Disegno di legge 22.12.2004, n.3255



Norme per contrastare il fenomeno del mobbing



SENATO DELLA REPUBBLICA XIV LEGISLATURA N. 3255

Disegno di legge

d’iniziativa del senatore MAGNALBÒ

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 22 DICEMBRE 2004

Norme per contrastare il fenomeno del mobbing

Onorevoli Senatori. – Il termine mobbing, deriva dall’inglese to mob che significa: attaccare, assalire tumultuosamente, accalcarsi intorno a qualcuno, ed è stato coniato dall’etologo Konrad Lorenz per descrivere l’attacco di un gruppo di uccelli contro l’intrusione di un altro animale. Nei tempi più recenti mobbing indica un fenomeno di rilevanza sociale e giuridica dalle molteplici sfaccettature, che si sostanzia in una violenza o persecuzione psicologica, attuata con comportamenti di varia natura, che la vittima viene a subire nell’ambiente di lavoro. A qualunque fine sia mirato, il mobbing si sostanzia in un abuso perpetrato nei confronti della dignità di una persona, che ne subisce in primo luogo i danni di natura psicologica e, secondariamente, quelli di natura economica.

La presa di coscienza della gravità delle conseguenze che soprusi e vessazioni, ben diversi dalla competizione, che è fisiologica e stimolante, possono provocare sulla persona del lavoratore, è coeva al riconoscimento del diritto di salvaguardia della dignità dell’uomo. L’essere umano è considerato non più come mero titolare di diritti a contenuto patrimoniale o soltanto come titolare di un diritto alla protezione della propria salute tanto fisica quanto psichica, bensì come persona che ha titolo ad esigere che sia rispettata, in ogni circostanza, la propria dignità e la propria sfera esistenziale. A tale evoluzione civile e culturale del rispetto della persona nella sua interezza e di tutte le sue attività costituzionalmente tutelate, è correlato il nuovo assetto dogmatico del danno non patrimoniale. Le fattispecie di danno, contro le quali si cerca di perseguire la tutela piena ed effettiva della persona, sono state integrate con la individuazione del danno esistenziale, inteso quale danno al benessere della persona, considerato come un valore in sè indipendentemente dal fatto dell’insorgenza nella vittima di uno stato patologico qualificabile come malattia.

Questa legislatura ha dimostrato profonda sensibilità per le conseguenze deleterie che le pratiche di
mobbing possono avere sulla sfera esistenziale della vittima e sulla intera realtà sociale ed economica del Paese.

Le conseguenze pregiudizievoli alla integrità psico-fisica della vittima, coinvolta in una spirale negativa dai risvolti drammatici, hanno pesanti ripercussioni nella vita di relazione ed interpersonale, in specie in ambito familiare (c.d. doppio-mobbing). Il decadimento dello stato di salute si ripercuote, poi, sulla struttura sanitaria nazionale, in termini di aggravio delle spese per l’assistenza. La stessa azienda risente della diminuzione della produttività e della motivazione al lavoro, spesso non limitata alla vittima, ma anche ai colleghi, e dell’eventuale risarcimento qualora venga avviata un’azione legale. Solo con una risposta legislativa adeguata si può, inoltre, evitare il massiccio ricorso alla giurisdizione per reprimere ogni tipo di condotta asseritamente vessatoria, con il conseguente aumento di cause per risarcimento del danno da

mobbing. Deve pure osservarsi che, sul piano normativo, l’Italia, in questo settore è inadempiente all’appello lanciato dal Parlamento europeo con la risoluzione 2001/2339. Inoltre, il nostro Paese è in ritardo rispetto agli altri Paesi, come la Svezia o la Francia, i quali si sono già dotati di regole volte a sanzionare i comportamenti che possono qualificarsi come mobbing e a prevenirli.

L’esigenza di una risposta legislativa adeguata alla tutela della dignità ed integrità della persona è ormai avvertita come indispensabile da tutti i rappresentanti dei diversi schieramenti politici.

Assodato che le regioni non possono legiferare sul
mobbing, come afferma la Corte costituzionale nella sentenza 359 del 2003, e a fronte della sostanziale identità di contenuto dei progetti di legge presentati in Parlamento nel corso di questa XIV legislatura, si auspica che, con opportuna sensibilità giuridica, la priorità della dignità umana e del valore uomo vedano coese le forze della maggioranza e dell’opposizione.

Le ragioni etiche, umane, di giustizia e correttezza nei rapporti umani che spingono in favore di un immediato iintervento legislativo conferiscono unitarietà e omogeneità alla disciplina di tutti i progetti di legge nazionale.

Nella stesura di questo progetto di legge sono state tenute in considerazione le soluzioni offerte da numerosi disegni di lgge già presentati in Parlamento: al Senato i disegni di legge n. 122 del 6 giugno 2001,

n. 924 del 5 dicembre 2001, n. 266 del 21 giugno 2001, n. 422 del 9 luglio 2001, n. 870 del 21 novembre 2001, n. 1242 del 14 marzo 2002, n. 1280 del 21 marzo 2002, n. 1290 del 27 marzo 2002; alla Camera dei deputati i disegni di legge n. 581 del 6 giugno 2001, n. 1128 del 28 giugno 2001, n. 2040 del 28 novemb re 2001, n. 2143 del 21 dicembre 2001. Inoltre si è tenuto conto della bozza di disegno di legge elaborata dalla commissione Frattini, istituita presso il dipartimento per la funzione pubblica il 19 settembre 2002 per lo studio delle cause e delle conseguenze dei comportamenti vessatori nei confronti dei lavoratori, e infine la legge regionale del Lazio dell’11 aprile 2002, n. 16, nonché numerose pronunce giurispurdenziali, tra le quali: Tribunale di Torino, sentenze del 16 novembre 1999 e del 30 dicembre 1999; Tribunale di Forlì,

sentenza del 15 marzo 2001; Tribunale di Pinerolo, sentenza del 6 febbraio 2003; Tribunale di Tempio Pausania, sentenza del 10 luglio 2003.

Un sempre più ampio riconoscimento della risarcibilità dei danni arrecati ai valori costituzionalmente garantiti inerenti alla persona si trova nelle sentenze della Corte di cassazione, III sezione civile nn. 8827 e 8828 del 31 maggio 2003; nella sentenza della Corte costituzionale n. 233 dell’11 luglio 2003; nelle ulteriori sentenze della Corte di cassazione n. 12124 del 19 agosto 2003 (III sezione civile); n. 16792 dell’8 novembre 2003 (sezione lavoro); n. 2050 del 22 gennaio 2003 (IV sezione penale); n. 7980 del 27 aprile 2004 (III sezione civile); n. 10157 del 26 maggio 2004 (sezione lavoro); n. 2354 del 7 febbraio 2004; n. 7043 del 13 aprile 2004 (sezione lavoro); n. 8721 del 29 aprile 2004; n. 10361 del 28 maggio 2004.

Il presente disegno di legge intende raccordare tutti questi contributi, allo scopo di pervenire, infine, ad una definizione normativa che sancisca i princìpi fondamentali di intervento nonché le forme di tutela del lavoratore e le responsabilità di coloro che mettono in atto comportamenti illeciti.

Il presente progetto di legge si compone di nove articoli.

Articolo 1. (Definizioni e ambito di applicazione)

Il mobbing viene definito «violenza o persecuzione psicologica». Tale definizione è già presente in molte delle proposte di legge presentate al Senato (n. 122 del 6 giugno 2001; n. 924 del 5 dicembre 2001; n. 986 del 20 dicembre 2001; n. 422 del 9 luglio 2001; n. 266 del 21 giugno 2001; n. 1290 del 27 marzo 2002). Si preferisce la congiunzione «o» ritenendosi sufficiente per l’esistenza della fattispecie de qua anche una sola delle modalità prescritte.

Nonostante i comportamenti suscettibili di risolversi in forme di violenza o persecuzione psicologica non siano facilmente definibili a priori ed assumano caratteristiche diverse, anche in dipendenza del contesto lavorativo in cui la vittima è inserita, si propone un elenco a titolo esemplificativo, ripreso dall’articolo 2, comma 2 della legge regionale del Lazio 11 luglio 2002, n. 16. I giudici della Consulta, con la sentenza n. 359 del 19 dicembre 2003, nel dichiarare l’incostituzionalità dell’intera legge, hanno ribadito che, a norma dell’articolo 117 della Costituzione, è precluso alle regioni di intervenire in ambiti di potestà normativa concorrente, dettando norme che vanno ad incidere sul terreno dei principi fondamentali. Pertanto la norma definitoria del fenomeno mobbing è compito del legislatore ordinario.

Articolo 2. (Tutela civilistica)

Relativamente alle violenze o persecuzioni psicologiche perpetrate nei confronti della vittima, si prevede che questi possa ottenere, nelle more del giudizio di accertamento, il ripristino della situazione quo ante anche a prescindere dall’insorgenza di una patologia qualificabile come malattia o dall’apprezzabile pericolo che il fenomeno patologico si sviluppi.Si intende arginare l’ostacolo dovuto alla formulazione testuale dell’articolo 700 del Codice di procedura  civile, il quale richiede, per l’adozione di provvedimenti giudiziari urgenti a richiesta dell’interessato, che il diritto sia minacciato da un pregiudizio imminente ed irreparabile, rendendosi necessaria la dimostrazione che il protrarsi della condotta violenta o persecutoria possa comportare l’aggravamento o l’insorgere di una malattia.

La possibilità di ottenere giudizialmente l’ordine di cessazione della condotta illegittima è altresì previsto dall’articolo 5 della bozza di legge elaborata dalla commissione Frattini.

Si prevede l’espressa risarcibilità del danno esistenziale, il quale a seguito di una lettura costituzionalmente orientata delle norme codicistiche (Cass. sez. III civ. n. 8827 e 8828 del 31 maggio 2003; Corte cost. n. 233 dell’11 luglio 2003), è stato riconosciuto come categoria o sottospecie del danno non patrimoniale.

Si prevede l’inversione dell’onere probatorio.

L’operatività del riconoscimento del principio di vicinanza alla prova (in virtù del quale l’onere della prova viene ripartito tenuto conto, in concreto, della possibilità per l’uno o per l’altro soggetto di provare fatti e circostanze che ricadono nelle rispettive sfere di azione) consente che la vittima sia esonerata dal fornire l’ardua prova della sussistenza di pratiche mobbizzanti (c.d.
probatio diabolica) e sia tenuta solo a dimostrare il cosiddetto fumus boni iuris. È, invece, a carico del convenuto l’onere di provare la non sussistenza degli atteggiamenti di violenza o persecuzione psicologica. Assistiamo, cioè, all’operatività di una presunzione di colpevolezza del mobber, ma solo nei casi in cui la vittima dimostri la fondatezza della sua pretesa.

In Francia la legge n. 73 del 2002, art. 169, ha inserito nel codice del lavoro, all’articolo 122.52, tale meccanismo dell’inversione dell’onere probatorio.

Si prevede la pubblicità della decisione di merito. Tale previsione è comune a molte proposte di legge presentate al Senato (n. 122 del 6 giugno 2001; n. 1280 del 21 marzo 2002; n. 924 del 5 dicembre 2001; n. 986 del 20 dicembre 2001).

Articolo 3. (Tutela penalistica)

Vi è la previsione (così, come disciplinata dall’articolo 2 del disegno di legge n. 1290 del 27 marzo 2002) di una tutela penalistica contro i comportamenti mobbizzanti, al di fuori delle ipotesi già previste dal codice penale: lesione personale (art. 582); lesioni personali colpose (art. 590); violenza privata (art. 610); ingiuria (art. 594); diffamazione (art. 595); estorsione (art. 629); maltrattamenti in famiglia (art. 572 cp); violenza sessuale (art. 609-bis).

La Francia con la legge di modernizzazione sociale n. 73 del 2002, nel recepire i moniti delle istituzioni comunitarie, ed in particolare la risoluzione 2001/2339 del Parlamento europeo, all’articolo 170 ha creato ex novo una figura di reato, introdotta nel codice penale (art. 222-33-2): la molestia morale.

Articolo 4. (Responsabilità disciplinare)

La previsione di una responsabilità disciplinare è comune a molte delle proposte di legge presentate al Senato (n. 422 del 9 luglio 2001; n. 266 del 21 giugno 2001; n. 924 del 5 dicembre 2001; n. 1280 del 21 marzo 2002;).

Articolo 5. (Accertamento non giurisdizionale)

Tale previsione è comune a molti progetti di legge presentati al Senato (n. 122 del 6 giugno 2001; n. 422 del 9 luglio 2001; n. 266 del 21 giugno 2001; n. 986 del 20 dicembre 2001).

Essa concerne l’espressa previsione, relativamente alla diagnosi e ai disturbi correlabili a violenza o persecuzione psicologica in occasione di lavoro, di istituire appositi centri regionali (dettagliatamente disciplinati dall’articolo 9 del presente progetto) come già previsti dall’articolo 4 della legge regionale del Lazio n. 16 dell’11 luglio 2002; dall’articolo 9 della proposta di legge n. 2143, d’iniziativa del deputato Tarantino, presentata alla Camera il 21 dicembre 2001; dall’articolo 9 del disegno di legge n. 1280 del 21 marzo 2002 e dall’articolo 3 della bozza elaborata dalla commissione Frattini.

Articolo 6. (Nullità degli atti discriminatori)

Si prevede il rimedio della nullità degli atti e delle decisioni del lavoratore (dimissioni) o del datore di lavoro (ius variandi in peius: licenziamento, trasferimenti, variazioni retributive peggiorative) che siano stati posti in essere in conseguenza di violenza o persecuzione psicologica.

Tale rimedio della nullità è comune non solo a molte proposte di legge presentate in Senato (n. 1280 del 21 marzo 2000; n. 924 del 5 dicembre 2001; n. 266 del 21 giugno 2001; n. 422 del 9 luglio 2001; n. 122 del 6 giugno 2001) ma anche alla legislazione francese (art. 169 della legge n. 73 del 2002 che ha modificato l’articolo 122.49 del codice del lavoro) e alla bozza di legge elaborata dalla commissione Frattini (art. 4).

Articolo 7. (Prevenzione ed informazione)

Quasi tutti i disegni di legge presentati in questa XIV legislatura (n. 1280 del 21 marzo 2002; n. 924 del 5 dicembre 2001; n. 266 del 21 giugno 2001; n. 986 del 20 dicembre 2001; n. 422 del 9 luglio 2001; n. 2143 del 21 dicembre 2001) hanno il pregio di attribuire grande rilevanza all’aspetto della prevenzione e dell’informazione a proposito del fenomeno mobbing.

L’attività di prevenzione ed informazione va ulteriormente integrata con quanto espressamente disposto dall’articolo 2 della bozza di legge elaborata dalla commissione Frattini, la quale prevede specifici obblighi a carico del datore di lavoro e relativo dovere dei lavoratori di osservare le misure organizzative e gestionali adottate al fine di impedire, o perlomeno limitare, l’insorgere di situazioni di violenza o persecuzione psicologica e le conseguenze ad esse connesse sul piano personale, familiare, aziendale, sociale ed economico.

Articolo 8. (Partiti politici ed associazioni)

L’estensione dell’applicazione della normativa de qua anche ai partiti politici ed alle associazioni regolate dall’articolo 36 del codice civile è un’esigenza avvertita anche nel mondo politico, tanto che, già negli anni settanta, a un deputato venne riconosciuta una indennità per effetto del mobbing, seguita da una pensione di invalidità.

Tale previsione è comune ai progetti di legge n. 422 del 9 luglio 2001 e n. 1290 del 27 marzo 2002.

Articolo 9.

(Istituzione di centri regionali per la diagnosi e la terapia dei disturbi correlabili a violenza o persecuzione psicologica in occasione di lavoro)

La previsione di appositi centri regionali per la diagnosi e la terapia dei disturbi correlabili a violenza o persecuzione psicologica in occasione di lavoro rientra sempre in un’ottica di assistenza alla vittima, la quale a causa delle asserite condotte vessatorie vede compromessa la propria integrità psico-fisica, tanto da essere coinvolta in una spirale di negatività dai risvolti spesso drammatici. Le conseguenze pregiudizievoli hanno, infatti, pesanti ripercussioni nella vita di relazione ed interpersonale.

L’istituzione di tali appositi centri si trova anche nell’articolo 4 della legge regionale del Lazio 11 aprile 2002, n. 16, nell’articolo 9 della proposta di legge n. 2143 presentata alla Camera, nell’articolo 9 dell’atto Senato 1280 e nell’articolo 3 della bozza elaborata dalla commissione Frattini.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

(Definizioni e ambito di applicazione)

1. Ai fini della presente legge per mobbing s’intendono atti e comportamenti discriminatori o vessatori protratti nel tempo, caratterizzati dalla violenza o persecuzione psicologica, posti in essere da una o più persone nell’ambiente di lavoro, pubblico o privato, nei confronti di altri lavoratori, sopraordinati o sottordinati, e che hanno per oggetto o per effetto un degrado delle condizioni di lavoro suscettibili di ledere i diritti e la dignità della persona, di alterare la sua salute fisica o mentale o di compromettere il suo avvenire professionale.

2. Gli atti e i comportamenti ostili che assumono le caratteristiche della violenza o della persecuzione psicologica possono consistere in:

a) pressioni o molestie psicologiche;

b) calunnie sistematiche;

c) maltrattamenti verbali ed offese personali;

d) minacce o atteggiamenti miranti a intimorire ingiustamente o avvilire, anche in forma velata ed indiretta;

e) critiche immotivate ed atteggiamenti ostili;

f) delegittimazione dell’immagine, anche di fronte a colleghi ed a soggetti estranei all’impresa, ente od amministrazione;

g) esclusione od immotivata marginalizzazione dall’attività lavorativa ovvero svuotamento delle mansioni;

h) attribuzione di compiti esorbitanti od eccessivi, e comunque idonei a provocare seri disagi in relazione alle condizioni fisiche e psicologiche del lavoratore;

i) attribuzione di compiti dequalificanti in relazione al profilo professionale posseduto;

l) impedimento sistematico ed immotivato all’accesso a notizie ed informazioni inerenti l’ordinaria attività di lavoro;

m) marginalizzazione immotivata del lavoratore rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione e di aggiornamento professionale;

n) esercizio esasperato ed eccessivo di forme di controllo nei confronti del lavoratore, idonee a produrre danni o seri disagi;

o) atti vessatori correlati alla sfera privata del lavoratore, consistenti in discriminazioni sessuali, di razza, di lingua e di religione.

Art. 2.

(Tutela civilistica)

1. La vittima di violenza o persecuzione psicologica può ottenere, nelle more del giudizio di accertamento, il ripristino della situazione quo ante. Il giudice del lavoro competente per territorio, sentite le parti, adotta entro cinque giorni, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, un provvedimento con cui ordina ai soggetti che abbiano posto in essere atti o comportamenti di cui all’articolo 1 la cessazione della condotta illegittima ed ogni altra misura atta a rimuoverne gli effetti. L’efficacia esecutiva del decreto non può essere revocata fino alla sentenza con cui il giudice competente definisce il giudizio. Contro il decreto che decide sul ricorso è ammessa, entro quindici giorni dalla comunicazione alle parti, opposizione avanti alla medesima autorità giudiziaria, che decide con sentenza immediatamente esecutiva. Si osservano le disposizioni dell’articolo 413 e seguenti del codice di procedura civile. Nel giudizio di opposizione la vittima di violenza o persecuzione psicologica può proporre azione di risarcimento.

2. Il giudice liquida ogni danno conseguente a violenza o persecuzione psicologica in occasione di lavoro, ivi compresi il danno biologico e il danno esistenziale, anche in modo disgiunto.

3. L’onere di provare la non sussistenza degli atteggiamenti di violenza o persecuzione psicologica è a carico di colui che viene accusato degli atti o comportamenti di cui all’articolo 1, ma solo ove la vittima dimostri la fondatezza della sua pretesa.

4. L’accusato, ovvero il condannato per condotta persecutoria che non ottempera ai decreti di cui al comma 1 del presente articolo, o alla sentenza pronunciata nel giudizio di opposizione, è punito ai sensi dell’articolo 650 del codice penale.

5. Nel caso di rapporti di lavoro previsti all’articolo 3 del testo unico delle norme sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, il ricorso deve essere proposto al tribunale amministrativo regionale competente per territorio, che provvede in via d’urgenza con le modalità di cui al comma 1. Contro il decreto che decide sul ricorso è ammessa, entro quindici giorni dalla comunicazione alle parti, opposizione davanti allo stesso tribunale, che decide con sentenza immediatamente esecutiva.

6. Qualora venga presentato ricorso in via d’urgenza ai sensi del presente articolo, non trovano applicazione l’articolo 410 del codice di procedura civile e l’articolo 65 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165.

7. Nei casi in cui la pubblicità della decisione di merito può contribuire a riparare il danno, il giudice ordina, su istanza di parte, che il provvedimento sia pubblicato a cura e spese del soccombente, mediante inserzione per estratto in uno o più organi di stampa di cui almeno uno a diffusione nazionale.

Art. 3.

(Tutela penalistica)

1. Il datore di lavoro privato o chiunque nelle amministrazioni pubbliche rivesta posizione d’autorità gerarchicamente sopraordinata rispetto a lavoratori dipendenti, il quale sia stato riconosciuto colpevole di aver posto in essere atti o comportamenti riconducibili alle fattispecie definite nell’articolo 1 , è punito con la reclusione fino a quattro anni.

2. La pena è aumentata fino ad un terzo qualora il giudice accerti che il colpevole ha espressamente o tacitamente istigato altre persone del medesimo ambiente lavorativo ad attuare comportamenti riconducibili a fattispecie di
mobbing, come definite all’articolo 1; per i concorrenti nel reato si applicano gli articoli da 110 a 119 del codice penale.

3. La pena è aumentata da un terzo alla metà qualora il giudice accerti che un’amministrazione pubblica o privata ha adottato strategie volte a provocare le dimissioni o il licenziamento di uno o più lavoratori, per ridurre o ridistribuire più facilmente il proprio personale; in tal caso il giudice può disporre, nei confronti dei responsabili, l’interdizione per un anno da qualsiasi ufficio; per i concorrenti nel reato si applicano gli articoli da 110 a 119 del codice penale.

4. Alla medesima pena di cui al comma 1 soggiace chiunque, in posizione lavorativa gerarchicamente sottordinata, eserciti violenza o persecuzione psicologica su taluno dei lavoratori a lui gerarchicamente sopraordinati.

5. La pena è aumentata fino ad un terzo, qualora il giudice accerti che il colpevole, anche approfittando di personali posizioni effettive o presunte di potere nella struttura amministrativa od aziendale oppure all’interno di gruppi economici o d’organizzazioni partitiche o sindacali, ha espressamente o tacitamente istigato altre persone del medesimo ambiente lavorativo ad attuare comportamenti riconducibili a fattispecie di
mobbing, come definite all’articolo 1 della presente legge.

6. La pena è aumentata da un terzo alla metà, qualora il giudice accerti che un gruppo economico oppure un’organizzazione partitica o sindacale ha adottato strategie volte a provocare trasferimenti o dimissioni o licenziamenti di uno o più lavoratori, ovvero altre misure amministrative pregiudizievoli nei loro confronti, per esercitare potere ingiustificato tra il personale interessato; in tal caso il giudice può disporre, nei confronti dei responsabili, l’interdizione per un anno da qualsiasi ufficio; per i concorrenti nel reato si applicano gli articoli da 110 a 119 del codice penale.

Art. 4.

(Responsabilità disciplinare)

1. A coloro che pongono in essere gli atti e i comportamenti di cui all’articolo 1 si applicano le misure previste con riferimento alla responsabilità disciplinare.

2. Responsabilità analoga a quella di cui al comma 1 grava su chi consapevolmente denuncia gli atti e i comportamenti definiti all’articolo 1, ancorchè notoriamente inesistenti, al solo fine di trarne un qualsivoglia vantaggio.

Art. 5.

(Accertamento non giurisdizionale)

1. Qualora gli atti e i comportamenti di cui all’articolo 1 siano portati a conoscenza del datore di lavoro da lavoratori singoli, in gruppi o tramite rappresentanze sindacali, il datore di lavoro ha l’obbligo di verificare la fondatezza dei fatti e di prendere i provvedimenti necessari per il loro superamento, ai sensi della direttiva 89/391/CEE, attuata con il decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626. A tali fini, l’accertamento clinico del fatto è effettuato dagli appositi centri regionali per la diagnosi e la terapia dei disturbi correlabili a violenza o persecuzione psicologica in occasione di lavoro, così come disciplinati dall’articolo 9 della presente legge.

Art. 6.

(Nullità degli atti discriminatori)

1. Sono nulli gli atti e le decisioni del lavoratore o del datore di lavoro riconducibili a violenza o persecuzione psicologica come definiti nell’all’articolo 1 che si riferiscano, rispettivamente, al licenziamento o alle dimissioni, nonché alle variazioni delle qualifiche, o delle funzioni o delle attribuzioni, o delle mansioni, o degli incarichi.

2. Sono altresì nulli i trasferimenti anche in altre sedi o in differenti aree del medesimo sistema lavorativo posti in essere in conseguenza di violenza o persecuzione psicologica.

Art. 7.

(Prevenzione ed informazione)

1. Entro novanta giorni dalla data d’entrata in vigore della presente legge, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, emana un regolamento ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, nel quale individua le fattispecie di violenza o persecuzione psicologica ai danni dei lavoratori che siano rilevanti ai fini della presente legge.

2. I datori di lavoro pubblici e privati:

a) adottano, in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e con il medico competente, previa consultazione del rappresentante per la sicurezza, le misure organizzative e gestionali necessarie ai fini della prevenzione delle situazioni di violenza o persecuzione psicologica in occasione di lavoro, ivi comprese apposite regole di comportamento; ne richiedono l’osservanza da parte dei singoli lavoratori e permettono ai lavoratori di verificarne l’applicazione mediante il rappresentante per la sicurezza;

b) prendono, in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e con il medico competente, previa consultazione del rappresentante per la sicurezza, per il caso di individuata situazione di violenza o persecuzione psicologica in occasione di lavoro, appropriati provvedimenti al fine di garantirne la pronta cessazione;

c) assicurano che ciascun lavoratore e rappresentante per la sicurezza riceva una formazione specifica e adeguata in ordine ai rischi relativi alle situazioni di violenza o persecuzione psicologica in occasione di lavoro e alle misure adottate per la prevenzione di tali situazioni;

3. I lavoratori osservano le misure organizzative e gestionali adottate dal datore di lavoro ai fini della prevenzione delle situazioni di violenza o persecuzione psicologica in occasione di lavoro.

Art. 8.

(Applicazione ai partiti politici e alle associazioni)

1. La presente legge si applica anche all’interno dei partiti politici, nonchè delle associazioni regolate dall’articolo 36 del codice civile.

2. Allorquando i soggetti passivi del
mobbing non rivestano la qualifica di lavoratori dipendenti, ma siano semplici iscritti o soci, le attività di prevenzione e di informazione di cui all’articolo 7 si intendono demandate agli organismi di controllo regolarmente costituiti e operanti in conformità con quanto previsto dagli atti costitutivi, ovvero dagli statuti dei singoli organismi interessati.

3. Se il soggetto passivo di mobbing non intende avvalersi della tutela civilistica o penalistica di cui agli articoli 2 e 3 della presente legge, ogni eventuale controversia può essere composta mediante ricorso al collegio dei probviri, ovvero agli altri organi di controllo previsti dallo statuto dell’organismo interessato.

Art. 9.

(Istituzione di centri regionali per la diagnosi e la terapia dei disturbi correlabili a violenza o persecuzione psicologica in occasione di lavoro)

1. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge ogni regione istituisce un centro per la diagnosi e terapia dei disturbi correlabili a violenza o persecuzione psicologica in occasione di lavoro. I centri, nel caso in cui accertino l’effettiva sussistenza di elementi atti a configurare le fattispecie di cui all’articolo 1 della presente legge, assumono entro sessanta giorni dalla richiesta del lavoratore iniziative a tutela del medesimo, ed in particolare:

a) forniscono una prima consulenza in ordine ai diritti del lavoratore;

b) avviano, qualora la situazione lo richieda, i primi interventi di sostegno psicologico;

c) nel caso in cui riscontrino la probabile avvenuta insorgenza di stati patologici correlabili a violenza o persecuzione psicologica in occasione di lavoro, indirizzano il lavoratore a strutture sanitarie specialistiche convenzionate;

d) segnalano al datore di lavoro, pubblico o privato, la situazione di disagio del lavoratore, invitandolo ad assumere i provvedimenti idonei per rimuoverne le cause.

2. Ciascun centro prevede adeguate figure professionali, e necessariamente le seguenti:

a) un avvocato esperto in diritto del lavoro;

b) un medico specialista in igiene pubblica;

c) uno psicologo o psicoterapeuta;

d) un assistente sociale;

3. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro della salute emana ai sensi dell’articolo 17, comma 3 della legge 23 agosto 1988, n. 400, un regolamento recante i criteri generali dell’organizzazione dei centri regionali per la diagnosi e la terapia dei disturbi correlabili a violenza o persecuzione psicologica in occasione di lavoro.