Francesco Toschi Vespasiani



LA QUANTIFICAZIONE DEL DANNO MORALE DA MORTE SUBITO DAI CONGIUNTI. TRA NUOVE E VECCHIE PROBLEMATICHE, LA CASSAZIONE ATTENDE I "PACS"

LA QUANTIFICAZIONE DEL DANNO MORALE DA MORTE SUBITO DAI CONGIUNTI. TRA NUOVE E VECCHIE PROBLEMATICHE, LA CASSAZIONE ATTENDE I "PACS" 
 
Francesco Toschi Vespasiani 
 
 
FONTE Resp. civ., 2007, 01, 28 - Danno morale 
 
Sommario: 1. Una breve premessa - 2. Il c.d. danno parentale da morte - 3. La quantificazione del danno morale parentale da morte nell'iter motivazionale della sentenza annotata
 
1. Una breve premessa
 
Dopo un grave sinistro marittimo nelle acque del golfo di Taormina, a seguito del quale un minore aveva perso la vita, i congiunti (genitori e fratello della vittima) avevano ottenuto, in esito al giudizio di primo grado davanti al Tribunale di Messina, un risarcimento del danno morale e patrimoniale. I medesimi avevano poi proposto appello contro tale decisione, in riferimento alla asserita insufficiente misura della liquidazione dei danni morali da morte. Pur avendo ottenuto in secondo grado una integrale revisione della quantificazione del danno, gli stessi hanno poi proposto contro la decisione d'appello ricorso per cassazione, denunciando l'omessa o quanto meno insufficiente motivazione in ordine ai criteri di liquidazione del danno morale adottati in sede di appello. La Cassazione è stata quindi chiamata, con l'annotato provvedimento, a pronunciarsi sull'iniquità della decisione dei Giudici di appello e sulla contraddittorietà della motivazione della liquidazione del danno da morte. 
La sentenza non riporta integralmente il motivo di ricorso, limitandosi ad una sua sintesi, dalla quale si ricavano comunque indicazioni significative: sotto le mentite spoglie di una censura dell'iter motivazionale della sentenza d'appello, in punto di valutazione del danno e di applicazione dei criteri e parametri utilizzati per operare detta valutazione, vengono forse surrettiziamente sollevate pure contestazioni in punto di merito e relative a valutazioni giudiziali ai limiti della sindacabilità in sede di giudizio di cassazione. 
La Cassazione, comunque, sorvola sul punto e si concentra sul motivo di ricorso, non trascurando di svolgere alcune considerazioni generali in tema di danno parentale da morte per passare poi, più in ispecie, alla disamina dei criteri da seguire per la liquidazione del solo danno morale da morte subito dai congiunti della vittima, costituente l'oggetto delle specifiche censure dei ricorrenti, che non avevano invece, a quanto sembra, avanzato alcuna richiesta di risarcimento del danno iure hereditatis. Del che mostra di essere stata ben conscia, la S.C. - e forse anche dispiaciuta -, nel momento in cui non ha resistito alla tentazione di soffermarsi anche su questa problematica, nel contesto di un obiter dictum in cui ha cercato di offrire una sia pure sintetica ricostruzione globale del tema. 
 
2. Il c.d. danno parentale da morte
 
L'ampia problematica del danno da morte del congiunto costituisce il referente concettuale sul cui sfondo si colloca la questione affrontata dall'annotata sentenza ed alla quale si richiama nella fattispecie la Cassazione(2).
L'evento morte cagionato da un comportamento quanto meno colposo di terzi, e quindi ascrivibile alla fattispecie delineata nell'art. 2043 c.c. , ha indotto da tempo ad interrogarsi quali danni siano risarcibili ai congiunti superstiti e quali siano i confini esatti del concetto, di per sé generico ed atecnico, di "congiunti", come tali legittimati ad avanzare fondatamente pretese risarcitorie verso l'autore dell'illecito. 
Orbene, considerato che la certezza dell'evento morte si acquisisce scientificamente nel momento in cui risulta accertata la distruzione delle cellule cerebrali, attraverso determinate tecniche intese a verificare la cessazione dell'attività elettrica delle cellule medesime, così che la morte non può considerarsi mai come un evento che consegue immediatamente all'illecito, salvo i due eccezionali casi della decapitazione e dello spappolamento del cervello, la S.C. ha rilevato che, allora, va praticamente sempre riconosciuta una più o meno prolungata sofferenza sia a livello biologico che morale anche in capo al defunto, oltre che ai suoi stretti congiunti, con la conseguente entrata nel patrimonio del primo di un diritto al risarcimento nei confronti dell'autore del sinistro, a prescindere dalla "immediatezza" o non dell'evento morte. In sostanza, sarebbero dunque (quasi) sempre astrattamente configurabili due diverse tipologie di danno: il danno alla salute ed il danno morale con riguardo al soggetto deceduto (c.d. "danno tanatologico diretto"), da un lato, e, dall'altro lato, il danno alla salute ed il danno morale patito dai congiunti per la morte della vittima principale. 
La complessità della materia impone in questa sede di limitarsi ad un'esposizione di estrema sintesi, strettamente funzionale alla trattazione della questione specifica sulla quale essenzialmente si appuntano le argomentazioni del provvedimento annotato. 
Risalendo all'indietro nel tempo, è possibile notare come la problematica in parola già da lunghissimo tempo si trovi all'attenzione della dottrina e della giurisprudenza. Il relativo dibattito si era invero sviluppato già negli anni venti(3) , quando molte sentenze si occuparono del tema, talora ammettendo la risarcibilità del danno da morte del congiunto soltanto iure successionis(4) , altre volte negando invece la risarcibilità iure hereditario del danno non patrimoniale da uccisione(5) ; orientamento, quest'ultimo, consolidatosi dopo l'avvento della Repubblica(6) . 
Soltanto a partire dagli anni settanta, sia la dottrina che la giurisprudenza hanno iniziato a rivedere questa posizione, in una con la progressiva emersione ed autonomizzazione del concetto di danno biologico, operate alla luce di quanto disposto nell'art. 32 Cost. , che, come noto, tutela il diritto alla salute come diritto primario ed assoluto operante anche nei rapporti interprivati(7) ; concetto che si poi progressivamente voluto e consolidato fino a comprendere, in un'unica categoria dogmatica, le varie figure del danno estetico(8) , del danno alla vita di relazione(9) , del danno alla vita sessuale(10) . 
Sullo sfondo di tale processo, si è collocata una serie di pronunce che hanno affrontato il tema della trasmissibilità iure successionis della pretesa al risarcimento del danno biologico(11) oscillando tra i due estremi della negazione (sul presupposto che il diritto al risarcimento del danno biologico sarebbe un diritto personalissimo e quindi intrasmissibile) e del suo pieno riconoscimento, per poi lasciare emergere un terzo orientamento intermedio, seguito da una parte della dottrina(12) e della giurisprudenza(13) , facente perno sul periodo di tempo intercorrente tra l'evento lesivo e la morte, secondo il quale il danno alla salute sofferto dalla vittima sarebbe sì risarcibile iure hereditatis, ma solo allorquando sia intercorso un apprezzabile arco di tempo tra il momento della lesione e la morte. 
Questi stessi tre orientamenti si sono avvicendati anche in riferimento alla risarcibilità iure hereditatis del danno morale, con riguardo pure alla quale ha finito per risultare prevalente l'opinione secondo cui la risarcibilità medesima dipenderebbe dalla circostanza che tra l'evento dannoso e la morte del congiunto sia trascorso un apprezzabile lasso di tempo(14) 
In sintesi, la dottrina che si è occupata dell'argomento ha rilevato l'emersione delle seguenti linee(15) : 
1. in caso di morte istantanea, non spetterebbe alcun risarcimento iure successionis, sia del danno biologico sia del danno morale; 
2. in caso di morte quasi immediata (intervenuta, cioè, in un arco di tempo limitato a pochi giorni), non potrebbe essere preteso, iure hereditario, alcun risarcimento a titolo di danno biologico, mentre qualche possibilità potrebbe darsi per quanto concerne il danno morale; 
3. in caso di morte seguita all'evento lesivo dopo un arco di tempo apprezzabile, potrebbe essere preteso iure successionis il risarcimento sia del danno biologico sia del danno morale; 
4. la pretesa al risarcimento del danno biologico conseguita iure successionis potrebbe senz'altro concorrere con quella al risarcimento del danno biologico iure proprio; 
5. sarebbero ugualmente cumulabili le pretese al risarcimento del danno morale iure successionis e del danno morale iure proprio. 
La sentenza in commento, pur non occupandosi, come detto, che marginalmente della risarcibilità del danno (biologico o morale) da morte iure hereditatis, si colloca nel quadro sopra tracciato, non senza qualche interessante precisazione. 
Innanzi tutto, la Cassazione conferma che le pretese al risarcimento sia del danno morale che del danno biologico patiti dal defunto debbono considerarsi trasmissibili iure hereditatis. 
Aggiunge, però, sia pure in un obiter dictum, oltre tutto neanche particolarmente funzionale all'economia argomentativa della sentenza, che trasmissibile deve considerarsi pure una pretesa al risarcimento del danno da morte inteso come perdita della integrità e delle speranze di vita biologica, in relazione alla lesione del diritto inviolabile della vita, tutelato dall'art. 2 Cost. ed ora anche dall'art. II-62 della Costituzione europea, nel senso di diritto ad esistere, e dunque come danno che si verifica a prescindere dalla "immediatezza" oppure non della morte. Ciò in quanto, sulla scorta della dottrina italiana ed europea in materia, deve riconoscersi la più ampia tutela civile del diritto fondamentale della vita, fino a giungere al riconoscimento della lesione "morte" come momento costitutivo di un diritto di credito che entra necessariamente e istantaneamente nel patrimonio del defunto quale corrispettivo del danno ingiusto; anche perché, come si diceva poco fa, la morte cerebrale non è, salvo casi particolari, mai immediata. 
 
3. La quantificazione del danno morale parentale da morte nell'iter motivazionale della sentenza annotata
 
La sentenza annotata, come si è detto, ha preso le mosse da una censura, svolta dai ricorrenti verso la sentenza di appello, relativa alla quantificazione del risarcimento del danno morale preteso iure proprio dai congiunti. 
La S.C. ha chiarito che il danno da morte dei congiunti (c.d. danno parentale), come danno morale, interessa due beni della vita: a) l'integrità familiare, se si ha riguardo alla vita quotidiana della vittima nei rapporti con i suoi familiari, in relazione agli artt. 2, 3, 29, 30, 31 e 36 Cost. ; b) la solidarietà familiare, se si ha riguardo al rapporto coniugale e al rapporto parentale tra genitori e figli e tra parenti prossimi conviventi - bene particolarmente a rischio laddove genitori anziani siano assistiti dai figli -, in relazione agli artt. 2, 3 29 e 30 Cost.
La stessa Corte, poi, sebbene la fattispecie riguardasse una situazione familiare fondata su di un vincolo matrimoniale, e quindi il risarcimento fosse stato richiesto sulla base di un rapporto di filiazione legittima, ancora una volta ha ceduto alla tentazione di "sconfinare", sia pure en passant, dai limiti del giudizio, intervenendo sul tema delle convivenze di fatto e notando che l'attuale movimento per la estensione della tutela civile ai Pacs (Patti civili di solidarietà, ovvero stabili convivenze di fatto) finirà per determinare l'ampliamento del concetto di solidarietà a situazioni di vita in comune, con la conseguenza che, prima o poi, si avranno "nuovi parenti", vittime di rimbalzo, che lamenteranno la perdita del proprio caro, quasi adombrando un ormai prossimo riconoscimento in linea generale di diritti soggettivi di carattere familiare anche nell'ambito delle convivenze di fatto, riconoscimento che la stessa Corte, in passato, aveva, in via interpretativa, già effettuato proprio in riferimento al limitato ambito che riguarda queste note, stabilendo che anche la convivente more uxorio deve intendersi avere diritto al risarcimento dei danni morali patiti causa la morte del proprio compagno(16) : così che l'obiter dictum della Cassazione, sotto questo profilo, non appare particolarmente innovativo, se si prescinde dall'espresso riferimento ai Pacs. 
Ciò rilevato, mi preme, in chiusura, focalizzare l'attenzione sul modo di commisurazione del risarcimento del danno morale preteso iure proprio. 
La Corte ha compiuto in proposito una premessa, direi superflua, sulla indipendenza della risarcibilità del danno morale dall'accertamento di un fatto che costituisca reato, acquisita a partire dalle note sentenze della stessa Corte del 2003, secondo le quali solo una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c. può fondare una adeguata tutela risarcitoria della persona, nel contesto di un sistema bipolare danno patrimoniale/non patrimoniale, comprensivo, quest'ultimo, del danno biologico in senso stretto (configurabile solo quando vi sia una lesione dell'integrità psicofisica classificabile come tale secondo i canoni fissati dalla scienza medica), del danno morale soggettivo come tradizionalmente inteso (il cui ambito resta esclusivamente quello proprio della mera sofferenza psichica e del patema d'animo), nonché dei pregiudizi alla persona diversi ed ulteriori(17) . 
In questo contesto, si è precisato che al reato, se sussistente, può essere attribuita solo una rilevanza aggiuntiva, quale entità da valutare ai fini della complessa valutazione del danno parentale morale, valutazione da compiere, secondo quanto può essere desunto dagli artt. 2056, 2059 e 1226 c.c. , in termini equitativi, giacché questo tipo di lesione, per sua stessa natura, non può essere provata nel suo preciso ammontare, essendo rapportata alle qualità morali della persona ed alle sue condizioni oggettive e soggettive. 
La Cassazione, ribadita così la necessità di ricorrere al criterio equitativo nella valutazione di questo danno, ha quindi precisato che la situazione non è stata affatto modificata dalle recenti riforme legislative che hanno introdotto il nuovo codice delle assicurazioni(18) , né dall'adozione da parte di molti tribunali italiani di tabelle uniformi recanti criteri matematici per il calcolo del danno biologico e dei danni alla persona e criteri valutativi del danno morale volti a consentire una liquidazione di quest'ultimo in via consequenziale ed automatica rispetto al danno biologico primario. 
Nella determinazione in via equitativa, la valutazione del giudice è improntata sulla sua prudente discrezionalità, che deve essere circostanziata, ossia attenta alle condizioni della vittima e alla natura permanente del danno in relazione alle perdite irreparabili della comunione di vita e di affetti e della integrità della famiglia naturale o legittima. 
In tale ottica, l'equità è l'unico vero criterio da applicarsi, e circostanze quali, ad esempio, l'età della vittima, la violenza dell'evento morte, il fatto che la morte sia avvenuta durante una vacanza, non possono costituire parametri di valutazione autonomi e concorrenti, bensì servono soltanto ad orientare la valutazione del giudice, rendendola il più possibile obiettiva. 
D'altro canto, neppure le tabelle predisposte dai Tribunali, ed in particolare quelle del Tribunale di Milano, possono avere un peso determinante nell'orientare le valutazioni equitative giudiziali. Le tabelle, che riproducono dati statisticamente testati, possono solo orientare il giudice nel momento in cui vada a verificare se la propria personale valutazione del danno parentale si risolva in un ammontare minore o maggiore di quello tabellare, fermo restando che, come stabilisce in chiusura la sentenza in commento, la valutazione equitativa del danno morale parentale deve sempre partire dall'accertamento della soglia della gravità e della permanenza degli effetti dello specifico danno ingiusto. Ciò perché la lesione dei beni di cui si tratta non può essere collegata a punteggi cristallizzati, in quanto coinvolge il valore universale e cristiano della dignità umana, che esprime la centralità della persona nell'ordine costituzionale tanto del nostro Paese quanto dell'Unione Europea. 
 
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(1) Per la consultazione del testo della sentenza v. nel presente fascicolo, p. 10. 
(2) Per un primo riferimento bibliografico sul tema, oltre a quanto verrò indicando infra, rinvio a Bona , Danni tanatologici non pecuniari iure successionis e iure proprio: vecchi e nuovi rompicapi dal risarcimento della perdita della vita al danno esistenziale da uccisione, in Giur. it., 1999, 1636; Bordon e Palisi , Il danno da morte, Milano, 2002. 
(3) V., ad es., Carnelutti , Il danno e il reato, Padova, 1926, 17. 
(4) Cass., S. U., 22.12.1925, in Foro it., 1926, I, 328. 
(5) Cass., 12.12.1932, in Resp. civ. e prev., 1933, 374. 
(6) Fra le molte, v. Cass., 29.7.1957, n. 3143, in Resp. civ. e prev., 1958, 457; Cass., 18.2.1961, n. 351, ivi, 1961, 291; Cass., 28.2.1964, n. 462, ibidem, 1964, 286, ma, contra, v. Cass., S.U., 2.7.1955, n. 2034, in Foro It., 1956, I, 39, con nota critica di Biondi , Intorno alla intrasmissibilità agli eredi del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale. 
(7) V., in dottrina, Castronovo , Il danno biologico, Milano, 1998; Busnelli , I problemi attuali del danno alla salute, in Danno e resp., 1996, 665; Monateri , Danno alla Persona, in Digesto civ., V, Torino, 1989, 75. In giurisprudenza, tra le molte, v. Trib. Genova, 20.10.1975, in Resp. civ. e prev., 1976, 466; Trib. Genova, 15.12.1975, in Foro it., 1976, I, 1997; Trib. Pisa, 10.3.1979, in Giur. it., 1980, I, 2, 20. 
(8) Cfr., per tutte, Cass., 5.9.1988, n. 5033, in Giust. civ. mass., 1988, 8/9. 
(9) V., ad es., Cass., 6.11.1993, n. 11011, in Giust. civ. mass., 1993, 11; Cass., 3.4.1990, n. 2761, in Giust. civ. mass., 1990, 4. 
(10) Cass., 11.11.1986, n. 6607, in Giur. it., 1987, I, 1, 2043, con nota di Patti. 
(11) Per approfondimenti, si rinvia, oltre che alla bibliografia sin qui citata, a Costanzo , Titolarità "iure proprio" e "iure successionis" del diritto al risarcimento del danno biologico da morte, in Giust. civ., 1995, II, 377, e, per i profili probatori, a Chindemi , Sulla prova del danno biologico da morte "iure proprio" (nota App. Milano, 11.10.1994), in Nuova giur. comm., 1995, I, 492. 
(12) Alpa , Il danno biologico, Padova, 1993, 97 ss.; Berti, Il danno biologico da morte e da lesione mortale, in Riv. giur. circolazione, 1992, 54 e 312. Per ulteriori indicazioni e riferimenti, v. Bona , loc. ult. cit.; e Monasteri e Bona , Danno alla persona, in Digesto civ., XVI, Torino, 1997, 654 ss. 
(13) Tra le molte: Trib. Messina, 15.7.2002, in Foro it., 2002, I, 3494; Trib. Torino, 8.8.1995, in Resp. civ. e prev., 282, Trib. Roma, 12.7.1994, n. 10925, in Riv. giur. circolazione, 1994, 865; Trib. Milano, 31.5.1999, in Riv. giur. circolazione, 2000, 142, con nota di Rossetti; C. Cost., 27.10.1994, n. 372, in Resp. civ. e prev., 1994, 976; Cass., 29.5.1996, n. 4991, in Foro it., 1996, I, 3107, con nota di Caso; Cass., 12.10.1995, n. 10628, in Arch. giur. circolaz., 1996, 291; Cass., 7.3.2003, n. 3414, in Giust. civ. mass., 2003, 485; Cass., 10.2.1999, n. 1131, in Mass. Giur. it., 1999. Cfr. anche Martorana , Sei ore di agonia non sono sufficienti a far nascere il diritto al risarcimento del danno biologico "iure hereditario" (nota a Cass., 30.6.1998 n. 6404), in Danno e resp., 1999, 325. 
(14) Nel senso dell'esclusione tout court, cfr., ad es., Trib. Roma, 5.6.2002, in Giur. romana, 2002, 476; Trib. Milano, 9.10.1989, in Riv. giur. circolazione, 1990, 406; nel senso opposto, v. Cass., 6.10.1994, n. 8177, in Foro it., 1995, I, 1852. Su posizioni intermedie Trib. Roma, 13.10.1999, in Giur. romana, 2000, 156; Cass. 14.7.2003, n. 11003, in Guida dir., 2003, 37, 69. 
(15) Bona , loc. ult. cit. 
(16) App. Milano, 16.11.1993, in Foro it., 1994, I, 3212. 
(17) Emblematiche, in tal senso, le due sentenze "gemelle", pubblicate su numerose riviste, Cass., 31.5.2003, n. 8827, e Cass., 31.5.2003, n. 8828, ibidem. 
(18) Il d.lg. 7.9.2005, n. 209.