Cass. Civ. Sez. lavoro, 08.11.2002, n.15749



Sentenza

A CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Vincenzo TREZZA - Presidente -
Dott. Giovanni MAZZARELLA - Consigliere -
Dott. Federico ROSELLI - Consigliere -
Dott. Raffaele FOGLIA - Rel. Consigliere -
Dott. Pasquale PICONE - Consigliere -

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da: M. F., elettivamente domiciliata in ROMA: VIA DEI GIORDANI 22, presso lo studio dell'avvocato FRANCESCO FABBRI, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato PIERGIOVANNI ALLEVA, giusta delega in atti; - ricorrente -
contro: A. 2000 SPA, A. I.; - intimati -

e sul 2^ ricorso n^ 04080/00 proposto da:  A. 2000,già C. Alfredo s.p.a in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA C.SO VITTORIO EMANUELE II 326, presso lo studio dell'avvocato RENATO SCOGNAMIGLIO, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti; controricorrente e ricorrente incidentale -
contro: M. F., elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI GIORDANI 22, presso lo studio dell'avvocato F. F., che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato PIERGIOVANNI ALLEVA, giusta ;delega in atti;  - controricorrente al ricorso incidentale -

avverso la sentenza n. 604/99 del Tribunale di FERMO, depositata il 30/10/99 R.G.N. 18/c/97;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/05/02 dal Consigliere Dott. Raffaele FOGLIA;
udito l'Avvocato ALLEVA;
udito l'Avvocato SCOGNAMIGLIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Marcello MATERA che ha concluso per il rigetto del ricorso principale ed incidentale.

Svolgimento del processo

Con ricorso del 13.12.1995 al Pretore di Fermo, F. M. conveniva in giudizio la s.p.a. C. A., alle dipendenze della quale aveva prestato servizio in qualità di dirigente amministrativa, chiedendo l'accertamento della illegittimità del licenziamento irrogatole il 18.8.1995 e la condanna della società datrice di lavoro al risarcimento dei danni.
Si costituiva in giudizio la società convenuta, contestando la domanda ed invocandone il rigetto.
Con successiva ricorso del 23.1.1996 al medesimo Pretore, la stessa attrice chiedeva la condanna delle società C. e B. M. al pagamento di importi vari per altrettanti titoli (trattamento di fine rapporto, indennità di trasferta, indennità per ferie non godute, differenze retributive per assegno "ad personam" non corrisposto, e per lo svolgimento di mansioni comprese nella superiore qualifica dirigenziale, o per lavoro straordinario, nonché per mensilità correnti tra il 1^.8.1995 ed il 20.12.1995, termine del periodo di malattia.
Anche questa ulteriore domanda veniva contestata dalle società convenute. In esito ad ampia istruttoria, ed espletata ctu diretta ad accertare l'esistenza dell'infermità, che la ricorrente assumeva di aver contratto in occasione dei fatti che avevano portato al licenziamento impugnato, il Pretore adito, riuniti i ricorsi, riteneva illegittimo detto licenziamento, condannava la società C. al pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso e dell'indennità supplementare prevista dal contratto collettivo, e rigettava la domanda di risarcimento. In relazione alle ulteriori pretese avanzate col secondo ricorso, il Pretore affermava il difetto di legittimazione passiva della società B. Marche e accoglieva le domande proposte nei confronti della soc. C. limitatamente alle indennità di trasferta, per ferie non godute, e per assegno "ad personam'', dando atto, infine della cessazione della materia del contendere con riferimento all'indennità di fine rapporto, in quanto integralmente corrisposta in corso di causa.
Proposto appello da parte della società C., seguito da appello incidentale spiegato dalla M., al fine di ottenere il pagamento delle somme non riconosciute dal Pretore, il Tribunale di Fermo, con sentenza del 30.10.1999, respingeva le domande riguardanti le indennità per ferie e per trasferta, confermando per il resto la sentenza. di primo grado.
Il Giudice del gravame osservava che il comportamento tenuto dalla M. (consistito nel non voler effettuare o consentire di effettuare rettifiche ai dati contabili imposte dalla società tramite il suo consulente dr. Gentile e l'amministratore sig.a C., destinati ad essere inseriti nel bilancio) non era risultato improntato a mancata collaborazione, ma era stato diretto ad evitare irregolarità nella predisposizione del bilancio della società (irregolarità confermate dalla consulenza d'ufficio): non era, dunque, ravvisabile un comportamento tale da giustificare il venir meno il vincolo fiduciario che connota il rapporto di lavoro del dirigente, vincolo in virtù del quale - a giudizio del Tribunale - il datore di lavoro non può pretendere che il secondo sia disposto ad assumere qualsiasi iniziativa nell'interesse della società, anche quando il comportamento preteso sia ritenuto, fondatamente, tale da agevolare il compimento di atti illeciti o di irregolarità sotto il profilo fiscale. Esclusa la sussistenza di una giusta causa, il Tribunale riteneva insussistente altresì la giustificatezza del licenziamento impugnato: le fondate perplessità manifestate dalla M. in ordine alle variazioni contabili concernenti la predisposizione del bilancio, erano ben conosciute dalla società datrice di lavoro nel momento in cui fu irrogata il licenziamento, sicché - a giudizio del Tribunale - l'iniziativa assunta dalla società convenuta si poneva in contrasto con il principio di buona fede, essendo basata su comportamenti certamente ammessi dalla dirigente, ma motivati da specifiche ragioni, risultate non pretestuose.
Di conseguenza andavano accolte le domande relative sia all'indennità di preavviso (non sussistendo la giusta causa di licenziamento) sia l'indennità supplementare, nella misura prevista dal ccnl., considerato il lungo tempo in cui la M. aveva prestato lodevolmente servizio presso la società.
Dovuto era anche l'assegno ad personam - già riconosciuto dal pretore - sul fondato presupposto che l'art. 3 del ccnl non consentiva l'assorbimento dei miglioramenti attribuiti aziendalmente al dirigente al momento della sottoscrizione dell'Accordo 18.2.1992, per effetto degli aumenti retributivi successivi. Il citato art. 3, infatti, prevedeva quell'assorbimento solo in presenza di un'espressa pattuizione - nella specie non intervenuta - che prevedesse l'attribuzione di quei miglioramenti (aziendali) come anticipazione sui miglioramenti contrattuali medesimi. Analoga clausola, del resto, esisteva anche nei ccnl precedenti.
Quanto alle indennità di trasferta il Tribunale le riteneva non dovute non ricorrendone i presupposti previsti dall'art. 10 del ccnl (periodi non inferiori a 12 ore e non superiori a due settimane).
Non dovuta era altresì l'indennità per ferie non godute, aderendo il Tribunale all'orientamento giurisprudenziale (cita Cass., 27.8.1996, n. 7883) secondo cui "il dirigente che, pur avendo il potere di attribuirsi il periodo di ferie senza alcuna ingerenza del datore di lavoro, non eserciti tale potere e non usufruisca del periodo di riposo annuale, non ha diritto all'indennità sostitutiva delle ferie non godute, a meno che non provi (cosa che nel caso di specie non è avvenuta) la ricorrenza di eccezionali ed obiettive necessità aziendali ostative alla suddetta fruizione".
In ordine all'appello incidentale spiegato dalla ricorrente, il Tribunale di Fermo riteneva non provata la circostanza che la M. avesse, anche prima della formale attribuzione della qualifica dirigenziale, svolto il suo lavoro con una vasta autonomia decisionale propria del dirigente; né riteneva provata la prestazione di lavoro straordinario, precisando che nemmeno risultava provato che l'attività dalla stessa svolta nell'interesse della società l'Approdo costituisse oggetto di un "comando" o "distacco" da parte della società C..
Parimenti inaccoglibile - per il Tribunale - era la pretesa concernente la retribuzione per il periodo di malattia dal luglio al dicembre 1995, avendo la ctu. accertato che nella fattispecie non ricorresse una vera propria patologia, ma solo una sindrome soggettiva non seriamente apprezzabile.
Infondata era, infine, la richiesta di risarcimento del danno morale, non essendo emersi concreti elementi di prova per ritenere che le richieste di chiarimenti e dati contabili dirette alla M. fossero state poste in essere mediante condotte tali da integrare reati di violenza privata o minaccia.
Avverso detta sentenza la M. ha proposto ricorso per cassazione articolato in cinque motivi, cui ha replicato la società Aurora 2000 (succeduta alla soc. C.), spiegando anche ricorso incidentale affidato ad un unico complesso motivo. La ricorrente ha a sua volta resistito al ricorso incidentale di controparte.
In prossimità dell'udienza entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Va preliminarmente disposta - ex art. 335 c.p.c. - la riunione dei due ricorsi, principale ed incidentale, aventi ad oggetto la medesima sentenza impugnata.
Col primo motivo - deducendo l'omessa o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, con riferimento alla richiesta di pagamento dell'indennità di trasferta - la ricorrente lamenta che il Tribunale di Fermo non ha tenuto conto dell'ammissione dello stesso sig. N. C. in ordine alla sistematicità delle trasferte, sia pure - a suo dire - limitate ad una o due al mese, né delle molte testimonianze a favore, né del dato di comune esperienza secondo cui il viaggio tra Porto S. Giorgio e Roma e ritorno di per sé comporta da solo non meno di sei ore.
Il motivo è infondato.
Il Tribunale di Fermo, premessa la formulazione testuale dell'art. 10 del ccnl - secondo cui "....al dirigente in trasferta per periodi non inferiori a 12 ore e non superiori a due settimane, è dovuto per ogni giorno di trasferta un importo aggiuntivo..." - ha accertato che la M. si recava a Roma, qualche volta da sola, qualche volta con i sigg.ri C., senza, peraltro, aver potuto acquisire elementi concreti per poter affermare né il numero delle trasferte, né la durata oraria di ciascuna di esse, né infine la loro riferibilità agli impegni lavorativi anziché a ragioni private, e ciò a causa della genericità delle deposizioni testimoniali sul punto.
I rilievi critici mossi dalla ricorrente al riguardo toccano in verità, valutazioni di merito svolte dal Giudice del gravame in termini che non evidenziano salti logici né lacune cognitive su elementi decisivi, tali da giustificare una censura di questa parte della sentenza impugnata.
Va sottolineato che, la riformata sentenza di primo grado sul punto, non aveva fornito una motivazione compiuta, essendosi limitata ad affermare che "....le numerose trasferte non erano state contestate neppure dalla parte resistente ed avevano trovato amplissimo riscontro testimoniale", senza peraltro aver previamente individuato la tipologia delle trasferte prese in considerazione dalla norma collettiva sopra citata, dalla quale emerge che non tutte le trasferte, ma soltanto quelle dimensionate per durata oraria (minima) e giornaliera (massima) giustificavano l'erogazione della speciale indennità aggiuntiva.
D'altra parte, in difetto di specifiche prove - il cui onere incombeva sulla ricorrente - correttamente il Tribunale ha negato valore decisivo alle ammissioni rese dalla controparte circa l'effettuazione, da parte della M., di diverse, ma non meglio precisate "missioni", come pure al dato - altrettanto generico - della durata oraria delle medesime desunta dalla distanza del viaggio tra Porto S. Giorgio e Roma.
Col secondo motivo - deducendo la violazione e falsa applicazione dell'art. 36 Cost., nonché dell'art. 2109 c.c., dei principi sull'onere della prova con riguardo all'indennità di ferie non godute da parte di dirigenti, nonché omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia - osserva la - ricorrente che condizione impeditiva del diritto alla fruizione delle ferie potrebbe essere solo l'impossibilità di un controllo da parte del datore di lavoro, e non invece la mera qualità di dirigente. La M. non era affatto libera di stabilire le sue ferie e del resto la società aveva inserito in bilancio una posta di debito (di L. 227 milioni) proprio per ferie non godute da due dirigenti (la M. e C. A. M.). Infine la stessa amministratrice Casali nel suo interrogatorio aveva riconosciuto che parte di tale importo andava riferito alla ricorrente.
Questo motivo è fondato e merita accoglimento.
Fondatamente la sentenza impugnata si è richiamata al consolidato orientamento di questa Corte, che ha affermato il principio generale secondo cui, pur essendo il diritto alle ferie irrinunciabile per tutti i lavoratori, compresi i dirigenti (Cass., 29 marzo 1985 n. 2226), al dirigente che, pur avendo il potere di attribuirsi il periodo di ferie, senza alcuna ingerenza del datore di lavoro, non eserciti il potere medesimo e non usufruisca del periodo di riposo annuale, non spetta l'indennità per ferie non godute, salvo che dimostri la ricorrenza di eccezionali ed obiettive necessità aziendali ostative a quel godimento (cfr. le sentenze Cass., 9.dicembre 1999, n. 13809; Cass., 28.maggio 1999, n. 5223; 27 agosto 1996, n. 7883; 7 marzo 1996 n. 1793; 6 novembre 1982 n. 5825; 9 novembre 1981 n. 5936; e 18 ottobre 1975 n. 3390)..
Il richiamo a questa giurisprudenza è bastato al Tribunale per respingere la pretesa avanzata sul punto dalla M., unicamente sulla base della considerazione che la ricorrente "non ha allegato, e, quindi, neppure provato, l'esistenza di situazioni tali da poter giustificare il diritto all'indennità sostitutiva di ferie".
Senonché, così operando, il Tribunale ha omesso del tutto di esprimersi in ordine alla veridicità e rilevanza di una circostanza più volte segnalata nei gradi di merito e riferita dalla stessa società convenuta, circa l'iscrizione a bilancio di una somma imputata a ferie non godute da parte della M., nonché in ordine alle risultanze delle buste paga, su cui pure il primo Giudice aveva - sia pure apoditticamente - fondato l'accoglimento della specifica domanda.
Col terzo motivo - deducendo la violazione e falsa applicazione dell'art. 2110 c.c. - la ricorrente lamenta che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto non indennizzabile un allontanamento dal lavoro ascrivibile certamente ad una incapacità psicofisica della prestazione e correttamente qualificata come malattia anche dai medici dei servizi ispettivi Inps.
La censura è inammissibile, in quanto ripropone un accertamento dei fatti ed una valutazione dei medesimi già compiuta dalla sentenza con una motivazione del tutto esauriente ed esente da vizi logici e giuridici.
Il Tribunale di Fermo, ha condiviso sul punto il giudizio già espresso dal Pretore, ritenendo che il ctu, avendo accertato che la M. era affetta da un disturbo distimico reattivo, connesso con tratti di personalità di natura nevrotica, aveva evidenziato una condizione non idonea a configurare una malattia, concludendo nel senso che nella specie non si trattava di una vera e propria patologia, ma piuttosto di una sindrome soggettiva, direttamente ricollegabile anche ad una predisposizione caratteriale della ricorrente.
Col quarto motivo - deducendo la violazione e falsa applicazione dell'art. 2087c.c. oltre a vizio di motivazione, omessa pronunzia e difetto di motivazione su un punto essenziale della controversia - assume la ricorrente che costituisce illecito risarcibile la disposizione gerarchica data al lavoratore di commettere atti contrari alla legge, poiché ciò costituisce oggettiva ingiustizia e pone il lavoratore nell'alternativa tra violare la legge o esporsi alle conseguenze. Un tale comportamento del datare può compromettere la integrità morale del lavoratore non meno della sua integrità fisica o del suo profilo professionale.
Anche questo motivo non può essere accolto.
In punto di diritto non può certo escludersi che sia configurabile alla stregua di illecito risarcibile il comportamento del datore di lavoro che si traduca in disposizioni gerarchiche - come tali dotate di indubbia forza vincolante - rivolte al dipendente al fine di indurlo ad atti contrari alla legge, ovvero incompatibili con il senso etico comune. In questi termini, del tutto generali, può convenirsi che un comportamento del genere potrebbe integrare una violazione del dovere di tutelare la personalità morale del prestatore di lavoro, imposto al datore di lavoro dall'art. 2087 cc. - sempreché sia provata la situazione di effettiva sudditanza psicologica in cui il dipendente si sia trovato, anche in relazione alla sua posizione di lavoro e alle sue capacità di resistenza.
Si tratta invero di un profilo, per molti versi riconducibile al tema di viva attualità, come il "mobbing", che non può essere confuso con il diverso profilo della risarcibilità del danno morale ai sensi del combinato disposto degli artt. 2059 c.c. e 185 c.p., essendo assolutamente distinti i rispettivi presupposti e la natura dei rispettivi titoli di responsabilità: contrattuale, quella derivante dalla violazione dell'art. 2087 c.c., extracontrattuale, invece, quella nascente dall'art. 2059 c.c., il quale a sua volta presuppone, in particolare, l'esistenza di un fatto reato.
Ciò detto, va rilevato che il Tribunale di Fermo, nell'esercizio di una competenza propria, ha interpretato la domanda svolta nel giudizio di merito dalla ricorrente come riferita ad un asserito danno morale ed ha disatteso la richiesta di risarcimento, avendo escluso la configurabilità di alcuna fattispecie di reato ai danni della M.:
Precisa la sentenza, infatti, che in ordine alle ipotesi di violenza o minacce dedotte dalla lavoratrice, non erano emersi concreti elementi di prova per potere ritenere che le richieste di chiarimenti e dati contabili ad essa dirette siano state poste in essere mediante condotte tali da integrare quelle fattispecie di reato: "non risulta, infatti, tra l'altro, che sia stata prospettata l'eventualità di perdere il posto in caso di mancato accoglimento delle richieste suddette, laddove l'illegittimo licenziamento, poi intimato per i motivi sopra esaminati, se da un lato giustifica le richieste economiche del prestatore di lavoro ... dall'altro non rappresenta un reato e, quindi, non è idoneo in sé a costituire fonte di risarcimento del danno morale."
Orbene, di fronte ad una tale motivazione, tutta incentrata nell'interpretazione della domanda impostata nell'ambito dell'art. 2059 c.c., la ricorrente non ha contestato l'iter ermeneutica seguito dal Tribunale, ma ha introdotto un argomento difensivo nuovo, spostando l'attenzione verso l'art. 2087 c.c., senza, peraltro, fornire elementi in concreto idonei a ricondurre la fattispecie nell'ambito di tale norma anziché nell'area del danno morale.
Con l'ultimo motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell'art. 1350 c.c. e vizio di motivazione con riguardo alla richiesta di retrodatazione della qualifica dirigenziale, o, in alternativa, al compenso per lavoro straordinario. Osserva la ricorrente che il comando presso società collegata non richiede alcuna forma scritta e risulta di per sé dal fatto che il C., oltre ad essere titolare della società datrice di lavoro della M., era anche presidente della società l'Approdo. Quanto, al lavoro straordinario, rileva la ricorrente che esso risulta provato dal fatto che esso veniva sempre svolto in orde notturne proprio presso quest'ultima società. Altrettanto provata è la circostanza che, anche prima del 1987, la M. svolgeva lavoro di livello dirigenziale, essendo già allora unica responsabile dell'attività amministrativa della società.
Tale motivo - il quale ripropone una doglianza già formulata in sede di appello incidentale - ha trovato già una adeguata risposta nella sentenza impugnata (confermativa, sul punto di quella pretorile) sulla base di riscontri di merito che, in quanto compiuti, non possono essere rimessi in discussione in questa sede.
Il Tribunale ha chiaramente evidenziato l'insufficienza degli elementi di prova che inducessero a ritenere che, anche prima del formale riconoscimento della qualifica superiore, la M. avesse una vasta autonomia decisionale ed operasse secondo criteri tipici del dirigente, incidendo sulla struttura organizzativa e sul funzionamento dell'azienda.
Altrettanto carente è risultata la prova circa l'asserito lavoro straordinario, come pure in ordine all'asserito comando o distacco della M. alla soc. l'Approdo.
Con l'unico motivo del ricorso incidentale - deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 2119, 2118, 1322, 1372, 2423, 2434, e 2697 c.c., degli artt. 1 e 3 della legge n. 604 del 1966, dell'art. 2 della legge n. 108 del 1990, e dell'art. 7 dello Statuto dei lavoratori, nonché carenza e contraddittorietà della motivazione su punti essenziali della controversia - lamenta la società intimata che la sentenza impugnata è frutto di una distorsione logica o di un errore di prospettiva: attribuendo un peso decisivo alle irregolarità contabili e fiscali che la società avrebbe preteso di commettere, ed ipotizzando un inconsistente coinvolgimento della ricorrente a simili irregolarità, che invece ricadono, ove esistenti, soltanto sugli organi sociali legittimati a deliberare in materia.
In ogni caso il Tribunale di Fermo e la Guardia di Finanza avevano motivatamente escluso ogni fondatezza sui sospetti di irregolarità amministrativa e fiscale.
Il motivo non può essere condiviso.
Sia il Pretore, con una minuta ed amplissima ricostruzione dei fatti, sia il Tribunale, hanno accuratamente ripercorso tutte le vicende che hanno condotto al licenziamento della M., pervenendo alla conclusione che il comportamento di quest'ultima, lungi dall'essere improntato alla mancata collaborazione, oggetto della contestazione disciplinare precedente l'adozione della massima sanzione disciplinare adottata dalla società resistente, è stata piuttosto diretto ad evitare irregolarità nella predisposizione del bilancio, nonché ad evitare a sé stessa l'esposizione a qualche forma di corresponsabilità.
In particolare, è stato accertato - anche in esito ad apposita consulenza tecnica disposta d'ufficio in secondo grado - che proprio le modifiche apportate nel bilancio relativo all'anno 1994, e non condivise dalla M., presentavano una serie di irregolarità da punto di vista contabile e fiscale: tali irregolarità, emerse dall'esame del bilancio, poi approvato dalla società con l'inserimento - effettuato tramite altro dipendente - di quelle voci contabili espressamente contestate per iscritto dalla M., evidenziavano la fondatezza del timore di quest'ultima, in relazione alle sue specifiche responsabilità all'interno dell'impresa, di rendersi complice di una attività illecita e di incorrere in eventuali responsabilità anche a titolo di concorso o quanto meno di agevolazione colposa.
Sulla base di queste circostanze - ampiamente illustrate nelle due sentenze di merito - il Tribunale di Fermo ha escluso non solo la configurabilità di una giusta causa del licenziamento de quo, non potendosi ravvisare nella fattispecie il venir meno del vincolo fiduciario tra le parti del rapporto di lavoro, ma anche la c.d. "giustificatezza" del licenziamento, quale elemento tipico la cui mancanza può giustificare - secondo la disciplina collettiva del rapporto di lavoro dirigenziale - il riconoscimento dell'indennità supplementare.
Del tutto opportunamente il Giudice del gravame ha ricordato la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui, dato il particolare modo di atteggiarsi del rapporto di lavoro del dirigente, la nozione di giustificatezza - nettamente distinta da quella di giustificato motivo ex art. 3 della legge n. 604 del 1966 - si traduce essenzialmente in quella di assenza di arbitrarietà, o, per converso, nella ragionevolezza del provvedimento datoriale, il quale, pur restando nell'ambito generale di una recedibilità ad nutum, viene, tuttavia, per espressa previsione della disciplina collettiva, assoggettato ai limiti generali che presiedono alla esecuzione dei contratti, in termini di buona fede e correttezza (art. 1375 c.c.) nonché ai generali divieti di discriminazione, e dell'abuso del diritto (conf, ex plurimis, Cass., 3.4.2002, n. 4729; Cass., 8.11.2001, n. 13839; Cass., 12.2.2000, n. 1571; Cass., 4.1.2000, n. 22 ed altre).
Nell'ipotesi in esame correttamente il Tribunale ha ritenuto che i motivi addotti dal datore di lavoro non erano idonei a giustificare il recesso adottato come provvedimento disciplinare: la condotta della M., lungi dal qualificarsi come inadempimento dei propri obblighi lavorativi, nei confronti della società, appariva del tutto giustificata dai dubbi relativi alle variazioni contabili concernenti la predisposizione del bilancio, manifestati esplicitamente dalla medesima dipendente all'amministratrice della società con un'apposita lettera inviata circa un mese prima del licenziamento. Di qui la coerente conclusione dei Giudici di merito che il provvedimento adottato dalla società si pone in contrasto con il principio di buona fede, essendo basato su comportamenti ammessi dalla dirigente (che non ha messo in discussione la condotta addebitatale) ma motivati da specifiche ragioni risultate non pretestuose.
Sulla base di quanto precede, il ricorso incidentale va respinto, mentre la sentenza. impugnata va cassata in relazione al secondo motivo del ricorso principale. La causa va, quindi, rinviata ad altro Giudice di merito, designato in dispositivo, il quale si atterrà ai principi di diritto come sopra enunciati, provvedendo altresì sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi: accoglie il secondo motivo del ricorso principale e respinge gli altri motivi dello stesso ricorso, nonché il ricorso incidentale.
Cassa la sentenza limitatamente al motivo accolto e rinvia - anche per le spese - alla Corte di appello di Ancona.

Così deciso in Roma, il 21 maggio 2002

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IN DATA 08 NOV. 2002