Disegno di legge 14.3.2002, n.1242



Tutela della persona che lavora da violenze morali e persecuzioni psicologiche nell’ambito dell’attività lavorativa



Disegno di legge n° 1242

d’iniziativa del senatore MONTAGNINO (Margherita)

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 14 MARZO 2002

Tutela della persona che lavora da violenze morali e persecuzioni psicologiche nell’ambito dell’attività lavorativa

Onorevoli Senatori. - Il lavoro è uno dei momenti fondamentali di autorealizzazione dell’individuo; la menomazione di questa opportunità per conflitti interpersonali nei luoghi di lavoro o per decisione del datore di lavoro, ente e amministrazione pubblica, é un fatto grave sotto l’aspetto della tutela individuale della dignità ed integrità della persona, ma é anche grave perché determina la generazione di diseconomie interne ed esterne al luogo di lavoro.

La moderna psicologia del lavoro ha infatti individuato nella cooperazione uno dei fattori determinanti per una ottimale valorizzazione e allocazione delle risorse umane.

Con il termine
mobbing, mutuato dalla biologia e dall’etologia, si fa riferimento ad un comportamento finalizzato all’esclusione di un membro dal gruppo.

La pubblicistica anglo-sassone più avanzata, ed in particolare quella scandinava, ha definito mobbing il fenomeno delle violenze morali, pressioni e molestie psicologiche nei luoghi di lavoro.Si usa correntemente il termine

mobbing per indicare una forma di terrore psicologico che viene esercitato sul posto di lavoro, in modo sistematico e duraturo, da parte dei colleghi o dei datori di lavoro. Le forme che esso può assumere sono molteplici: dalla semplice emarginazione alla diffusione di maldicenze, dalle continue critiche alla sistematica persecuzione, dall’assegnazione di compiti dequalificanti alla compromissione dell’immagine sociale del lavoratore. Nei casi più gravi si può arrivare anche al sabotaggio del lavoro e ad azioni illegali. Ai fini della qualificazione del mobbing molti studi psicologici e sociologici concordano nel ritenere poco rilevante la tipologia del comportamento vessatorio adottato dal rnobber e sottolineano invece l’essenzialità della sua frequenza e della ripetitività nel tempo.

Lo scopo del mobbing è quello di eliminare una persona che è o è diventata in qualche modo «scomoda», e a tale scopo sono state elaborate vere e proprie strategie aziendali.Secondo le ricerche effettuate in Italia oggi soffrono per  mohbing oltre un milione di lavoratori. I soggetti vittime delle azioni di mobbing vengono colpiti nella sfera psichica, spesso con forme depressive ravi, e compressi nella propria capacità lavorativa e nella propria autostima. In casi estremi la forte pressione psicologica, le «percosse psichiche», i maltrattamenti verbali, la compressione della vittima in una permanente condizione di inferiorità, concorrono, spesso in modo decisivo, al suicidio. In Svezia si é  calcolato che le cause di suicidio vedono il rnobbing come elemento scatenante su oltre il 15 per cento dei casi.Le forme depressive causate da azioni di 

niobhing possono arrivare fino alla «invalidità psicologica» del lavoratore, che nei casi più estremi comporta l’abbandono del posto di lavoro, tanto che si può parlare di malattie professionali e di infortuni sul lavoro.I soggetti attivi di mobbing arrecano gravi danni non solo alla dignità e alla salute dell’individuo, ma creano costi elevati per l’azienda datrice di lavoro, che deve pagare i periodi di malattia, e per l’intera società: un lavoratore costretto alla pensione a soli quaranta anni costa alla società ben 619.748 euro in più di un pensionato all’età prevista.

Intervenire normativamente su tale grave fenomeno non è quindi solo necessario per motivi etici, di equità e di giustizia sociale. Non è la tutela del lavoratore la motivazione esclusiva, seppur di fondamentale importanza, che sottende ad un disegno di legge ditale natura.

Accanto a questo principale obiettivo vi sono anche valutazioni di natura economica, di ottimizzazione della produttività dell’azienda, di riduzione dei costi sociali e sanitari.

Nel 1999 il
mobbing ha fatto il suo ingresso nella giurisprudenza italiana del lavoro con una sentenza del tribunale di Torino. La sentenza del giudice torinese che ha ritenuto la responsabilità del datore di lavoro condannandolo al pagamento di un risarcimento a titolo equitativo, ha esteso a dismisura il campo della responsabilità dell’imprenditore riconoscendo il mobbing quale forma di inadempimento contrattuale del datore di lavoro ai sensi dell’articolo 2087 del codice civile che pone in capo al datore di lavoro l’obbligo di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei propri dipendenti. Nel panorama giurisprudenziale il mobbing ha trovato un riconoscimento giuridico anche in relazione ai rapporti di pubblico impiego.Il provvedimento legislativo qui proposto interviene prima di tutto per favorire una azione preventiva efficace,per informare e sensibilizzare tutti i soggetti interessati alla gravità del problema, per individuare le azioni di mobbing, per poter intervenire quando le molestie morali e le violenze psicologiche non abbiano ancora prodotto danni. Non mancano, peraltro, anche strumenti repressivi e riparatori dei danni provocati dal fenomeno, prevedendo una tutela di tipo tendenzialmente privatistica.

Nell’articolo 1 si precisa il campo di azione del provvedimento.

L’articolo 2 contiene una puntuale definizione del concetto di violenze morali e persecuzioni psicologiche che abbraccia sia forme di mobbing verticale (quelle provenienti dai vertici aziendali o comunque da superiorigerarchici) sia quelle di tipo orizzontale (quelle attivate da semplici colleghi di lavoro privi di potere gerarchico nei confronti della vittima o addirittura da subordinati).Nell’articolo 3 vengono indicate le azioni di prevenzione ed informazione che vanno attuate per prevenire e controllare il

mobbing ed i suoi effetti.

Ed ancora: vengono previste precise responsabilità disciplinari (articolo 4) e viene data la praticabilità ad adeguate azioni di tutela con il ricorso alla conciliazione ed in giudizio (articolo 5). Viene poi prevista lapossibilità del ripristino della situazioni professionali colpite dalla azioni di mobbing e il loro risarcimento  (articolo 6). È prevista la pubblicità nell’azienda o ente interessato alle risultanze giudiziarie delle determinazioni disciplinari assunte (articolo 7). Infine, è prevista la nullità di tutti quegli atti di ritorsione che possono condizionare l’iniziativa di tutela del lavoratore colpito da mobbing (articolo 8).

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1. (Finalità e campo applicativo)

1. In attuazione dell’articolo 41, secondo comma, della Costituzione, con particolare riguardo all’esigenza di salvaguardia della libertà e dignità umana nell’esercizio dell’attività economia pubblica e privata, la presente legge tutela tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori che subiscono violenze morali e persecuzioni psicologiche nell’ambito del rapporto di lavoro e comunque in relazione alla costituzione, allo svolgimento e all’estinzione del rapporto stesso.

2. La tutela di cui al comma i si esplica per tutte le tipologie di lavoro, pubblico e privato, comprese le collaborazioni, indipendentemente dalla natura della prestazione e dalla mansione e grado del prestatore di lavoro.

Art. 2. (Definizione)

1. Ai fini della presente legge vengono considerate violenze morali e persecuzioni psicologiche, nell’ambito del rapporto di lavoro, quelle azioni e quei comportamenti che, attuati in modo sistematico e duraturo, mirano a danneggiare psicologicamente e socialmente una lavoratrice o un lavoratore.

2. Sono considerati soggetti attivi delle violenze morali e persecuzioni psicologiche di cui al comma 1, datori di lavoro, superiori, colleghi pari-grado e inferiori.

3. Rilevano ai fini della presente legge tutti quegli atti vessatori e persecutori, critiche e maltrattamenti verbali esasperati, posti in essere anche di fronte a soggetti esterni all’impresa, ente o amministrazione quali clienti, fornitori, consulenti, attuati da soggetti di cui al comma 2, che discriminano o danneggiano la personalità, la dignità o l’immagine del lavoratore, incidendo negativamente sulla sua carriera, sul suo
status, sul suo potere formale e informale, sulle sue relazioni sociali, e in via derivata, sulla sua salute e  integrità psico-fisica. Alla stessa stregua vanno considerate la rimozione ingiustificata da incarichi, l’esclusione o immotivata marginalizzazione dalla normale comunicazione aziendale, la sottostima sistematica dei risultati, la sistematica attribuzione di compiti non commisurati alle possibilità e capacità professionali compatibili con le condizioni di salute del lavoratore o della lavoratrice.

4. Ciascun elemento concorre singolarmente nella valutazione del livello di gravità.

5. Ai fini dell’accertamento della responsabilità oggettiva, l’istigazione è considerata equivalente alla commissione del fatto.

Art. 3. (Prevenzione ed informazione)

1. In attuazione dell’articolo 2087 del codice civile, con riguardo alle finalità di tutela dell’integrità fisica e della personalità morale dei prestatori di lavoro, i datori di lavoro, pubblici e privati, e le rispettive rappresentanze sindacali aziendali, pongono in essere iniziative di informazione periodica orientate alla prevenzione di ogni forma di violenza morale e persecuzione psicologica ai danni dei lavoratori. Tali azioni concorrono ad individuare, anche a livello di sintomi, la manifestazione di condizioni di maltrattamenti e di discriminazioni, cosi come indicate all’articolo 2. L’attività informativa investe anche gli aspetti organizzativi — ruoli, mansioni, carriere, mobilità — nei quali la trasparenza e la correttezza nei rapporti aziendali e professionali deve essere sempre manifesta.

2. Qualora siano denunciati da parte di singoli o da gruppi di lavoratori, al datore di lavoro e alle rappresentanze sindacali aziendali, comportamenti di cui all’articolo 2, questi ultimi hanno l’obbligo di attivare procedure tempestive di accertamento dei fatti denunciati e misure per il loro superamento. Per la predisposizione ditali misure vengono sentiti anche i lavoratori dell’area aziendale interessata ai fatti accertati.

3. Al momento della formalizzazione di qualsiasi tipo di rapporto di lavoro, il datore di lavoro consegna ai lavoratori una comunicazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali relativa alla tutela dalle violenze morali e dalla persecuzione psicologica nel lavoro. La predetta comunicazione deve essere affissa nelle bacheche aziendali.

4. Ad integrazione di quanto disposto dall’articolo 20 della legge 20 maggio 1970, n. 300, i lavoratori hanno diritto a due ore di assemblea su base annuale, fuori dall’orario di lavoro, per trattare il tema delle violenze morali e delle persecuzioni psicologiche nel luogo di lavoro, di cui agli articoli 1 e 2 della presente legge. Le assemblee sono indette con le modalità e si svolgono nelle forme di cui al citato articolo 20 della legge n. 300 del 1970. Alle assemblee possono partecipare le rappresentanze sindacali aziendali, i dirigenti sindacali ed esperti.

Art. 4. (Responsabilità disciplinari)

1. Nei confronti di coloro che attuano azioni di cui all’articolo 2, si configura responsabilità disciplinare, secondo quanto previsto dalla contrattazione collettiva. Analoga responsabilità grava su chi denuncia consapevolmente fatti di cui al medesimo articolo 2 che si rivelino inesistenti per ottenere vantaggi comunque configurabili.

Art. 5. (Azioni di tutela giudiziaria)

1. Il lavoratore che abbia subito violenza morale e persecuzione psicologica nel luogo di lavoro ai sensidell’articolo 2, e non ritenga di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi ma intenda adire il giudizio, può promuovere il tentativo di conciliazione ai sensi dall’articolo 410 del codice di procedura civile, anche attraverso le rappresentanze sindacali aziendali. Si applicano, per il ricorso in giudizio, le disposizioni di cui all’articolo 413 del codice di procedura civile.

2. Il giudice condanna il responsabile del comportamento sanzionato al risarcimento del danno, che liquida in forma equitativa.

Art. 6. (Conseguenze per gli atti derivanti dalle violenze psicologiche)

1. Le variazioni nelle qualifiche, nelle mansioni, negli incarichi, nei trasferimenti o le dimissioni, determinate da azioni di violenza morale e persecuzione psicologica, sono impugnabili ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 2113 del codice civile, salvo risarcimento dei danni ai sensi dell’articolo 5 della presente legge.

Art. 7. (Pubblicità del provvedimento del giudice)

1. Su istanza della parte interessata il giudice può disporre che del provvedimento di condanna o di assoluzione venga data informazione, a cura del datore di lavoro, mediante lettera ai dipendenti interessati, per reparto e attività, dove si è manifestato il caso di violenza morale e persecuzione psicologica, oggetto dell’intervento giudiziario, omettendo il nome della persona che ha subito tali azioni di violenza e persecuzione.

Art. 8. (Nullità degli atti discriminatori e di ritorsione)

1. Tutti gli atti o fatti che derivino da comportamento di cui agli articoli 1, 2 e 3 sono nulli.

2. I provvedimenti relativi alla posizione soggettiva del lavoratore che abbia posto in essere una denuncia per comportamenti di cui all’articolo 2, in qualunque modo peggiorativi della propria condizione professionale, compresi i trasferimenti e i licenziamenti, adottati entro un anno dal momento della denuncia, si presumono a contenuto discriminatorio, salvo prova contraria, ai sensi dell’articolo 2728, secondo comma, del codice civile.