Cass. Civ. Sez. lavoro, 02.11.2001, n.13580



Sentenza

CASSAZIONE, SEZ. LAV., 2 NOVEMBRE 2001 N. 13580

 

(...omissis...)


Svolgimento del processo

Con ricorso in opposizione ex art. 209 L.F. depositato il 12.9.1995 l'ing. xxx ha convenuto in giudizio, innanzi al Tribunale di Roma Sezione Fallimentare, la xxx s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa, chiedendo che venisse riconosciuto il suo diritto all'ammissione al passivo, in via privilegiata, di L. 501.785.718, per i seguenti crediti di lavoro:
- indennità c.d. supplementare (prevista dal contratto dei dirigenti di azienda), pari al corrispettivo del preavviso + n. 2 mensilità aggiuntive L. 149.928.482;
- idem: aumento in funzione dell'età L. 42.836.748;
- risarcimento del danno per dequalificazione (18 mensilità) L. 257.020.488;
- differenza gratifica contrattuale L. 52.000.000, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali.

Con sentenza 2-23 luglio 1997 n. 14560 il Tribunale di Roma ha dichiarato il diritto dello stesso all'ammissione, in via privilegiata, nello stato passivo della società xxx in liquidazione coatta amministrativa per la somma di L. 128.660.000, di cui 98 milioni per risarcimento del danno alla professionalità, così quantificato in via equitativa, e L. 30.660.000 per gratifica di bilancio, oltre interessi e rivalutazione, i primi sino alla liquidazione dell'attivo, la seconda sino al deposito dello stato passivo; ha respinto la richiesta di indennità supplementare; ha compensato per metà le spese processuali.

Avverso detta sentenza hanno proposto appello principale il xxx, dolendosi del mancato riconoscimento dell'indennità supplementare, ed appello incidentale la xxx, per ottenere la dichiarazione di insussistenza del diritto del xxx al risarcimento del danno alla professionalità e all'ammissione allo stato passivo della somma di L. 128.600.000.

Con sentenza 1-19 luglio 1999 n. 2325 la Corte d'Appello di Roma ha respinto entrambi gli appelli, compensando le spese del grado.

Avverso tale sentenza, depositata il 19.7.1999 e non notificata, ha proposto ricorso per Cassazione la xxx s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa, notificato il 18 luglio 2000, con due motivi.

L'intimato si è costituito con controricorso, resistendo, e proponendo ricorso incidentale per il riconoscimento della indennità supplementare, sotto due profili.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione

Vanno preliminarmente riuniti il ricorso principale ed il ricorso incidentale proposti avverso la stessa sentenza, ai sensi dell'art. 335 c.p.c..
Con il primo motivo la ricorrente principale si duole del riconoscimento del danno alla professionalità in totale carenza di prova, anche nell'entità; deduce omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 5 c.p.c.).
Assume che il danno alla professionalità presuppone la dequalificazione, ma è una entità distinta ed ulteriore rispetto alla prima. Lamenta che il giudice di appello abbia riconosciuto il danno senza motivare sul punto.
Il motivo non è fondato.
Nella giurisprudenza di questa Corte convivono due orientamenti sul punto, uno più antico, per il quale "Il prestatore di lavoro che chieda la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno (anche nella sua eventuale componente di danno alla vita di relazione o di cosiddetto danno biologico) subito a causa della lesione del proprio diritto di eseguire la prestazione lavorativa in base alla qualifica professionale rivestita, lesione idonea a determinare una dequalificazione del dipendente stesso, deve fornire la prova dell'esistenza di tale danno, la quale costituisce presupposto indispensabile per una sua valutazione equitativa. Tale danno non si pone infatti quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella sopraindicata categoria, onde non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, facendo carico al lavoratore che denunzi il danno subito fornirne la prova in base alla regola generale dell'art. 2697 cod. civ." (Cass. 11 agosto 1998 n. 7905; Cass. 18 aprile 1996 n. 3686).
L'altro, più recente, secondo il quale il demansionamento professionale di un lavoratore non solo viola lo specifico divieto di cui all'art. 2103 cod. civ. ma ridonda in lesione del diritto fondamentale, da riconoscere al lavoratore anche in quanto cittadino, alla libera esplicazione della sua personalità nel luogo di lavoro con la conseguenza che il pregiudizio correlato a siffatta lesione, spiegandosi nella vita professionale e di relazione dell'interessato, ha una indubbia dimensione patrimoniale che lo rende suscettibile di risarcimento e di valutazione anche equitativa, secondo quanto previsto dall'art. 1226 cod. civ. (Cass. 18 ottobre 1999 n. 11727, che ha cassato la sentenza impugnata la quale aveva respinto la domanda di risarcimento del danno proposta dal lavoratore demansionato sull'assunto del mancato assolvimento, da parte dello stesso, dell'onere probatorio relativo alla sussistenza di un danno patrimoniale in qualche modo risarcibile; Cass, 6 novembre 2000 n. 14443).
Nel caso di specie la xxx spa aveva censurato con l'appello incidentale la sentenza del Tribunale perché avrebbe arbitrariamente statuito l'obbligo di risarcire i danni al xxx per la presunta forzata inattività e inoperosità cui era stato costretto, laddove il medesimo dal gennaio 1994 non era stato inattivo e non aveva pertanto subito alcun danno alla professionalità.
Il giudice di appello ha replicato che le risultanze testimoniali sono favorevoli alla sussistenza dei presupposti per il risarcimento per la riduzione dei poteri di dirigente e non sono smentite dalla documentazione prodotta in grado di appello.
Il giudice del merito, con accertamento in fatto a lui demandato, ha quindi statuito che, in relazione alla durata della inoperosità, ed alle altre circostanze di fatto relative, sussistono i presupposti per il risarcimento del danno, così superando la problematica dualistica posta dalla ricorrente.
Infatti il giudice del merito, accertata l'esistenza di una dequalificazione, può desumere l'esistenza del relativo danno, determinandone anche l'entità in via equitativa, con processo logico giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva (sufficiente di per sé sola a sorreggere la decisione: Cass. 18 gennaio 2000 n. 491), in base agli elementi di fatto relativi alla durata della dequalificazione, e alle altre circostanze relative al case concreto.
In tali termini la sentenza impugnata non appare censurabile.
Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente, deducendo insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 5 c.p.c.) censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha riconosciuto la gratifica di bilancio senza motivare sul punto.
Il motivo è inammissibile.
La sentenza impugnata ha rigettato l'appello incidentale della xxx, odierna ricorrente principale, la quale censurava il riconoscimento delle differenze sulla gratifica natalizia obiettando che la gratifica era annuale, proporzionata al periodo lavorato, e condizionata all'approvazione dei bilanci che negli anni 1993 e 1994 non erano stati approvati.
Il giudice d'appello ha ritenuto adeguata la motivazione del Tribunale, che ha riconosciuto le gratifiche di bilancio complessivamente in L. 36.660.000, di cui L. 12.000.000 relativamente all'anno 1993 e L. 18.660.000 per il periodo di lavoro nell'anno 1994, quali anticipi da conguagliare al momento della definitiva liquidazione, "secondo quanto previsto dall'allegato alla lettera di assunzione del 26 giugno 1991".
A fronte di tale motivazione, che dà conto, concisamente, come richiesto dall'art. 132 c.p.c., dei motivi dell'impugnazione e di quelli della decisione, era onere della ricorrente, a pena di ammissibilità dell'impugnazione, contestare la ragione della decisione tratta dalla clausola del contratto di assunzione.
Con il primo motivo il ricorrente incidentale, deducendo omessa motivazione su punto decisivo della controversia ( art. 360, n. 5 c.p.c.), censura la sentenza impugnata nella parte in cui non ha riconosciuto la indennità supplementare.
Egli pretende di averne diritto in base alla teoria della c.d. efficacia reale del preavviso, secondo la quale nel contratto di lavoro a tempo indeterminato la dichiarazione di recesso ha efficacia non nel momento in cui viene emessa ma nel momento in cui viene a scadere il termine del preavviso, che nella specie sarebbe scaduto 8 mesi dopo il 31 luglio 1994, quando era già entrato in vigore il comma 2 bis L. 27 dicembre 1994, n. 738 (Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 22 novembre 1994, n. 643, recante norme di interpretazione e di modificazione del D.L. 19 dicembre 1992, n. 487, convertito, con modificazioni, dalla L. 17 febbraio 1993, n. 33 e successive integrazioni, concernente la soppressione dell'EFIM) il quale consente ai dirigenti delle società finanziarie caposettore, delle società di servizi e delle società di servizi finanziari, controllate dall'EFIM, di usufruire dei trattamenti indicati nell'articolo 3, comma 2-quater, del decreto-legge 19 dicembre 1992, n. 487, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 1993, n. 33, come previsto per i dirigenti EFIM.
Il Tribunale di Roma ha affermato che il rapporto di lavoro è cessato il 31 luglio 1994, quando la Breda ha disposto il licenziamento del xxx con effetto immediato, con dispensa dal lavoro per il periodo di preavviso, pagandogli contestualmente la relativa indennità sostitutiva del preavviso.
Il xxx ha censurato tale affermazione davanti al giudice d'appello, deducendo di avere impugnato tempestivamente la quietanza liberatoria.
Il giudice d'appello ha rilevato che il xxx con la lettera inviata alla xxx spa il 17 ottobre 1994, dando atto di aver ricevuto le indennità di fine rapporto e l'indennità sostitutiva del preavviso e dichiarando di impugnare la quietanza liberatoria sottoscritta in occasione del pagamento con la quale aveva affermato di non aver nulla a pretendere, rivolse solo l'istanza per ottenere il riconoscimento dell'indennità supplementare e del risarcimento danni, ma non impugnò la risoluzione del rapporto né la durata dello stesso cosicché la percezione dell'indennità sostitutiva del preavviso ha determinato l'interruzione del rapporto di lavoro al 31 luglio 1994.
Il ricorrente incidentale contesta di avere ricevuto la indennità sostitutiva del preavviso al momento del recesso, e dichiara di avere impugnato con lettera 17.10.1994 la quietanza liberatoria del pagamento del trattamento di fine rapporto e del preavviso, avvenuta successivamente al recesso.
Il motivo non è fondato.
Il preavviso di licenziamento comporta la prosecuzione del rapporto di lavoro e di tutte le connesse obbligazioni fine alla scadenza del termine di preavviso solo nell'ipotesi in cui il lavoratore continui nella prestazione della sua attività, mentre si verifica l'immediata interruzione del rapporto quando intervenga fra le parti un accordo in proposito, anche manifestato per fatti concludenti, come nell'ipotesi di accettazione senza riserve da parte del lavoratore dell'indennità sostitutiva del preavviso (Cass. 29 luglio 1999 n. 8256).
L'esistenza del consenso tramite l'accettazione della indennità sostitutiva del preavviso costituisce accertamento di fatto, che il giudice di appello, con motivazione immune da vizi logici, ha compiuto distinguendo tra contestazione della somma ricevuta e mancata contestazione della cessazione immediata della prestazione lavorativa.
Con il secondo motivo di ricorso incidentale il xxx deduce che in ogni caso, la indennità supplementare gli è dovuta perché direttamente prevista dal contratto collettivo per i dirigenti industriali (la cui applicazione al rapporto di lavoro del ricorrente é richiamata nella lettera di assunzione), per il caso di cessazione del rapporto del dirigente a seguito di "ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione, ovvero crisi settoriale o aziendale", ipotesi per la quale è stata motivata la cessazione del rapporto di lavoro con il ricorrente, come si evince dalla lettera di licenziamento datata 28.7.94, che così si esprime:" ... Tale situazione ha determinato una inevitabile riduzione e riorganizzazione delle attività societarie con conseguente ridimensionamento e soppressione di alcune posizioni. Nell'ambito di detto piano rientra anche la funzione da Lei occupata...".
Il ricorrente deduce che il licenziamento non è stato determinato dalla cessazione della attività della xxx spa (come sostenuto dalla convenuta), ma proprio nell'ambito di quella ristrutturazione alla quale il Ccnl ricollega il pagamento della indennità supplementare.
Anche questo ultimo motivo è infondato.
Come riferito dal ricorrente e non contestato da controparte, il contratto collettivo per i dirigenti industriali prevede a loro favore una indennità supplementare per il caso di cessazione del rapporto del dirigente nelle distinte ipotesi di "ristrutturazione, riorganizzazione, riconversione, ovvero crisi settoriale o aziendale".
Il giudice di appello, con statuizione non censurata, ha escluso che nel caso in esame ricorresse l'ipotesi di crisi aziendale.
Il ricorrente appunta le sue censure sull'ipotesi di riorganizzazione delle attività societarie, rientrante nella previsione contrattuale, e con la quale è stato motivato il suo licenziamento.
Ma anche questa ipotesi è stata esclusa dal giudice di merito, con accertamento in fatto a lui demandato, secondo il quale la liquidazione coatta amministrativa non ha implicato di per sé i processi previsti dalla norma contrattuale invocata.
In conclusione il Collegio ritiene che il giudice del merito abbia risolto con equilibrata decisione il conflitto tra le contrapposte pretese, nel che risiede la funzione giudiziaria, nel rispetto delle norme legali e contrattuali applicabili; il che costituisce altresì motivo per la totale compensazione delle spese processuali del presente giudizio.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta. Spese del presente giudizio compensate.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Lavoro il 20 giugno 2001.

DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 02 NOV. 2001.