, a prestare servizio presso il liceo classico "Mamiani" di Roma. Con il ricorso in epigrafe, ritualmente notificato e depositato, la professoressa Fossatelli si ricollega all'accertamento dei fatti contenuto nella richiamata sentenza, sostenendo che dagli stessi debba evincersi la sussistenza di una serie di comportamenti i quali, complessivamente ed unitariamente considerati, configurerebbero nei suoi confronti un'ipotesi di "mobbing". Conseguentemente, la medesima chiede alle Amministrazioni convenute il risarcimento, a titolo di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, di tutti i danni subiti.
Si sono costituiti in giudizio il MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITA' E DELLA RICERCA ed il LICEO GINNASIO STATALE "AUGUSTO" di ROMA, deducendo il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, l'inammissibilità e l'infondatezza del ricorso. Il ricorso è stato chiamato per la discussione all'udienza pubblica del 12 gennaio 2004 e quindi trattenuto in decisione.
2. Occorre preliminarmente esaminare la questione di giurisdizione, con particolare riferimento alla specifica eccezione proposta al riguardo dalla difesa dell'Amministrazione. In sintesi, quest'ultima sostiene che le pretese risarcitorie avanzate dalla ricorrente non attengono alle conseguenze negative dei provvedimenti amministrativi precedentemente impugnati e annullati da questo Tribunale: esse si fonderebbero piuttosto sul preteso inadempimento di veri e propri obblighi contrattuali della P.A. e specialmente sulla supposta violazione degli artt. 2087 e 2103 del codice civile in relazione a vicende afferenti al rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A. e riferite a un periodo successivo al 30 giugno 1998. In quest'ottica si tratta, in buona sostanza, di danni scaturiti dalla lesione di diritti soggettivi del lavoratore, la cognizione dei quali era da ritenersi attribuita al giudice ordinario del lavoro anche prima delle recenti riforme.
2.1 La questione concernente la giurisdizione in ordine alle controversie riguardanti la lesione del diritto alla salute nel pubblico impiego è stata oggetto di una significativa evoluzione giurisprudenziale anteriormente alle recenti riforme, che da un lato hanno trasferito al giudice ordinario la cognizione delle controversie in materia di pubblico impiego, dall'altro hanno attribuito al giudice amministrativo la giurisdizione in materia di "diritti patrimoniali conseguenziali". L'orientamento tradizionale della Cassazione era nel senso di attribuire alla giurisidizione del giudice ordinario le domande proposte contro l'amministrazione, la cui ragione fosse costituita dalla responsabilità per fatto illecito dipendente dalla violazione di doveri incombenti sulla pubblica amministrazione verso la generalità delle persone, anche in presenza di comportamenti dannosi tenuti nei confronti di un pubblico dipendente (Cass. 18.11.1994, n. 1775; 5.8.1994 n. 7266; Cass., sez. un., 19 giugno 1996, n. 5626; con riferimento al mobbing cfr. TAR Liguria n. 302/2003). La Suprema Corte ha poi precisato (Cass., sez. un., 28 luglio 1998, n. 7394) che il dipendente, che abbia subito dei danni personali nello svolgimento delle sue mansioni, può agire nei confronti del datore di lavoro in due modi: o in via extracontrattuale, per il risarcimento del danno consistente nella lesione del suo diritto all'integrità fisica, o in via contrattuale, per la violazione da parte del datore di lavoro dell'obbligo di tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. La prima azione è basata sul principio generale di cui all'art. 2043 cod. civ.; la seconda sull'obbligo previsto specificamente dall'art. 2087 cod. civ. come parte integrante del contratto di lavoro. Nel caso in cui la parte si limiti a proporre una generica azione di risarcimento dei danni da lei subiti, deve ritenersi proposta l'azione di responsabilità extracontrattuale tutte le volte che non emerga una precisa scelta del danneggiato in favore di quella contrattuale; per la proposizione dell'azione di responsabilità contrattuale occorre, invece, che la domanda sia espressamente fondata sull'inosservanza da parte del datore di lavoro di una precisa obbligazione contrattuale (11 luglio 2001 n.9385; 23 gennaio 2004 n.1248). Occorre, cioè, una qualificazione espressa della domanda e non è sufficiente la semplice prospettazione dell'inosservanza dei precetto dettato dall'art. 2087 cod. civ. o delle altre disposizioni legislative strumentali alla protezione delle condizioni di lavoro del dipendente (Cass. S.U. 2 agosto 1995 n. 8459); e comunque la semplice prospettazione dell'inosservanza del precetto dettato dall'art. 2087 cod. civ. o delle altre disposizioni legislative strumentali alla protezione delle condizioni di lavoro del dipendente, non depone in modo univoco per la proposizione dell'azione contrattuale (Cass., sez. un., 14 dicembre 1999, n. 900).
2.2. Un diverso orientamento ha affermato l'appartenenza alla giurisdizione amministrativa esclusiva di tutte le controversie patrimoniali inerenti al rapporto d'impiego, senza distinguere fra responsabilità contrattuale e aquiliana, giudicandosi sufficiente un comportamento illegittimo del datore di lavoro e quindi un collegamento non occasionale fra la causa petendi e il rapporto d'impiego (Sez. un. 17 maggio 1998 n. 12621; 12 novembre 1999, n. 763). Questa impostazione è stata accolta anche dal Consiglio di Stato nella sentenza C.S. V, 9 ottobre 2002, n. 5414, che - con riferimento a questione afferente al periodo precedente il 1° luglio 1998, proposta prima del 15 settembre 2000 - ha affermato l'esigenza di valorizzare il principio di semplificazione e di concentrazione delle controversie risarcitorie conseguenziali presso il giudice amministrativo, tanto all'interno della giurisdizione esclusiva (come stabilito dal decreto legislativo n. 80/1998), quanto nell'ambito della giurisdizione generale di legittimità (secondo la previsione della legge n. 205/2000). Conseguentemente, dette controversie rimarrebbero escluse dall'ambito della nuova giurisdizione ordinaria in materia di rapporti di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione.
2.3 Ad avviso di questo giudice l'orientamento da ultimo menzionato, ispirato ad una ratio semplificativa che si pone in linea con l'esigenza di una tutela giurisdizionale spedita ed effettiva, è pienamente condivisibile in linea di principio. Tuttavia, ne risulta problematica l'applicazione al caso di specie. Infatti, se è vero (come riconosciuto dalla precedente sentenza di questo TAR) che qui viene in rilievo un'azione unitaria dell'Amministrazione risultante da una serie di episodi di data anteriore al 30 giugno 1998 ovvero - se di data successiva - strettamente legati a quelli precedenti dal punto di vista logico e causale, è pur vero che nella specie il presente ricorso è stato proposto successivamente al 15 settembre 2000, che è il termine cui l'art. 69, comma 7, ultimo alinea, d.lgs. n. 165 del 2001, ricollega un'ipotesi di decadenza con riferimento alle controversie relative al periodo del rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni anteriore al 30 giugno 1998. Ne conseguirebbe la necessità di proporre la medesima azione innanzi al giudice ordinario (T.A.R. Sardegna, 21 marzo 2003, n. 350), oppure, secondo la tesi attualmente fatta propria dalla Corte di cassazione, la sussistenza di una preclusione assoluta all'esercizio dell'azione (Cass. civ., sez. un., 30 gennaio 2003, n. 1511; Cassazione civile, sez. un., 24 gennaio 2003, n. 1124; in tal senso altresì C. S. IV, 13 maggio 2002, n. 1795). Su questa linea si pone tuttavia il problema del caso in cui la domanda risarcitoria si ponga come conseguenziale rispetto ad una precedente pronuncia del giudice amministrativo.
Questo Tribunale ha avuto modo di affermare (T.A.R. Lazio Roma, Sez. III, 06 febbraio 2002, n. 836) che nel caso di questioni nascenti nel periodo anteriore all'indicata data del 30 giugno 1998, ma proposte dopo il 15 settembre 2000, non vale invocare il nuovo testo del primo periodo del terzo comma dell'art. 7 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, introdotto dall'art. 7 della L. n. 205/2000, il quale così recita: "Il tribunale amministrativo regionale, nell'ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali". Tale norma, infatti, in tema di risarcimento del danno nel contesto di un rapporto di pubblico impiego andrebbe interpretata, secondo questa impostazione, nel senso della possibilità di introdurre la relativa azione entro il termine finale anzidetto, che segnerebbe il limite temporale massimo della possibilità di esercizio della giurisdizione amministrativa nella stessa materia. Il Collegio ritiene di doversi discostare da tale precedente, in quanto la menzionata decadenza non può essere ritenuta applicabile nel caso in cui il Tribunale sia investito di una questione in via conseguenziale rispetto a una precedente pronuncia. La sussistenza della giurisdizione, infatti, ad avviso del Collegio non va vista in astratto, ma in concreto. Se il tribunale amministrativo ha conosciuto di una specifica questione, in sede di giurisdizione di legittimità o esclusiva, si è pronunciato nell'ambito della sua giurisdizione, e quindi nel medesimo ambito non può che conoscere di tutte le questioni patrimoniali conseguenziali, tra cui quelle inerenti al risarcimento dei danni. Questa impostazione è coerente con l'ottica di semplificazione e di concentrazione della giurisdizione. Il giudice amministrativo conosce quindi di queste questioni nell'ambito della sua giurisdizione, già legittimamente esercitata ratione temporis nel primo giudizio. In questo contesto la decadenza prevista dalla legge con riferimento alla data del 15 settembre 2000 non risulta applicabile. Essa deve infatti essere intesa restrittivamente, anche al fine di evitare i problemi di costituzionalità emergenti dall'interpretazione accolta dalla Corte di cassazione, che ha escluso la proponibilità della domanda davanti al giudice ordinario successivamente a tale data. Deve pertanto ritenersi che il richiamato termine di decadenza non possa ragionevolmente essere esteso al caso di un ricorso conseguenziale ad una sentenza di annullamento intervenuta successivamente al termine stesso: in questo caso, la giurisdizione sulla questione conseguenziale trova la propria fonte diretta nel nuovo testo del primo periodo del terzo comma dell'art. 7 della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, che non contiene preclusioni temporali, mentre si ricollega mediatamente alla giurisdizione in materia di pubblico impiego esercitata con la pronuncia precedente.
2.4 Una volta stabilito questo principio, resta da individuare in concreto il carattere della domanda proposta con il ricorso in esame: domanda della quale la difesa dell'Amministrazione disconosce il carattere di conseguenzialità rispetto alla pronuncia precedente. Il Collegio ritiene che la conseguenzialità, alla stregua di una considerazione concreta della vicenda, debba invece riconoscersi come sussistente. Senza entrare nel problema di stabilire se e in quale misura il ricorso a tutela dei propri diritti avrebbe potuto essere proposto autonomamente rispetto alle domande a carattere impugnatorio, ciò non toglie che in concreto esso sia stato proposto sulla base di una causa petendi sostanziata dall'analitico accertamento dei fatti contenuto nella precedente sentenza, e pertanto connotata da evidenti caratteri di conseguenzialità. Quest'ultima deve infatti essere intesa non solo come conseguenzialità rispetto al dispositivo di annullamento, ma altresì rispetto all'accertamento contenuto nella sentenza.
2.5 Le suesposte considerazioni conducono il Collegio a ritenere ammissibile il ricorso sotto il profilo della sussistenza della giurisdizione amministrativa e dell'assenza di preclusioni temporali ricollegabili alla decadenza prevista dall'art. 69, comma 7 del D. Lgs. n. 165/2001, trattandosi, nella specie, di una domanda risarcitoria proposta in via conseguenziale rispetto alla precedente pronuncia di questo giudice.
3. Venendo all'esame del merito, occorre anzitutto ripercorrere, sia pur con la dovuta sintesi, l'articolato iter motivazionale della precedente sentenza di questo Tribunale, al fine di enucleare i profili che risultano decisivi ai fini della verifica della sussistenza degli elementi tipici della fattispecie del cd. "mobbing"; sotto questo profilo, è bene rilevare che in questa sede vengono in evidenza non tanto i profili di stretta legittimità degli atti in quella sede annullati, bensì gli elementi fattuali della ricostruzione compiuta dal Tribunale, per il rilievo che rivestono ai fini risarcitori.
3.1 In primo luogo, il Tribunale, dopo aver riconosciuto che "la complessa controversia nasce da un profondo contrasto tra l'insegnante e l'ambiente nel quale essa opera", ha inteso "accertare il motivo del contrasto e, soprattutto, a chi esso sia addebitabile e, con riferimento alle norme che regolano l'attività della pubblica amministrazione, la correttezza delle soluzioni date alla vicenda". L'analisi prende origine dalla situazione personale della ricorrente, ricostruita - in relazione al contesto ambientale - sulla base della relazione dell'ispettore ministeriale del 1998: "L'ispettore, che sarà nella sua relazione estremamente critico nei riguardi dalla ricorrente (tanto da essere a un certo momento ricusato da quest'ultima) e che fornirà, con le proprie considerazioni materiale determinante per i provvedimenti che sarebbero stati poi adottati dall'amministrazione, descrive la ricorrente in termini elogiativi per la sua preparazione culturale e professionale, per l'impegno didattico e la assoluta dedizione al lavoro. Di particolare rilievo l'iniziativa del "certamen augusteum" e il coinvolgimento dei suoi studenti alle manifestazioni dedicate alla lingua e alla cultura del mondo classico, ampiamente apprezzate e divulgate dalla stampa. Alle pressioni ricevute dai genitori e studenti (si insiste nel dubitare sulla loro spontaneità) durante i colloqui intrapresi nel corso dell'ispezione ("spesso mi è stato chiesto quali possibilità di intervento avesse l'amministrazione"; "poiché di solito la richiesta era riferita alla possibilità che la professoressa venisse mandata altrove d'ufficio") il funzionario spiegava con prudenza che, per ottenere quel risultato, fosse necessario comprovare precise responsabilità dell'insegnante. Per quanto riguarda la contestazione "di una qualche inidoneità didattica", l'ispettore rilevava che in presenza di documenti, che parlano a favore di una notevole preparazione culturale dell'insegnante, bisognava dimostrare che vi fosse dato un qualche cedimento nella "trasmissione didattica". In altro punto della relazione, se da un lato l'ispettore mostrava cura a precisare che "gli atti dei fascicoli citati non sono tutti da raccogliere in chiave negativa: vi si trovano attestati di lavori e ricerche pubblicati, di corsi frequentati con merito, di interventi tesi al miglioramento dell'attività scolastica, dall'altro soggiungeva che "purtroppo il contenzioso che ho citato e che dovrò riferire in seguito assume tale peso da fare passare in secondo piano i meriti". Nelle considerazioni ora ricordate è la chiave di lettura dell'intera vicenda. Ed invero, dall'esame degli atti emergono le conseguenze dello scontro di due opposti e radicati aspetti del carattere: per un verso, generosità e impulsività che poggiano su intelligenza non comune e indiscussa superiorità culturale estesa a vasti campi, compreso quello giuridico (a questo va riferito il gradevole - se capito - spirito di forte autoironia, assorbita dagli autori classici, greci e latini, della quale la ricorrente è profonda conoscitrice); per altro verso, estrema fragilità che poggia su una grande sensibilità d'animo, amore senza limiti per il lavoro, sentito come missione, intransigente rispetto dei propri doveri. All'evidenza la docente subisce la condizione di figlia unica di genitori anziani, ai quali in modo esclusivo ha dedicato la sua vita affettiva. Alla onestà intellettuale deve essere riferita la consapevolezza dei propri limiti. La ricorrente sa bene - tanto per portare un esempio - di non tenere in ordine i registri, come è innegabile che questo sia dovuto a un forte difetto di vista. Pure, non deve apparire come un'anomalia (perché rientra tra gli effetti dello scontro interno tra i due opposti aspetti del carattere) che la ricorrente chieda di essere giustificata per la sua inadempienza (come detto, per il disordine nella tenuta dei registri: inadempienza che la medesima vive con profonda mortificazione), dove nei confronti degli altri è intransigente nel pretendere l'adempimento ai doveri. E' questa intransigenza, che si manifesta con puntigliosità spesso eccessiva e permalosità oltre misura, a nuocere all'immagine della ricorrente, facendone una persona che con il tempo diventa quasi insopportabile. E' una prova il rapporto con la nuova preside subentrata all'inizio dell'anno scolastico 1998/99. Anche con quest'ultima, che sembrava certamente ben disposta nei suoi confronti, la docente si pone molto presto in contrasto, ricorrendo ai soliti esposti e denunce. E' pur vero che il conflitto appare, in una certa misura, giustificato per avere la preside incautamente prestata illimitata fede alla situazione esistente nell'istituto come le era stata rappresentata al suo arrivo, senza nemmeno sentire l'interessata, assente per malattia. Per altro verso deve essere rilevato che, in genere, i personaggi che le si contrappongono nella complessa vicenda non appaiono mossi da odio, né da volontà pervicace di nuocere, come la ricorrente si ostina a credere trasferendo in una dimensione abnorme episodi di più modesta portata. Questo con una sola eccezione, con riferimento alla figura del vice-preside vicario. Dichiarazioni puntigliose alle riunioni collegiali, puntualizzazioni esasperanti nelle note fatte trascrivere a verbale, proteste segnate inopportunamente nei registri di classe, distribuzione di scritti dai contenuti anche pesanti sul conto dei colleghi, i suoi continui e a volte petulanti interventi nel corso delle attività scolastiche, hanno generato insofferenza nei suoi confronti e giustificano in pieno il desiderio dei colleghi di liberarsi della sua non inosservabile presenza. Deve, ad ogni modo, convenirsi che la sua non è mai stata una critica distruttiva, rivolta a recare disturbo, a creare ostacoli a uno scorrevole svolgimento delle funzioni del dirigente, dei colleghi e del personale amministrativo. Il comportamento della ricorrente ha sicuramente i connotati della buona fede ed è sinceramente ispirato all'intento di vedere realizzata una istituzione che operi in modo ottimo, senza incoerenze e compromessi. Tanto è provato dalla circostanza che le osservazioni della ricorrente, pure se spesso offerte con modi sconvenienti, sono tutte ineccepibili e indiscutibilmente corrette. Dove l'interessata è debole è nella intolleranza quando sostiene le sue ragioni, anche se perfettamente coincidenti con l'interesse pubblico. La ricorrente non coglie la linea di confine tra l'opportunità e la convenienza ed è la prima vittima di se stessa. D'altronde una omologa miopia è data scorgere nell'ambiente che circonda la ricorrente, dove si ritiene che tutte le questioni, senza distinzione, che investono la funzione educativa della scuola, debbano avere un ruolo determinante per le sorti della società futura. Le lotte per le briciole di potere che ruotano attorno al mondo della scuola muovono inevitabilmente al sorriso. Un ordine del giorno compilato in modo non corretto, una verbalizzazione a volte poco curata, non può scatenare oltre misura l'indignazione della ricorrente; così come l'uso sconveniente del registro di classe, qualche imperfezione casuale ed episodica nell'attività didattica, un ritardo nella compilazione delle schede non giustificano un accanimento irragionevole contro la stessa. In modo analogo una qualche confidenza sui propri sentimenti, il racconto di episodi del proprio passato, da intendere come trasmissione di dati dell'esperienza, anche una qualche considerazione che passi i limiti del gusto e della convenienza appaiono più segno di fiducia e amore verso i propri scolari che gravi violazioni dei doveri d'ufficio, idonee a turbare l'animo dei giovinetti di oggi. Effetto della sua ingenuità e segno di semplicità di animo è avere detto cose giuste nei modi sbagliati ed essere caduta con impressionante fragilità dinnanzi alle accuse tanto precipitosamente quanto inconsistentemente mosse con l'obiettivo manifesto di ottenere il suo allontanamento. In tutto questo non appare illogico, né frutto di fantasia, il convincimento profondo della ricorrente di trovarsi al centro di una operazione abilmente architettata, favorita dalla copertura, più o meno consapevole, dei presidi che si sono alternati nella direzione della scuola con cadenze troppo ravvicinate, interessati ad assecondare per motivi di agevole intuizione, il personale stabile che avrebbe dovuto loro garantire (più o meno) fedele collaborazione". Delineata in tali termini la cornice della vicenda, il Tribunale, scendendo nel dettaglio dei contrasti rilevati nei rapporti tra la ricorrente, i superiori, i colleghi e l'ambiente scolastico, parte col rilevare un'iniziale situazione di equilibrio precario, critica ma non irreversibilmente patologica. Tale situazione precipita a seguito di un episodio (alterco con involontaria ferita al labbro del vice - preside), che ha dato luogo ad una reazione dell'Amministrazione non proporzionata, incongruente ed eccessiva, che ha comportato il coinvolgimento dell'ambiente esterno (genitori e studenti) per raggiungere con maggiore effetto l'obiettivo predeterminato, consistente nell'allontanamento della ricorrente. Quindi, secondo il Tribunale, il vicepreside ha fatto di questo episodio, "palesemente involontario", un "uso strumentale[...] non contrastato dai colleghi che evidentemente avevano trovato una comoda strada per liberarsi della ricorrente, pure percependo la sostanziale ingiustizia di siffatta soluzione". In questo contesto l'operato dei soggetti coinvolti (preside, vicepreside, ispettore, colleghi) si focalizza (per così dire) nei confronti dell'odierna ricorrente, con aumento anche dello stato di tensione generale, con particolare riguardo ai rapporti: - tra la classe e la docente (quest'ultima, oltre ad essere fatta oggetto di affermazioni calunniose in merito alla capacità didattica dopo la decisione di rimanere titolare del corso liceale C, subisce altresì i comportamenti ostili e ostruzionistici di una parte degli allievi); - tra i genitori degli alunni e la docente (con lamentele circa le inadeguatezze didattiche della medesima e circa la correttezza del suo rapporto con la classe). Si è quindi verificata una situazione che, nonostante i difetti della ricorrente, è apparsa a questo Tribunale "manifestamente montata dopo l'episodio con il vicepreside e che nella sostanza si dimostra di assai scarsa consistenza". Mentre per converso si è rivelata "del tutto assente nella vicenda in esame una amministrazione impegnata a ridurre lo stato di tensione non disinteressatamente denunciato ai livelli di un mero contrasto fisiologico tra i comportamenti, che abbia all'occorrenza assunto le difese di un proprio collaboratore, opportunamente selezionato e ampiamente collaudato, in luogo di dare immotivato credito a componenti di passaggio e sostanzialmente estranei alla funzione educativa della scuola, privi di responsabilità nell'ambito dell'organizzazione scolastica e, perciò, facilmente inclini ad appoggiare le richieste di altri docenti, impegnati a perseguire gli obiettivi prefissati senza esporsi personalmente, facendo leva sul naturale timore reverenziale e sul desiderio di ingraziarsi la maggioranza di quanti potranno influire sull'esito scolastico dei propri figlioli". In questo quadro il Tribunale ha riassunto nei termini che seguono il quadro dei rapporti tra la ricorrente e l'ambiente scolastico: "La ricorrente ha sovente contestato l'opera dei dirigenti, (pure sempre con modi civili ancorché caratterizzati da espressioni colorite nell'esercizio di un suo diritto di critica e di partecipazione attiva alla vita scolastica) lamentando di non essere mai stata difesa dagli attacchi di alcuni suoi colleghi e di parte dei genitori e di studenti manifestamente manovrati dal proprio antagonista, il vicepreside, con il quale i rapporti erano pessimi. Alla stessa ricorrente desta meraviglia che il collega, pure ritenuto persona mite, abbia d'improvviso cambiato atteggiamento e mostrato un astio crescente nei suoi confronti. Tutto questo per banali episodi di convivenza nell'ambiente scolastico, che i dirigenti di istituto avrebbero avuto il preciso dovere di contenere entro i naturali limiti, in luogo di prendere le rimostranze del vicepreside per oro colato nella esigenza di mostrare riconoscenza e gratitudine alla sua funzione di vicario, in tale modo acuendo l'esasperazione della docente e spingendola alle sue manifestazioni più eclatanti e vistose. Vi è da notare, in ogni caso, che le reazioni della ricorrente sono tutte manifestazioni di un profondo attaccamento al proprio lavoro e alle istituzioni e di elevata sensibilità al rispetto delle regole sia giuridiche che della buona educazione. E' vero che gli scontri soprattutto verbali con il vicepreside, che all'evidenza male sopporta la netta superiorità anche culturale della ricorrente, spiegano l'atteggiamento astioso nei confronti di quest'ultima, ma non giustificano il travaso di una situazione strettamente personale in una che coinvolge le istituzioni e il compimento persino di atti di ufficio così viziati di sviamento. Con gli altri docenti in genere la ricorrente mostra di essere capace di intensa riconoscenza quando ci si distingue per il tratto umano e lo spirito di leale colleganza, così come è inflessibile verso quanti esprimono insofferenza, scarsa collaborazione fino ad atteggiamenti ostili e preconcetti. Con gli studenti la ricorrente si mostra equilibrata, severa quando è necessario, comprensiva quando possibile, sempre pronta a dare il meglio della sua elevata professionalità, attenta ai problemi dei giovani, guida esperta a una loro completa maturazione. Aperta al dialogo e al confronto; chiusa ermeticamente di fronte all'arroganza e agli atteggiamenti irriguardosi. Nell'ambito dei rapporti con gli studenti suona certamente come azione vile e vergognosa, ispirata e non spontanea, quella che ha dato occasione all'incauto articolista di un noto quotidiano per infangare il buon nome della ricorrente e della stessa istituzione scolastica sulla base di affermazioni palesemente false e contraddittorie. Per quanto riguarda, infine, i contrasti tra la ricorrente con l'ambiente scolastico, globalmente considerato, è possibile trarre la convinzione dalla copiosa documentazione acquisita agli atti a seguito della sentenza interlocutoria 15 aprile 1999 n. 945 che se è vera la detta situazione di contrasto, alla quale ha dato occasione il carattere spigoloso della ricorrente, è anche vero che si tratta di situazione in larga misura provocata e, in buona parte, ad arte per fini che non rispondono al pubblico interesse. In altri termini, essendo conosciuta la puntigliosità e l'eccessiva suscettibilità della ricorrente, da un lato non vengono adottati gli accorgimenti minimi per evitare di innescare le sue prevedibili e scontate reazioni (sforzo minimo e doveroso in qualunque rapporto sociale: non si può sopprimere un soggetto che ha un brutto carattere!); dall'altro certe reazioni appaiono provocate ad opera sia di comportamenti disinvolti e imprudenti di soggetti privi della necessaria professionalità, sia di azioni manifestamente dolose poste in essere al preordinato scopo di fare cadere la ricorrente in tranello (operazione di non difficile attuazione considerata la sostanziale fragilità dell'interessata e la atmosfera esplosiva creata al culmine di una progressiva e inesorabile persecuzione)".
4. La suesposta ricostruzione costituisce lo sfondo dell'esame dei singoli ricorsi proposti avverso gli atti richiamati al punto 1. Il filo che lega i vari profili di illegittimità rilevati nei provvedimenti annullati, la cui adozione ha coinvolto le autorità dei diversi livelli dell'amministrazione scolastica, consiste nel fatto che gli stessi si presentano come rivolti a tentare di porre rimedio alle situazioni di crescente contrasto tra la ricorrente e le varie componenti dell'ambiente scolastico, ma costituiscono in realtà, alla stregua della puntuale ricostruzione del Tribunale che non è possibile esporre analiticamente in questa sede, la illegittima e "reiterata espressione di un disegno complessivo portato pervicacemente avanti fino alla sua completa riuscita", sulla base di una "macchinazione preventivamente (e abbastanza rozzamente) architettata contro la ricorrente"; ed in proposito specifico significato rivestono i profili di sviamento di potere e carenza dei presupposti di fatto rilevati dal Tribunale nell'esaminare i provvedimenti adottati dall'Amministrazione e impugnati dalla ricorrente. L'iter argomentativo si conclude con la considerazione che l'accoglimento dell'ultima delle impugnazioni proposte "impone la restituzione della ricorrente al liceo di appartenenza"; tuttavia, a detta del Tribunale questa misura "potrà solo in parte ripianare la lesione lamentata dalla ricorrente, derivante dal comportamento di ingiustificata persecuzione e di inaccettabile mortificazione della professionalità e della personalità stessa della ricorrente messo in atto da funzionari dell'amministrazione, che hanno insistito con forme di inaudita violenza psicologica e di ostracismo nei confronti della docente, motivato da una poco probabile superiorità culturale e ideologica ed animato dall'interesse alla individuazione di un capro espiatorio, sul quale addossare ingiustamente la obbiettiva perdita di credibilità e di prestigio e della buona fama un tempo riconosciuta al liceo di titolarità della ricorrente, a opera di funzionari, colleghi e dirigenti non più all'altezza di quanti avevano, invece, contribuito a creare quella fama e quel prestigio". La conclusione del Tribunale è netta: "Non vi è dubbio che si è in presenza di una ipotesi di quella situazione oggi detta di 'mobbing'".
5. L'azione proposta in questa sede muove proprio dalle conclusioni della precedente sentenza ed è diretta a ottenere il risarcimento del danno da mobbing sul presupposto dell'insufficienza dell'annullamento degli atti precedentemente impugnati ai fini di una piena reintegrazione della posizione giuridica della ricorrente.
6. Ai fini della definizione del presente giudizio, il Tribunale ritiene di non dover prescindere dai contenuti e dalle complessive risultanze dell'accertamento operato nella precedente sentenza. La difesa dell'Amministrazione contesta la pertinenza dell'ampia ed analitica ricostruzione dei fatti e del contesto ambientale in relazione alla personalità della ricorrente, effettuata dal Tribunale, al reale thema decidendum del primo giudizio. Il Collegio ritiene tuttavia che, anche a volere in ipotesi affermare che non tutti i punti della motivazione della sentenza costituiscano antecedenti logici necessari della decisione, come tali rientranti nell'area coperta dal giudicato (Cassazione civile, sez. III, 13 febbraio 2002, n. 2083), nondimeno la rilevanza degli stessi in questa sede rimarrebbe immutata. Infatti la giurisprudenza della Cassazione non esclude, in linea di principio, la possibilità di attingere elementi di giudizio dalle sentenze pronunciate in altro processo, sia tra parti diverse, sia - a maggior ragione - tra le stesse parti (Cass. civ., sez. I, 22 aprile 1993, n. 4763; Cass. civ., sez. Lavoro, 10 gennaio 2003, n. 244). Nella specie questo giudice ritiene che tali elementi di giudizio, acquisiti agli atti di causa anche per il tramite della documentazione depositata in atti, costituiscano un corposo supporto probatorio a sostegno della sussistenza di una prolungata azione persecutoria in danno dell'odierna ricorrente, dovendosi ritenere attendibile la ricostruzione fornita nella precedente sentenza, anche alla luce della considerazione che la difesa dell'Amministrazione non ha apportato in questa sede elementi di novità tali da inficiare nella sostanza le conclusioni cui questo Tribunale è pervenuto.
7. In questa sede, peraltro, occorre verificare autonomamente la sussistenza, sulla base degli elementi di fatto sopra delineati, di un'ipotesi di responsabilità civile da mobbing a carico dell'Amministrazione, approfondendo quello che nella prima sentenza costituiva un profilo qualificatorio soltanto sinteticamente - ancorché nettamente - accennato.
8. Il fenomeno del mobbing è stato progressivamente recepito in diversi sistemi giuridici, sia pure con terminologie non sempre coincidenti; esso è anche stato oggetto della Risoluzione del Parlamento dell'Unione Europea del 20 settembre 2001, n. A5-0283/2001. In assenza di un'apposita regolamentazione legislativa, esso viene attualmente considerato in sede giurisprudenziale come fonte di responsabilità civile per il datore di lavoro. Dottrina e giurisprudenza ritengono infatti che le clausole generali di cui agli artt. 2043 c.c. e 2087 c.c., lette alla luce dell'art. 41 Cost. e degli altri principi costituzionali, siano idonee a fondare l'intervento della tutela risarcitoria per la protezione dell'integrità psicofisica del lavoratore. La materia è giunta all'attenzione anche della Corte costituzionale, la quale, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale della legge della Regione Lazio 11 luglio 2002, n. 16 ("Disposizioni per prevenire e contrastare il fenomeno del mobbing nei luoghi di lavoro"), ha ribadito che la materia attiene all'esigenza di salvaguardare sul luogo di lavoro la dignità ed i diritti fondamentali del lavoratore (artt. 2 e 3, primo comma, della Costituzione), e che il fenomeno del mobbing "non è... ignorato nel nostro ordinamento statale, pur non essendo ancora emerso come oggetto di una disciplina specifica" (Corte costituzionale, sent. 19 dicembre 2003, n. 359).
La fattispecie del mobbing presuppone, nell'accezione che va consolidandosi (pur con varietà di accentuazioni) in dottrina e giurisprudenza, una durevole serie di reiterati comportamenti vessatori e persecutori, tali da creare una situazione di sofferenza nel dipendente, che si concreta in un danno ingiusto, incidente sulla persona del lavoratore, e in particolare sulla sua sfera mentale, relazionale e psicosomatica (cfr. per i primi approcci giurisprudenziali al tema le due pronunce del Trib. Torino, sez. lav., 16 novembre 1999 e 30 dicembre 1999, come pure Trib. Milano, sez. lav., 20 maggio 2000 e 11 febbraio 2002)(sottolineatura del redattore) . Certamente è difficile tipicizzare una fattispecie che per sua stessa natura è soggetta ad un accertamento caso per caso, e nella quale rientrano condotte incidenti sulla reputazione del lavoratore, sui suoi rapporti umani con l'ambiente di lavoro, sul contenuto stesso della prestazione lavorativa. La materia è delicata, dovendosi - come giustamente sottolineato in dottrina - ricercare un punto di equilibrio tra l'esigenza di tutelare i lavoratori che rimangono vittime di iniziative persecutorie e la necessità di evitare una "giuridificazione" eccessiva e patologica dei rapporti umani in ambito lavorativo, che comporterebbe l'attribuzione di sanzione giuridica a qualsivoglia scorrettezza o a qualunque evento della convivenza umana nel luogo di lavoro: se un collega toglie il saluto a un lavoratore, quest'ultimo non potrà certo per ciò solo adire il giudice, trattandosi di una vicenda rilevante solo nell'ambito dell'educazione e della cortesia reciproca, o magari sul piano morale (cfr. Tribunale Cassino, 18 dicembre 2002, secondo cui il mobbing si differenzia dai normali conflitti interpersonali sorti nell'ambiente lavorativo, i quali non sono caratterizzati da alcuna volontà di emarginare ed espellere il collega o il subordinato dal contesto lavorativo, ma sono legati a fenomeni di antipatia personale ed ambizione); e lo stesso va detto con riferimento p. es. al caso del capufficio caratterialmente poco simpatico, in assenza di ulteriori specifici profili peculiarmente incidenti sullo specifico rapporto con il lavoratore. Ad ogni modo, le varie impostazioni concordano sul fatto che per aversi mobbing ci si debba trovare di fronte ad una serie prolungata di atti volti ad "accerchiare" la vittima, a porla in posizione di debolezza, sulla base di un intento persecutorio sistematicamente perseguito. Va precisato - ove ve ne fosse bisogno - che il fenomeno non è tipico dell'impiego privato, essendone stata riconosciuta la sussistenza anche con riferimento al lavoro nelle pubbliche amministrazioni (Trib. Ravenna, 11 luglio 2002; Trib. Tempio Pausania, 10 luglio 2003). Va inoltre rilevato che detto intento non sempre risponde alla finalità ultima del licenziamento della "vittima", ma può essere diretto anche ad obiettivi diversi (come l'isolamento della stessa).
È altresì importante osservare che è errato individuare la cd. "vittima" del mobbing nella figura del lavoratore meno capace o di personalità debole, potendosi avere mobbing anche nei confronti di personalità forti e professionalmente capaci.(sottolineatura del redattore) Né vanno comunque sopravvalutate, ai fini che qui interessano, alcune distinzioni concettuali correnti, come p. es. la distinzione tra mobbing verticale (gerarchico) o orizzontale (tra colleghi): nel caso in esame, viene in rilievo la figura del vice - preside che rientra nella tipologia del collega professore, e contemporaneamente, sotto il profilo funzionale, in quella del superiore gerarchico. Occorre parimenti evitare di dare preminente rilievo, in sede giudiziaria, ai modelli teorici costruiti dagli psicologi e dai sociologi del lavoro, che postulano una sequenza costante di fasi (quattro o sei) nelle vicende relative al mobbing: in questa materia è infatti decisivo attenersi strettamente alle caratteristiche dei singoli casi.
8.1 Sono importanti, in ultima analisi, i seguenti elementi:
a) la pluralità dei comportamenti e delle azioni a carattere persecutorio (illecite, o anche lecite se considerate in se stesse), sistematicamente e prolungatamente dirette contro il dipendente;
b) l'evento dannoso;
c) il nesso di causalità tra la condotta e il danno;
d) la prova dell'elemento soggettivo.
9. Circa la natura dell'azione, va tenuto presente che in tema di "mobbing" è ammissibile il concorso tra la responsabilità aquiliana ex art. 2043 e la responsabilità specifica ex art. 2087 c.c., nella parte cui obbliga il datore di lavoro ad adottare tutte le misure necessarie a tutelare la personalità morale dei prestatori di lavoro, anche alla luce dell'obbligo di eseguire il contratto secondo buona fede (Trib. Pinerolo, 14 gennaio 2003).
Nella specie, il Collegio ritiene che l'azione proposta attenga ad un'ipotesi di cumulo di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, entrambe distintamente postulate nei rispettivi presupposti fattuali e normativi.(sottolineatura del redattore)
10. L'elemento sub 8.1. a) - la pluralità dei comportamenti e delle azioni a carattere persecutorio, sistematicamente e prolungatamente dirette contro il dipendente - risulta accertato alla stregua dell'ampia ricostruzione operata dal Tribunale nella precedente sentenza, che il Collegio condivide e che non è stata sostanzialmente inficiata dalle deduzioni difensive dell'Amministrazione nel presente giudizio. Al riguardo, un punto importante da sottolineare attiene al carattere "globale" della figura del mobbing, che postula una considerazione unitaria di tutta una serie di atti e vicende che, di per sé considerate, possono essere lecite (si pensi all'abuso di controlli medici da parte del datore di lavoro), o anche illecite e come tali già tradizionalmente oggetto di autonoma, quasi "atomistica" considerazione a fini risarcitori (si pensi alla giurisprudenza lavoristica sui danni da dequalificazione e da demansionamento professionale, da trasferimento ingiustificato del lavoratore, etc.) . La richiamata considerazione unitaria si ripercuote sull'accertamento della sussistenza dei comportamenti, che trovano una "ratio" unificatrice nell'intento di isolare, di emarginare, o di espellere, la vittima dall'ambiente di lavoro, mediante una "escalation" di azioni mirate in senso univoco verso un obiettivo predeterminato (Trib. Torino, 28 gennaio 2003).
Il Tribunale, come risulta dall'esposizione di cui ai precedenti punti 3 e 4, ha riscontrato proprio la sussistenza - nel corso di un lasso di tempo di circa tre anni - di una "escalation" di questo genere, che si è concretata nella creazione di un clima tale da favorire e provocare la reazione della ricorrente; e che ha costituito il contesto - e il pretesto - per l'azione persecutoria a danno della medesima. Non si tratta quindi - contrariamente a quanto assume la difesa dell'Amministrazione - di una prospettazione generica della domanda: si tratta invece di un'azione fondata sull'allegazione delle dettagliate risultanze ricavabili dalla precedente sentenza, nel contesto di una qualificazione sintetica e globale della fattispecie.
Lo stesso svolgimento temporale della vicenda dimostra l'applicabilità dei principi di diritto sopra delineati. Se prima dell'episodio dell'alterco con il vice - preside la situazione presentava aspetti di criticità che non superavano la soglia della rilevanza giuridica, ma si risolvevano solamente in una difficile convivenza umana, dopo il predetto episodio la situazione si avvita su se stessa e precipita con il coinvolgimento di un'ampia platea di soggetti nell'azione di "accerchiamento" dell'odierna ricorrente, la quale è stata vessata da una serie di provvedimenti amministrativi illegittimi, di rimostranze dei genitori degli allievi, di comportamenti incongrui degli allievi stessi, di atteggiamenti ambigui od ostili dei superiori organi amministrativi e dei colleghi: atteggiamenti tutti interagenti tra loro, e dei quali non è possibile disconoscere un evidente intento complessivamente persecutorio nei confronti della persona della ricorrente medesima.
Al riguardo va precisato che questo intento non va configurato in termini eccessivamente soggettivistici: il Tribunale, discostandosi da un orientamento giurisprudenziale (Trib. Como, 22 febbraio 2003), ritiene che non sia comunque necessario indagare nella loro interezza i motivi che sono a base dell'intento persecutorio, essendo sufficiente attenersi ai caratteri oggettivi della condotta (ripetitiva, emulativa, pretestuosa e quindi oggettivamente vessatoria e discriminatoria), ai fini di poter considerare dolosi i comportamenti lamentati (in questo senso cfr. Trib. Milano, 20 maggio 2000).(sottolineatura del redattore). Risultano quindi inconferenti le deduzioni della difesa dell'Amministrazione, secondo cui la vicenda presupporrebbe una ricostruzione in chiave penalistica, con le connesse conseguenze sia in ordine all'interruzione del cd. "nesso di occasionalità necessaria", sia in ordine alla necessità di rilevare la sussistenza di un disegno criminoso puntualmente preordinato e coordinato in danno dell'odierna ricorrente. Siffatto ordine di idee è del tutto improprio in questa sede. Il fatto che la complessa vicenda denoti anche profili di casualità temporale, o che non tutti i soggetti coinvolti siano stati in ogni momento ed in ogni loro atto ispirati da una piena consapevolezza persecutoria è pacifico; ma ciò non esclude che il senso della vicenda stessa, unitariamente considerata, sia ricostruibile - ai fini che qui interessano (che sono quelli del giudizio in merito alla responsabilità civile per mobbing) - proprio nei termini configurati dal Tribunale nella decisione adottata sui precedenti ricorsi proposti dalla professoressa Fossatelli.
11. La ricorrente richiede il risarcimento delle seguenti voci di danno:
a) danno da responsabilità extracontrattuale, nella misura di Euro 250.000, o nella diversa misura dovuta, anche ai sensi dell'art. 1226 c.c.;
b) danno da responsabilità contrattuale, nella misura di Euro 250.000, o nella diversa misura dovuta, anche ai sensi dell'art. 1226 c.c.;
c) danno alla professionalità, nella misura di Euro 250.000, o nella diversa misura dovuta, anche ai sensi dell'art. 1226 c.c. (in relazione sia al demansionamento subito con l'assegnazione alla cattedra di lettere nel ginnasio della scuola di appartenenza dalla ricorrente per l'anno scolastico 1998/1999, sia al danno all'immagine professionale, rilevante anche sotto vari profili di lucro cessante);
d) danno morale, nella misura di Euro 250.000, o nella diversa misura dovuta, anche ai sensi dell'art. 1226 c.c.;
e) danno biologico, nella misura di Euro 9.520, oltre ad ulteriori Euro 4.760 a titolo di danno morale;
f) danno cd. "esistenziale";
g) Euro 17.382 a titolo di "spese vive sostenute nell'arco dell'intera vicenda".
11.1 Il Collegio ritiene che le caratteristiche della fattispecie del mobbing, considerate in relazione alla complessità del caso in esame, rendano applicabile una considerazione sintetica e globale della sussistenza dei danni e del relativo nesso causale.
Detti danni, che discendono da un concorso di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, si concretano in ultima analisi in una lesione di un diritto della personalità della ricorrente: ai fini della relativa liquidazione, occorre considerare sia il danno biologico, sia il danno "esistenziale", comprendente il danno alla professionalità (danno da demansionamento, danno all'immagine) e le sofferenze patite dal lavoratore per aver lavorato in un ambiente ostile e pregiudizievole (Trib. Tempio Pausania, 10 luglio 2003).
Questa impostazione è vieppiù rafforzata dalla nuova sistemazione giurisprudenziale del cd. "danno non patrimoniale", che è pervenuta ad una "interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 cod. civ., tesa a ricomprendere nell'astratta previsione della norma ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona: e dunque sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d'animo della vittima; sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell'interesse, costituzionalmente garantito, all'integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.); sia infine il danno (spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona" (Corte cost. 11 luglio 2003, n. 233; cfr. altresì Cass. 31 maggio 2003, n. 8827 e 8828; per un'applicazione al caso del mobbing cfr. Trib. Pinerolo, 2 aprile 2004, n. 119).
Nella specie non può negarsi la configurabilità degli allegati danni, riferibili con ogni evidenza alla prolungata situazione persecutoria concretatasi nel mobbing: si tratta di danni la cui sussistenza è in larga parte in re ipsa (è il caso del danno esistenziale e del danno morale inteso come turbamento psichico, attese le notevoli ripercussioni che la prolungata vicenda, con i suoi annessi, ha avuto nella sfera della ricorrente; ed è anche il caso del danno alla professionalità, nella parte attinente all'immagine professionale); per il resto, essa è documentata in atti (con riferimento al danno biologico, in particolare, è stata prodotta una perizia di parte). Ciò attiene peraltro alla prova del danno; mentre la documentazione in atti non consente di ritenere provata in maniera esauriente la quantificazione del danno medesimo (con particolare riferimento alla totalità dell'importo richiesto per determinate voci di danno o per le spese vive).
12. Avendo la fattispecie in esame natura al tempo stesso contrattuale ed extracontrattuale, ne deriva - sul piano processuale - l'applicabilità della disciplina dell'onere probatorio più favorevole al lavoratore ricorrente, ossia quello contrattuale; conseguentemente spetta al datore di lavoro dimostrare di aver posto in essere tutte le misure necessarie per tutelare l'integrità psico-fisica del dipendente (Trib. Forlì, 15 marzo 2001; cfr. altresì Trib. Tempio Pausania, 10 luglio 2003, n. 157): prova che non è stata fornita in questo giudizio, in cui l'Amministrazione ha operato solamente alcune controdeduzioni inidonee - lo si ripete - a scardinare il complesso impianto ricostruttivo della precedente sentenza di questo Tribunale, in relazione alla pluralità degli episodi di cui si compone la fattispecie. Circostanza, questa, che va valutata in relazione al combinato disposto degli artt. 2087, 1218 e 1228 c.c. (ed altresì dell'art. 2049 c.c. per i profili di responsabilità extracontrattuale); ciò anche ai fini della configurazione dell'elemento soggettivo in capo all'Amministrazione di appartenenza, che deve essere ritenuto sussistente, avuto riguardo, in particolare, all'omessa predisposizione delle misure idonee ad evitare il verificarsi dei danni.
13. Per quanto attiene al quantum debeatur, tenuto conto di quanto rilevato in chiusura del precedente punto 11.1, il Collegio ritiene di dover accedere ad una complessiva liquidazione equitativa sensi degli art. 1226 e 2056 c.c (Trib. Como, 22 maggio 2001; Trib. Forlì, 15 marzo 2001). La peculiarità della fattispecie richiede l'impiego di questo metodo quantificatorio: laddove non sia possibile determinare in concreto i danni subiti dal ricorrente, data la complessità dell'operazione di calcolo per la presenza di varianti difficilmente determinabili, è necessario ricorrere al criterio equitativo di cui all'art. 1226 c.c. (T.A.R. Lazio, sez. III, 26 febbraio 2003, n. 1591). Nella specie, il Collegio ritiene che, alla stregua della documentazione in atti e tenuto conto di tutti i profili rilevanti, il danno vada liquidato nella misura complessiva di Euro 30.000. Detta somma è determinata in valori attuali; su di essa decorrono gli interessi legali dalla data della sentenza al saldo. Esso va posto a carico del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (non potendosi riconoscere, ai fini che qui interessano, autonoma legittimazione passiva in capo all'Ufficio Scolastico Regionale del Lazio e al Centro Servizi Amministrativi di Roma), nonché del Liceo Ginnasio Statale Augusto di Roma, in solido tra loro. Nulla deve essere disposto in capo all'ispettore Musmeci e al prof. D'Alessandro, trattandosi di soggetti i quali non risultano evocati in giudizio a titolo personale, tenuto conto della formulazione del ricorso nonché della circostanza che la notifica è stata loro effettuata nella sede dell'amministrazione e non al domicilio privato. Il Collegio ritiene infine che non sussistano i presupposti per ordinare ai sensi dell'art. 120 c.p.c. la pubblicazione della sentenza sui quotidiani "La Repubblica", "Il Messaggero", "Il Corriere della Sera", dovendosi ritenere che l'annullamento dei provvedimenti lesivi disposto con la precedente sentenza e il risarcimento dei danni disposto con la presente decisione costituiscano misure idonee a reintegrare pienamente la posizione giuridica della ricorrente.
14. Alla stregua delle suesposte considerazioni, il ricorso deve essere accolto, con la condanna dell'Amministrazione al risarcimento dei danni.
15. Le spese seguono la soccombenza delle resistenti Amministrazioni e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale il Lazio - Sez. III-bis, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe e per l'effetto condanna il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca e il Liceo Ginnasio Statale Augusto di Roma a corrispondere alla professoressa Rita Fossatelli la complessiva somma di Euro 30.000, 00 (trentamila/00), oltre agli interessi legali dalla data della sentenza al saldo. Condanna il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca e il Liceo Ginnasio Statale Augusto di Roma al pagamento, in favore della ricorrente, delle spese, dei diritti e degli onorari di giudizio, nella misura complessiva di 3500,00 (tremilacinquecento/00) Euro, oltre agli accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio nelle Camere di Consiglio del 12 gennaio 2004 e del 5 aprile 2004, con l'intervento dei signori:

Saverio Corasaniti - Presidente
Giulio Amadio - Consigliere
Francesco Arzillo - Primo Referendario Est.