Disegno di legge 20.12.2001, n.986



Disposizioni a tutela dalla persecuzione psicologica negli ambienti di lavoro



SENATO DELLA REPUBBLICA

XIV LEGISLATURA

DISEGNO DI LEGGE N. 986

d'iniziativa dei senatori TOFANI, NANIA, BUCCIERO, DEMASI, FLORINO, BALBONI, BATTAGLIA Antonio, BEVILACQUA, BOBBIO Luigi, BONATESTA, BONGIORNO, CARUSO Antonino, COLLINO, CONSOLO, COZZOLINO, CURTO, DANIELI Paolo, DE CORATO, DELOGU, GRILLOTTI, KAPPLER, MAGNALBÓ, MASSUCCO, MEDURI, MENARDI, MUGNAI, MULAS, PACE, PALOMBO, PEDRIZZI, PELLICINI, PONTONE, RAGNO, SALERNO, SEMERARO, SERVELLO, SPECCHIA, TATÓ, VALDITARA e ZAPPACOSTA

COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 20 DICEMBRE 2001

Disposizioni a tutela dalla persecuzione psicologica negli ambienti di lavoro

Onorevoli Senatori. – Il mobbing è un fenomeno antico e ben conosciuto in ogni cultura, ma è stato descritto in maniera sistematica, per la prima volta, nel 1982 in una ricerca pubblicata (nel 1984) dal Ministero nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro svedese (Leymann e Gustavsonn, 1984).

Il primo ricercatore che ha analizzato i contenuti e lo sviluppo del mobbing sul posto di lavoro è stato Heinz Leymann, psicologo del lavoro dell'Università di Umea, in Svezia.

Il progetto di ricerca di Leymann fu avviato su iniziativa del Governo svedese a causa dell'incremento sempre più massiccio dell'assenteismo dovuto al disagio lavorativo. Il termine etologico mobbing costituisce l'ennesimo «anglicismo» recentemente entrato a far parte delle parole di uso comune anche nella pratica giudiziaria: esso rievoca scenari di aggressività(to mob significa: assalire, aggredire in gruppo) che si pongono in contrasto con l'ordinato vivere sociale e con il regolare svolgimento di un rapporto di lavoro subordinato, e viene associato propriamente alle diverse molestie e pratiche di vessazione, persecuzione, ritorsione e violenza psicologica messe in atto deliberatamente e ripetutamente dal datore di lavoro o dai superiori, ma anche da colleghi di pari livello o subalterni, nei confronti di un soggetto designato, tali da porlo in una condizione di estremo disagio caratterizzata da isolamento e terrore psicologico, che puòdanneggiare l'equilibrio psico-fisico anche fino a comprometterlo gravemente.

L'estrema attualitàdel predetto fenomeno, contrassegnata anche dal rilievo dato dai mezzi di comunicazione di massa, ha offerto lo spunto per diversi, recenti interventi sul tema, specie sotto il profilo del danno alla persona del lavoratore.

Grazie agli studi effettuati da esperti in neuropsichiatria e in medicina del lavoro, si è potuto affermare che il mobbing èfenomeno ubiquitario piuttosto diffuso in tutte le realtàlavorative, non solo private ma anche pubbliche e, tuttavia, ècon riferimento alle prime che esso si è primariamente palesato ed èstato oggetto di studi approfonditi sotto il profilo sia medico sia legale.

Il mobbing, alla luce anche dell'esperienza sin qui maturata, può definirsi come «un'attivitàpersecutoria posta in essere da uno o piùsoggetti (non necessariamente in posizione di supremazia gerarchica) e mirante ad indurre il destinatario della stessa a rinunciare volontariamente ad un incarico ovvero a precostituire i presupposti per una revoca attraverso una sua progressiva emarginazione dall'ambiente di lavoro». Tale attivitàdeve avere una durata di piùmesi (normalmente sei, secondo le piùrecenti ipotesi della medicina del lavoro) per poter essere sussulta nel concetto di mobbing.

Nel rapporto di lavoro privato il fenomeno ègiàpiùvolte giunto all'attenzione della scienza medico-legale e del lavoro, approdando anche presso l'Autoritàgiudiziaria, sebbene ciòsia accaduto da noi con gran ritardo rispetto ai paesi nord-europei, ove vi èuna maggiore cultura della difesa dell'integritàpsicofisica del lavoratore.

L'emarginazione dal lavoro, ingiustamente attuata attraverso il depontenziamento e la demotivazione del singolo lavoratore, pur non essendo stata positivizzata in una specifica norma (com'èinvece accaduto in Svezia) costituisce comunque una situazione rilevante sotto il profilo, sia medico sia legale, che, ove accertata, puòcomportare una reazione da parte dell'ordinamento giuridico. Esso, inteso quale «attivitàpersecutoria ed inibitrice» esercitabile nell'ambito del rapporto di lavoro dipendente, non rappresenta certamente una novità tant'è che il legislatore del 1942 si era interessato del problema ponendo nell'articolo 2087 del codice civile (Tutela delle condizioni di lavoro) il principio secondo il quale incombe al datore di lavoro l'obbligo di tutelare la salute psico-fisica dei propri dipendenti.

La Costituzione repubblicana ha poi specificato che l'attivitàeconomica non puòsvolgersi in contrasto con la dignità umana e, ciononostante, il problema del mobbing si èpresentato –di recente –anche nel pubblico impiego ove si ècertamente «slatentizzato» per l'innesto massiccio di logiche privatistiche nell'organizzazione e nell'operato dell'Amministrazione, consacrato nel decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 e successive modificazioni (abrogato dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165).

In alcuni settori, esso ha avuto maggiore presa come nel mondo della sanità ove ha trovato un terreno particolarmente fertile nei delicati rapporti esistenti fra personale medico e paramedico, fra struttura apicale sanitaria e dirigenza generale alla quale ultima sono stati attribuiti, dalle più recenti leggi di riforma, poteri decisionali caratterizzati dalle piùampie discrezionalità tali da sfociare in forme di vero e proprio arbitrio, non facilmente sindacabili da parte dell'autorità giudiziaria.

Anche in seno alle autonomie locali si sono registrati comportamenti «mobbizzanti», ad esempio nei confronti dei segretari comunali, dopo le recenti leggi di riforma della categoria.

E gli esempi potrebbero continuare: si avverte, infatti, un crescente e generalizzato malessere nei diversi settori attraverso i quali si articola l'amministrazione pubblica, generato da crescenti condotte asseritamente vessatorie perpetrate nei confronti del lavoratore.

Individuata l'esistenza di un vizio genetico nella vigente legislazione, che favorisce il diffondersi di atteggiamenti discriminatori nel mondo della pubblica amministrazione e, conseguentemente, segnalata l'esigenza di un intervento legislativo riparatore come prima difesa di fronte al fenomeno, va comunque affermato che l'attivitàpersecutoria posta in essere dal detentore di poteri decisionali capaci di incidere nell'altrui sfera giuridica, ove provata, costituisce un atto illecito, cioè un atto che devia dai canoni del buon andamento della pubblica amministrazione e che èmeritevole di sanzione da parte dell'ordinamento giuridico.

Di fronte ad atteggiamenti palesemente «mobbizzanti», il lavoratore pubblico o privato puòcertamente trovare una prima forma di tutela giudiziale nell'invocazione di provvedimenti d'urgenza di tipo inibitorio innanzi al giudice del lavoro (vedi Pretura di Milano, sentenza 31 gennaio 1997) e, tuttavia, tale ipotesi non sembra di facile realizzazione anche per la mancanza di norme processuali ad hoc.

Nella ricerca di una disciplina giuridica che permettesse, da un lato, la tutela del lavoratore ed il risarcimento per i danni subiti in conseguenza di comportamenti persecutori sul lavoro e che, dall'altro, sanzionasse e scoraggiasse detti comportamenti, la giurisprudenza consolidata ha fatto uso di diversi princìi e norme appartenenti a molteplici rami del diritto. Sono richiamabili in materia sia disposizioni internazionali e comunitarie, sia norme costituzionali, nonché regole civilistiche, penali e legislazioni speciali.

Il mobbing, infatti, costituisce una fattispecie complessa che comporta il coinvolgimento (e la compromissione) di diritti fondamentali non solo dell'individuo in qualitàdi prestatore di lavoro, ma anche della persona in quanto tale.

Ne deriva la costruzione di un articolato impianto normativo dove le regole vengono a combinarsi e a sovrapporsi, in relazione alle modalitàconcrete di attuazione delle condotte persecutorie ed ai beni giuridici che esse ledono.

La base della ricostruzione giurisprudenziale consolidata in questa materia, che tiene conto dei princìi fondamentali, comunitari e costituzionali, è costituita da una lettura combinata delle norme costituzionali di cui all'articolo 32 della Costituzione (che costituisce il diritto primario e assoluto della salute) ed all'articolo 41, secondo comma, della Costituzione (che pone un limite al principio della libertà di iniziativa economica privata laddove ne vieta l'esercizio con modalità tali da pregiudicare la sicurezza e la dignità umana) con le norme civilistiche contenute nell'articolo 2087 del codice civile (che delinea invece la responsabilità extracontrattuale), nonché gli articoli 1175 e 1375 del codice civile (princìi di correttezza e buona fede).

In particolare, l'articolo 2087 del codice civile, che, ad integrazione delle obbligazioni nascenti dal contratto di lavoro, dispone che «L'imprenditore ètenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa tutte le misure che, secondo la particolaritàdel lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integritàfisica e la personalitàmorale dei prestatori di lavoro», èinterpretato in quest'ambito della costante giurisprudenza come una norma di chiusura del sistema di protezione del lavoratore, che impone al datore di lavoro non solo l'adozione delle misure richieste specificamente dalla legge, dall'esperienza e dalle conoscenze tecniche, ma anche l'obbligo più generale di attuare tutte le misure generiche di prudenza e diligenza necessarie al fine di tutelare l'incolumità ed integrità psico-fisica del lavoratore.

Da questa disposizione viene quindi fatto derivare sia il divieto per il datore di lavoro di compiere direttamente qualsiasi comportamento (quali ne siano la natura e l'oggetto) lesivo dell'integrità fisica e della personalità del dipendente, sia di prevenire e scoraggiare la realizzazione di simili condotte nell'ambito ed in connessione con lo svolgimento dell'attivitàlavorativa. L'inadempimento di tale suo obbligo, genera la responsabilitàcontrattuale del datore di lavoro.

Tralasciando gli aspetti penali, che pure potrebbero rilevare in ipotesi di comportamenti vessatori ai danni dei pubblici dipendenti, è evidente che il mobbing puòessere causa di «danno biologico» risarcibile innanzi al giudice ordinario, danno biologico che ha trovato la sua prima definizione in sede legislativa con il comma 3 dell'articolo 5 della legge 5 marzo 2001, n. 57, che, seppure ad altri fini, lo ha definito come «lesione all'integritàpsico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale» che «è risarcibile indipendentemente dalla sua incidenza sulla capacità di produzione del reddito del danneggiato».

L'ipotesi del risarcimento del danno biologico è dunque, quella che statisticamente dovrebbe essere preminente. Essa postula un duplice accertamento fattuale: innanzitutto, relativo alla sussistenza di un atteggiamento ingiustificatamente vessatorio e, solo successivamente, l'accertamento dell'esistenza di effetti pregiudizievoli per l'equilibrio psico-fisico del dipendente direttamente connessi al fatto «mobbistico», accertamento da compiersi essenzialmente attraverso un'attenta consulenza medico-legale (i parametri generalmente applicabili sono quelli del disagio psico-fisico, come descritti nella sentenza resa dal Tribunale di Torino in data 11 dicembre 1999 e pubblicata in Foro Italiano n. 1/2000, p.1555; cfr, altresì le autorevoli considerazioni sul tema del Consigliere M. Oricchio).

Successivamente a tale duplice accertamento si potràprocedere alla determinazione del risarcimento del danno da effettuare probabilmente in via equitativa tenendo altresìpresente che –vertendosi in ipotesi di responsabilitàcontrattuale –si dovràtener conto del limite della «prevedibilitàdel danno» di cui all'articolo 1225 del codice civile, ove non sia provato il dolo del debitore.

All'uopo la Corte di Cassazione, con sentenza 8 gennaio 2000, n. 143, ha stabilito che qualora da un comportamento mobbizzante derivi un pregiudizio per il lavoratore, implicante lesione del bene primario della salute o integrante quel tipo di nocumento che dalla dottrina e dalla giurisprudenza viene definito biologico, evidente èla responsabilitàdel datore di lavoro purchésia accertata l'esistenza di un nesso causale tra il suddetto comportamento doloso o colposo e il pregiudizio che ne deriva. La prova degli elementi essenziali deve essere fornita dal lavoratore. Di tal che, pur non potendosi escludere che il reperimento delle varie fonti di prova possa risultare particolarmente difficoltoso a causa di eventuali sacche di omertà sempre presenti, tuttavia non v'èchi non veda la mancata acquisizione della prova in questione, riguardo alle cause che hanno determinato la lesione dedotta e gli effetti asseritamente derivati, impedisce al giudice l'accoglimento della domanda.

Nel caso in cui siano poste in essere nei confronti del lavoratore delle condotte ingiuriose, la giurisprudenza ha riconosciuto la responsabilitàdel datore di lavoro ed ha ritenuto risarcibili il danno morale (configurabile ex articolo 2059 del codice civile nel caso in cui sia integrato il reato –nella specie –di ingiuria, articolo 594 del codice penale), il danno patrimoniale e anche quello biologico.

Sia la Corte di cassazione che la Corte costituzionale, nella loro funzione di concorrere alla certezza del diritto, l'una, e di garantire la conformitàdelle leggi, l'altra, hanno posto congiuntamente, negli ultimi anni, alcuni punti fermi, seppure a volte in contrasto fra loro.

Il primo punto ècostituito dall'affermazione del principio del neminem laedere come immanente nell'ordinamento giuridico, quando la lesione attiene ai diritti umani inviolabili, tra i quali vi è la salute (principio presente anche nella Costituzione Europea, articolo 1, ottavo comma, del Trattato dell'Unione, come modificato dal Trattato di Amsterdam).

L'altro punto fermo èche «il risarcimento del danno alla persona deve essere totale» (non parzialmente indennizzatorio), patrimoniale e non patrimoniale.

Ciò in linea con il legislatore che, nella riforma dell'Inail (introdotta con decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38) e nel progetto di danno alla persona sembra ispirarsi a tale principio, affermando la natura non patrimoniale e areddituale del danno stesso (articolo 13 del decreto legislativo citato).

Si tratta, poi, di stabilire, discostandosi per un momento dallo stretto ambito di applicazione dell'articolo 2087 del codice civile, ovvero dalla casistica di lesioni dell'integritàpsico-fisica del lavoratore subordinato, se la Cassazione ha seguito o meno, la proposta interpretativa della Corte Costituzionale contenuta nella sentenza n. 372 del 1994 (la nota sentenza «Mengoni»), ove la differenziazione tra la lesione della salute fisica e la lesione della salute psichica sembrò divenire massima.

La Corte, infatti, nell'affermare la piena risarcibilitàdel danno alla salute, intese evitare ogni distinzione tra integrità fisica e integritàpsichica, confermando tale orientamento anche in successive sentenze nelle quali ha sostenuto il principio in virtù del quale il diritto alla salute è un «diritto erga omnes» garantito immediatamente dalla Costituzione e come tale direttamente tutelato e azionabile dai soggetti legittimati nei confronti degli autori dei comportamenti illeciti.

Il presente disegno di legge è finalizzato ad avviare un dibattito sulle problematiche esposte, generate dall'eccessivo dilatarsi del fenomeno del mobbing, che incidono pesantemente sulla dignitàe sull'integrità psico-fisica dei soggetti che ne sono coinvolti.

Esso intende favorire l'attuazione di un'azione preventiva efficace di atti e comportamenti così fortemente lesivi al fine di controllare il mobbing e i suoi effetti.

Sono necessari, a tal fine, innanzitutto una risposta legislativa adeguata che tenda a prevenire la possibile insorgenza, nel settore pubblico e in quello privato, di atteggiamenti mobbistici e un concreto utilizzo degli organi di controllo interno ad ogni amministrazione per monitorare la situazione dei dipendenti sotto il profilo, non solo del rendimento, ma anche della corretta gestione delle risorse umane. Solo la costante applicazione di tali metodi eviteràun prevedibile massiccio, ricorso alla giurisdizione per reprimere ogni tipo di condotta asseritamente mobbistico, con il conseguente aumento di cause per risarcimento del danno biologico da mobbing.

L'ordinamento giuridico del lavoro in Italia è stato costruito sul presupposto che i rapporti tra datori e prestatori di lavoro siano presidiati da regole vincolanti, dettate dal legislatore o convenute in sede di contrattazione collettiva. Spesso, si tratta di precetti eccessivamente rigidi, sovente inattuabili, tali da favorire l'evasione e gli aggiramenti, fomentando comunque il contenzioso.

Nei paesi di common law esistono strumenti diversi, come per esempio i codes of practice e, più in generale, le soft laws («norme leggere»), che mirano ad orientare l'attività dei soggetti destinatari, senza peraltro costringerli ad uno specifico comportamento, vincolandoli tuttavia al conseguimento di un determinato obiettivo.

Il Governo –come si legge nelle proposte contenute nel «Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia» –intende contribuire alla riflessione circa l'identificazione di indicatori di qualitàa livello europeo, nella consapevolezza che, in ogni caso, essi non dovranno tradursi in ulteriori vincoli, bensìin strumenti per incentivare opportuni investimenti, anche di carattere formativo, nelle risorse umane.

In ossequio a tale intento, abbiamo inserito nel presente disegno di legge una disposizione di chiusura (l'articolo 7) volto a sollecitare l'adozione «spontanea» di codici antimolestie e, in particolare, di codici volti alla prevenzione del mobbing mediante tecniche incentivanti, come, per esempio, il caso della normativa in materia di azioni positive che prevede il rimborso totale o parziale di oneri finanziari connessi all'attuazione dell'iniziativa incentivata.

Si tratta di una prima occasione in cui le proposte contenute nel Libro Bianco potrebbero trovare concreta attuazione.

DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.

(Definizione)

1. Ai fini della presente legge, s'intende per violenza o persecuzione psicologica ogni atto, comportamento e azione tenuti dai datori di lavoro, superiori gerarchici e colleghi di pari grado o inferiori, che mirano a danneggiare il lavoratore e che sono svolti deliberatamente e ripetutamente nel tempo.

2. L'accertamento degli atti e dei comportamenti vessatori di cui al comma 1 del presente articolo, èrimesso all'apprezzamento ed all'approfondita valutazione dei soggetti di cui all'articolo 2, comma 3.

3. Il danno di natura psico-fisica provocato dagli atti o comportamenti di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo, si rileva ai fini della presente legge quando comporta la menomazione della capacitàlavorativa, quando pregiudica l'autostima del lavoratore che li subisce e quando si traduce in forme depressive.

Art. 2.

(Prevenzione e informazione)

1. I datori di lavoro, pubblici e privati, e le rispettive rappresentanze sindacali –ove esistenti –adottano tutte le iniziative necessarie volte a pianificare e organizzare il lavoro in modo da prevenire e scoraggiare i fenomeni di violenza e persecuzione psicologica e i conflitti nei luoghi di lavoro al fine di tutelare l'incolumitàe l'integritàpsico-fisica dei prestatori di lavoro.

2. I datori di lavoro di cui al comma 1 sono tenuti, altresì a fornire –in modo inequivocabile – su richiesta esplicita del lavoratore interessato, tutte le informazioni rilevanti relative alle assegnazioni degli incarichi, ai trasferimenti, alle variazioni delle mansioni affidate e delle qualifiche, nonché tutte le informazioni che attengono all'utilizzo dei lavoratori, pertinenti ai motivi soggettivi del richiedente.

3. Qualora siano denunciati, da parte di singoli o da gruppi di lavoratori, atti e comportamenti di cui all'articolo 1, il datore di lavoro e le rappresentanze sindacali aziendali –ove esistenti –provvedono tempestivamente all'accertamento dei fatti denunciati, avvalendosi anche dell'ausilio dei lavoratori dell'area aziendale interessata, nonché di esperti esterni all'azienda. A seguito dell'avvenuto accertamento dei fatti denunciati, il datore di lavoro assume tutte le iniziative volte al superamento del conflitto.

4. Ad integrazione di quanto disposto dall'articolo 20 della legge 20 maggio 1970, n. 300, i lavoratori hanno diritto di riunirsi fuori dell'orario di lavoro, nei limiti di cinque ore su base annuale, per discutere il tema delle violenze e delle persecuzioni psicologiche sul luogo di lavoro. Le riunioni sono indette e si svolgono in base alle modalitàe nelle forme di cui all'articolo 20 della citata legge n. 300 del 1970.

Art. 3.

(Responsabilitàdisciplinari)

1. A coloro che pongono in essere gli atti, i comportamenti e le azioni di cui all'articolo 1, si applicano le misure previste con riferimento alla responsabilitàdisciplinare.

2. Responsabilitàanaloga a quella di cui al comma 1 grava su chi denuncia gli atti, i comportamenti e le azioni di cui all'articolo 1, ancorché inesistenti, al fine di trarre vantaggio per sè o per altri.

Art. 4.

(Tutela giudiziaria)

1. Qualora da un comportamento conforme alle fattispecie di cui all'articolo 1 derivi un pregiudizio per il lavoratore, quest'ultimo ha diritto al risarcimento del danno, la cui liquidazione ha luogo in forma equitativa.

Art. 5.

(Conseguenze per gli atti derivanti dalle violenze psicologiche)

1. Gli atti e i comportamenti vessatori, rilevanti ai fini della presente legge, sono impugnabili ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 2113 del codice civile, salvo il risarcimento dei danni di cui all'articolo 4.

Art. 6.

(Pubblicitàdel provvedimento del giudice)

1. Su istanza della parte interessata, il giudice puòdisporre che del provvedimento di condanna o di assoluzione venga data informazione, a cura del datore di lavoro, mediante lettera ai dipendenti interessati, per reparto o attività dove si èmanifestato il caso di violenza morale e persecuzione psicologica, oggetto dell'intervento giudiziario, omettendo il nome della persona che ha subìo tali azioni.

Art. 7.

(Norme «leggere»)

1. I soggetti che stipulano i contratti collettivi nazionali di lavoro hanno la facoltàdi adottare norme per la emanazione di codici antimolestie e, in particolare, di codici volti alla prevenzione del mobbing anche mediante tecniche incentivanti.