Tribunale di Torino Sez. Lavoro, 11.12.1999



Stralcio Sentenza

TRIBUNALE DI TORINO

SEZIONE LAVORO

 SENTENZA DEL 11 DICEMBRE 1999

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in cancelleria il I ° giugno 1999 la signora S. M. R. - già dipendente della Z. s.p.a. dal 25 febbraio 1991 al 30 settembre 1998, con inquadramento in V categoria, livello Cl, e mansioni impiegatizie - chiede al giudice del lavoro dì condannane il datore al pagamento in proprio favore della somma di trenta milioni di lire o dì quella da determinare in corso di causa, se del caso anche in via equitativa, a titolo di risarcimento del danno alla professionalità e di danno biologico patiti, oltre accessori di legge
A fondamento di tale domanda osserva quanto segue:1) verso metà luglio 1997 viene convocata dal presidente ella soc. Z. per un colloquio, nel corso del quale è invitata a rassegnare le proprie dimissioni;
2) la ragione di tale illegittima richiesta è rappresentata dal passaggio ad una società concorrente della Z. del proprio convivente, signor L. G., già dipendente di tale ultima società e dimessosi dalla stessa nel gennaio 1997;
3) tale colloquio la turba così profondamente da cagionarle un grave stato di crisi psicologica, accompagnato da significativi disturbi fisici, da rendere in pari tempo necessario il ricorso ad un neurologo e infine da comportare un'assenza per malattia, protrattasi sino al 1° dicembre 1997;
4) nel settembre 1997 e cioè nel periodo della propria assenza dal lavoro, iI datore intraprende la ricerca e selezione di una lavoratrice, poi individuata nella sig.ra B. C., da utilizzare come assistente commercio estero e nelle stesse mansioni da lei in antecedenza svolte: contatti e gestione clienti stranieri, corrispondenza con l'estero, traduzione di normative e cataloghi tecnici, redazione in lingua straniera di documenti tecnici e non, interprete,
5) alla ripresa del lavoro (I° dicembre 1997) viene trasferita dagli uffici amministrativi al mano e qui ambita a compiti di assistente, decisamente dequalificanti rispetto al livello di professionalità acquisita e tali da comportare un degrado della propria immagine di fronte ai colleghi di lavoro;
6) in tale muova veste cessa infatti di fare uso delle lingue straniere conosciute, di intrattenere relazioni professionali con terzi estranei all'azienda, di operare con autonomia;
7) il 31 settembre 1998 decide allora di rassegnare le prode dimissioni e di intraprendere una nuova attività lavorativa, al fine di evitare il definitivo ed irreversibile depauperamento della propria professionalità;
8) solo a distanza di undici mesi riesce però a reperire una morva occupazione, non adeguata alla professionalità conseguita e con un contratto in prova, risoltosi dopo due mesi di lavoro;
9) attualmente è ancora alla ricerca di una nuova occupazione, confacente alle proprie capacità professionali. Parte convenuta si costituisce in giudizio e contesta la pretesa azionata in causa, ritenendola del tutto destituita dì fondamento.
Osserva in proposito quanto segue:1) la ricorrente ha operato in azienda in compiti privi di autonomia e, in particolare, quale segretaria addetta alla corrispondenza, pur effettuando talora la traduzione di alcuni testi e fungendo saltuariamente da interprete; 2) l'assunzione della signora C. B. è stata determinata dall'esigenza di reclutare un responsabile delle vendite con l'estero, disposto a frequenti viaggi in paesi stranieri ed in possesso di elevata qualificazione, oltre che del diploma di laurea; 3) il presidente della soc. Z. non ha mai preteso che la ricorrente rassegnasse le dimissioni né ha mai avuto ragione di pretenderlo, svolgendo il signor L., convivente della ricorrente e già dipendente della convenuta, compiti di addetto alla sicurezza presso alcuni locali notturni, dopo le dimissioni dall'azienda;4) il trasferimento della ricorrente al nuovo incarico è avvenuto nel rispetto delle pregresse mansioni nonché dell'o contrattuale di appartenenza (gruppo 1, livello C).
Fallita la conciliazione, il giudice dà corso all'istruttoria, interrogando le parti ed escutendo i testi, ivi compreso il sig. L., non svisando il profilo di inammissibilità indicato dalla convenuta (non essere questi più in azienda dal 28 gennaio 1997) né comunque situazioni di incapacità ex art. 246 c.p.c.
All'esito dell'istruttoria, la causa viene discussa dai patroni delle parti.
In tale sede i difensori delle parti ribadiscono I'istanza, già formulata in corso di causa, di consulenza medico-legale, al fine di chiarire eziologia, natura e gravità della patologia lamentata dalla ricorrente.
Dopo la discussione orale, la vertenza viene infine decisa, come da dispositivo trascritto in calce alla presente sentenza, di cui il giudice dà pronta lettura alle parti.
Motivi della decisione. -1. - Sul «mobbing» in azienda. Prima di addentrarci nell'esame delle questioni specifiche di causa, occorre dare conto - ai sensi del 2° comma dell'art. 115 c.p.c. e, quid, nel quadro delle circostanze appartenenti al «fatto notorio», «acquisito alle conoscenze della collettività in modo da non esigere dimostrazione alcuna in giudizio» (è questa la definizione del «fatto notorio» che ricorre in numerose decisioni del Supreme collegio. V, da ultimo, Cass. 28 marzo 1997, n 2808, Foro it., Rep. 1997, voce Prova civile in genere, n 11) - di alcuni profili direttamente evocati dalla vicenda prospettata in ricorso.
Da alcuni anni gli psicologi, gli psichiatri, i medici del lavoro, i sociologi e più in generale coloro che si occupano di studiare il sistema # esistente in fabbrica o negli uffici ed i suoi riflessi sulla vita del lavoratore, ne hanno alcune gravi e rei~ distorsioni, capaci di incidere pesantemente stilla salute individuale.
Si tratta di un fenomeno ormai irternazionalmente noto come mobbing.
Il termine, proveniente dalla lingua inglese e dal verbo to mob (attaccare assalire mediato dall'etologia, si riferisce al comportamento di alcune specie animali, solite circondare minacciosamente un membro del gruppo per allontanarlo. Spesso nelle aziende accade qualcosa di simile, allorché il dipendente è oggetto ripetuto di soprano da parte dei superiori e, in particolare, vengono poste in essere nei suoi confronti pratiche dirette ad isolarlo dall'ambiente di lavoro e, nei casi più gravi, ad espellerlo; pratiche il cui effetto è di intaccare gravemente l'equilibrio psichico del prestatore, menomandone la capacità lavorativa e la fiducia in sé stesso e provocando catastrofe emotiva, depressione e talora persino suicidio.
Il fenomeno ha ormai assunto, a seguito delle denunce di numerosi esperti di settore (medici, sociologi, eco.) e delle stesse vittime, proporzioni senza dubbio rilevanti, così da coinvolgere, secondo la stima di un autorevole settimanale francese, in ogni paese europeo, percentuali non indifferenti di lavoratori.
In base a tale stima, oltre il quattro per cento dell'imera forza lavoro occupata in Italia è attualmente oggetto di pratiche di mobbing.
Inoltre, secondo il centro di disadattamento della prestigiosa clinica del lavoro «Luigi Devoto» di Milano, che al tema del mobbing a fine febbraio 1999 ha dedicato un seminario nazionale, ogni dipendente ha il venticinque per cento di possibilità di trovarsi, nel corso della propria esperienza professionale, in tali condizioni, mentre il dieci per cento dei casi di suicidio presenta come concausa una situazione di terrorismo psicologico sul posto di lavoro.
2. - Sulla richiesta di c.t.u. medico-legale. Fatta questa doverosa premessa, assolutamente indispensabile al fine di inquadrare correttamente le problematiche di causa nel contesto lavorativo e nel sistema di relazioni endo-aziendali attualmente esistenti, i quali conoscono e registrano con una certa frequenza pratiche di violenza morale e di terrorismo nei posti di lavoro, passiamo ad esaminare il caso oggetto di causa.
In sede di discussione finale della vertenza i difensori delle parti ribadiscono l'istanza già formulata in corso di causa di ctu medico legale, al fine di chiarire
Ad avviso del giudice non vi è ragione di dare corso all'adempimento richiesto, essendo l'accertamento peritale nel caso in esame. del tutto superfluo.
Gli elementi raccolti in sede istruttoria, come si vedrà nel prosieguo, risultano infatti di portata tale da consentire la definizione dì ogni profilo della vertenza, sia per quanto concerne la sussistenza o meno del fatto lamentato dalla lavoratrice sia per ciò che attiene alla determinazione dell'entità del danno eventualmente patito, che esige ristoro.
3. - Sui fatti di causa. L'istruttoria esperita in corso di causa ha consentito di aere quanto segue. Nel gennaio 1997 il signor L. G., convivente ella ricorrente e dal 1989 dipendente delta società convenuta, si dimette volontariamente dal servizio e in pari tempo rende noto in azienda che di Il a poco sarà assunto da altro datore, ma in compiti totalmente diversi da quelli in antecedenza esplicati presso la soc. Z. e cioè attinenti la sicurezza.
La circostanza riferita in azienda dal diretto interessato non è però rispondente al vero, in quanto egli è in trattative con la soc. Ansa, concorrente della società convenuta, per un'assunzione con compiti di un certo rilievo, come in effetti avviene poi in concreto. Il sig. L. è spinto a tale singolare contegno, e cioè a tenere celato in Z. il vero nome del nuovo datore, dall'esigenza di salvaguardare il lavoro della ricorrente e in particolare il posto fino a quel momento ricoperto dalla stessa, essendo egli visibilmente preoccupato di possibili ritorsioni datoriali nei confronti della convivente, correlate alla propria nuova collocazione lavorativa, come del resto avvenuto in circostanze similari ai danni di altri dipendenti, stando almeno ad alcune voci raccolte in azienda.
Successivamente, nel luglio 1997, la ricorrente viene convocata per un colloquio dal presidente della soc. Z., il quale la sollecita a rassegnare le dimissioni e le preannuncia che, in difetto, non potendo più essere mantenuta nell'incarico in antecedenza occupato presso l'amministrativo centrale, sarebbe stata spostata in altro comparto aziendale.
La ragione di tale invito e annuncio è costituita dall'avere il presidente della Z. appreso, in circostanze verosimilmente fortuite, che il signor L. si è dimesso dal servizio non per operare nell'ambito della sicurezza, come lasciato intendere, ma per divenire dipendente della soc. A. e cioè di una concorrente della convenuta.
Il colloquio con il presidente della soc. Z. turba e preoccupa così profondamente la ricorrente, da mutare nel successivo torno di tempo il corso regolare della sua esistenza.
Dopo tale episodio, infatti, la lavoratrice:
deve fare ricorso prima al medico di famiglia ' e poi, su indicazione e sollecitazione di questo, ad un neurologo; - presenta uno stato patologico acuto, diagnosticato dal medico di famiglia e dal neurologo come «sindrome ansioso depressiva reattiva» stato accompagnato da labilità emotiva, nervosismo, insonnia, inappetenza, ansia, perdita di autostima, crisi di pianto;
- deve fare ricorso ad una terapia farmacologia costituita da ansiolitici, antidepressivi, disintossicanti;
- deve assentarsi per malattia, in concomitanza con lo sviluppo della fase acuta di tale patologia, malattia protrattasi sino agli inizi di dicembre 1997:
Di ciò fanno fede, in modo assolutamente convergente, la deposizione del signor L. nonché le dichiarazioni e certificazioni in atti del medico di base e del neurologo che all'epoca l'hanno visitata, dalle quali emerge anche che la lavoratrice non ha mai sofferto in antecedenza di tali disturbi e stati patologici e che fino all'inizio dell'estate 1997 la sua vita sia in ambito lavorativo che in ambito familiare è stata serena e si è svolta in modo dei tutto normale e regolare. La situazione patologica sopra descritta si protrae anche nel corso del 1998 e, dopo un primo significativo miglioramento registratosi nell'ottobre 1998, in concomitanza con la cessazione della collaborazione lavorativa, si risolve definitivamente nel gennaio 1999 o in data anteriore e prossima a tale data.
L'istruttoria esperita in corso di causa ha, in pari tempo, fornito anche due ulteriori risultanze, di indubbio significato e rilievo ai fini della decisione della causa
Prima: in data 10 novembre 1997, mentre la ricorrente si trova in malattia, la convenuta assume altra dipendente, con contratto a tempo indeterminato ed inquadramento iniziale identico a quello della ricorrente (livello C, gruppo 1), utilizzata in compiti di assistente al commercio estero e quindi in mansioni per buona parte già svolte dalla ricorrente ma, tra cui la gestione dei clienti stranieri, la corrispondenza con l'estero in lingua francese, inglese, tedesco, spagnolo, la traduzione di capitolati dal tedesco in italiano, il lavoro di interprete.
In data 1° dicembre 1997, alla ripresa del lavoro, la ricorrente viene trasferita dagli uffici amministrativi al magazzino e qui adibita a mansioni meramente esecutive di assistente, consistenti nell'emissione delle bolle di accompagnamento in uscita, nel controllo degli inventari e nel caricamento a terminale delle bolle in entrata. Cessa in modo di fare uso delle lingue straniere conosciute e di intrattenere relazioni professionali con clienti esteri.
Orbene, in base agli accertamenti e alle risultanze di cui si è in antecedenza dato conto, può ritenersi fornita la prova - innanzi tutto - del nesso di causalità tra la patologia insorta improvvisamente nella lavoratrice e l'ambiente di lavoro. Del che deve indubbiamente essere chiamata a rispondere la società datrice di lavoro, ai sensi dell'art. 2087 c.c., essendo la medesima tenuta a garantire l'integrità fisio-psichica dei propri dipendenti e, quindi, ad impedire contegni aggressivi e vessatori dei responsabili nei confronti di quelli.
Né quanto accaduto alla ricorrente potrebbe ritenersi frutto, nel caso di specie, di un tratto peculiare del suo carattere e cioè di una particolare emotività della stessa; così da spiegare in base a tale solo dato quanto accadutole sul piano personale.
Stando infatti alle deposizioni, concordi in punto, del convivente della lavoratrice e di un collega di lavoro dell'epoca, la ricorrente non ha mai manifestato, prima dei fatti di causa, alcuna debolezza o cedevolezza sul piano emotivo e comportamentale.
Nel caso in esame non potrebbe conseguentemente prospettarsi - in riferimento alla previsione di cui al 2° e 3° comma dell'au. 41 c.p. e argomentando da essa - un'ipotesi di esclusione dei nesso di causalità, per la preesistenza di causa efficiente autonoma, capace da sola di generare l'evento lesivo.
A ciò aggiungasi che se anche si volesse ammettere per ipotesi che, come vittima dell'altrui condotta ingiusta, la lavoratrice ha reagito in modo del tutto singolare ed estremo, e cioè con profondo turbamento, così profondo da generare in lei l'insorgenza di una sindrome depressiva reattiva, ciò però è cosa che non modifica né la realtà della prevaricazione né la posizione nella ricorrente di persona offesa da essa.
La Carta costituzionale, nel suo art. 32, e la legge ordinaria, nell'art. 2087 c.c., tutelano infatti tutti indistintamente i cittadini, siano essi forti e rapaci di resistere alte prevaricazioni o siano viceversa più deboli e quindi destinati anzitempo a soccombere.
Gli accertamenti e le risultanze di cui si è detto in antecedenza comprovano inoltre che quanto preannunciato dai presidente della soc. Z., nel corso del colloquio avvenuto nel luglio 1997, come alternativa punitiva rispetto alle dimissioni sollecitate dalla lavoratrice, si è puntualmente avverato.
A far tempo dal l° dicembre 1997, data dei rientro della ricorrente in azienda dopo la malattia, e sino al 30 settembre 1998, data di cessazione della medesima dal servizio, la lavoratrice viene infatti sollevata dall'incarico precedente esplicato, nel frattempo attribuito ad una neo-a~ di iniziale pari livello contrattuale.
La ricorrente viene in pari tempo collocata in un diverso comparto aziendale, senza l'esistenza di alcuna apprezzabile ragione, del resto neppur dedotta in memoria e provata in causa.
Le vengono infine attribuiti compiti che, benché rientranti astrattamente nell'inquadramento di appartenenza, come del resto correttamente riconosciuto dalla stessa ricorrente in corso di causa, assumono nella specie valenza del tutto dequalificante, avuto riguardo alla sua storia lavorativa, alla professionalità acquisita nel corso del tempo e, infine, all'indubbio livello di autonomia conseguito.
Si tratta di una deminutio assai grave di per sé, in quanto costituisce violazione dell'ars. 2103 c.c., e destinata ad assumere un connotato ulteriore di gravità se raccordata (come accennato sopra) all'episodio e colloquio del luglio 1997.
4. - Sul ristoro del danno patito. Accertata in base a quanto precede la sussistenza di condotte antigiuridiche imputabili a fatto e colpa della società datrice di lavoro, condotte produttive di danni, nella forma sia del danno biologico sia di quello da dequalificazione, si tratta a questo punto di determinare il quantum debeatur.
In proposito va osservato, quanto al danno biologico, che non si versa in ipotesi di invalidità permanente, essendosi la patologia insorta nella lavoratrice risolta quantomeno nel gennaio 1999, dopo un primo significativo miglioramento già registratosi nell'ottobre 1998, in concomitanza con la cessazione della collaborazione lavorativa. A ciò aggiungasi, quanto al danno da dequalificazione, che esso risulta temporalmente circoscritto al periodo 1° dicembre 1997-30 settembre 1998.
Tenuto canto di tali dati, alla ricorrente viene equitativamente liquidato l'importo netto di dieci milioni di lire.
A ciò vanno aggiunti gli interessi legali dall'ottobre 1998 al saldo, essendo gli accessori del credito in antecedenza maturati, nel periodo compreso dall'insorgenza della patologia accertata in causa sino alla risoluzione del rapporto, già conteggiati e cumulati nel capitale sopra liquidato.
Le spese di lite, menzionate nel loro esatto ammontare in dispositivo, vengono poste a carico della parte soccombente.
Si ritiene doveroso informare di quanto in antecedenza accertato il procuratore della repubblica presso il Tribunale di Torino, per le valutazioni che al medesimo competono. A tal fine la cancelleria dovrà trasmettere copia della presente sentenza a tale organo.