Tribunale di Pisa Sez. lavoro, 08.11.2002, n. 10101



Sentenza

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice addetto alle cause di lavoro del Tribunale di Pisa in composizione monocratica, dr.Fausto Nisticò, ha emesso la seguente

SENTENZA

Nella causa di lavoro iscritta al n. 10101/2002 8 r.g.c. decisa all'udienza del 8.11.2002 e promossa da OG, elettivamente domiciliato a Pisa.
CONTRO: C. DI C., I., A. e A. di Pisa, in persona del legale rappresentante.

Oggetto: Dequalificazione.

Il procuratore del ricorrente ha così concluso:"Per l'accoglimento della domanda come riformulata all'udienza del 4.11.2002. Vittoria di spese ed onorari".
Il procuratore d i parte convenuta ha così concluso:" Per il rigetto della domanda vinte le spese".

Svolgimento del processo

Con ricorso ex art. 700 c.p.c. il dr. G.O. spiegava di essere stato inquadrato come dirigente (profilo professionale di Vice Segretario Generale) a far data dal maggio 1999 con concreta assegnazione di funzioni dal 1° novembre dello stesso anno. Dagli atti del datore di lavoro pubblico risultava che l'incarico era stato conferito ai sensi dell'art. 12 della legge 11 maggio 1999, n. 140 che consentiva l'inquadramento nella qualifica superiore per chi alla data del luglio 1982 avesse rivestito la qualifica di capo servizio. In coincidenza con la procedura per il conferimento dell'incarico il dr. O aveva rinunciato alla partecipazione ad un concorso per l'acquisizione della qualifica dirigenziale ed aveva "abbandonato" un ricorso al Tar Toscana con il quale aveva impugnato un bando per il conferimento di un posto di "dirigente in prova".
Ciò premesso, il ricorrente spiegava come con sentenza 29 maggio 2002 n. 218 la Corte Costituzionale avesse dichiarato l'illegittimità dell'art. 12, comma 1, della legge n. 140 cit. e come, conseguentemente, il datore di lavoro avesse "revocato" la propria delibera d'inquadramento dirigenziale e di aver restituito il ricorrente alla qualifica di provenienza ( ciò avendo comportato anche una sensibile diminuzione patrimoniale del livello retributivo).
Ritenendo che la retroattività della pronuncia della Corte Costituzionale non potesse incidere sulla sua posizione di diritto soggettivo già esaurita e consolidata e rappresentando le ragioni dell'urgenza, il dr. O chiedeva ex art. 700 c.p.c. la sospensione, in via cautelare, della delibera di retrocessione.
Resisteva in giudizio il datore di lavoro spiegando come la retrocessione - così come il conferimento dell'incarico - apparisse necessitato, stante l'efficacia retroattiva della pronuncia della Corte e chiedendo il rigetto della domanda cautelare.
All'udienza del 5.11.2002, chiamata per il giudizio interinale, le parti chiedevano concordemente al giudice di voler utilizzare gli atti introduttivi per una pronuncia in esito alla cognizione piena, sostanzialmente il ricorrente rinunciando alla tutela cautelare. Rassegnate le conclusioni ,all'udienza del 8.11.2002 la causa veniva discussa e decisa come da dispositivo del quale veniva data pubblica lettura.
Motivi della decisione
La domanda è fondata.
Rispetto al contratto di lavoro ( doc. n. 3 di parte ricorrente) , la delibera della CCIA di Pisa in data 11.10.1999 (doc. n. 7 di parte ricorrente) si atteggia quale "atto amministrativo presupposto" ai sensi dell'art. 64 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (c.d. t.u. sul pubblico impiego). Tale atto, se illegittimo e rilevante ai fini della decisione, deve essere disapplicato dal giudice (ordinario).
Non c'è dubbio sul fatto che il rapporto di lavoro, nella nuova qualifica dirigenziale, sia sorretto esclusivamente dal contratto di lavoro e che da esso origini e che esso, infine, rappresenti la fonte del rapporto. Tale rapporto, poi, è di diritto privato e dunque rispetto ad esso non è possibile che il datore di lavoro - ancorché pubblico - esercititi autotutela in luogo degli ordinari atti di gestione del lavoratore tradizionalmente privato (art. 2, comma 3, d.lgs. n. 165 cit.).
In tal modo chiariti i termini che assistono il rapporto dedotto in giudizio, occorrerà preliminarmente muovere dalla corretta interpretazione dell'art. 12 della legge 11 maggio 1999, n. 140, la quale dispone che " il personale delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura in servizio alla data di entrata in vigore del decreto-legge 23 settembre 1994 n. 547, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 novembre 1994 n. 644, che al 12 luglio 1982 rivestiva la qualifica di capo servizio conseguita secondo l'ordinamento del personale camerale vigente alla predetta data, può essere inquadrato nella qualifica immediatamente superiore con effetti giuridici ed economici decorrenti dalla data di entrata in vigore della presente legge".
Tale norma, come è noto, è stata dichiarata in contrasto con l'art. 97 Cost. ( e specificatamente con la regola costituzionale della promozione per concorso) dalla sentenza n. 281/2002 della Corte Costituzionale che in essa ha ravvisato un sistema di "promozione automatica" (in gergo, uno "scivolo") tradizionalmente ritenuto in contrasto con l'esigenza della selezione concorsuale.
Sicchè la questione sarebbe di semplice soluzione ove si accedesse alla tesi secondo la quale il datore di lavoro convenuto qui abbia applicato una legge che prevedeva uno "scivolo" e poi tale legge sia stata dichiarata incostituzionale con effetti ex tunc.
Perciò se la fonte del rapporto fosse la legge (come era quando il dirigente pubblico tale era per atto di nomina unilaterale) la soluzione della questione deriverebbe de plano dal venir meno della fonte primaria e dal relativo atto amministrativo "presupposto".
Nel caso di specie, tuttavia, la fonte del rapporto (dirigenziale) è il contratto che, nello specifico, rinveniva nel disposto legislativo oggi censurato dalla Corte Costituzionale la fonte che ne autorizzava (ma non imponeva) la nomina, come si evince dalla interpretazione letterale delle disposizione in esame ("può essere inquadrato nella qualifica immediatamente superiore") ed è pacifico come il datore di lavoro pubblico, nelle sue delibere (in atti) abbia operato una preventiva valutazione (in particolare sulla partecipazione ad un percorso formativo del dipendente per la dirigenza e sul superamento di una selezione per titoli di servizio e colloquio ad un posto di dirigente risultando 2° in graduatoria) e come , l'avvenuto concreto conferimento ( e svolgimento) di mansioni dirigenziali denunciasse che non si era trattato di una promozione c.d. in soprannumero, di tal che l'incarico conferito apparteneva sicuramente alla concreta esigenza del datore di lavoro.
Se è vero, ora, che le delibere datoriali si configurano come atti amministrativi presupposti del contratto occorrerà valutare se le pronuncia della Corte Costituzionale abbia potuto incidere sulla validità di tali atti i quali, come è pacifico, sono diventati ormai inoppugnabili per il decorso del tempo. In tali casi la prevalente giurisprudenza di legittimità è concorde nell'affermare che si tratti di "situazioni consolidate" rispetto alle quali non produce effetti la caducazione della norma ad opera della Corte Costituzionale ( Cass. 7057/1997, Cass. 891/1996).
Ma vi è di più, perché nella ipotesi di intervento di una nuova legge che abbia efficacia retroattiva la Corte di cassazione ha ritenuto che " il principio di irretroattività della legge comporta che la legge nuova non possa essere applicata, oltre che ai rapporti giuridici esauriti prima della sua entrata in vigore, a quelli sorti anteriormente ed ancora in vita se, in tal modo, si disconoscano gli effetti già verificatisi del fatto passato e si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali e future di esso. Lo stesso principio comporta, invece, che la nuova legge possa essere applicata ai fatti, agli status od alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorché conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, debbano essere presi in considerazione in se stessi, prescindendosi totalmente dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che, attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore"(Cass. 3.3.2000, n. 2433).
Con la pronuncia in esame - mutuabile per il principio espresso anche nel caso di specie - correttamente il giudice della nomofilachia accede alle conclusioni di cui alla massima , coniugando l'esigenza di ridisciplinare una data fattispecie (ancorché comportante un rapporto di durata) con il principio di civiltà giuridica che si esprime nella irretroattività della legge, valorizzando il consolidarsi non già della periodica conseguenza nel rapporto di durata quanto del fatto che ne abbia dato origine.
Questo giudice condivide senza riserve tale indirizzo, che risponde alla elementare esigenza di limitare l'intervento del legislatore alle ipotesi in fieri e non a quelle che si siano perfezionate nella vigenza dell'assetto normativo riformato e così precludendo la possibilità di modificare un rapporto sul quale uno dei due soggetti abbia fatto legittimamente affidamento.
E qui, come si è visto, il contratto rappresenta il fatto generatore rispetto agli effetti del quale la pronuncia ex tunc della Corte Costituzionale si configura come circostanza neutra.
Si voglia, quindi, considerate come fatto generatore il contratto o l'atto amministrativo presupposto si tratta comunque di situazioni condilidate.
La particolarità della questione consiglia la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il giudice accoglie la domanda come formulata all'udienza del 4.11.2002 e per l'effetto dichiara che O.G. ha diritto a permanere nella posizione di dirigente, profilo professionale di vicesegretario generale già ricoperta in Epoca antecedente alla delibera CCIA 16.9.2002 e dell'ordine di servizio n. 22/2002. Ordina la immediata reintegra del ricorrente nella posizione lavorativa di cui sopra.

Compensa le spese.

Pisa li 8.11.2002 Il Giudice