Progetto di legge 09.05.1996, n.601



Norme a tutela della libertà e della dignità della persona dalle molestie sessuali nei luoghi di lavoro

PROGETTO DI LEGGE - N. 601

CAMERA DEI DEPUTATI N. 601

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati: CORDONI, INNOCENTI, BARTOLICH, GASPERONI, GUERZONI,

LUCA', RUZZANTE, SCIACCA, SCRIVANI, STANISCI, STELLUTI, GAETANO VENETO,

BIRICOTTI, BOLOGNESI, BUFFO, CAMOIRANO, CHIAVACCI, DAMERI, DEDONI, DE

SIMONE, LABATE, RIZZA, SIGNORINO

Norme a tutela della libertà e della dignità della persona dalle molestie sessuali nei luoghi di lavoro

Presentata il 9 maggio 1996

RELAZIONE

Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge riproduce per gran parte il testo presentato dal senatore Smuraglia al Senato, fin dalla XI legislatura. Sono state introdotte alcune modificazioni raccogliendo così osservazioni pervenute da una successiva consultazione con associazioni di donne e giuriste.

La proposta di legge tratta di una materia assai delicata proprio per la natura stessa della questione cui rimanda: le relazioni tra i sessi. Tali relazioni - lo sappiamo - vivono, inevitabilmente, in una dimensione di ambivalenza e pretendono uno spazio di libertà e di imprevedibilità: una costante capacità di trasformarsi e di rinnovarsi, di prevedere il gioco e l'allusione, il conflitto e la sottrazione, l'invenzione e la sorpresa. Da qui la delicatezza della materia e la necessità di trattarla con grande intelligenza e con grande sensibilità. E, tuttavia, va trattata.

Beninteso, il fatto di legiferare affinché i rapporti tra due individui non si trasformino in discriminazione o mortificazione dell'uno o dell'altro, non deve tradursi in una limitazione della libertà. Libertà dei singoli e del gioco della relazione; dunque, dello scambio e della seduzione, dell'incontro e del corteggiamento, con ciò che comporta di allusivo e indecifrabile. Ma se questo è lo sfondo psicologico e relazionale in cui si colloca questa proposta di legge, le fattispecie che prende in considerazione sono di tutt'altra natura: non si intende regolamentare - e tanto meno penalizzare - l'approccio. Si vuole, piuttosto, sanzionare quell'atto, a connotazione sessuale, che si verifichi - questo è assai importante - nei luoghi di lavoro, che risulti indesiderato e che sia tale da pregiudicare la libertà e la dignità della persona. E quell'atto va considerato con maggiore severità quando sia accompagnato da minacce o ricatti da parte del datore di lavoro o dei superiori gerarchici. Parliamo di atti, dunque, che si verificano nei luoghi di lavoro, cioè in sedi dove si svolge un'attività lavorativa, dov'è forte l'elemento della gerarchia e della subordinazione.

Dunque, ci riferiamo a comportamenti riscontrabili in ambienti circoscritti, dove gli individui si trovano per svolgere un lavoro, per ottenere una remunerazione, per compiere un'attività regolata e regolamentata: e lì passano una parte consistente del proprio tempo, scandito da obblighi e limiti.

Questo rende maggiormente offensive quelle molestie perché sottrarsi ad esse è più difficile, e "costoso", di quanto lo sia nell'ambiente esterno.

Tale considerazione dovrebbe consentire di superare le perplessità di chi ritiene non sottoponibili ad alcuna normativa le relazioni tra i sessi, in quanto affidate alla capacità di autonomia e di autotutela del singolo; e in quanto inadatte, quelle relazioni, a sopportare l'"intrusione" della legge e della sua pretesa di regolamentare e "giuridicizzare" ciò che, per definizione, si sottrae a regole e norme. E' una posizione non priva di ragioni sul piano generale, ma impropria nel contesto considerato. Qui, nei luoghi di lavoro, le relazioni tra i sessi sono alterate e condizionate da una obiettiva situazione di diseguaglianza e disparità; e la stessa libertà di scelta, di sottrazione e di autotutela risulta, più o meno profondamente, limitata. Basti pensare ad aziende di piccole, o piccolissime, dimensioni, dove il ruolo del titolare o del dipendente anziano - anche quando la posizione di quest'ultimo non fosse formalizzata in termini gerarchici - può dare luogo ad una situazione di esplicita o implicita pressione, se non di ricatto.

E non c'è dubbio che quello delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro sia un fenomeno assai esteso: tale da produrre allarme e conseguenze individuali e collettive che possono risultare assai gravi e che possono compromettere la serenità dell'ambiente di lavoro e, come si è detto, la libertà e la dignità di lavoratrici e lavoratori. E, infatti, gli effetti negativi non ricadono solo, com'è ovvio, sulla persona offesa, il cui rapporto con l'ambiente di lavoro diviene senz'altro più problematico (fino a indurla, talvolta, alle dimissioni), ma anche sull'attività dell'azienda, che vede compromessa la tranquillità dei propri dipendenti ed il loro rendimento. Difficile quantificare il fenomeno e, tuttavia, una ricerca del 1987 voluta dal Consiglio d'Europa - Rapporto Rubenstein - segnalava dati assai inquietanti: in Irlanda del Nord, secondo una indagine della Commissione per le pari opportunità, il 22 per cento delle donne dichiara di avere subìto molestie sessuali; in Belgio, secondo una inchiesta governativa, il 34 per cento di donne francofone e il 30 per cento di donne fiamminghe denunciano di avere subìto molestie; in Inghilterra, secondo una indagine svolta dall'Alfred Marks Bureau, il 51 per cento delle donne ha subìto molestie. Un'altra indagine, svolta sempre in Inghilterra da una unità di ricerca del Ministero del lavoro su 46.000 impiegate di 157 aziende, ha evidenziato che: la molestia sessuale è documentata nei tre quarti dei posti di lavoro; la più diffusa è la molestia verbale, ma nel 10 per cento dei casi si hanno delle vere aggressioni fisiche; i più coinvolti sono i diretti superiori gerarchici. In Olanda, secondo una indagine governativa affidata all'Università di Gromigen, le donne molestate risultano essere il 55 per cento di quelle intervistate; in Germania (ex Repubblica federale), secondo un sondaggio di una pubblicazione femminile, le impiegate risultano molestate nel 59 per cento dei casi; in Spagna, una ricerca della Confederazione sindacale UGT conclude che l'84 per cento delle donne intervistate ha subìto molestie.

Com'è facilmente intuibile, i dati variano a seconda dei settori produttivi, del livello di sindacalizzazione, dello sviluppo sociale e culturale delle aree dove si trova l'azienda, e di altri fattori ancora. In Italia non esistono ricerche in materia di dimensione nazionale, ma quelle a carattere locale confermano - tutte - la consistenza del fenomeno: tanto più allarmante, tale consistenza, perché si tratta di comportamenti, in genere, occultati o rimossi, e, spesso, affidati ad allusioni, ammiccamenti, messaggi impliciti, e, dunque, di difficile individuazione e documentazione. Ciò nonostante, le ricerche a disposizione offrono risultati inequivocabili: nel 1990 - secondo i coordinamenti donne FIM, FIOM, e UILM - il 32 per cento delle intervistate, in alcune zone del Piemonte, ha subìto o è a conoscenza di ricatti sessuali nei confronti di altre donne, e il 9,9 per cento dichiara di avere subìto molestie sessuali. Nello stesso anno, il coordinamento femminile della CGIL della zona Roma-centro segnala che il 9,8 per cento delle impiegate, il 14,8 per cento delle operaie e il 22,6 per cento delle funzionarie dichiarano di avere subìto molestie sessuali. Da una ricerca, sempre del 1990, curata da Carmine Ventimiglia per la CGIL di Modena (Coordinamento femminile), risultano dati ancora più significativi. Su un campione di maschi, il 17 per cento dichiara di avere rivolto richieste esplicite di rapporti sessuali a proprie colleghe di lavoro; e su un campione femminile, il 22,8 per cento afferma di avere ricevuto tali richieste. Il 23,4 per cento dello stesso campione maschile riconosce di mettere in atto molestie fisiche, mentre ben il 36,9 per cento delle donne intervistate dichiara di subire tali comportamenti.

Il fatto che, in materia di molestie, si faccia riferimento con maggiore frequenza a una vittima di sesso femminile, non deve consentire equivoci. I lavoratori di sesso maschile sono, a loro volta, destinatari di molestie, sia pure in misura largamente minore. In ogni caso, ad essere colpiti sono i gruppi e le categorie più deboli o meno tutelati: esiste un nesso preciso, dunque, "tra il rischio di molestia a sfondo sessuale e la vulnerabilità di colui che la subisce" e "le categorie più esposte sono le donne in stato di divorzio e di separazione, le più giovani e le nuove assunte, le donne che non sono tutelate da un contratto di lavoro regolare e fisso, le lavoratrici che svolgono professioni non specificamente femminili, quelle affette da menomazioni, lesbiche o appartenenti a minoranze razziali. Anche gli omosessuali e gli uomini in giovane età sono facilmente esposti a molestie di questo tipo". (dal Codice di condotta elaborato dalla Commissione delle Comunità europee). Da qui la scelta di fare costante riferimento, nella proposta di legge, alla formulazione "lavoratrici e lavoratori" e "persona molestata".

Preliminare a ogni ulteriore considerazione è la definizione di molestia sessuale. Quella indicata dalla presente proposta di legge (al comma 2 dell'articolo 1), è così formulata: "ogni atto o comportamento a connotazione sessuale o basato sul sesso, che risulti indesiderato". Al comma 3 viene inoltre definito che le molestie costituiscono comportamenti discriminatori ai sensi dell'articolo 4, commi 1 e 2 della legge 10 aprile 1991, n. 125.

In altre parole, la molestia sessuale produce una condizione di svantaggio per la persona che la subisce; la colloca in una posizione di disparità nelle relazioni all'interno dei luoghi di lavoro; la offende in quanto impone qualcosa di non voluto e di non gradito, e, insieme, la penalizza perché il rifiuto dell'atto vissuto come molestia ha, in ogni caso, conseguenze negative: sull'equilibrio della persona molestata, sulla dinamica dei suoi rapporti con chi molesta, sui probabili svantaggi che le deriveranno dal rifiuto o dalla protesta. Di conseguenza, la persona molestata si troverà limitata nelle sue scelte e nei suoi movimenti, nelle sue relazioni e nei suoi comportamenti; dovrà subire sperequazioni o rinunciare a diritti o perdere opportunità o, comunque, superare una situazione di disagio. Ed è "a motivo del proprio sesso che la vittima delle molestie riceve un pregiudizio in termini di perdita di benefìci ed opportunità di lavoro e subisce un comportamento comunque lesivo della propria dignità e della propria libertà sessuale". (M. Barbera).

Della definizione di molestia, come formulata all'articolo 1 della presente proposta di legge, va sottolineata, in particolare, la parola: "indesiderati".

Essa evidenzia una concezione, per così dire, "soggettiva" della fattispecie: ed è una concezione coerente con la raccomandazione della Commissione delle Comunità europee del 27 novembre 1991 ("qualsiasi comportamento a connotazione sessuale... è inammissibile se è indesiderato") e con il Codice di condotta elaborato dalla medesima Commissione ("Per molestia sessuale s'intende ogni comportamento indesiderato a connotazione sessuale o qualsiasi altro comportamento basato sul sesso che offenda la dignità degli uomini e delle donne nel mondo del lavoro, ivi inclusi atteggiamenti male accetti di tipo fisico, verbale o non verbale"). Dunque, il comportamento in questione è visto sotto l'angolazione di chi lo subisce, piuttosto che in riferimento ai motivi o alle intenzioni di chi lo mette in atto. Risulta centrale, insomma, il fatto che la percezione di un determinato comportamento a sfondo sessuale è assai diversa in relazione alla differenza di sesso tra chi lo attua e chi lo subisce; e si dà molestia sessuale quando un determinato atto viene percepito e definito tale dalla molestata o dal molestato.

Da qui l'opportunità di superare la categoria dell'intenzionalità (C. Ventimiglia) - che richiama la volontà di chi molesta e il senso che egli attribuisce a quel comportamento ("io intendevo..." o "io non intendevo...") - ed il fatto che essa diventasse il metro di giudizio, e venisse riconosciuta come oggettiva solo la percezione di chi prevale (in questo caso, di chi molesta) nel rapporto tra i sessi. E invece - poiché si tratta di valutare atteggiamenti di significato ambivalente - l'unico criterio utilizzabile per distinguere tra l'imposizione e il mutuo consenso è, appunto, l'accettazione da parte di chi è oggetto di quell'atteggiamento.

Da qui la formulazione: atto o comportamento (...) indesiderato. In altre parole, "è la natura indesiderata della molestia che la distingue dal comportamento amichevole" (Codice di condotta).

Qui c'è un punto cruciale: riguarda la possibile ipersensibilità della persona che si ritiene molestata e che potrebbe indicare come intollerabili (molesti) comportamenti, in genere, socialmente tollerati.

In presenza di tale eventualità - e per evitare forzature e strumentalizzazioni - a quale standard di valutazione fare riferimento? La risposta potrebbe essere questa: se qualifichiamo, come facciamo, la molestia sessuale come una limitazione della libertà individuale e non come un'offesa alla morale pubblica e al "comune senso del pudore" (M. Barbera), spetta - indubitabilmente - "al singolo individuo stabilire quale comportamento egli possa tollerare e quale percepisce come offensivo" (ancora dal Codice di condotta). D'altra parte, è stata la stessa Commissione delle Comunità europee a precisare, cautelativamente, che "una semplice attenzione a sfondo sessuale" - anche se indesiderata - non configura ancora la molestia: perché essa si realizzi, è necessario che quel comportamento "persista".

E' la stessa cautela che motiva l'articolo 6 della presente proposta di legge, laddove si prevedono sanzioni di natura disciplinare per chi denunci "fatti di molestie sessuali che risultino assolutamente inesistenti" ed al solo scopo di denigrare qualcuno. Questo esclude - o, comunque, limita al minimo - il rischio di eccessi e di inganni; tanto più che l'individuazione dell'atto definibile come molestia avviene non nell'incertezza di uno scambio libero e informale, ma all'interno di una trama di rapporti circoscritti. Ci si riferisce non solo al rapporto di subordinazione gerarchica che comporta, implicitamente o esplicitamente, minacce o ricatti (comma 4 dell'articolo 1), ma anche a quel sistema informale di asimmetrie e disparità nella distribuzione del potere che connota l'intera organizzazione aziendale. Dove, dunque, la differenza di sesso o di età, di esperienza lavorativa o di relazioni con la gerarchia, di garanzie contrattuali o di sicurezza psicologica, producono diversa disponibilità di risorse: in ultima istanza, diverso potere, ancorché informale. E da tale diversità di posizione - anche non definita gerarchicamente in termini espliciti - discende una maggiore o minore possibilità di imporre comportamenti molesti e una maggiore o minore possibilità di sottrarsi a comportamenti molesti.

In sostanza, si può dire che la molestia è tanto più individuabile e definibile con precisione quanto più puntualmente essa venga riferita a situazioni di abuso di potere (formale o informale), piuttosto che a comportamenti ritenuti offensivi per il "comune senso del pudore". Certo, quell'abuso di

potere è sempre possibile nei rapporti tra i sessi (che raramente si sviluppano su un piano di parità),

ma è ancora più possibile quando le relazioni tra i sessi si intrecciano ai meccanismi gerarchici (anche non espliciti) di autorità e di dipendenza, propri della struttura aziendale.

Le considerazioni fin qui svolte inducono, in questa sede, a non considerare la materia sotto il profilo penale, nella consapevolezza che il dibattito in materia resta aperto e che al suo interno si confrontano opzioni assai diverse.

Peraltro, per restare nell'ambito puramente lavoristico, è pacifico che le norme esistenti possono essere considerate o non sufficientemente pertinenti e o non sufficientemente efficaci.

Alcune tra tali norme possono risultare improprie, ove vengano intese come capaci di conferire al datore di lavoro un compito assai delicato: fino a configurare il rischio di una sorta di neo-paternalismo aziendale; e, tuttavia, quelle norme vengono richiamate nella presente proposta di legge sotto il profilo della informazione e della prevenzione (articolo 3 e articolo 9).

Si è preferito, dunque, lavorare su una serie di possibilità offerte alla vittima delle molestie: da quella di rassegnare le dimis- sioni, con una sanzione a carico del datore di lavoro (articolo 5) (ipotesi, oggi, abbastanza teorica, ma valida sul piano dell'affermazione di principio) a quella del ricorso al consigliere di parità (articolo 4), fino a quella rappresentata dai diversi tipi di tentativi di conciliazione (articolo 7); ma, soprattutto, si è prevista la possibilità di ottenere una giustizia rapida con il ricorso ad una procedura modellata sullo schema disegnato dall'articolo 15 della legge 9 dicembre 1977, n. 903. Va considerata, inoltre, la nullità di determinati atti (articolo 10), al fine di rendere vano ogni possibile tentativo di ritorsione.

Inoltre, va sottolineato che la presente proposta di legge dedica ampio spazio a iniziative da sviluppare sul piano della formazione e dell'informazione: ai fini, cioè, della prevenzione di atti e comportamenti molesti (articolo 9).

Infine, l'articolo 2 definisce l'ambito di applicazione della legge ai lavoratori e alle lavoratrici che prestano attività lavorativa, a coloro che svolgono attività di stage formativo o siano soci di società o enti cooperativi o siano prestatori d'opera autonoma.

Particolare attenzione va dedicata agli strumenti e alle occasioni capaci di indurre le vittime di molestie ad uscire dalla condizione di silenzio in cui si trovano, a superare l'imbarazzo e la censura, a sottrarsi ai meccanismi, anche impliciti, di pressione e di ricatto. Da qui l'importanza di quanto disposto dall'articolo 11: tre ore di assemblea all'anno, fuori dall'orario di lavoro, come occasione di confronto e come opportunità di reciproca informazione, di mutuo sostegno, di emancipazione collettiva da un clima che, spesso, è di rassegnazione. Solo questo potrà, se non eliminare, ridurre e contenere il fenomeno.

Art. 1.

(Molestie sessuali).

1. Tutte le lavoratrici ed i lavoratori hanno diritto ad un ambiente di lavoro sicuro, sereno e favorevole alle relazioni interpersonali, su un piano di eguaglianza, reciproca correttezza e rispetto della libertà e dignità della persona.

2. Il diritto di cui al comma 1 è leso dalle molestie sessuali consistenti in ogni atto o comportamento a connotazione sessuale o basato sul sesso che risulti indesiderato.

3. Costituiscono comportamenti discriminatori ai sensi dell'articolo 4, commi 1 e 2, della legge 10 aprile 1991, n. 125, le molestie che esplicitamente o implicitamente influiscano sulle decisioni inerenti alla costituzione, allo svolgimento o alla estinzione del rapporto di lavoro, ovvero siano tali da creare un ambiente di lavoro intimidatorio o umiliante.

4. Sono considerate particolarmente gravi le molestie sessuali che esplicitamente o implicitamente siano accompagnate da minacce o ricatti da parte del datore di lavoro e dei superiori gerarchici in relazione alla costituzione ed allo svolgimento del rapporto stesso.

5. A nessuno è consentito di approfittare della propria posizione per eliminare o ridurre le garanzie di cui alla presente legge o per esercitare forme illecite di pressione o di ricatto.

Art. 2.

(Ambito di applicazione).

1. Agli effetti di cui all'articolo 1, comma 1, sono considerati lavoratrici e lavoratori i soggetti che prestano attività lavorativa a carattere subordinato, in ogni fase del rapporto di lavoro, ivi compresa la fase dell'espletamento delle procedure di assunzione. A tali soggetti sono equiparati coloro che, pur in assenza di rapporto di lavoro, svolgono attività di formazione professionale o sono soci di società o enti cooperativi che prestino la loro attività a favore delle società e degli enti stessi o comunque una prestazione d'opera autonoma svolta a vantaggio del datore di lavoro e in suoi locali.

Art. 3.

(Obblighi del datore di lavoro).

1. Il datore di lavoro, pubblico o privato, è tenuto ad adottare, d'intesa con le rappresentanze elettive dei lavoratori e delle lavoratrici e con il consigliere di parità di cui all'articolo 8 della legge 10 aprile 1991, n. 125, previa consultazione delle lavoratrici e lavoratori interessati, le iniziative necessarie, sotto il profilo della formazione, della informazione e della prevenzione, per le finalità di cui all'articolo 1.

2. Qualora siano denunciati al datore di lavoro comportamenti che rientrano nelle previsioni da cui all'articolo 1, egli ha l'obbligo di garantire procedure tempestive ed imparziali per l'accertamento dei fatti, assicurando la riservatezza dei soggetti coinvolti ed il diritto del denunciante e dell'accusato a farsi assistere da una persona di fiducia da essi indicata.

Art. 4.

(Ulteriori competenze dei consiglieri di parità).

1. I consiglieri di parità, oltre a quanto previsto dall'articolo 8 della legge 10 aprile 1991, n. 125, svolgono altresì funzioni di assistenza e consulenza per le lavoratrici ed i lavoratori che subiscano atti di molestia o ricatti sessuali, garantendo la riservatezza ogni volta che gli interessati intendano mantenerla. Tali funzioni dei consiglieri di parità devono essere portate a conoscenza dei lavoratori e delle lavoratrici nelle singole aziende, mediante affissione, a cura dei datori di lavoro ed in luogo accessibile a tutti, del testo del presente articolo.

2. Per l'attuazione di quanto previsto al comma 1 della presente legge, ai consiglieri di parità devono essere assegnati mezzi e strumenti necessari, a cura del competente ufficio del lavoro, ai sensi dell'articolo 8 della legge 10 aprile 1991, n. 125.

Art. 5.

(Dimissioni per giusta causa).

1. Qualora i comportamenti di cui all'articolo 1 siano tenuti direttamente dal datore di lavoro, e nell'ipotesi in cui il datore di lavoro non abbia realizzato le misure di prevenzione e tutela ai sensi dell'articolo 3, le lavoratrici ed i lavoratori interessati hanno il diritto di risolvere il rapporto senza obbligo di preavviso. In tal caso, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere, oltre al trattamento di fine rapporto, un'indennità corrispondente ad almeno dodici mensilità della retribuzione globale in atto alla cessazione del rapporto di lavoro, oltre al risarcimento dei danni eventualmente prodotti.

Art. 6.

(Responsabilità disciplinare).

1. Coloro che tengono comportamenti vietati dalla presente legge sono soggetti a sanzioni disciplinari secondo quanto previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro.

2. Colui che denuncia fatti di molestie sessuali che risultino assolutamente inesistenti ed al solo scopo di denigrare qualcuno, è soggetto a sanzioni disciplinari, ai sensi del contratto collettivo nazionale di lavoro.

Art. 7.

(Azioni in giudizio).

1. La persona che abbia subìto molestie nel luogo di lavoro o sia esposta comunque ai comportamenti di cui ai commi 2 e 3 dell'articolo 1 della presente legge e non ritenga di avvalersi della procedura di conciliazione prevista dai contratti collettivi, ma intenda agire in giudizio, può promuovere il tentativo di conciliazione ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile, anche attraverso il consigliere di parità, ove esista, ferma restando l'applicazione, anche alle ipotesi considerate nella presente disciplina, dell'articolo 8, comma 8, della legge 10 aprile 1991, n. 125. Si applicano, per il ricorso in giudizio, le disposizioni di cui all'articolo 413 del codice di procedura civile, nonché le disposizioni dell'articolo 15 della legge 9 dicembre 1977, n. 903.

2. Nell'ipotesi di atti o comportamenti discriminatori, il giudice, ai sensi dell'articolo 15 della citata legge n. 903 del 1977, ordina la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti e condanna altresì il responsabile al risarcimento del danno, che liquida in forma equitativa.

3. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai dipendenti pubblici.

Art. 8.

(Pubblicazione del provvedimento pretorile).

1. Su istanza della parte interessata, il giudice può disporre che il provvedimento definitivo sia pubblicato, a cura del datore di lavoro, mediante affissione in luogo accessibile a tutti i dipendenti, omettendo il nome della persona che ha subìto la molestia.

Art. 9.

(Azioni positive e attività d'informazione).

1. Nella ammissione dei progetti di azioni positive ai benefìci di cui all'articolo 2 della legge 10 aprile 1991, n. 125, devono essere tenuti in particolare considerazione i progetti che comprendano espressamente piani dettagliati di prevenzione, formazione ed informazione, in relazione alle tematiche di cui alla presente legge.

2. Apposite campagne di informazione sono predisposte annualmente dal Comitato nazionale per l'attuazione dei princìpi di parità di trattamento ed uguaglianza di opportunità fra lavoratori e lavoratrici di cui all'articolo 5 della citata legge n. 125 del 1991, e dalle corrispondenti commissioni regionali sul tema delle molestie sessuali, come forma di discriminazione indiretta.

Art. 10.

(Nullità dei provvedimenti di ritorsione).

1. I provvedimenti relativi alla posizione soggettiva del lavoratore dipendente che abbia denunciato comportamenti di molestia da parte del datore di lavoro o di superiori gerarchici, in qualunque modo peggiorativi della sua condizione, quali trasferimenti, licenziamenti e simili, adottati entro un anno dal momento della denuncia, si presumono a contenuto discriminatorio.

2. E' consentita la prova contraria ai sensi dell'articolo 2728, secondo comma, del codice civile.

3. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano altresì ai testimoni che hanno deposto in senso conforme alla denuncia.

Art. 11.

(Assemblee).

1. Fermo restando quanto previsto dall'articolo 20 della legge 20 maggio 1970, n. 300, le lavoratrici ed i lavoratori, anche separatamente, hanno diritto a tre ore di assemblee annue, fuori dall'orario di lavoro, per discutere sul tema dei rapporti sui luoghi di lavoro e sui comportamenti discriminatori o molesti per ragioni di sesso tenuti nell'ambiente di lavoro da colleghi di lavoro, da superiori gerarchici e dallo stesso datore di lavoro e per discutere delle misure proposte dal datore di lavoro di cui all'articolo 3, comma 1, della presente legge. Le assemblee sono indette con le modalità e si svolgono nelle forme di cui al predetto articolo 20 della citata legge n. 300 del 1970, nonché secondo la disciplina dei contratti collettivi per aziende con meno di 15 addetti. Spetta esclusivamente all'assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori decidere se e quando consentire la partecipazione all'assemblea di dirigenti sindacali, anche esterni, e di esperti.

2. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche ai gruppi di lavoratori che ne facciano richiesta in numero superiore a venti, entro il limite di un'ora e mezzo annua.