Caterina Sganga



LA CASSAZIONE E L'ART. 2059 COD. CIV.: PROVE GENERALI DI QUADRATURA DEL CERCHIO

LA CASSAZIONE E L'ART. 2059 COD. CIV.: PROVE GENERALI DI QUADRATURA DEL CERCHIO
 
di Caterina Sganga 
 
 
FONTE Nuova Giur. Civ., 2008, 3, 294 
 
 
I. Il caso 
I genitori ed i fratelli di una minore morta dopo due ricoveri consecutivi in due diversi ospedali campani ricorrono in Cassazione avverso la sentenza della Corte d'Appello di Napoli, lamentando, in uno dei due motivi, il mancato riconoscimento del danno esistenziale da lesione del rapporto parentale, a loro avviso sussistente in re ipsa per il fatto stesso della morte della bambina, e non richiedente prova concreta. La pronuncia del gravame aveva già corretto gli esiti della sentenza di primo grado, liquidando il danno morale soggettivo e personalizzando il quantum debeatur risarcito a titolo di danno biologico al di là degli automatismi tabellari con cui aveva operato il Tribunale di Napoli. 
La Corte di Cassazione traccia, tra i motivi di diritto addotti per rigettare il ricorso in parte qua, un unico canovaccio interpretativo che congiunge gli aspetti processualistici della fattispecie a quelli sostanziali, e fa discendere dalla necessità della prova del danno esistenziale, quale danno conseguenza, la negazione della sua valenza come categoria generale. La terza sezione coglie l'occasione per ricostruire i presupposti teorici della tipicità dei contenuti dell'art. 2059 cod. civ., e si sofferma sulla perdurante validità dell'assorbenza ed unitarietà del danno biologico, nei suoi profili statici e dinamici, ai fini di un corretto ed integrale risarcimento dei danni alla persona e per scongiurare il rischio di improvvide duplicazioni risarcitorie.
 
II. Le questioni 
1. L'ONERE DELLA PROVA DI UN DANNO CHE È DANNO-CONSEGUENZA.
Fin dai primi giorni successivi alla svolta impressa dalle cc.dd. sentenze gemelle della Corte di Cassazione, nell'oramai relativamente lontano 2003, esistenzialisti ed antiesistenzialisti si sono rincorsi nell'ansia di ritrovare tra le massime di legittimità appigli più o meno solidi in grado di fornire conferme all'una o all'altra teoria. Non sarebbe, tuttavia, corretto imputare alle sole fazioni in lotta il demerito dello sfilacciamento e delle lungaggini della querelle: a prescindere dalla giurisprudenza di merito, per sua stessa natura tendenzialmente non omogenea, gli ermellini non sono ancora riusciti a segnare con chiarezza un binario unico lungo cui poter far correre pacificamente gli sviluppi del nuovo danno non patrimoniale "costituzionalizzato". 
La sentenza in epigrafe merita allora attenzione, e non tanto per il suo principale oggetto (risarcimento del danno per lesione del rapporto parentale), quanto per l'imprevisto sforzo di raggiungimento, infine, di una quadratura del cerchio, attingendo ai contenuti ultimi delle motivazioni dei vari estensori nel tentativo di ricostruire quel minimo comune denominatore in grado di riportare ordine in una situazione confusa e a tratti schizofrenica. 
La pronuncia, apparentemente, utilizza più volte il lessema "danno esistenziale", e lo fa per indicare, richiamando il testo della sentenza della Corte d'Appello di Napoli, il "pregiudizio che l'individuo subisce alle attività realizzatrici della propria persona". Il percorso motivo seguito, tuttavia, tocca tutti i nodi centrali della problematica esistenzialistica, e lo fa riconducendo a sistema obiter dicta e massime note, disvelando l'intento di porre rimedio ai più che frequenti fraintendimenti giurisprudenziali e dottrinali. 

 

La portata delle argomentazioni della sentenza acquista valenza ove si consideri il contenuto delle doglianze attoree. La difesa ricostruisce accuratamente la storia del riconoscimento del danno esistenziale, cita molteplici disposizioni costituzionali e della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo asseritamente lese, si sofferma sulla modifica apportata al paragrafo 253 del BGB per constatare come la riforma operata dalla Corte di Cassazione e dalla Corte costituzionale italiane sia da intendersi come molto più ampia, e riferita ad ogni posizione soggettiva costituzionalmente protetta. Pecca, tuttavia, in punto di onere della prova, ritenendo configurabile un danno esistenziale iure proprio e in re ipsa per il fatto stesso della violazione dei precetti menzionati. Il danno dovrebbe presumersi pertanto fino a prova contraria in tutte le ipotesi in cui, come in questo caso, l'offesa, "per la sua gravità, colpisce soprattutto in modo irreversibile la integrità e solidarietà degli affetti e del nucleo familiare". 
Nel negare validità all'argomento processuale, la Supr. Corte delinea un trait d'union interpretativo che ricollega agli aspetti probatori della fattispecie la definizione dei suoi contenuti sostanziali. Il percorso è puntuale e lineare, e tocca elementi controversi che nel tempo hanno dato agio a quel caos definitorio che attualmente affligge il diritto vivente. 
La prima reductio ad unum operata dalla Cassazione passa attraverso il richiamo contemporaneo di tre precedenti che, nelle opposte pagine dottrinali, erano invece stati elevati a vessilli vincenti per l'una o l'altra teoria. Si tratta di CASS., sez. un., 24.3.2006, n. 6572; CASS., 12.6.2006, n. 13546, e CASS., 9.11.2006, n. 23918 (tutte infra, sez. III), accomunate dalla concorde definizione del danno non patrimoniale in termini di danno conseguenza, e dal derivante onere della prova del concreto pregiudizio subìto posto in capo alla parte che ne chiede il risarcimento. 
Le origini della controversa differenziazione tra concezione eventistica e concezione consequenzialistica del danno risalgono dall'importante arresto operato da CORTE COST., 14.7.1984, n. 186, infra, sez. III. La distinzione è tornata in auge con il revirement del 2003, e riappare nell'argomentare giudiziale con una portata totalmente nuova, raffrontata ai risultati del cammino evolutivo percorso sia dal danno alla salute che, in generale, dal risarcimento del danno alla persona. Discettare di danno conseguenza nell'alveo dell'art. 2059 cod. civ. rivisitato significa ora ancorare alla concreta esistenza di un pregiudizio il sorgere dell'obbligazione risarcitoria. È la risposta forte all'esigenza di conservare la funzione primaria della responsabilità civile, al fine di scongiurare anarchie risarcitorie, duplicazioni, liquidazioni di somme dalla matrice molto più punitiva che riparatoria di danni effettivamente patiti. Dello stesso avviso è CASS., sez. un., n. 6572/2006, che precisa come "la forma rimediale del risarcimento del danno opera solo in funzione di neutralizzare la perdita sofferta, concretamente, dalla vittima, mentre l'attribuzione ad essa di una somma di denaro in considerazione del mero accertamento della lesione finirebbe con il configurarsi come somma-castigo, come una sanzione civile punitiva, inflitta sulla base del solo inadempimento, ma questo istituto non ha vigenza nel nostro ordinamento". 
Una volta ammesso come l'art. 2059 cod. civ. rappresenti lo strumento principe per la tutela civile di ogni diritto inviolabile costituzionalmente protetto, la strada verso la liquidazione automatica del danno non patrimoniale è breve. Così come lo è quella che porta all'assunzione assiomatica di esistenza di un pregiudizio in re ipsa per il fatto stesso della gravità dell'offesa ed in ragione della rilevanza costituzionale dell'interesse leso, secondo un'argomentazione seguita anche da Dell'Andro nel 1986 per qualificare il danno biologico come danno evento.

 

 

Non stupisce che siano gli stessi esistenzialisti, allora, ad identificare nell'onere della prova del danno concretamente subìto lo scudo da alzare contro lo spauracchio dell'anarchia risarcitoria, paventato fondatamente dalla dottrina avversa. Le parole di plauso rivolte a CASS., n. 13546/2006 e CASS., sez. un., n. 6572/2006 dai fautori del danno esistenziale, che vedono in tali pronunce la consacrazione della nuova figura, si soffermano ampiamente sulla correttezza di quell'impostazione giurisprudenziale che rivendica la necessità della prova attorea del pregiudizio non patrimoniale subito, seppure anche per il solo tramite di presunzioni semplici. 
La sentenza in epigrafe si colloca lungo il solco dei suoi autorevoli precedenti, ma muove oltre. Non si limita, come CASS., n. 13546/2006, a negare la validità dell'automatismo lesione-danno, ma richiama esplicitamente la pronuncia delle sezioni unite, da un lato per confermare l'autorevolezza dell'opzione interpretativa, dall'altro per precisarne la portata. 
È questo lo snodo che conduce la pronuncia a spostarsi dai suoi aspetti processuali agli analoghi sostanziali. Così come si era letto in CASS., n. 23918/2006, anche in questa sede si afferma la mera valenza di obiter dictum degli assunti di CASS., sez. un., n. 6572/2006 in materia di danno esistenziale, a conferma della validità di quella lettura che aveva acutamente segnalato come non si potesse parlare generaliter di consacrazione definitiva della nuova figura di danno. "La più volte citata sentenza delle SU del 2006 - recita la sentenza in commento - risolve un contrasto interno alla sezione lavoro della Corte in tema di danno in re ipsa o di danno iuxta alligata et probata, e stabilisce il principio di diritto ponendo a carico del danneggiato la prova; la definizione data del danno esistenziale è riferita ad una situazione tipica di lesione della identità professionale del lavoratore sul luogo di lavoro, con un preciso riferimento ai valori laburistici e solidali di cui agli artt.1 e 2 Cost. (cui aggiungiamo anche gli artt. 3, 4 e art. 41, n. 2 per una migliore sistematica) e dunque è una definizione peculiare e pragmatica, indirizzata dalla natura dell'illecito considerato". 
L'importanza della precisazione non si ferma alla delimitazione dell'ambito applicativo del precedente, ma segue una chiara premessa di metodo, prima che di merito. Il collegamento logico tra argomentazione processuale ed argomentazione sostanziale passa attraverso il termine "situazione tipica di lesione". Tipicità, dunque, ed esplicito riferimento concreto, "per una migliore sistematica", a precise disposizioni della Carta costituzionale. 
2. UN PRIMO PASSO: LA NEGAZIONE DI AUTONOMIA ED UNITARIETÀ DEL DANNO ESISTENZIALE.
La tripartizione del contenuto del nuovo danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ. offerta da CORTE COST., 11.7.2003, n. 233, infra, sez. III, ha generato fin da subito, come prevedibile, una serie di dubbi interpretativi a catena, rimessi, per la loro soluzione, alla sensibilità giudiziale. Occorreva stabilire se ed in quali termini le tre figure interagissero tra di loro, e quali potessero essere i rischi di sovrapposizione e duplicazione risarcitoria. Ancora, restava da riempire il contenitore del nuovo danno non patrimoniale "puro", categoria nuova e dai contorni dibattuti e incerti. 
Il maggiore ostacolo da affrontare sulla strada che porta alla definitiva chiarificazione degli effetti del revirement del 2003 stava, e sta ancora oggi, nella comprensione pacifica dell'insegnamento delle sentenze gemelle, al di là della querelle dottrinale e del divertissement nominalistico. La giurisprudenza è chiamata a fornire due risposte definitive: da un lato, se il nuovo art. 2059 cod. civ. , come novellato in via giurisprudenziale, possa o meno comprendere al suo interno un'autonoma ed unitaria categoria di danno esistenziale, come definita dai suoi sostenitori; dall'altro, quali siano le vie da perseguire per garantire l'integrale riparazione del danno e la tutela civile dei diritti inviolabili, e se queste passino necessariamente o meno per cammini esistenzializzati.

 

 

Ora, può a ben ragione dirsi come la sentenza in epigrafe, nel suo già menzionato sforzo di risistematizzazione di precedenti più o meno variamente interpretati, risponda quasi completamente ai quesiti e, per quanto non esplicitato, faccia riferimento a pronunce passate che si dilungano ben più ampiamente su determinati passaggi logico-giuridici. Il tentativo di tracciare un binario unico, più o meno lineare, pare essere riuscito. Ma andiamo per ordine. 
Come si diceva, il canovaccio che collega, in parte motiva, gli aspetti processualistici a quelli sostanziali si ritrova nell'asserzione della tipicità dell'art. 2059 cod. civ. "Questa Corte condivide la lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2059 cod. civ. , ma secondo un rigoroso principio di tipicità delle fattispecie da tutelare, incluse le posizioni soggettive inerenti a diritti umani inviolabili ed inclusi gli interessi essenziali della persona umana che, rientrando nella elaborazione dei c.d. nuovi diritti, assumono rilievo costituzionale ai sensi degli artt. 2 e 3 della Costituzione". L'affermazione non è nuova, e può essere ritrovata anche in precedenti che, pur riconoscendo la natura non atipica della disposizione, risarciscono il danno esistenziale e lo delineano come fattispecie fumosamente ancorata ad un art. 2 Cost. in grado, per una sua lettura fin troppo aperta, di dare agio al riconoscimento di qualsivoglia pretesa risarcitoria inerente ad una lesione del "non facere areddituale". Così argomentando, alcuna giurisprudenza di legittimità, seguita quando non preceduta da altrettanta giurisprudenza di merito, aveva dato paradigmatiche lezioni di detipicizzazione, operando una sorta di abrogazione tacita dell'art. 2059 cod. civ. e del suo lapalissiano rinvio ai "soli casi previsti dalla legge". In buona sostanza, la bipolarità del sistema di responsabilità civile, incentrata sui due cardini degli artt. 2043 e 2059 cod. civ. , perdeva il senso ultimo della sua essenza, nel momento in cui le peculiarità della norma relativa ai danni non patrimoniali venivano sbrigativamente appiattite sui soli elementi della fattispecie di cui alla clausola generale dell'art. 2043 cod. civ. , con particolare riferimento ad un contra jus generico e non certo "costituzionalizzato", così come aveva invece indicato il revirement del 2003. 
Il richiamo a CASS., n. 23918/2006 consente, tuttavia, di intravedere il convinto cambiamento di rotta. Era stato in quella sede che, sempre con riferimento al precedente delle sezioni unite, la terza sezione aveva ritrovato nell'art. 2087 cod. civ. , relativo alla tutela dell'integrità fisica e della personalità morale del lavoratore, l'esplicita fonte legislativa in grado di garantire il rispetto della tipicità richiesta dall'art. 2059 cod. civ. La stessa CASS., sez. un., n. 6572/2006, del resto, aveva avuto modo di precisare - forse in questo volutamente ignorata da parte della dottrina - come "l'ampia locuzione usata dall'art.2087 c.c. (...) assicura il diritto di accesso alla tutela di tutti i danni non patrimoniali e, quindi, non è necessario per superare le limitazioni imposte dall'art. 2059 c.c. (...) verificare se l'interesse leso dalla condotta datoriale sia meritevole di tutela in quanto protetto a livello costituzionale, perché la protezione è già chiaramente accordata da una disposizione del codice civile"; e CASS., n. 23918/2006 aveva ulteriormente dedotto dalla puntualizzazione come "nulla è innovato rispetto all'indirizzo di questa Corte, inaugurato nel 2003, e quindi che tale tutela non è accordata ad una categoria generale di danno, ma alla lesione di specifici interessi protetti a livello costituzionale, salvo sempre ovviamente i casi espressamente previsti dalla legge, a cui fa riferimento l'art. 2059 c.c.".
Ciò che più premeva segnalare era, evidentemente, come le sezioni unite non avessero in alcun modo consacrato definitivamente il danno esistenziale di matrice triestina. Pur utilizzando, infatti, un nomen analogo per definire la voce risarcita, la sentenza si era distinta per l'indicazione del suo preciso contenuto e dei suoi confini, "così sfuggendo - recita sempre CASS., n. 23918/2006 - al rischio proprio di una categoria generica, bonne à tout faire". 
La pronuncia in epigrafe nega allora in via radicale la configurazione di una categoria unitaria del danno esistenziale, "nella quale ricondurre tutti i pregiudizi che a prescindere dalla fonte (illecito o contratto o legge speciale) da cui derivano o dallo specifico ambito della sfera personale che coinvolgono, si manifestano sempre come modificazioni peggiorative delle attività attraverso le quali il singolo realizza la propria personalità". E va ancora oltre, disconoscendo la validità teorica del richiamo alla "costituzionalità" del rimedio piuttosto che dello jus effettivamente leso. Ritenere il danno esistenziale risarcibile in ragione di un presunto diritto, a detta degli esistenzialisti costituzionalmente garantito, all'integrale riparazione del danno rappresenta una chiara inversione logica del ragionamento giuridico, e non può trovare cittadinanza nel sistema italiano di responsabilità civile, anche e soprattutto dopo la svolta del 2003. Questo intende dire la Cassazione quando afferma come è sì vero che "il metodo del combinato disposto tra precetto costituzionale e clausola generale del neminem laedere rende costituzionalmente rilevante la materia risarcitoria, e la funzione integrale del risarcimento del danno alla persona", ma è proprio l'applicazione il più possibile rigorosa della premessa metodologica a garantire una adeguata selezione tra "danni che risultano modellati su una matrice rigorosamente consequenzialistica, ma che hanno spesso natura composita in relazione alla eterogeneità degli interessi della persona, non tutti meritevoli di tutela". 

 

 

Il requisito della tipicità impone, in tutta conseguenza, l'esigenza di ritrovare un valido filtro selettivo di interessi nuovi e ritenuti meritevoli di tutela coerentemente con i pilastri fondanti dell'ordinamento. Non tutte le alterazioni delle abitudini di vita possono, evidentemente, essere elevate dal magma del non giuridico per assurgere al rango di danni non patrimoniali risarcibili ex art. 2059 cod. civ.
Sotto questo profilo, CASS., 8.10.2007, n. 20987, in commento, manca di una chiara indicazione operativa. Il binario è segnato nelle sue linee generali, ma è carente sotto il profilo del concreto metodo da seguire nella procedura di selezione. Se, infatti, la riconducibilità di un interesse ad una norma espressa, costituzionale o meno che sia, rende certo più agevole la creazione di ipotesi tipizzate a livello giurisprudenziale, non lo stesso può dirsi nel caso di lacuna, ove il generico riferimento all'art. 2 Cost. può condurre all'instaurazione di pericolosi e controproducenti circoli viziosi. Affermare la tipicità dell'art. 2059 cod. civ. per poi negarla, nella pratica, attraverso un eventuale lassismo interpretativo riconduce ad una situazione rinnegata in partenza dalla giurisprudenza di legittimità, che esclude l'unitarietà e la generalità della figura del danno esistenziale. Situazione che, come si diceva, si è già sostanziata e tuttora si sostanzia nella tendenza oltremodo criticabile di parte della giurisprudenza ad individuare, se non ad inventare, interessi fondamentali in via casuale, senza il rispetto di una precisa opzione metodologica di fondo. 
Per la costruzione di un filtro valido, l'operatore del diritto deve necessariamente utilizzare la bussola dei principi fondanti l'ordinamento di appartenenza. Guardando alla radice ultima delle scelte operate dai sistemi europei, il rispetto del c.d. super-principio di dignità (BUSNELLI, La danza dei principi, infra, sez. IV) rappresenta un leit motiv determinante, e chiaramente contrapposto al super-principio statunitense dell'autonomy (ENGELHARDT JR., Manuale di bioetica, infra, sez. IV), che trova il suo principale riferimento nella "pursue of happiness" richiamata dal preambolo della Costituzione nordamericana. Conseguentemente, un diritto o interesse "nuovo", per essere ritenuto inviolabile, non potrà che risultare intimamente connesso, e non solo formalmente, con la difesa della dignità umana e delle sue differenti estrinsecazioni. Solamente l'applicazione, secondo criteri di vera serietà esegetica, di un filtro di tal fatta potrà scongiurare il rischio che ogni peggioramento della qualità della vita o alterazione del non facere areddituale venga ad essere protetto, per il tramite di una tutela risarcitoria, ai sensi di un ipotetico ricorso al combinato disposto degli artt. 2059 cod. civ. e 2, 3 Cost. Rischio che conduce al concreto ed inevitabile svilimento dell'attributo dell'inviolabilità, per il tramite, ad esempio, dell'opinabile creazione di figure di danni c.d. "microesistenziali" (sul punto v. COMANDÉ, Diritto privato europeo e diritti fondamentali, infra, sez. IV). E risulta difficile pensare che fosse questo l'esito auspicato dagli autori, sia giurisprudenziali che dottrinali, del revirement del 2003.

 

 

3. UN SECONDO PASSO: IL RIORDINATO RITORNO AL DANNO BIOLOGICO.
Il passaggio operato dalla sentenza in epigrafe dagli aspetti processuali agli aspetti sostanziali della querelle esistenzialistica è, come si diceva, immediato e diretto. Una delle principali ragioni per cui si ritiene necessario che l'attore fornisca la prova concreta del danno-conseguenza non patrimoniale risiede nell'esigenza di scongiurare il rischio di duplicazioni risarcitorie, implicite in un'eventuale liquidazione di voci di danno diverse ma discendenti da un'identica lesione. L'organo giudicante deve essere posto nelle condizioni di poter valutare ogni elemento utile ai fini di garantire un'integrale riparazione del pregiudizio alla persona, ponderando il rapporto tra le diverse figure risarcibili e delineandone linee di confine ed eventuali aree di sovrapposizione. 
Nel caso di specie, i ricorrenti lamentano la mancata liquidazione del danno esistenziale accanto al biologico ed al morale, ritenendo che la lesione del rapporto parentale - e quindi di un diritto costituzionalmente garantito - generi in re ipsa conseguenze pregiudizievoli di tale entità da meritare in via automatica un risarcimento ulteriore. La Supr. Corte, in tutta risposta, rigetta il ricorso, specificando come "il parente che intende indicare la dimensione esistenziale e non patrimoniale di tale danno, unitamente alle perdite di ordine morale soggettivo, ed alle perdite psicofisiche della propria salute, deve allegare le diverse situazioni di danno, in modo da evitare qualsiasi possibile duplicazione". 
Esattamente come accaduto per l'asserzione argomentata di tipicità dell'art. 2059 cod. civ. , gli ermellini della terza sezione fanno inoltre discendere dal medesimo assunto di matrice probatoria un'ulteriore precisazione concettuale, più che utile per completare - con un secondo passo interpretativo - l'opera di riordino sistematico dei prodotti della superfetazione giurisprudenziale post-revirement. Nel negare che sussistano error in iudicando e vizio di motivazione nella sentenza del gravame, la Corte di Cassazione affianca alla mancata prova attorea ulteriore la constatazione per cui la Corte d'Appello di Napoli abbia già proceduto a valutare il danno parentale liquidando, da un lato, il danno morale soggettivo e rideterminando, dall'altro, il quantum risarcito a titolo di danno biologico, "ritenendo riduttiva la valutazione tabellare data dai primi giudici" e "tenendo conto delle varie circostanze dedotte". Ritorna il tema della personalizzazione del danno alla salute, la considerazione dei suoi aspetti statici e dinamici e la definizione delle aree di sovrapposizione tra quest'ultimo e gli eventuali pregiudizi spesso valutati in termini di danno esistenziale. Le puntualizzazioni di legittimità sono di non poco conto, ove si considerino gli effetti della svolta del 2003 sulla definizione del danno biologico, del suo contenuto e dei suoi rapporti con le altre voci di danno ricomprese sotto l'egida dell'art. 2059 cod. civ.
Fin dalla pubblicazione delle sentenze gemelle, larga parte della dottrina (tra tutti BUSNELLI, Chiaroscuri d'estate, infra, sez. IV) non aveva celato i propri timori relativi alla possibilità di una "dispersione" di tale voce all'interno della nuova categoria dei danni non patrimoniali. Il rischio maggiore era insito nei possibili effetti della critica esistenzialista al valore aggregante ed unitario del danno biologico rispetto a tutta la pletora di riflessi materiali e non della lesione all'integrità psico-fisica. Quel percorso che dagli anni Ottanta del secolo scorso (in proposito BRECCIA-BUSNELLI, Tutela della salute, infra, sez. IV) aveva condotto la giurisprudenza a considerare sia gli aspetti statici che gli aspetti dinamici dell'invalidità, utilizzando per la personalizzazione del quantum debeatur figure prima considerate autonomamente (come il danno alla vita di relazione, il danno estetico, il danno alla capacità lavorativa generica e specifica), poteva essere inopinatamente deviato verso un sistema molto più frammentato ed incerto. 
I timori non si sono rivelati del tutto infondati. Ne danno testimonianza quelle pronunce di merito e di legittimità che affermano come il danno biologico si sostanzi nella mera lesione all'integrità psico-fisica, e che liquidano le sue conseguenze in termini di danno esistenziale, quando non di danno alla vita di relazione o a titolo di figure variamente e fantasiosamente nominate; o, ancora, quelle sentenze che procedono inopinatamente a duplicazioni risarcitorie, attraverso la considerazione dello stesso pregiudizio come fonte di più voci di danno (v. infra, sez. III). Un caso paradigmatico è, in proposito, CASS., 2.2.2007, n. 2311 infra, sez. III, che condivide stranamente con la sentenza in commento il giudice estensore. Nel definire, ex art. 2 Cost. , il diritto alla sessualità come fondamentale, la pronuncia liquida un danno biologico già adeguatamente "personalizzato", considerati tutti i risvolti dinamico-relazionali alla lesione dell'integrità psico-fisica, ma risarcisce parallelamente il danno esistenziale da violazione di interessi costituzionalmente protetti, procedendo ad un'indebita overcompensation. 

 

 

Le risposte di contenimento della deriva sono venute giungendo da più formanti ordinamentali. La giurisprudenza di legittimità (v. infra, sez. III) ha ripreso, nel corso degli ultimi anni, orientamenti anche "vetusti" per ribadire la piena cittadinanza, nella sistematica del danno alla persona post 2003, dell'unitarietà del danno biologico, del suo ancoraggio tabellare utile per la certezza del diritto, della personalizzazione equitativa delle somme liquidate in considerazione di tutte le conseguenze dinamico-relazionali della lesione sulla vita del danneggiato. Lo ha fatto ridefinendo i confini delle singole voci di danno riconducibili all'art. 2059 cod. civ. , statuendo come "il danno alla salute (o "danno biologico") comprende ogni pregiudizio diverso da quello consistente nella diminuzione o nella perdita della capacità di produrre reddito" (CASS., 9.11.2006, n. 23918, cit.) o, in maniera ancora più incisiva, come "qualora, in relazione ad una lesione del bene alla salute, sia stato liquidato il "danno biologico", che include ogni pregiudizio diverso da quello consistente nella diminuzione o nella perdita della capacità di produrre reddito, ivi compresi il danno estetico e il danno alla vita di relazione, non v'è luogo per una duplicazione liquidatoria della stessa voce di danno, sotto la categoria generica del "danno esistenziale"" (CASS., 20.4.2007, n. 9510, infra, sez. III). 
Tale opzione è certo la più coerente con le funzioni delle diverse figure risarcitorie. Alla dovuta integralità del risarcimento, imposta dagli obiettivi di compensation del ristoro dal danno alla persona, si affianca la necessità di non operare indebite duplicazioni, ben interpretando il senso dell'unitarietà del danno biologico. E ciò vale, a maggior ragione, quando gli aspetti dinamici dell'invalidità coinvolgono l'estrinsecazione di interessi e diritti inviolabili. 
Considerare lo stesso pregiudizio ai fini della liquidazione di due differenti poste di danno genera una indubbia distorsione logica: se le ripercussioni soggettive della lesione sulla vita del danneggiato sono già analizzate e assunte come elemento fondante un'adeguata personalizzazione del risarcimento, non si vede quale funzione riparatoria dovrebbe avere l'ulteriore liquidazione dello stesso pregiudizio a titolo di conseguenza della violazione di un interesse costituzionalmente tutelato. L'unica possibile giustificazione concreta di una tale scelta operativa potrebbe ritrovarsi nella funzione punitiva del risarcimento di quest'ultima posta di danno, per la portata offensiva di un contra jus definibile come "costituzionale". Funzione che tuttavia, si ricordi, è stata più volte e con forza negata dalla stessa Corte di Cassazione, in termini più che espliciti. 
Come la stessa sentenza in epigrafe ricorda, inoltre, alla risposta giurisprudenziale si affianca la chiara presa di posizione del legislatore che, nel codice delle assicurazioni (art. 138 d. legis. 7.9.2005, n. 209, Codice delle assicurazioni private), intende per danno biologico quella lesione dell'integrità psico-fisica della persona suscettibile di valutazione medico-legale in quanto esplicante "un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito", dimostrando di non ignorare l'importanza della contemporanea considerazione dell'aspetto statico e dinamico della categoria.

 

 

Quel danno esistenziale nato prima del 2003 al fine di coprire - a detta dei suoi sostenitori - zone grigie non toccate dall'automatismo risarcitorio di matrice tabellare perde, evidentemente, di autonomia e generalità. O, ancora meglio, come dice la Cassazione nella sentenza in commento, "se si dovesse accogliere la proposta della figura unitaria del danno esistenziale, la definizione analitica data dal codice delle assicurazioni sicuramente includerebbe anche una componente esistenziale, integrando la valutazione tabellare, per il principio generale della riparazione integrale del danno alla persona". Proprio nell'art. 138 del codice la terza sezione ritrova una struttura complessa del danno biologico, "che ha una componente a prova scientifica medico-legale e due componenti a prova libera (la incidenza negativa sulle attività quotidiane e la incidenza negativa sugli aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato)". La puntualità dell'affermazione, già rinvenibile in altri precedenti, vede finalmente concorde anche la dottrina esistenzialista, che riconosce a sua volta, al di là della "normale" faziosità del dibattito dottrinale, l'esigenza di evitare fenomeni duplicatori e di conseguente overcompensation, fenomeni che, quantomeno per le cc.dd. "macroesistenziali", possono auspicabilmente essere superati attraverso un ritorno ordinato alle origini del danno alla salute. 
Sia il richiamo alla tipicità che quello al valore assorbente del danno biologico riportano all'alveo del nominalismo la querelle esistenzialista: una volta determinati con chiarezza contenuti e confini della figura, ed una volta negatane unitarietà e generalità, della categoria resta solo un nomen potenzialmente poco dannoso in termini di coerente e lineare sviluppo della sistematica del nuovo danno alla persona. I pregiudizi esistenziali, ove conseguenza di una lesione all'integrità psico-fisica, devono essere risarciti come aspetti dinamico-relazionali del danno alla salute, attraverso un'adeguata personalizzazione del quantum debeatur. Ove, invece, le "alterazioni" siano slegate dal danno biologico, l'interprete sarà chiamato da un lato a verificare, secondo filtri seri e coerenti con i principi fondanti l'ordinamento, che lo jus violato abbia veramente un rango costituzionale e, dall'altro, che la parte attrice abbia fornito concreta prova dei danni-conseguenza patiti e della loro entità. 
La sentenza in epigrafe può essere accolta con la gioia di chi, dinanzi allo sfilacciato fluttuare degli orientamenti di Cassazione, ed all'altrettanto variegato panorama di merito, altro non sta attendendo che definitive indicazioni interpretative, in grado di porre fine ai fraintendimenti giurisprudenziali ed all'imperante caos definitorio post-revirement. L'auspicio è che ben prima di una decisione a sezioni unite - a questo punto, forse, non più del tutto necessaria - le "ostilità" possano cessare. E non per la vittoria di una o dell'altra scuola di pensiero, quanto per il bene del già tanto martoriato universo dei danni alla persona.
 
III. I precedenti 
Sul danno esistenziale, tra le più recenti, CASS., 27.6.2007, n. 14846, in Mass. Foro it., 2007; CASS., 4.8.2006, n. 17680, in Foro it., I, 455; CASS., 20.4.2007, n. 9510, in Resp. civ. e prev., 2007, 1553; CASS., 6.2.2007, n. 2546, ibidem, 2007, 1279; CASS., 9.11.2006, n. 23918, in questa Rivista, 2007, I, 784; CASS., 15.7.2005, n. 15022, in Corr. giur., 2006, 525; CASS., 4.10.2005, n. 19354, in Fam. e dir., 2006, 167; CASS., 12.7.2006, n. 15760, in Resp. civ. e prev., 2007, 28; CASS., 4.10.2005, n. 19354, ivi, 2006, 220; CASS., 2.2.2007, n. 2311, in Danno e resp., 2007, 685. 
Nella giurisprudenza di merito, APP. GENOVA, 27.4.2005, ivi, 2006, 557; APP. MILANO, 20.4.2005, ibidem, 58, che riconduce la capacità lavorativa generica all'alveo del danno esistenziale; TRIB. PESCARA, 27.6.2005, ibidem, 655; TRIB. GENOVA, 9.5.2005, ibidem, 197; TRIB. BERGAMO, 24.2.2003, in Danno e resp., 2003, 547; TRIB. GENOVA, 14.1.2003, ibidem.

 

 

Più direttamente riferite alla prova del danno esistenziale CASS., sez. un., 24.3.2006, n. 6572, in Danno e resp., 2006, 852; CASS., 12.6.2006, n. 13546, in questa Rivista, 2007, I, 133, e in Danno e resp., 2006, 843; CASS., sez. lav., 16.5.2007, n. 11278, in Mass. Foro it., 2007; CASS., 4.7.2007, n. 15131, ined.; CASS., 19.2.2007, n. 3758, in Mass. Foro it., 2007; CASS., sez. lav., 7.3.2007, n. 5221, ibidem. Favorevoli al danno esistenziale in re ipsa, CASS., 28.6.2006, n. 14977, in Mass. Foro. it., 2006; CASS., 25.11.2005, n. 24896, ivi, 2005; CASS., 13.4.2004, n. 7043, in Giust. civ., 2004, I, 3204. V. CASS., 31.5.2003, nn. 8827 e 8828, in questa Rivista, 2004, I, 322, e in Danno e resp., 2003, 816; CORTE COST., 11.7.2003, n. 233, in questa Rivista, 2004, I, 231, e in Foro it., 2003, I, 2201; CORTE COST., 14.7.1984, n. 186, in Giust. civ., 1985, I, 2327. 
La lettura unitaria e personalizzata del danno alla salute è oramai consolidata. V. CASS., 11.1.2007, n. 394, in questa Rivista, 2007, I, 960; CASS., 20.4.2007, n. 9514, in Danno e resp., 2007, 1028; CASS., 9.11.2006, n. 23918, cit.; CASS., 12.5.2006, n. 11039, in Arch. giur. circ., 2007, 422; CASS., 15.7.2005, n. 15022, cit.; TRIB. ROMA, 16.1.2004, in Danno e resp., 2004, 1107; TRIB. GENOVA, 19.11.2003, in Resp. civ. e prev., 2004, 423; TRIB. ROMA, 7.3.2002, in Danno e resp., 2002, 993; TRIB. ROMA, 28.3.2003, in Gius, 2003, 2599; TRIB. BERGAMO, 24.2.2003, ibidem, 547; TRIB. MILANO, 19.12.2006, ined. Favorevole ad una valutazione autonoma del danno biologico e ad una liquidazione unitaria dei restanti pregiudizi non patrimoniali è APP. MILANO, 11.11.2004, in Resp. civ. e prev., 2003, 1329. 
Operano duplicazioni CASS., 2.2.2007, n. 2311, cit.; CASS., 6.2.2007, n. 2546, ined.; CASS., 12.6.2006, n. 13546, cit.; nella giurisprudenza di merito, tra le ultime, TRIB. IVREA, 4.4.2004, in Danno e resp., 2005, 170.
 
IV. La dottrina 
La maggior parte dei contributi dottrinali che si concentrano sul tema del nuovo danno non patrimoniale danno rilevanza alla tematica dell'onere della prova. V., oltre che, infra, MALZANI, Danno da demansionamento: "il punto" di alcune recenti pronunce della Cassazione, in Danno e resp., 2007, 674 ss.; TRAVAGLINO, Il danno esistenziale tra metafisica e diritto, in Corr. giur., 2007, 524 ss.; SCOGNAMIGLIO, Protesto illegittimo e danno in re ipsa, in Resp. civ. e prev., 2007, 548 ss.; BARONI, Funzione, prova e quantum della riparazione del danno non patrimoniale da illecito trattamento dei dati personali, in Danno e resp., 2006, 1249 ss.; CACACE, Seveso, atto ennesimo: sì al danno morale "presunto" seppur in assenza di lesioni alla salute, in questa Rivista, 2006, I, 920 ss. 
Sulle voci di danno ricomprese all'interno dell'art. 2059 cod. civ. v. il recentissimo contributo di SEGRETO, Le attuali frontiere del danno non patrimoniale e dintorni, in Danno e resp., 2007, 1081 ss.; PONZANELLI, Le tre voci di danno non patrimoniale: problemi e prospettive, ivi, 2004, 5 ss.; AA.VV., Il "nuovo" danno non patrimoniale, a cura di PONZANELLI, Cedam, 2004, passim; COMANDÉ, La rincorsa della giurisprudenza e la (in)costituzionalità dell'art. 2059 c.c. , in Danno e resp., 2003, 774 ss.; CENDON, Anche se gli amanti si perdono l'amore non si perderà. Impressioni di lettura su Cass. 8828/2003, in Riv. crit. dir. priv., 2003, 385 ss.; BONA-MONATERI, Il nuovo danno non patrimoniale, Giuffrè, 2004. 
Per una teoria generale del danno esistenziale, prima e dopo il revirement del 2003 v., ex plurimis, CENDON, Trattato breve dei nuovi danni, Cedam, 2001; CENDON-ZIVIZ, Il risarcimento del danno esistenziale, Giuffrè, 2003. Contra, tra i contributi più recenti, v. AA.VV., Il risarcimento integrale senza il danno esistenziale, a cura di PONZANELLI, Cedam, 2007.

 

 

Su CASS., sez. un., n. 6572/2006 e sulla controversa qualifica come obiter dictum degli incisi della decisione relativi al danno esistenziale v. PONZANELLI, La prova del danno non patrimoniale ed i confini tra danno esistenziale e danno non patrimoniale, in Foro it., 2006, I, 2337 ss.; CENDON, Voci lontane, sempre presenti, sul danno esistenziale, ivi, 2234. 
Sulla natura della clausola dell'art. 2 Cost. , MESSINETTI, voce "Personalità (diritti della)", in Enc. del dir., XXXIII, Giuffrè, 1983, 368 ss.; FERRI, Oggetto del diritto della personalità e danno non patrimoniale, in Riv. dir. comm., 1984, I, 139 ss.; DE CUPIS, I diritti della personalità, nel Trattato Cicu-Messineo, IV, Giuffrè, 1993, 40 ss. Più diffusamente, sulla teoria dei cc.dd. "superprincipi", v. BUSNELLI, La danza dei principi: diritto naturale, diritto positivo, bioetica, in ALPA-ROPPO, Il diritto privato nella società moderna, Jovene, 2005, 226 ss.; ENGELHARDT JR., Manuale di bioetica, 2a ed., Il Saggiatore, 2001. 
Sull'irragionevolezza dell'inversione jus-remedium e sullo svilimento dell'inviolabilità, v. PONZANELLI, Non c'è bisogno del danno esistenziale, in Danno e resp., 2003, 547 ss.; COMANDÉ, Diritto privato europeo e diritti fondamentali, Giappichelli, 2004, 37 ss. Sulle "microesistenziali" v., tra tutti e anche per i rinvii bibliografici, PONZANELLI, Il danno esistenziale e la Corte di Cassazione, in Danno e resp., 2006, 843 ss. 
Sul percorso storico del danno biologico e i suoi vari aspetti v., tra tutti, ROSSETTI, Il danno da lesione della salute. Biologico, patrimoniale, morale, Cedam, 2001, 275 ss.; BRECCIA-BUSNELLI, Tutela della salute e diritto privato, Giuffrè, 1978, passim; NAVARRETTA, Ripensare il sistema dei danni non patrimoniali, in Resp. civ. e prev., 2004, 3 ss.; inoltre MONATERI, La valutazione dei costi sopportati dal soggetto leso, in MONATERI-BELLERO, Il "quantum" nel danno alla persona, Giuffrè, 1984, 28 ss.; COMANDÉ, Il danno alla salute come figura principe di danno non reddituale, in Resp. civ. e prev., 1993, 272 ss. Sul rischio di "dispersione" del danno biologico dopo la svolta del 2003 si rinvia a BUSNELLI, Chiaroscuri d'estate: la Corte i Cassazione e il danno alla persona, in Danno e resp., 2003, 827 ss. 
Sul danno alla vita di relazione, v. ZIVIZ, Danno biologico e danno esistenziale: parallelismi e sovrapposizioni, in Resp. civ. e prev., 2001, 417 ss. Della "uscita" della capacità lavorativa generica dall'alveo del danno biologico, v. CHINDEMI, Danno biologico e capacità lavorativa generica: un binomio da sciogliere?, ivi, 2005, 541 ss. 
Sulle relazioni tra le voci di danno biologico ed esistenziale, v. ZIVIZ, Le relazioni pericolose: i rapporti tra danno biologico e danno esistenziale, ivi, 2007, 790 ss.; PONZANELLI, La lettura costituzionale dell'art. 2059 esclude il danno esistenziale, in Danno e resp., 2007, 310 ss.; ID., La lettura costituzionale dell'art. 2059: il significato e i problemi, in questa Rivista, 2007, II, 247 ss.; PANETTI, Infortuni sul lavoro e danno esistenziale: quale sorte per il danno biologico?, in Danno e resp., 2006, 58 ss. Contra BILOTTA, Il prisma del danno non patrimoniale, in Resp. civ. e prev., 2005, 1109 ss. Per un commento a CASS., n. 2311/2007, che opera una chiarissima duplicazione, v. PONZANELLI, Oltre le duplicazioni: la babele delle voci di danno non patrimoniali risarcibili, in Danno e resp., 2007, 685 ss.