Proposta di legge 06.06.2001, n.581



Disposizioni a tutela dei lavoratori dalla violenza e dalla persecuzione psicologica



XIV LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

PROPOSTA DI LEGGE N. 581

d'iniziativa del deputato TONINO LODDO

Disposizioni a tutela dei lavoratori dalla violenza e dalla persecuzione psicologica

Presentata il 6 giugno 2001

Onorevoli Colleghi! - L'espressione "mobbing" è usata per descrivere quegli atti e quei comportamenti assunti dai soggetti sovraordinati o addirittura da colleghi pari grado che, traducendosi in atteggiamenti vessatori posti in essere con evidente predeterminazione, arrecano danni rilevanti alla condizione psico-fisica dei lavoratori che li subiscono. I danni, che incidono sulla autostima del lavoratore, possono scatenare condizioni di grave depressione, con conseguenze anche di natura fisica. Si tratta di una materia che si potrebbe collocare tra i diritti dei lavoratori "di seconda generazione", tipici di una società post-industriale sempre più incentrata sul terziario, dove la dimensione relazionale tra le persone va assumendo una problematica complessità.

Con il testo proposto si amplia l'area dei diritti protetti dei lavoratori, introducendo il dovere del datore di lavoro e delle rappresentanze sindacali di prevenire e rimuovere la persecuzione psicologica nei rapporti di lavoro.

La disciplina della psicologia del lavoro ha attentamente studiato questa problematica soprattutto nei Paesi del nord Europa, ove già esiste una regolamentazione indiscutibilmente avanzata.

Gli studi sin qui condotti affermano che il mobbing si sostanzia in una strategia comportamentale volta alla distruzione psicologica e professionale della vittima, soprattutto quando viene perseguita con continuità temporale nel luogo di lavoro.

Il fenomeno si presenta in vari modi a seconda dei contesti culturali e sociali, anche se il dato costante è rappresentato dal fatto che la vittima è in una posizione di inferiorità nell'organizzazione, sia essa intesa in senso formale o informale.

Secondo studi effettuati in Italia sono state rilevate organizzazioni illegali che operavano all'interno delle aziende le quali, attraverso la pratica del mobbing, non miravano ad eliminare i dipendenti scomodi ma, al contrario, a legarli, seppur con un metodo perverso, più saldamente alle sorti della azienda.

Pertanto risulta evidente che qualsiasi misura volta a prevenire il mobbing, o a rimuoverne le cause, non solo va nella direzione di tutelare il benessere dei lavoratori ma risulta anche un investimento per l'azienda stessa, in quanto le violenze psicologiche possono creare un clima aziendale pessimo, alterando la capacità e l'attenzione del lavoratore, e quindi causare una contrazione della produttività dell'azienda.

Le vittime di comportamenti riconducibili al mobbing vengono stimate in 12 milioni in Europa e almeno un milione in Italia. La clinica del lavoro di Milano ha avviato uno studio sul campione di 250 persone e ne è risultato un quadro sicuramente interessante. Emergono alterazioni dell'equilibrio socio-emotivo quali l'ansia e attacchi di panico.

Nei Paesi del nord Europa già esiste una legislazione collaudata contro le molestie di tipo psicologico. Il Consiglio delle Comunità europee ha poi adottato una risoluzione (29 maggio 1990) a favore della tutela della dignità dei lavoratori, particolarmente diretta a combattere i comportamenti vessatori.

Allo stato attuale, in mancanza di una normativa specifica, in Italia il lavoratore vittima di un'azione persecutoria può avvalersi dell'articolo 2087 del codice civile, che impone al datore di lavoro di prendere tutte le misure idonee a tutelare l'integrità fisica e morale dei lavoratori.

Esiste già una giurisprudenza significativa che identifica comportamenti riconducibili al fenomeno del mobbing, considerando il danno psicologico come danno alla salute risarcibile ai sensi dell'articolo 32 della Costituzione. Tuttavia dalle sentenze emergono aspetti problematici relativamente all'accertamento e alla dimostrazione dell'effettivo nesso causale tra comportamenti vessatori e danno psichico. Da qui l'urgenza di riproporre il testo esaminato dalla Commissione lavoro della Camera dei deputati nella scorsa legislatura, la cui istruttoria ha impegnato la Commissione stessa per circa un anno e che rappresenta pertanto un valido punto di avvio per la sollecita adozione di un provvedimento assai atteso da una vasta categoria di lavoratori.

Art. 1.

(Finalità e definizioni).

1. La presente legge è diretta a tutelare i lavoratori da atti e comportamenti ostili che assumono le caratteristiche della violenza e della persecuzione psicologica, nell'ambito dei rapporti di lavoro.

2. Ai fini della presente legge, per violenza e persecuzione psicologica si intendono gli atti posti in essere e i comportamenti tenuti da datori di lavoro, nonché da soggetti che rivestono incarichi in posizione sovraordinata o pari grado nei confronti del lavoratore, che mirano a danneggiare quest'ultimo e che sono svolti con carattere sistematico e duraturo e con palese predeterminazione.

3. Gli atti e i comportamenti rilevanti ai fini della presente legge si caratterizzano per il contenuto vessatorio e per le finalità persecutorie e si traducono in maltrattamenti verbali e in atteggiamenti che danneggiano la personalità del lavoratore, quali il licenziamento, le dimissioni forzate, il pregiudizio delle prospettive di progressione di carriera, l'ingiustificata rimozione da incarichi già affidati, l'esclusione dalla comunicazione di informazioni rilevanti per lo svolgimento delle attività lavorative, la svalutazione dei risultati ottenuti.

4. Il danno di natura psico-fisica provocato dagli atti e comportamenti di cui ai commi 2 e 3 rileva ai fini della presente legge quando ha come conseguenza diretta la menomazione della capacità lavorativa, ovvero pregiudica l'autostima del lavoratore che li subisce, ovvero si traduce in forme depressive.

Art. 2.

(Prevenzione ed informazione).

1. I datori di lavoro, pubblici o privati, e le rispettive rappresentanze sindacali adottano tutte le iniziative necessarie allo scopo di prevenire la violenza e la persecuzione psicologica di cui alla presente legge, ivi comprese le informazioni rilevanti con riferimento alle assegnazioni di incarichi, ai trasferimenti, alle variazioni nelle qualifiche e nelle mansioni affidate, nonché tutte le informazioni che attengono alle modalità di utilizzo dei lavoratori.

2. Le iniziative di cui al comma 1 possono essere portate a conoscenza dei lavoratori anche attraverso l'affissione in bacheca.

3. Qualora atti e comportamenti di cui all'articolo 1 siano denunciati, da parte di singoli o da gruppi di lavoratori, al datore di lavoro ovvero alle rappresentanze sindacali aziendali, questi ultimi hanno l'obbligo di porre in essere procedure tempestive di accertamento dei fatti denunciati, eventualmente anche con l'ausilio di esperti esterni all'azienda.

4. Accertati i fatti, il datore di lavoro è tenuto ad assumere le misure necessarie al loro superamento, anche coinvolgendo i lavoratori dell'area interessata.

Art. 3.

(Responsabilità disciplinare).

1. Nei confronti di coloro che pongono in essere gli atti o i comportamenti previsti all'articolo 1 può essere disposta l'applicazione, da parte del datore di lavoro o del preposto gerarchicamente competente, delle misure disciplinari previste dalla contrattazione collettiva.

Art. 4.

(Azioni di tutela giudiziaria).

1. Il lavoratore che abbia subìto violenza o persecuzione psicologica nel luogo di lavoro e non ritenga di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, ma intenda adire il giudizio, deve promuovere, anche tramite l'associazione sindacale alla quale aderisce o conferisca il mandato, il tentativo di conciliazione ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile, o, rispettivamente, ai sensi dell'articolo 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Per il ricorso in giudizio si applicano le disposizioni di cui al citato articolo 413 del codice di procedura civile.

2. Gli atti e le decisioni concernenti le variazioni delle qualifiche, delle mansioni, degli incarichi, ovvero i trasferimenti, riconducibili alla violenza e alla persecuzione psicologica, sono annullabili a richiesta del lavoratore danneggiato, sia in sede di conciliazione che in sede giudiziaria.

3. In sede giudiziaria il giudice condanna il responsabile del comportamento sanzionato al risarcimento del danno, che liquida in forma equitativa.

Art. 5.

(Pubblicità del provvedimento del giudice).

1. Su istanza della parte interessata, il giudice può disporre che del provvedimento di condanna, passato in giudicato, venga data informazione, a cura del datore di lavoro, mediante lettera ai dipendenti interessati, per reparto e attività, dove si è manifestato il caso di violenza o di persecuzione psicologica oggetto dell'intervento giudiziario, omettendo il nome della persona che ha subito tali violenze o persecuzioni, qualora ne dia al giudice stesso esplicita indicazione.