Disegno di legge 25.09.2000, n.4802



Norme per contrastare il fenomeno del mobbing



SENATO DELLA REPUBBLICA XIII LEGISLATURA

N. 4802

DISEGNO DI LEGGE d'iniziativa del senatore MAGNALBò

Norme per contrastare il fenomeno del mobbing

Presentato il 25 settembre 2000

RELAZIONE

ONOREVOLI SENATORI. - II termine mobbing, che da qualche tempo è divenuto di uso frequente, deriva dal verbo inglese "to mob", che significa assalire tumultuando in massa, malmenare, aggredire. Fu usato, per la prima volta, dal Konrad Lorenz, bíologo inglese dell'Ottocento (e poi ripreso agli inizi degli anni Ottanta del professor Leymann) per indicare il comportamento di alcuni animali quando si coalizzano contro un membro del gruppo fino ad escluderlo dalla comunità.

Si tratta di un termine destinato a entrare in modo diffuso nella lingua italiana di qui ai prossimi anni, giacché oggi è largamente interpretato per indicare una qualsiasi forma di terrorismo psicologico esercitato nei luoghi di lavoro in danno dei lavoratori.

Sino a una decina di anni fa il significato era per lo più sconosciuto: solo con gli studi e le ricerche promosse per la prima volta in Svezia, agli inizi degli anni Ottanta, la conoscenza e lo studio delmobbing si è esteso in Germania e negli altri paesi dei Nord Europa, fino ad arrivare nel 1995 in Italia.

Lo scopo del mobbing è quello di porre in essere comportamenti di tipo persecutorio, attuati in modo evidente e continuo, per eliminare una persona che è o è divenuta, in qualche modo, scomoda, distruggendola psicologicamente e socialmente in modo da provocarne il licenziamento o indurla alle dimissioni.

Anche le molestie sessuali, possono rientrare nelle pratiche di mobbing: il cui scopo finale appare, in ogni caso, quello di eliminare "soggetti scomodi".

I soggetti attivi del mobbing possono essere i superiori, i capi intermedi e gli stessi colleghi del lavoratore, vittima della persecuzione. In qualche caso, la stessa azienda o lo stesso datore di lavoro possono assumere il ruolo di mobbers, nel quadro di una precisa strategia aziendale.

Fondamentalmente, a qualunque fine sia mirato, il mobbing rimane un abuso perpetrato nei confronti della dignità di una persona, che ne subisce in primo luogo i danni di natura psicologica e, secondariamente, quelli di natura economica.

Seguendo l'interpretazione di Leymann possiamo tentare di spiegare il fenomeno contraddistinguendone le diverse fasi nel modo seguente:

I fase. - In tutti i luoghi di lavoro nascono quotidianamente dei conflitti, il che è normale: infatti nel lavoro come nella vita, si scontrano caratteri, opinioni e abitudini diverse. Questi conflitti non fanno sempre parte dei mobbing, ma possono diventarlo: quando il conflitto quotidiano non si risolve, se il momentaneo screzio non si chiarisce, allora l'astio, il desiderio di rivalsa da parte di uno o più attori possono perdurare anche per lungo tempo e minare alla base le relazioni sociali, favorendo l'insorgere di una situazione di mobbing.

II fase. - Si verifica quando un conflitto nato per caso matura e diventa continuativo, trasformandosi in mobbing vero e proprio. II ruolo della vittima e quello del mobber si definiscono: il mobber continua ad agire in modo sistematico e per lo più intenzionale, mentre per colui che subisce la situazione di mobbing inizia un pericoloso processo di stigmatizzazione: egli diventa agli occhi di tutti la vittima.

III fase. - II mobbing è ormai così evidente da oltrepassare i limiti dell'ufficio o del reparto in cui è nato e diventa di pubblico dominio. La vittima comincia ad accusare problemi di salute, ad assentarsi con sempre maggiore frequenza, a richiedere permessi sempre più frequenti per visite mediche, a mettersi in malattia, a manifestare un calo di rendimento. Il caso probabilmente sarà esaminato dall'ufficio di amministrazione del personale che svolgerà delle indagini. Di solito i risultati saranno inficiati dall'azione dei miti psicologici sparsi dal mobber, per cui spesso ne consegue che la vittima è un elemento dannoso e dispendioso per l'azienda e per costringerla alle dimissioni si ricorre a trasferimenti, declassamenti di mansioni e punizioni di vario tipo.

IV fase. - II mobbing raggiunge il suo scopo: eliminare la vittima. Essa può dimettersi, esasperata può chiedere il prepensionamento oppure essere licenziata con un pretesto o con l'inganno. Non tutti i casi di mobbing arrivano però a questa fase. Solo le vittime dei casi estremi sono costrette in un modo o nell'altro ad abbandonare il lavoro.

Tuttavia, anche senza abbandonare il lavoro, il mobilizzato può entrare in una situazione di veradisperazione. Di solito soffre di forme depressive più o meno gravi e si cura con psicofarmaci e terapie che hanno solo un effetto palliativo perché il problema sul lavoro non solo resta, ma tende adaggravarsi. Spesso anche la famiglia della vittima è coinvolta, infatti l'assorbimento familiare della crisi causata dal mobbing implica che anche i vari membri ne subiscano le conseguenze, sia di ordine psicologico che pratico ed economico, come nel caso in cui si dovesse arrivare al licenziamento o alle dimissioni.

Gli errori da parte dell'amministrazione sono spesso dovuti alla mancanza di conoscenza del fenomeno e delle sue caratteristiche. Di conseguenza i provvedimenti presi sono non solo inadatti, ma molto pericolosi per la vittima.

Per una corretta valutazione del fenomeno, si devono comunque tenere in considerazione le correlazioni con l'ambiente culturale in cui ha luogo. II mobbing, infatti, non è un evento fisso e omogeneo: esso è un processo articolato che comincia lentamente e subdolamente e diventa spesso evidente dopo un lungo periodo con manifestazioni diverse.

Gli effetti del mobbing sono assai rilevanti per l'ordinamento: sono legati non solo alla riqualificazione del lavoratore, ma anche e soprattutto al suo stato di salute, il cui decadimento finisce per riverberarsi sulla struttura sanitaria nazionale, in termini di aggravio delle spese per l'assistenza. E ciò senza considerare gli altri obiettivi danni subiti dalla stessa unità lavorativa interessata, con un inevitabile, grave calo della produttività in tale ambito.

Approfondite ricerche svolte in altri Paesi hanno dimostrato che il mobbing può portare alla invalidità psicologica del lavoratore, sì che può essere corretto, in proposito, parlare di una vera e propria malattia professionale, del tutto simile a un infortunio sul lavoro.

In Germania, le ricerche scientifiche sul fenomeno dei mobbing e la legislazione in materia sono particolarmente avanzate. I sindacati tedeschi hanno promosso campagne di sensibilizzazione e strategie di intervento sui casi di mobbing, i cui danni rientrano nella casistica delle malattie professionali e fra le cause per ottenere il risarcimento del danno biologico. In Svezia il mobbing è addirittura elencato come reato nel codice penale.

Per quel che attiene al nostro Paese, talune statistiche riferiscono di una percentuale modesta, pari al 4,2 per cento del totale dei lavoratori dipendenti in Italia, circa 750.000 vittime.

In realtà il dato che emerge, appare assai lontano dal vero, in quanto ancora oggi le violenze morali in ambito lavorativo, risultano particolarmente difficili da quantificare: sia perché lo studio del fenomeno giunge con notevole ritardo, rispetto alle altre nazioni, sia perché le stesse vittime rifiutano di considerarsi tali, per timore di ulteriori ritorsioni, o per altri motivi.

Una recente ricerca effettuata dall'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, avrebbe accertato l'esistenza di circa 1.500.000 lavoratori, vittime del mobbing nel giugno 2000.

Se si tiene conto, tuttavia, del fatto che oltre al lavoratore interessato, anche i familiari sono pienamente coinvolti dalle ritorsioni - sia di ordine pratico che psicologico - causate dal fenomeno sopra descritto, non è difficile pervenire ad un numero globale di circa 4.000.000 di soggetti perseguiti in via diretta o indirettamente.

Sempre I'ISPESL riferisce che il 71 per cento delle denunce riguarderebbe i dipendenti del pubblico impiego. Nel 62 per cento dei casi, si tratterebbe di persone con più di 50 anni; 1'81 per cento sarebbe, poi, composto da quadri e impiegati. Da un'altra analisi risulterebbe che a esercitare il mobbing sarebbero per il 57,3 per cento i superiori e per il 30,3 per cento i colleghi. Lo stesso mondo politico risulta influenzato dal mobbing visto che già negli anni Settanta a un deputato venne riconosciuta una indennità per effetto del mobbing, seguita da una pensione di invalidità. In proposito, si è inteso configurare all'articolo 7 la pratica del mobbing anche nel contesto della vita dei partiti politici e delle associazioni in genere, così come regolate dall'articolo 36 dei codice civile.

Vanno anche configurati come mobbing, non solo la lotta contro la diversità politica del lavoratore rispetto al contesto in cui si trova ad operare, ma anche tutti gli attacchi alla sua reputazione, i pettegolezzi, le insinuazioni malevole, le attribuzioni di errori altrui, le segnalazioni diffamatorie e altro.

Per quel che attiene, poi, al profilo della adozione del mobbing, quale strumento di una precisa strategia azíendale, rivolta a porre le basi per l'abbandono del posto di lavoro - sotto forma di dimissioni volontarie - da parte delle vittime, la censura non può che essere seria e grave, soprattutto in un Paese come il nostro che soffre di altissimi livelli di disoccupazione, prossimi al 12 per cento, e che difficilmente riesce a creare nuovi posti di lavoro per i giovani.

Superfluo, è perciò, sottolineare il gravissimo clima di paura, incertezza e ansia che il mobbing è destinato a portare con sé.

In considerazione di quanto premesso si auspica la rapida approvazione del presente disegno di legge, che intende in tal modo prevenire il verificarsi di atti e comportamenti così gravemente lesivi sia della dignità, sia della reputazione di ogni lavoratore, in linea con quanto così fermamente proclamato dagli articoli 32 e 41 della Costituzione.

II presente disegno di legge si compone di sette articoli.

L'articolo 1 definisce i princìpi generali cui ricondurre il fenomeno del mobbing e le suemanifestazioni.

L'articolo 2 sancisce il principio dell'annullabilità dei provvedimenti assunti dal datore di lavoro con il fine di danneggiare il lavoratore.

L'articolo 3 attribuisce al Ministro del lavoro e della previdenza sociale il compito di emanare, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente disegno di legge, un apposito decreto cui ricondurre le singole fattispecie di violenze e persecuzioni oggetto del mobbing e rilevanti ai fini della presente proposta normativa.

L'articolo 4 definisce i casi in cui applicare le responsabilità disciplinari; gli articoli 5 e 6 riguardano il ricorso alla giustizia ordinaria.

Infine, l'articolo 7 estende l'applicazione della normativa in oggetto anche nel contesto delle associazioni regolate dall'articolo 36 dei codice civile e dei partiti politici.

Art. 1. (Princìpi e finalità)

1. Sono da ricondurre, nell'ambito della definizione di mobbing, tutti quegli atti e comportamenti posti in essere da datori di lavoro, capi intermedi e colleghi, che si traducono in atteggiamenti persecutori, attuati in forma evidente, con specifica determinazione e carattere di continuità, atti ad arrecare danni rilevanti alla condizione psico-fisica del lavoratore, ovvero anche al solo fine di allontanarlo dalla collettività in seno alla quale presta la propria opera.

2. La presente legge è volta a tutelare tutti i lavoratori che, in qualsiasi luogo di lavoro e a qualsiasi livello, subiscono comportamenti ostili che assumono le caratteristiche della violenza fisica, comprese le molestie anche sessuali, e della persecuzione psicologica, nell'ambito dei rapporti di lavoro.

3. Gli atti e comportamenti che rilevano ai fini della presente legge sono caratterizzati dal contenuto vessatorio e da finalità persecutorie che si traducono in molestie, in maltrattamenti verbali, nonché in atteggiamenti tali da danneggiare la personalità e la dignità del lavoratore, incidendo sulla di lui immagine sociale, sulla situazione privata e professionale, nonché sulle relazioni sociali, oltre che sulla salute.

4. In particolare le attività di mobbing si sostanziano in atti di ostilità, attacchi alla reputazione,creazione di falsi pettegolezzi, insinuazioni malevole, segnalazioni diffamatorie, attribuzioni di errori altrui, carenza di informative e informazioni volutamente errate, al fine di creare problemi, controlli e sorveglianza continui, minacce di trasferimenti, apertura di corrispondenza, difficoltà di permessi o ferie, assenza di promozioni o passaggi di grado, ingiustificata rimozione da incarichi già ricoperti, svalutazione dei risultati ottenuti.

5. II danno di natura psico-fisica, provocato dagli atti e comportamenti di cui ai commi 3 e 4, rileva, ai fini della presente legge, quando incide sulla capacità lavorativa del lavoratore, sia pregiudicandone I'autostima, sia inducendo crisi depressive o danni diretti o indiretti sulla salute.

Art. 2. (Annullabilità degli atti di discriminazione)

1. Gli atti posti in essere dal datore di lavoro, nonché i provvedimenti assunti, nella eventuale modifica delle mansioni e qualifiche, di incarichi, trasferimenti di altra natura, riconducibili alle condotte di cui all'articolo 1, sono annullabili a richiesta dei lavoratore danneggiato.

Art. 3. (Attività di prevenzione e informazione)

1. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro del lavoro e della previdenza sociale emana un apposito decreto con il quale individua le singole fattispecie di violenza e persecuzione ai danni dei lavoratori rilevanti ai sensi della presente legge.

2. I datori di lavoro, pubblici o privati, a qualsiasi livello, unitamente alle rispettive rappresentanze sindacali, là dove esistenti, sono tenuti ad adottare tutte le iniziative necessarie intese a prevenire i fenomeni di violenza e persecuzione di cui all'articolo 1, nonché i conflitti nei luoghi di lavoro.

3. Gli stessi datori di lavoro, pubblici o privati, unitamente alle rappresentanze sindacali, là dove esistenti, sono tenuti, altresì, a dare tutte le informazioni rilevanti relative alle assegnazioni degli incarichi, ai trasferimenti, alle variazioni delle mansioni e delle qualifiche, in applicazione della presente legge.

4. Sia il decreto di cui al comma 1, che le informazioni di cui al comma 3 devono essere affissi nelle bacheche aziendali e, in ogni caso, resi debitamente pubblici.

5. In presenza di denuncia di atti e comportamenti di cui all'articolo 1, da parte di singoli lavoratori, è compito dei datori di lavoro e delle rispettive rappresentanze sindacali aziendali, là dove esistenti, provvedere tempestivamente all'accertamento dei fatti denunciati, ove del caso anche con l'ausilio di soggetti estranei all'azienda. Accertati i fatti, il datore di lavoro è tenuto ad assumere tutte le iniziative necessarie per superare il conflitto denunciato. Ai fini della individuazione delle misure necessarie, il datore di lavoro può anche avvalersi della collaborazione dei lavoratori dell'area aziendale interessata.

6. A integrazione di quanto disposto dall'articolo 20 della legge 20 maggio 1970, n. 300, i lavoratori hanno diritto di riunirsi, fuori dall'orario di lavoro, nei limiti di sei ore, su base annuale, al fine di esaminare e dibattere riguardo alle violenze e alle persecuzioni psicologiche nei luoghi di lavoro con le modalità e con le forme previste dal citato articolo 20 della legge n. 300 del 1970.

Art. 4. (Responsabilità disciplinare)

1. A coloro che pongono in essere gli atti e i comportamenti di cui all'articolo 1 si applicano le misure previste con riferimento alla responsabilità disciplinare.

2. Responsabilità analoga a quella di cui al comma 1 grava su chi consapevolmente denuncia gli atti e i comportamenti di cui all'articolo 1, ancorché notoriamente inesistenti, al solo fine di trarne un qualsivoglia vantaggio.

Art. 5. (Ricorso alla giustizia ordinaria)

1. Ogni lavoratore che abbia subito violenza o persecuzione psicologica nel luogo di lavoro e non ritenga di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, ma intenda adire in giudizio, può promuovere il tentativo di conciliazione contemplato dall'articolo 410 del codice di procedura civile, ove del caso, anche con l'ausilio delle rappresentanze aziendali, là dove esistenti. II procedimento è regolato dall'articolo 413 del codice di procedura civile.

2. II giudice condanna il responsabile del comportamento sanzionato al risarcimento del danno, la cui liquidazione ha luogo in forma equitativa.

Art. 6. (Provvedimento dei giudice e pubblicità)

1. II giudice, su istanza della parte interessata, può disporre idonea pubblicità al provvedimento di condanna, a cura e spese del datore di lavoro, ove dei caso anche mediante lettera o comunicato, da indirizzare ai dipendenti interessati, appartenenti al reparto o all'unità lavorativa dove la violenza o la persecuzione hanno trovato attuazione.

2. II nome della persona o delle persone vittime della violenza o della persecuzione possono essere omessi.

Art. 7. (Configurazione nell'ambito della vita dei partiti politici e delle associazioni)

1. La normativa di cui alla presente legge trova applicazione anche nel contesto della vita dei partiti politici, nonché delle associazioni regolate dall'articolo 36 del codice civile.

2. Allorquando i soggetti passivi del mobbing non rivestano la qualifica di lavoratori dipendenti, ma siano semplici iscritti o soci, le attività di prevenzione e di informazione di cui all'articolo 3 si intendono demandate agli organismi di controllo regolarmente costituiti e operanti in conformità con quanto previsto dagli atti costitutivi, ovvero dagli statuti dei singoli organismi interessati. 3. Se il soggetto passivo del mobbing, non intende fare ricorso alla giustizia ordinaria, così come previsto dall'articolo 5, ogni eventuale controversia può essere composta mediante ricorso al collegio dei probiviri, ovvero agli altri organi di controllo previsti dallo statuto dell'organismo interessato.