Cass. civ. Sez. lavoro, 01-09-1997, n. 8267



Sentenza

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Dott. Romano PANZARANI Presidente

" Francesco AMIRANTE Consigliere

" Giovanni PRESTIPINO "

" Mario PUTATURO "

" Corrado GUGLIELMUCCI Rel. "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

L. P., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE MAZZINI 6, presso l'avvocato RENATO MACRO, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

Ricorrente

contro

E. A. F. DEL L. DI BARI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA STIMIGLIANO 28, presso lo studio dell'avvocato GIULIANO PELÀ, rappresentato e difeso dall'avvocato PIETRO LEONIDA LAFORGIA, e dall'avvocato CARLO CERMIGNANI giusta procura speciale del Notaio FRANCESCO REBOLI di Bari del 12/2/97 rep. n. 375151;

Controricorrente

avverso la sentenza n. 2257/94 del Tribunale di BARI, depositata il 12/05/94 n.r.g. 1732/91;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/02/97 dal Relatore Consigliere Dott. Corrado GUGLIELMUCCI;

udito l'Avvocato CERMIGNANI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Massimo FEDELI che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

svolgimento del processo

Il dr. P. L., capo dell'Ufficio P/A2 dell' E.A. F. L. di cui è dipendente, ha chiesto la condanna dello stesso al pagamento, in suo favore, di lire 50.000.000 per risarcimento del danno biologico derivato all'infarto da lui subito in conseguenza della stressante attività cui aveva dovuto sottoporsi per fronteggiare il carico di lavoro dell'ufficio cui egli era preposto, con un organico del tutto insufficiente.

Il pretore ha rigettato la domanda.

Il Tribunale di Bari, innanzi al quale il dr. L. ha proposto appello, con sentenza del 12 maggio 1994, ha confermato la sentenza pretorile ricalcandone le ragioni decisionali.

Secondo il Tribunale l'esistenza presso un ufficio di un carico di lavoro eccessivo - in relazione alla entità dell'organico esistente presso l'ufficio stesso - non obbliga il datore di lavoro ad adeguare l'organico essendo riservato il relativo dimensionamento esclusivamente alle sue scelte imprenditoriali.

Il lavoratore che, di sua iniziativa, si assoggetti ad un superlavoro per mantenere - nonostante la carenza di organico - l'efficienza del reparto a lui affidato compie una scelta da ascriversi esclusivamente a sua responsabilità senza che possa esser evocata quella del datore di lavoro.

Il dr. L. non era stato costretto ad assoggettarsi a lavoro straordinario - che peraltro aveva contenuto nel limite annuale di 500 ore; così come, di sua iniziativa, non aveva, con continuità, fruito dei periodi feriali.

Per questa ragione, anche a voler consentire con la C.T.U. espletata in primo grado - che aveva ravvisato nello stress da eccessivo lavoro il principale fattore dell'infortunio cardiocircolatorio - al datore di lavoro non era addebitabile alcuna responsabilità.

Il dr. L. chiede la cassazione della sentenza con ricorso articolato in due motivi; l'Ente Mostra resiste con controricorso.

motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente denuncia omesso esame delle prove testimoniali e della consulenza tecnica, e sostiene che il Tribunale ha completamente ignorato quanto risultato dalle stesse in ordine all'incessante impegno cui aveva dovuto egli sottoporsi per non compromettere il livello di efficienza del reparto - centrale, nell'ambito della organizzazione aziendale a lui affidato - nonostante le carenze di organico.

Con il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 2087 e 2043 c.c. e contesta l'asserzione del Tribunale secondo cui il datore di lavoro è esente da responsabilità in ordine alla salute del proprio dipendente - anche quando il danno alla stessa trovi origine nella organizzazione lavorativa - se l'assoggettamento all'abnorme attività lavorativa derivi da sua scelta.

Incombe, infatti, al datore di lavoro - in ottemperanza al disposto dell'art. 2087 c.c. - dimensionare la propria organizzazione lavorativa in maniera tale da salvaguardare l'integrità psicofisica dei propri dipendenti.

Le censure, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminate, sono entrambe fondate.

Come si è detto, la decisione del Tribunale poggia su un'asserzione di assoluta irresponsabilità del datore di lavoro in ordine ai danni alla salute del lavoratore che dipendano da iniziative dello stesso volte a sopperire a carenze di organico per mantenere il livello di efficienza del settore cui egli sia addetto.

Secondo il Tribunale, infatti, il datore di lavoro, nell'ambito della sua libertà di iniziativa economica, è libero di determinare, insindacabilmente, la dimensione dell'organico aziendale necessario per conseguire determinati obiettivi produttivi.

Se gli stessi siano raggiunti - allorché rispetto ad essi l'organico sia inadeguato - con un apporto dei propri dipendenti che ecceda l'impegno proprio di una normale prestazione trasformandosi in lavoro stressante, ciò è frutto di un'iniziativa del lavoratore che ad esso si assoggetti: senza che in ordine a tale opzione sia ravvisabile, per l'appunto, alcuna responsabilità del datore di lavoro.

Il criterio che sorregge la decisione del Tribunale, a quanto emerge dalla sentenza impugnata, sembra poggiare su una concezione non coerente con i principi di tutela del lavoro esistenti nel vigente ordinamento giuridico.

Tali principi escludono, invero, la legittimità di un potere imprenditoriale volto alla massimizzazione della produzione senza incontrare l'imprescindibile limite di non arrecare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, giusta quanto disposto - con immediata efficacia - nella regolazione del conflitto di interessi e di valori, dall'art. 41, comma 2, Cost.

In ottemperanza a tale precetto il datore di lavoro non può pertanto esimersi dall'adottare tutte le misure necessarie - compreso l'adeguamento dell'organico - volte ad assicurare livelli competitivi di produttività senza compromissione, tuttavia, dell'integrità psicofisica dei lavoratori soggetti al suo potere organizzativo e di dimensionamento delle strutture aziendali.

L'accettazione, pertanto, da parte del lavoratore, di un lavoro straordinario - continuativo - ancorché contenuto nel cosiddetto monte ore contrattuale massimo, o la rinuncia ad un periodo feriale effettivamente rigenerativo dell'impegno lavorativo - cui non contraddice il giusto disegno di una progressione in carriera - non possono mai esimere il datore di lavoro dall'adottare tutte le misure tutelative dell'integrità fisico-psichica del lavoratore: comprese quelle intese ad evitare eccessività di impegno da parte di un soggetto che è in condizioni di subordinazione socio-economica.

Come è noto - e la regola è stata elaborata in materia di infortuni sul lavoro - l'eventuale concorso di colpa del lavoratore non ha efficacia esimente per il datore di lavoro che abbia omesso le misure atte ad impedire l'evento lesivo, restando egli esonerato da ogni responsabilità solo quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell'abnormità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute (cfr. sent. Cass., n. 7636/1996, 3510/1996).

La regola consolidata nell'ambito dell'art. 2087 c.c. - individuata da questa Corte nella materia in questione - prescrive che l'attività di collaborazione cui l'imprenditore è tenuto, ai sensi di tale norma, in favore dei lavoratori, non si esaurisca nella predisposizione di misure tassativamente imposte dalla legge ma si estenda alle altre iniziative o misure che appaiano utili per impedire l'insorgere o l'ulteriore deterioramento di una situazione tale per cui lo svolgimento dell'attività lavorativa determini - con nesso di causalità il cui accertamento è riservato al giudice di merito - effetti patologici o traumatici nei lavoratori.

Di conseguenza, anche il mancato adeguamento dell'organico che abbia determinato un eccessivo impegno di lavoro da parte del lavoratore, ovvero il mancato impedimento di un superlavoro eccedente - secondo regole di esperienza la normale tollerabilità, con conseguente danno per la salute del lavoratore stesso - costituiscono violazione, oltre che dell'art. 41, comma 2, della Costituzione, della regola contenuta nell'art. 2087 c.c., con responsabilità di natura contrattuale.

Il Tribunale non si è attenuto a questi principi di diritto non dando, di conseguenza, rilievo ai risultati istruttori (testimonianze e consulenza tecnica).

Il ricorso va quindi accolto, la sentenza cassata e la causa rinviata ad altro giudice che si designa nel Tribunale di Foggia, che attenendosi ai predetti principi di diritto esaminerà la controversia, provvedendo anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Foggia anche per le spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma il 14 febbraio 1997.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 1 SETTEMBRE 1997.