Avv. Titone



DANNO NON PATRIMONIALE DA UCCISIONE DEL CONGIUNTO.
La nozione di danno non patrimoniale con riferimento alle alterazioni delle relazioni familiari per effetto dell'altrui illecito

 

DANNO NON PATRIMONIALE DA UCCISIONE DEL CONGIUNTO. 
La nozione di danno non patrimoniale con riferimento alle alterazioni delle relazioni familiari per effetto dell'altrui illecito

 

 

Gli incidenti che menomano gravemente le condizioni psicofisiche di una persona e quelli che ne cagionano addirittura la morte, non colpiscono esclusivamente la vita della cosiddetta vittima primaria, cioè quella che direttamente patisce le conseguenze dell'illecito, ma sono destinati a ripercuotersi su una serie più o meno ampia di vittime cosiddette secondarie, in primis i familiari più stretti del danneggiato. 
Costoro possono subire di riflesso notevoli conseguenze negative sul piano economico, dalla perdita della fonte di reddito rappresentata dal congiunto, alle spese di cura ed assistenza o delle esequie, alla diminuzione della propria capacità lavorativa per dover badare al parente divenuto incapace. 
Ma in tali tristi vicende possono essere ravvisati pregiudizi altrettanto gravi, che debordano l'arido computo delle valutazioni prettamente patrimoniali: coloro che sono strettamente legati alla vittima primaria da vincoli affettivi sono di regola esposti a dilanianti sofferenze interiori, nonché all'eventualità di shock emotivi che possono provocare patologie di tipo psichico (ad es. depressioni) o addirittura fisico (ad es. infarto da crepacuore). 
Soprattutto, in questi tragici casi, i componenti della compagine familiare vedono irrimediabilmente sconvolta la propria esistenza, data l'impossibilità di continuare il normale rapporto che intercorreva con il congiunto defunto o divenuto invalido, con evidenti ricadute sul piano della serena conduzione della vita familiare ed anche sulle relazioni con i terzi. 
All'originaria sordità dell'Ordinamento di fronte alle istanze di ristoro per i pregiudizi di carattere non patrimoniale, provenienti dalle persone strettamente legate alla vittima primaria, causata dall'interpretazione restrittiva di alcune disposizioni del sistema dell'illecito civile, si è contrapposta una lenta, e non sempre lineare, evoluzione giurisprudenziale che, anche grazie al fondamentale apporto della dottrina, è giunta ad assicurare il risarcimento, trovando piena compiutezza nel riconoscimento del cosiddetto danno esistenziale. 
Appare dunque opportuno illustrare l'assetto tradizionale in quanto solo così è possibile cogliere appieno il significato della svolta avvenuta con le famose sentenze "gemelle" della Corte di Cassazione del maggio 2003.
 
1) Le ragioni dell'ESCLUSIONE.
La disciplina codicistica, con l'espressa limitazione della risarcibilità del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., dotava di ineccepibile base giuridica l'opinione prevalsa in epoca fascista[1], volta relegare i pregiudizi non direttamente valutabili sul piano economico nell'ambito del giuridicamente irrilevante[2]. In quest'ottica il danno non patrimoniale era fatto coincidere con il danno morale soggettivo derivante da reato (art. 185 c.p.), cui era ascritta una funzione sanzionatoria e non risarcitoria. Lo stesso danno biologico, inteso come lesione dell'integrità psicofisica, veniva liquidato solo alla stregua di danno patrimoniale, attraverso l'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2043 c.c.[3] 
a) L'irrisarcibilità dei danni riflessi. In questo quadro disciplinare nessun danno morale o biologico era riconosciuto alle vittime secondarie in quanto la rigorosa interpretazione delle norme che configurano gli elementi dell'illecito aquiliano conduceva ad escluderlo: si trattava infatti di cosiddetti danni indiretti o riflessi o da rimbalzo, cioè cagionati solo per interposta persona e perciò irrilevanti[4] . 

 

 

Il danno da rimbalzo, infatti, non rientra nell'ambito dal danno risarcibile ex art. 1223 c.c., per cui rilevano esclusivamente le conseguenze immediate e dirette dell'illecito. 
Altra importante critica riguarda l'assenza di prevedibilità, e quindi di colpa, che impedisce di attribuire sul piano soggettivo la responsabilità al danneggiante alla stregua dell'art. 2043 c.c. 
Con specifico riferimento alla risarcibilità del danno morale, connotato dalla finalità sanzionatoria, è stato notato che ammettere il risarcimento della sofferenza interiore, provocata dal reato, non solo in capo alla persona offesa, ma anche in capo ai suoi congiunti, significherebbe consentire una duplicazione della pena inflitta per il medesimo illecito. 
b) Inconfigurabilità di un danno diretto . La rigida alternativa in campo non patrimoniale tra danno biologico e danno morale non lasciava spazio all'ulteriore tipologia di pregiudizio che il familiare subisce in via immediata a seguito dell'incidente, rappresentato dallo sconvolgimento della vita familiare. Un tale tipo di pregiudizio, estraneo alla necessità di prova medico-legale o della configurabilità di un reato, e avulso dalle obbiezioni ai danni riflessi, era totalmente ignorato dalla giurisprudenza, per essere ipotizzato da certa dottrina[5] agli inizi degli anni ‘90. 
c) Irrisorietà del danno jure hereditatis . Se possibile un tale quadro di assoluta insensibilità veniva aggravato dalla totale pressoché negazione di un danno non patrimoniale jure hereditatis in caso di morte immediata della vittima, data l'esclusione della risarcibilità del danno tanatologico[6] e l'eventuale liquidazione del danno biologico in caso di breve sopravvivenza sulla base delle tabelle dell'invalidità temporanea[7] . 
 
2) LE APERTURE DELLA GIURISPRUDENZA .
Lentamente la giurisprudenza si è emancipata dagli illustrati vincoli giungendo per vie diverse, a volte parallele ed incompatibili, altre volte complementari e conciliabili, ad attribuire rilievo ai patimenti dei congiunti. 
a) Riconoscimento del danno morale riflesso .
Parte della giurisprudenza ha cercato di scardinare l'assunto dell'irrisarcibilità dei danni morali ai congiunti, notando come l'interpretazione ormai pacifica dell'art. 1223 c.c. ammette la risarcibilità delle conseguenze dannose anche mediate ed indirette, purché si presentino come effetto normale della lesione, secondo il principio della regolarità causale. Si supera, così, la lettera del Codice, accogliendo la c.d. teoria della causalità adeguata. In ogni caso, nell'ipotesi di morte della vittima primaria dell'illecito, il venir meno del soggetto leso in via principale avrebbe dovuto escludere la natura indiretta del danno[8] . Dalla qualificazione del danno morale come mera conseguenza dannosa deriva l'irrilevanza del requisito soggettivo della colpa (infatti l'art. 1225 c.c. dà rilevanza a qualsiasi conseguenza dannosa, anche imprevedibile). 
L'approdo del 2002 . Tale linea di tendenza ha ricevuto la sua definitiva consacrazione con l'intervento delle Sezioni unite[9] , che ha affermato in via generale la risarcibilità del danno morale riflesso anche in caso di sopravvivenza del congiunto. 
Il ristoro di tale voce di danno presupponeva comunque sempre la configurabilità di un reato nei confronti della vittima primaria, con conseguente esclusione nelle ipotesi di responsabilità presunta (ad es. art. 2051 c.c.) o per colpa presunta (ad es. art. 2054, comma 2° c.c.).

 

 

La valorizzazione del danno morale oltre la sofferenza . L'indirizzo favorevole alla liquidazione di questa posta risarcitoria ai congiunti ha generalmente ampliato il ristoro al di là della mera sofferenza transeunte[10] . 
Accogliendo una concezione sempre più spiccatamente risarcitoria dell'istituto, i metri di quantificazione del danno non sono stati rinvenuti tanto nella colpevolezza del reo e nella gravità del fatto, quanto invece nelle ripercussioni esistenziali dell'illecito sull'esistenza della vittima come fonti di patimenti. Di conseguenza si è registrato un tendenziale aumento dei risarcimenti ai congiunti effettuati sotto tale voce[11] . 
Esigenza di superare il limite dell'illiceità penale . Molte perplessità nel frattempo erano sorte riguardo alla subordinazione del ristoro di tale tipologia di danni all'integrazione di una fattispecie di reato ed al suo concreto accertamento. In sua assenza la sofferenza interiore dei familiari e lo sconvolgimento esistenziale da cui i patimenti dipendono non potevano essere risarciti. Una tale preclusione, derivante dall'art. 2059 c.c., ha suscitato i dubbi di illegittimità costituzionale del Tribunale di Roma, che ha rimesso la questione alla Corte Costituzionale con ordinanza del 7 marzo 2002[12] . 
b) Riconoscimento del danno biologico riflesso . I primi spiragli a favore del superamento della barriera al risarcimento del danno riflesso, con riferimento alla lesione del diritto alla salute possono ravvisarsi nella famosa sentenza della Corte Costituzionale n° 372 del 1994 che, pur escludendo la risarcibilità del danno biologico riflesso ex art. 2043 c.c., per assenza di prevedibilità dell'evento, ha comunque accordato il ristoro del danno biologico riflesso, tramite l'applicazione dell'art. 2059 c.c. 
La somatizzazione del danno morale . Se in caso di omicidio della vittima primaria è risarcibile il danno morale ai prossimi congiunti sulla base di un mero nesso di regolarità causale, allora, qualora la sofferenza interiore sia talmente forte da degenerare in patologia psichica o addirittura fisica (c.d. somatizzazione della sofferenza), deve essere risarcito anche il danno alla salute, così generatosi, a prescindere dalla sua prevedibilità. 
Successivamente la Corte di Cassazione[13] , ripudiando l'involuta soluzione della Corte Costituzionale, si è orientata ad ammettere il risarcimento alla stregua dell'art. 2043 c.c. Il requisito della prevedibilità dell'evento dannoso e quindi della colpa è stato affermato sulla base della constatazione che "il conducente spericolato ben può prevedere che la vittima sia un padre o una madre di famiglia e che, dunque, le conseguenze della lesione alla vittima primaria possano essere plurioffensive " (così esplicitamente Cass. 1516/2001). 
La lesione del diritto alla salute . Il risarcimento del danno biologico da rimbalzo comunque non poteva essere totalmente esaustivo, escludendo il ristoro nelle ipotesi in cui è assente l'accertamento medico legale di una patologia, nonché negando rilevo alle ripercussioni negative sulla vita del familiare non strettamente riconducibili alla lesione dell'integrità fisica. 
Per questo parte della dottrina[14] e della giurisprudenza[15] , ha coniato una nozione allargata di danno biologico, che più che fondarsi sulla lesione dell'integrità fisica, trovava la propria origine nel vulnus di una nozione estesa di salute. Sulla base della generica definizione dettata dall'OMS è stata data rilevanza ad ogni causa di turbamento del benessere fisico e psichico dell'individuo, tra cui quindi anche il disagio esistenziale derivante dalla perdita del familiare. In questo modo il danno biologico perdeva la propria caratteristica di danno "a prova vincolata" e si spingeva ad assicurare il risarcimento di tutte le conseguenze collegate alla menomazione o al decesso del congiunto, pur se non derivanti dalla lesione dell'integrità fisica del familiare.

 

 

c) L'emersione del danno esistenziale . Nel frattempo parte della giurisprudenza iniziava a recepire gli insegnamenti della dottrina favorevole al c.d. danno esistenziale, consistente nell'impedimento di attività non reddituali attraverso cui la persona umana trova espressione e realizzazione. 
Leading case . Già nel 2000 la stessa Cassazione[16] è giunta ad utilizzare questa categoria di pregiudizio con riferimento ad una ipotesi di omesso mantenimento del figlio, attraverso l'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2043 c.c. alla luce dell'art. 2 Cost., similmente con quanto era praticato per il riconoscimento del danno biologico. 
Estensibilità ai danni del familiare . Indubbiamente tra le attività mediante le quali la personalità dell'uomo può estrinsecarsi e svilupparsi vi sono quelle attinenti alle relazioni all'interno della compagine familiare. Questo ambito di espressione dell'individuo trova sicuramente tutela alla stregua degli artt. 2/29 e 30 Cost. 
Dunque si proponeva di attribuire ai congiunti il risarcimento del danno esistenziale per perdita del familiare, valorizzando la modificazione peggiorativa della loro esistenza, a prescindere dalla necessità di provare l'esistenza di un reato[17] oppure la lesione dell'integrità fisica. In particolare veniva bypassata la problematica attinente ai danni riflessi, trattandosi del pregiudizio diretto alla famiglia della vittima (non più) secondaria.
 
3) LA BABELE INTERPRETATIVA.
La situazione descritta rappresentava quanto più lontano dalla certezza del diritto e dalla prevedibilità degli esisti di un giudizio. 
Come esaminato, il panorama giurisprudenziale era costellato da decisioni che negavano in linea di principio danno morale e biologico perché riflessi e da altre che li ammettevano. In alcuni casi il danno morale da reato era calcolato tenendo conto delle ricadute esistenziali dell'illecito, in altri il giudice si limitava a liquidare equitativamente la sofferenza transeunte. Altre sentenze sopperivano all'assenza di un reato, attraverso la dilatazione della nozione del danno biologico, in modo da farvi rientrare ogni turbamento alla serenità, altre erano rigorosamente attente alla definizione più restrittiva sia per il contenuto sia per la prova. Non mancavano sentenze di merito che riconoscevano il danno esistenziale da perdita del congiunto come qualcosa di diverso e separato dai danni tradizionali, e per questo utile a colmare le lacune in cui questi non potevano essere riconosciuti. Infine, qualora vi fosse reato e prova medico legale, si prospettava la possibilità di una liquidazione cumulativa di tutte le poste elencate, nella loro portata più estesa. 
Tutto ciò era alimentato dalla confusione delle richieste attoree, dato il disorientamento degli operatori del diritto in questa "selva selvaggia". Tutto ciò non faceva che alimentare il caos del contenuto degli atti di parte, generando richieste cumulative e gravami in cui si contestava la qualificazione del danno risarcito, al di là della sostanziale equità della somma liquidata. 
I tempi erano così maturi per un intervento chiarificatore della Corte di legittimità, che precisasse una volta per tutte le voci risarcibili, i reciproci rapporti tra le poste di danno ed infine i presupposti essenziali per giungere al risarcimento. Per questo le sentenze della Suprema corte che affrontano la tematica del danno ai congiunti, da quelle rivoluzionarie del 2003 a quelle degli ultimi giorni, si occupano principalmente della corretta qualificazione delle richieste di parte, al fine di controllare se sia rispettato il principio processuale della domanda ex art. 112 c.p.c., e dell'individuazione di cosa effettivamente il giudice di merito abbia liquidato, al di là delle confusioni nominalistiche e con lo scrupolo di evitare lacune o duplicazioni.

 

 

4) LE SENTENZE GEMELLE .
Le famose sentenze "della svolta", nn. 8827 e 8828 del 31 maggio 2003[18] , relatori Amatucci e Preden, hanno affrontato proprio due fattispecie in cui veniva messa in discussione la qualificazione giuridica data dal giudice al danno risarcito. 
a) I casi concreti . I giudici di merito, in vicende di morte del congiunto (sentenza n. 8828) o di patologia totalmente invalidante (sentenza n. 8827), avevano tenuto conto dello sconvolgimento delle abitudini e delle aspettative di una normale vita familiare subito dai familiari delle vittime primarie. Ma un tale danno era stato nel primo caso considerato alla stregua di danno morale soggettivo, legittimando il ricorso del danneggiato volto ad ottenere anche il risarcimento del danno biologico e del danno esistenziale; nel secondo caso era stato qualificato in modo incerto come danno biologico o morale, giustificando il ricorso del danneggiante data l'assenza della prova qualificata della lesione all'integrità psico-fisica e la duplicazione con il contemporaneo risarcimento del danno morale nella sua accezione tradizionale. 
b) La motivazione della sentenza . Al fine di risolvere queste due questioni pratiche, la Corte di legittimità ha colto l'occasione per una generale risistemazione della materia, che potesse mettere un po' d'ordine in un contesto tanto variegato. 
Individuazione dei diversi tipi di danno non patrimoniale alla persona. La Suprema Corte, innanzitutto, nota che, in caso di morte della vittima dell'illecito, la perdita del rapporto parentale determina in capo al congiunto la lesione di un interesse ontologicamente diverso da quello all'integrità biopsichica, da cui deriva il danno biologico, o da quello all'integrità morale, che produce il danno morale soggettivo. Diversamente l'alterazione delle relazioni familiari riguarda la sfera degli affetti nell'ambito della famiglia e si concreta nel danno alle attività realizzatrici della persona umana ex artt. 2/29/30 Cost., che parte di dottrina e giurisprudenza definisce danno esistenziale. 
In questo modo la Corte di Cassazione accenna a tale figura e gli attribuisce autonoma consistenza rispetto alle altre voci risarcitorie. 
Risarcibilità fondata sull'art. 2059. La risarcibilità senza limitazioni di tale tipo di danno deve essere ammessa in base allo stesso art. 2059 Cc, che pure sembra affermare il contrario. Infatti, secondo la Corte di Cassazione, la lettura tradizionale, che circoscrive la rilevanza del danno non patrimoniale al danno morale soggettivo derivante da reato, non può più essere ulteriormente condivisa. 
Questa affermazione poggia sulla constatazione dell'ampliamento della tutela che l'Ordinamento attualmente appresta ai valori fondamentali della persona, su vari livelli. 
A livello costituzionale, l'interpretazione dell'art. 2 Cost., come norma precettiva e non meramente programmatica, impone di risarcire ogni ipotesi di lesione della personalità dell'individuo, anche se priva di rilevanza economica. Altrimenti si priverebbero interessi di rango costituzionale della tutela minima apprestata dall'Ordinamento. 
Inoltre, a livello di legislazione ordinaria, l'ambito delle ipotesi in cui è espressamente contemplata la risarcibilità del danno non patrimoniale è stata progressivamente estesa, ben al di là dell'art. 185 Cp (ad es. in caso di ingiusta privazione della libertà personale nell'esercizio di funzioni giudiziarie, di modalità illecita nella raccolta dei dati personali, di discriminazioni razziali o religiose, di mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo).

 

 

Ciò è confermato a livello giurisprudenziale, dato che da tempo è pacificamente risarcita, anche in assenza di reato, una particolare figura di danno non patrimoniale, cioè il danno biologico. Inoltre la Suprema Corte ha ritenuto risarcibile anche il danno non patrimoniale patito dalle persone giuridiche, che evidentemente non ha la natura di mera sofferenza interiore. 
Per giustificare la risarcibilità del danno non patrimoniale alla persona, anche in assenza di reato ed al di là del mero patema d'animo contingente, non c'è quindi più motivo di ricorrere alla lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2043 Cc, così come per decenni affermato riguardo al danno biologico e recentemente per il danno esistenziale. Infatti tale tecnica interpretativa deve essere adottata con riferimento allo stesso art. 2059 Cc. Tale norma consente la riparazione del danno non patrimoniale nei casi stabiliti dalla legge e tali ipotesi possono ben essere rappresentate dai precetti costituzionali che danno rilevanza ai diritti inviolabili della persona. Si giunge, così, alla semplificazione della materia, superando le complesse costruzioni cui dottrina e giurisprudenza erano state fino ad oggi costrette dalla lettera del Codice[19] . 
Presupposti della risarcibilità. Per la risarcibilità del danno non patrimoniale alla persona devono sussistere tutti gli elementi costitutivi dell'illecito civile ex art. 2043 Cc, così come è necessaria la prova della effettiva verificazione del danno subito dal soggetto leso. 
Infatti il danno non patrimoniale da lesione alla persona non coincide con la lesione dell'interesse protetto, ma, rispetto ad essa, è una conseguenza eventuale. In altri termini si tratta di danno-conseguenza e non di danno-evento, che dispenserebbe dall'onere probatorio. 
Quindi il danno in questione deve essere allegato e provato[20] . Poiché il pregiudizio si proietta nel futuro, è necessario il ricorso a valutazioni prognostiche ed a presunzioni sulla base degli elementi obbiettivi che il danneggiato ha l'onere di fornire. La sua liquidazione, comunque, data la natura non economica, non può che avvenire attraverso valutazioni di carattere equitativo ex artt. 1226/2056 Cc. 
Cumulo con il danno morale e biologico. Data la diversità tra danno esistenziale (tra cui la perdita del rapporto parentale), danno morale soggettivo e danno biologico, la Suprema Corte conclude che tutte queste voci possono essere contestualmente riconosciute a favore del danneggiato, senza che debba ravvisarsi una duplicazione di risarcimento. Del resto, nel caso di attribuzione congiunta, il Giudice deve considerare la più limitata funzione di ristoro di ognuna, al fine di assicurare il giusto equilibrio tra le varie poste che concorrono a determinare il risarcimento complessivo. 
Non si può infatti dimenticare che la giurisprudenza aveva dato origine ad una dilatazione delle nozioni di danno biologico e danno morale soggettivo proprio al fine di garantire in qualche modo il ristoro la ripercussioni esistenziali del decesso o della grave menomazione del familiare. 
A volte sotto la voce del danno morale i giudici[21] hanno considerato anche tutte le rinunce collegate alle sofferenze, le ripercussioni sul modus vivendi ed la durata prolungata e non meramente transeunte. 
In particolare la giurisprudenza[22] ha accolto una nozione di danno biologico in senso lato, comprensiva del peggioramento complessivo della qualità della vita della vittima dell'illecito, cioè esteso a ciò che il soggetto leso non può più fare (è ad esempio possibile che il danno da depressione del familiare sia stato quantificato tenendo conto anche di tutte le conseguenze negative derivanti dalla perdita del congiunto).

 

 

Se ciò è avvenuto, il danno esistenziale da alterazione della vita familiare ha già ottenuto ristoro ed il congiunto non può pretendere nulla di più. 
c) L'irrilevanza della qualificazione del danno . Sulla base di questo imponente e dirompente apparato motivazionale la Corte di Cassazione giunge a salvare le sentenze gravate, pur se esse sono viziate sotto l'aspetto della qualificazione del danno. 
Infatti si afferma espressamente che non è importante la precisa collocazione della posta risarcitoria all'interno delle categorie del danno biologico, morale o esistenziale. Il giudice potrebbe provvedere alle operazioni di liquidazione anche attraverso una valutazione unitaria e complessiva, che tenga conto di tutte le conseguenze negative di carattere non patrimoniale. Di conseguenza non rileva che il risarcimento è accordato attraverso la dilatazione della nozione del danno biologico o del danno morale, quanto invece è sufficiente che il giudice abbia tenuto conto delle rinunce imposte al familiare per la perdita del congiunto e non abbia duplicato queste valutazioni in diverse voci risarcitorie. 
Dunque la sentenza n. 8827 ha respinto il ricorso del danneggiato in quanto la sentenza di merito, pur liquidando le modifiche esistenziali sotto la voce del danno morale, aveva quantificato tale posta risarcitoria in modo maggiorato rispetto alla semplice sofferenza transeunte, così dando dimostrazione di aver tenuto conto nella sostanza del pregiudizio esistenziale derivante dalla lesione al diritto all'integrità familiare. Di conseguenza, nonostante la necessità di correzione della motivazione, comunque la pronuncia impugnata doveva essere considerata non soggetta a cassazione per l'intrinseca correttezza nelle operazioni di liquidazione. 
Allo stesso modo la sentenza n. 8828 ha considerato irrilevante la qualificazione come danno biologico del pregiudizio esistenziale derivante dalla perdita di congiunto. Del resto si è giunti alla cassazione della sentenza gravata per il fatto che la prova del danno era stata considerata in re ipsa .
 
5) ESTENSIONE DEL VINCOLO FAMILIARE RILEVANTE .
Come si è visto, la risarcibilità del danno non patrimoniale viene raggiunta dai giudici di legittimità, non eliminando del tutto il limite ex art. 2059 c.c. (cioè la c.d. necessaria tipicità del danno non patrimoniale), ma integrando le eccezioni a tale sbarramento attraverso l'applicazione delle norme costituzionali che tutelano i valori attinenti alla persona. 
Proprio in base a tale percorso logico-giuridico si può affermare la risarcibilità del danno non patrimoniale patito dal familiare del congiunto per lo sconvolgimento della famiglia di cui è membro, a prescindere da ogni ipotesi di reato, in quanto nella Carta costituzionale è agevole individuare un'espressa base giuridica per un tale tipo di istanze: artt. 2, 29 e 30[23] . In mancanza di tale riconoscimento a livello costituzionale, il danno morale ed esistenziale del familiare superstite, senza gli estremi ex art. 185 c.p., non avrebbe potuto ricevere ristoro alcuno. 
Del resto la Cassazione non ha affrontato esplicitamente la questione dell'estensione della nozione costituzionale di famiglia, se limitata al solo nucleo essenziale o esteso ad ulteriori vincoli parentali o di convivenza. Qualora dovesse optarsi per una accezione restrittiva, i rapporti estranei agli artt. 29 e 30 Cost. non potrebbe ricevere tutela dall'art. 2059 c.c. 
a) L'orientamento precedente in tema di danno morale riflesso . La giurisprudenza favorevole al risarcimento del danno morale riflesso in caso di uccisione del familiare, integrante reato, a metà degli anni '90, ha generalizzato la cerchia di soggetti legittimati all'azione ex art. 2059 c.c.

 

 

L'indirizzo tradizionale[24] , che limitava il risarcimento ai soli parenti stretti (genitori e figli dell'ucciso) o al coniuge, è stato superato sulla base dell'affermazione che ciò che rileva non è l'astratto legame giuridico e di sangue ma l'effettiva sussistenza del turbamento della sfera affettiva: è stato, così, ammesso il risarcimento del danno morale a favore del convivente more uxorio[25] . In questo filone interpretativo si collocano le pronunce che hanno riconosciuto il danno morale patito dal coniuge separato[26] o di altri parenti, pure se non conviventi[27] . 
Ovviamente in queste ipotesi l'attore sconta maggiori difficoltà probatorie: se gli stretti congiunti sono assistiti da una presunzione ex art. 2729 c.c. fino a prova contraria, data l'indiscussa massima di esperienza che rende plausibile la sofferenza all'interno della famiglia legittima nucleare, al di fuori di tale ambito deve essere dimostrata l'esistenza di un forte legame affettivo tale da provocare importanti turbamenti interiori in caso di lesione. Di conseguenza dal convivente more uxorio è stata pretesa la prova della stabilità e della lunga durata del rapporto; in caso di separazione tra coniugi è stato dato rilievo ostativo alla conflittualità del procedimento giudiziale ex artt. 706 c.p.c. e ss. 
b) La tesi della tutela della sola famiglia nucleare . Quanto affermato sub a) non è suscettibile di automatica trasposizione al danno esistenziale ed al danno morale a prescindere dal reato. Infatti per il risarcimento di tali poste non è sufficiente la prova della sofferenza derivante dall'illecito, quanto invece è altresì necessario che tale sofferenza derivi dalla lesione di un diritto costituzionalmente garantito. 
I precedenti . Non a caso le sentenze nn. 8827 e 8828 del 2003, nella parte in cui affermano l'indubbia rilevanza costituzionale dell'interesse del familiare, fanno espresso riferimento solo ed esclusivamente alle posizioni dei genitori, figli, fratelli e coniuge, quale nucleo direttamente preso in considerazione dagli artt. 29 e 30 Cost. 
Tale impostazione è ancor più netta nella sentenza n. 13546 del 2006 nella parte in cui descrive in cosa consiste il danno esistenziale patito dal familiare. Esso corrisponde alla "privazione del rapporto personale con lo stretto congiunto nel suo essenziale aspetto affettivo o di assistenza morale, cui ciascun componente del nucleo familiare ha diritto nei confronti dell'altro, come per i coniugi è statuito ex art. 143 c.c.; per il genitore ex art. 147 c.c., per i figli ex art. 315 c.c. ". Al di là di tale ristretta cerchia, le motivazioni delle sentenze che hanno affrontato la tematica del danno esistenziale causato dalla perdita del congiunto non vanno. 
L'opzione della tipicità rigida . Di recente la sentenza n. 15022 del 15 luglio 2005, affrontando proprio una fattispecie di danno da perdita di congiunto, ha espressamente affermato che se il risarcimento del danno patrimoniale può conseguire alla lesione di un qualsiasi interesse meritevole di tutela (cosiddetta atipicità dell'illecito), viceversa il ristoro del danno non patrimoniale è ammissibile solo ed esclusivamente in seguito alla violazione degli specifici valori della persona costituzionalmente garantiti. Di conseguenza esso dovrebbe essere definito rigidamente tipico. Sulla base di questa premessa si nega l'esistenza di una generica categoria di danno esistenziale, che condurrebbe il danno non patrimoniale nell'atipicità. Rileva solo ed esclusivamente il danno agli specifici valori della persona, ritenuti inviolabili dalle norme costituzionali. 
Secondo alcuni autori[28] questa pronuncia rappresenterebbe l'interpretazione autentica delle sentenze del 2003. L'ambito del danno non patrimoniale risarcibile, sarebbe limitato solo ed esclusivamente ai diritti nominati in Costituzione. Inoltre, non riconoscendo la categoria del danno esistenziale, le voci risarcibili sarebbero ridotte al danno biologico ed a quello morale.

 

 

In applicazione di quanto appena affermato si dovrebbe optare per una nozione retstrittiva di famiglia. 
c) Tesi dell'interpretazione estensiva . Nonostante le argomentazioni illustrate sembra possibile accedere ad una concezione ampia di famiglia, rilevante ex art. 2059 c.c. 
L'opzione della tipicità temperata . Riguardo al tema generale del limite della tipicità, l'opinione preferibile è che la sentenza n. 15022 non abbia affermato nulla di nuovo. In particolare le innovative decisioni del 2003, e quelle che le hanno seguite, hanno sempre affermato, ai fini della risarcibilità del danno non patrimoniale (compresa la componente esistenziale), la necessità di ravvisare la lesione di un interesse attinente alla persona, protetto a livello costituzionale. Ma l'interpretazione dell'art. 2 Cost. come clausola aperta, che consente di dare rilievo ad ogni valore funzionale allo sviluppo della persona, permette di andare oltre alle specifiche previsioni di legge, estendendo la copertura costituzionale ad interessi altrimenti innominati. Si può, quindi, dire che il danno non patrimoniale è tipico perché rileva solo nei casi ammessi dalla legge, tra cui le previsioni costituzionali. Del resto l'art. 2 Cost. rende questo elenco non predeterminato rigidamente, lasciando al giudice l'apprezzamento degli interessi che costituiscono espressione inviolabile della persona. 
Quindi il danno esistenziale esiste e può essere frutto della lesione di valori della persona anche non specificamente nominati dalla Carta suprema[29] . 
Probabilmente nelle parole della sentenza del 2005 si può leggere la preoccupazione dell'eccessiva estensione degli interessi ricondotti nell'ambito dei diritti inviolabili della persona. Infatti il filtro costituzionale viene spesso superato elevando di rango interessi di discutibile importanza. Tra i tanti esempi può essere menzionata la decisione del Tribunale di Ivrea (sentenza del 22 giungo 2004), che ha liquidato il danno esistenziale da ritardata riparazione degli impianti di una abitazione, in quanto tale inadempimento contrattuale avrebbe leso l'interesse costituzionalmente protetto alla tranquillità casalinga. La vera battaglia nelle aule di giustizia è così costituita dalla selezione degli interessi rilevanti. 
Del resto non sembra trattarsi di figure bagatellari quando si tratta dell'interesse del parente, pur non strettissimo, al rapporto con il familiare deceduto o gravemente leso, o della posizione del convivente more uxorio . Anche se non si volessero coinvolgere tale situazioni nella portata applicativa degli artt. 29 e 30 Cost. comunque parrebbe agevole argomentare la loro rilevanza alla stregua dell'art. 2 Cost. 
Prime aperture . In quest'ottica devono essere interpretate le recenti sentenze che hanno riconosciuto[30] il risarcimento ai nipoti per la perdita del nonno, dato il rilievo esistenziale sempre maggiore che gli avi hanno attualmente nell'ambito delle famiglie. Soprattutto, in un espresso obiter dictum , la Cassazione[31] ha notato come "l'attuale movimento per l'estensione della tutela civile ai pax (patti civili di solidarietà ovvero stabili convivenze di fatto) conduce appunto alla estensione della solidarietà umana a situazioni di vita in comune. Dunque prima o poi anche i nuovi parenti, vittime di rimbalzo, lamenteranno la perdita del proprio caro ". 
 
6) LA LIQUIDAZIONE DEL DANNO NON PATRIMONIALE DEL CONGIUNTO .
In base alle sentenze gemelle risulta chiaro che il familiare della vittima primaria può articolare le proprie richieste risarcitorie nelle tre voci del danno biologico (per la lesione dell'integrità fisica), morale (per la sofferenza interiore) ed esistenziale (per lo sconvolgimento familiare) e dunque pretendere la liquidazione di tutte e tre queste poste di danno.

 

 

a) I criteri di quantificazione . La quantificazione del danno non patrimoniale non può che assumere carattere equitativo, in assenza di valori di mercato cui riferirsi. Ciò vale per il danno biologico, pur se il carattere oggettivo dell'invalidità ha consentito l'elaborazione di tabelle contenenti valori standard, da personalizzare con riferimento al caso concreto[32] . Ciò vale a maggior ragione per il danno morale, di consistenza precipuamente intima e soggettiva[33] . 
Il carattere equitativo coinvolge anche il danno esistenziale, per cui ancora non esistono tabelle che semplifichino le operazioni di liquidazione. Tale figura ha carattere oggettivo in quanto si concretizza nella perdita di attività esistenziali, ma contemporaneamente è apprezzabile solo in un'ottica prettamente soggettiva, in quanto il valore di una rinuncia muta da individuo ad individuo. Per tale motivo le Sezioni unite[34] hanno affermato in obiter dictum l'impossibilità di qualsiasi operazione di tabellazione. La dottrina ha così proposto vari metodi quantificatori[35] . 
b) Le tabelle del danno morale ai congiunti . In realtà molti Tribunali hanno elaborato già da tempo delle tabelle volte a fissare dei valori di riferimento per liquidare il danno morale patito dai prossimi congiunti superstiti. Alcune di tali tabelle sono state redatte tenendo conto proprio delle ricadute esistenziali sulla vita dei familiari, risarcendo così qualcosa in più e di diverso rispetto al semplice dolore transeunte. Sorge così l'esigenza di indagare a cosa effettivamente corrispondano i valori indicati nel baréme , per stabilire se la cifra ivi stabilita includa o meno il danno esistenziale[36] . 
Questo è il caso, come già più volte ripetuto, delle tabelle del Tribunale di Roma[37] , che regolano le richieste del coniuge, figlio minorenne, maggiorenne, genitore e fratello. In effetti i valori sono più alti rispetto a quelli contemplati a tale titolo da altri Tribunali (ad es. 158.200 euro per il decesso del coniuge). La somma base è diminuita in caso di non convivenza con il defunto o di presenza di altri congiunti conviventi (sulla base della presunzione che tali elementi attenuino le conseguenze dell'illecito) e viene aumentata in assenza di congiunti conviventi. 
Particolarmente interessanti sono le tabelle del Tribunale di Milano . 
Sono le più diffuse sul territorio nazionale. La frequente applicazione ha addirittura condotto un'isolata pronuncia della Cassazione[38] a ritenere che il giudice di merito che non le adotti debba adeguatamente motivare la propria scelta. 
Prima del 2004 il danno ai congiunti era quantificato in base al danno morale che sarebbe spettato alla vittima se sopravissuta con una lesione del 100% d'invalidità e poi ridotto percentualmente in ragione del grado di parentela e contiguità affettiva con l'avente diritto. Tale metodo di quantificazione tradiva evidentemente la limitazione di questa tabella al semplice danno morale transeunte. 
A seguito della rivoluzione del 2003 il Tribunale di Milano ha provveduto a revisionare non solo i valori di baréme , ma anche il metodo di compilazione della tabella[39] . Si afferma, così, che la commisurazione del danno non patrimoniale (da intendersi come somma del danno morale tradizionalmente inteso e del danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale) privilegia il legame familiare tra vittima primaria e vittime secondarie, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto (sopravvivenza di altri congiunti, convivenza con questi ultimi, qualità della relazione con il defunto e con i superstiti). Di conseguenza si propone un'ampia forbice (da 100 mila a 200 mila euro) sia per il genitore, il figlio ed il coniuge (da 20 mila a 120 mila per il fratello). In caso di sopravvivenza del familiare si adottano gli stessi valori di riferimento da adattare all'effettivo grado di sconvolgimento della vita familiare che viene causata dalla menomazione della vittima primaria.

 

 

Per quanto detto le sentenze del Tribunale di Milano, che si attengano a tali valori, avranno liquidato contemporaneamente sia il danno biologico che il danno esistenziale. Non vi è, dunque, ulteriore spazio per richieste risarcitorie. 
Non mancano però tabellazioni, come quella elaborata dal Tribunale di Lecce , che contengono valori assolutamente più bassi (ad esempio per il coniuge supersite massimo 90 mila euro) e prevedono espressamente nei criteri orientativi l'adozione di una concezione tradizionale del danno morale. Dunque, con riferimento a tali ipotesi, sorge l'esigenza di garantire l'integrale ristoro delle vittime secondarie andando ad aggiungere un'ulteriore somma a titolo di danno esistenziale. In particolare il Tribunale di Venezia[40] ha liquidato il danno esistenziale in una frazione del danno morale da ¼ alla metà. 
Nell'unico precedente edito[41] , anche il Tribunale di Ancona ha affrontato il problema del danno non patrimoniale da perdita del congiunto. Si nota che, se non si vuole creare confusione in un quadro generale già complesso, difficilmente può evitarsi una qualche procedura di tabellazione del danno esistenziale. I valori della tabelle dovranno essere necessariamente corretti e personalizzati in relazione ai casi concreti. In questo contesto il danno morale deve essere ridimensionato e valere come frazione del danno esistenziale. 
Viene, così, proposta una tabella che prende in considerazione la morte del figlio (base 500 mila euro), quella del genitore (base 100 mila euro), quella del fratello (base 20 mila euro). I valori di partenza sono destinati ad essere moltiplicati per coefficienti che tengono conto del fatto che l'altro genitore sia ancora vivente o meno (nel qual caso sembra dovuto l'intero valore base), del fatto che vi siano altri figli o fratelli (con conseguente diminuzione per ogni figlio o fratello) e che questi non siano gravemente invalidi (altrimenti il valore di base può essere aumentato). 
Nonostante queste premesse, però, la quantificazione del danno avviene in modo del tutto equitativo ed indipendente (nonché molto minore) dall'esempio prospettato, senza una sufficiente motivazione che spieghi l'iter seguito dal giudicante. Si può notare così una notevole discrepanza tra l'ammontare del danno morale liquidato alla madre (25 mila) dell'ucciso e quello maggiore ottenuto dal coniuge (50 mila) e dai figli (40 mila). Il rapporto poi curiosamente si inverte per quanto riguarda il danno esistenziale, che, per questi ultimi, è notevolmente minore a quello morale (50 mila per la madre, 10 mila per la moglie e 15 mila per i figli). 
c) Danno esistenziale e biologico . Qualora il congiunto superstite sia afflitto da una patologia causata dalla perdita del familiare (ad es. depressione), sorge il diritto alla liquidazione del danno biologico, sulla base delle tabelle elaborate dai Tribunali o dalla legge[42] . Sorge dunque l'esigenza di valutare la possibilità di convivenza con l'autonoma voce di danno esistenziale per perdita del congiunto. 
La nozione lata di danno biologico[43] comprende tutte le ricadute esistenziali della lesione del diritto alla salute, così che il danno esistenziale sarebbe compreso nella somma assegnata a titolo di danno biologico, tenendo conto anche dell'aumento dei valori standard in sede di personalizzazione[44] . 
La negazione del danno esistenziale diventa assolutamente problematica nel caso in cui la legge[45] o le tabelle dei Tribunali[46] pongano dei limiti massimi alla personalizzazione del danno biologico[47] . 
Sembra, però, giusto precisare che nel caso di specie non è la lesione alla salute che produce conseguenze negative su altri diritti costituzionali, così da inglobarle tendenzialmente nella

 

 

quantificazone del danno biologico. Al contrario è la lesione al diritto costituzionale dell'integrità familiare a riverberarsi in modo negativo sulla salute del superstite. Di conseguenza deve garantirsi a costui quanto le tabelle generalmente gli assicurano, aggiungendo poi l'ulteriore posta relativa al danno biologico in senso stretto. 
d) Il concorso colposo della vittima primaria . Il concorso di colpa del familiare defunto (c.d. vittima primaria) nella causazione dell'illecito, comporta una proporzionale riduzione del danno risarcibile a favore dei prossimi congiunti (vittime secondarie), alla stregua dell'art. 1227 c.c. 
Poichè la richiesta di questi ultimi riguarda il danno patito jure proprio , si dovrebbe applicare la regola della solidarietà ex art. 2055 c.c., così che il danneggiante sarebbe comunque obbligato per l'intero, salva l'eccezione di compensazione nei confronti degli eredi. Secondo un discutibile dictum della Cassazione[48] , invece, il danno invocabile è direttamente ridotto, a prescindere dall'eccezione e dalla qualità di erede. 
7) L'ineludibile necessità di allegazione e prova . Le Sezioni unite, nella già citata sentenza n. 6572 del 2006, hanno rigidamente ribadito quanto già affermato dalle pronunce del 2003 circa la rigorosa necessità che il danno non patrimoniale sia oggetto di precisa indicazione da parte dell'attore, nonché che ne sia data dimostrazione nel corso del processo. 
Infatti la mera lesione di un interesse, pur costituzionalmente rilevante, può dare origine a diversi tipi di conseguenze pregiudizievoli, patrimoniali e non patrimoniali, così come da essa potrebbe non scaturirne nessuna. Di conseguenza, con particolare riferimento al danno esistenziale, il danneggiato deve imprescindibilmente precisare il pregiudizio alle sue abitudini di vita e le circostanze che lo comprovino. Cioè deve affermare e provare in cosa la propria esistenza sia diversa da prima dell'illecito. 
a) Le modalità di formulazione della domanda . L'esigenza di compiuta allegazione risponde alla necessità che l'attore espliciti le proprie richieste così da fondare il potere decisorio del giudice ex art. 112 c.p.c. e rendere possibile le difese di controparte. In assenza di adeguata attività assertoria ed idonea richiesta risarcitoria, l'iniziativa del danneggiato andrebbe inevitabilmente incontro ad un esito infruttuoso. 
La via preferibile: la formulazione generica . La Cassazione[49] ha chiarito che qualora la domanda che faccia riferimento in termini generali e complessivi al danno non patrimoniale, pur senza specificare le plurime partizioni che lo compongono, allora esso deve essere liquidato nella sua interezza, cioè in tutti gli aspetti in cui si articola tale ampia categoria. Di conseguenza in questi casi non può essere negato il ristoro del danno morale[50] o del danno biologico[51] , anche se lo specifico riferimento a tali tipologie di pregiudizi viene effettuato dalla parte solo in grado d'appello. Ciò è coerente con il principio per cui l'atto di citazione è viziato solo se la domanda in esso contenuta è assolutamente indeterminata[52] . 
Parte della dottrina[53] dubita che tale soluzione possa mantenere la propria attualità a seguito delle modifiche del processo introdotte con la l. 102/2006 (rito del lavoro per controversie relative al risarcimento di danni da morte causati da sinistri stradali) e con il d.l. 35/2005 (modifiche al rito ordinario). Nella misura in cui il convenuto è ora costretto a sollevare tutte le eccezioni non rilevabili d'ufficio nella comparsa di risposta, da depositare 10 o 20 giorni prima dall'udienza di 1° comparizione, allora si dovrebbe imporre all'attore una analitica esposizione del petitum , ed in particolare dei tipi di danno di cui si chiede il ristoro, per consentire una corretta difesa della controparte, senza il compito defatigante di eccezioni alla cieca. 

 

 

Per la necessaria specificazione delle voci di danno non patrimoniale sembra optare una recentissima pronuncia di Cassazione[54] . In essa si afferma che "il danno esistenziale, inteso come pregiudizio oggettivamente accertabile che altera le abitudini e gli assetti relazionali propri del soggetto, non costituisce una componente né del danno biologico né del danno morale, ma un autonomo titolo di danno. Di conseguenza è necessario che il ricorso introduttivo di un giudizio risarcitorio contenga una specifica allegazione sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo. In mancanza, la richiesta fattane per la prima volta in Appello è da ritenere nuova ed inammissibile ex art. 345 c.p.c. ". Il passo riportato è stato interpretato da autorevole dottrina nel senso di pretendere l'esatta qualificazione del danno richiesto[55] . 
Le insidie della specificazione delle voci di danno richieste . Qualora l'attore si arrischi a qualificare le voci di danno di cui invoca il ristoro, componendo la categoria "una e trina" del danno non patrimoniale, sorge il pericolo di una involontaria autolimitazione della domanda. 
I E' infatti possibile, soprattutto con riferimento alle domande precedenti alla svolta del 2003, che il danneggiato si sia limitato a domandare la liquidazione del danno biologico e del danno morale, senza per nulla accennare alla categoria generale del danno non patrimoniale o al danno esistenziale. 
L'orientamento più rigoroso[56] tende in questo caso a precludere la possibilità di estendere la propria azione anche alle ulteriori specie di pregiudizio non patrimoniale. 
Una tale soluzione, per quanto astrattamente conforme all'art. 112 c.p.c., non tiene in adeguata considerazione il fatto che, prima del 2003, il termine "danno morale" veniva tendenzialmente utilizzato come sinonimo di danno non patrimoniale. Di conseguenza associare all'utilizzo di questa espressione la volontà di limitare il risarcimento sarebbe ingiustamente penalizzante per il danneggiato. Sembra, dunque, ineccepibile la soluzione adottata da Cass. 15022/2005[57] , nella parte in cui afferma che le domande precedenti alle sentenze gemelle devono tendenzialmente essere interpretate in modo da equiparare il concetto di danno morale con quello generico di danno non patrimoniale, sempre che non emerga una precisa volontà abdicativa da parte del danneggiato. In applicazione di questo principio la Suprema Corte ha cassato la sentenza che non aveva indagato se la richiesta dell'attore dovesse essere estesa ad ogni forma di danno non patrimoniale e se la somma liquidata in 1° grado a titolo di danno morale comprendesse anche i pregiudizi di tipo esistenziale[58] . 
Anzi l'impostazione non formalista sembra a chi scrive doversi estendere anche alle domande successive al 2003. Infatti il principio della domanda debba ritenersi fondato, più che sulle qualificazioni giuridiche delle parti, sui fatti che esse effettivamente allegano nei propri atti difensivi. Questo sta a significare che, a prescindere dal fatto che sia invocata una qualche tipologia di danno, l'aspetto fondamentale è dato dalla descrizione dei pregiudizi che il danneggiato ha subito a seguito dell'illecito. Se nell'atto di introduzione del giudizio, costui ha chiesto il ristoro per la perdita dell'autonomo svolgimento di attività quotidiane e relazionali collegate alla lesione dell'integrità psicofisica, la compensazione delle sofferenze interiori patite, il conforto per le ulteriori rinunce ad attività non reddituali in cui la personalità umana trova realizzazione, allora si dovrebbe escludere la necessità di un'esatta qualificazione di tale poste di danno, non diversamente da quanto avviene per le sentenze dal contenuto sostanzialmente equo come visto sub 4c).

 

 

Invece la ricordata sentenza 2546/2007 si orienta verso la pretesa dell'indicazione precisa della natura del danno subito, negando che la domanda precedente al 2003, fondata sulla richiesta dei danni morali, legittimi ad ottenere la liquidazione del danno esistenziale. 
II Un ulteriore pericolo di autolimitazione inconsapevole ricorre quando l'attore indichi nel dettaglio il quantum richiesto per ogni singola posta. Ciò può impedire al giudice di liquidare una somma corrispondente al totale, ma diversamente articolata nelle varie componenti; o ancora può costringere il danneggiato, cui sia stato risarcito, sotto la voce di danno esistenziale, il danno morale richiesto, nella formale denegazione di tale posta per la mancanza del requisito della configurabilità del reato, abbia l'onere di proporre appello incidentale per la parte della sentenza di 1° grado in cui viene rigettata la domanda relativa al danno morale, qualora il danneggiante abbia contestato i criteri di quantificazione del danno esistenziale[59] . 
La giurisprudenza in questi casi cerca di soccorrere alle sbavature tecniche dei difensori[60] affermando che ciò che rileva è il quantum complessivo richiesto, data l'unicità del diritto alla persona, in relazione alla cui lesione si chiedono i danni[61] . 
b) Le modalità di prova . Con riferimento all'onere probatorio, la più volte citata sentenza n. 13546 ha chiarito che lo stretto rapporto parentale è idoneo a fondare una massima di esperienza in base alla quale presumere ex art. 2729 c.c. la sussistenza di danni morali ed esistenziali in capo al congiunto supersite. 
Quindi, a differenza da altre fattispecie, come quella di demansionamento decida dalle Sezioni unite, il danneggiato è agevolato nell'onus probandi , potendosi limitare a dimostrare la sussistenza del legame con il congiunto. Non si tratta di prova in re ipsa ma dell'ordinario funzionamento del meccanismo presuntivo, che consente la prova contraria, per quanto assai difficoltosa per il danneggiante. 
Qualora la giurisprudenza aprisse con decisione alla risarcibilità del danno esistenziale del convivente more uxorio superstite sorgerebbero invece esigenze probatorie più intense, non diversamente da quanto esaminato sub 5a). 
 
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[1] Sez. un. 20 ottobre 1924, in Giur. it. 1924, I, 1, 952. 
[2] In questo senso la stessa relazione del Guardasigilli al Codice. 
[3] C.Cost. 184/1986. 
[4] Per un ampio quadro delle obiezioni dell'impostazione tradizionale alla categoria dei danni riflessi, nonché della evoluzione giurisprudenziale e dottrinale che ha consentito di superare il limite vedi Caringella, "Studi di diritto civile", I, pp. 187 e ss., 2005. 
[5] Ad es. Cendon-Ziviv, "il danno esistenziale", in "Le nuove voci della responsabilità civile", 1992. 
[6] L'atteggiamento negazionista trova fondamento soprattutto su C.Cost. 372/1994. 
[7] Questo orientamento dei tribunali di merito è oggi criticato in Cassazione, sin dalla sentenza 11003/2003, propendendosi per l'appesantimento dei risarcimenti del c.d. danno terminale. 
[8] Così la giurisprudenza assolutamente prevalente liquidava in questa ipotesi (ma non in quella di sopravvivenza del familiare gravemente menomato) il danno morale senza problemi (ad es. Cass. 4169/1988).
[9] Sentenza n. 9556 del 2002. 
[10] Alla base di questa interpretazione vi è l'impostazione per cui gli ambiti ipotizzabili di danno alla persona sarebbero solamente due: quello dell'integrità psicofisica e quello dell'integrità morale. Lo sconvolgimento dell'esistenza, terreno, come si vedrà, del danno esistenziale, non sarebbe risarcibile di per sé, ma solo in quanto fonte di sofferenza interiore, rilevando come parametro del danno morale. Non avrebbe senso affermare che il danno morale è meramente contingente o distinguere tra la sofferenza immediata e quella a lungo termine. Esiste un solo tipo di sofferenza, che viene generata dalle rinunce provocate dall'illecito ed è destinata a protrarsi più o meno lungamente nel tempo. Di conseguenza cumulare il danno esistenziale al danno morale darebbe origine ad ingiustificate duplicazioni. 
[11] Ad es. il Tribunale di Roma nel 1996 ha provveduto a rivedere le proprie tabelle verso l'alto, proprio al fine di inglobare le ricadute esistenziale del decesso della vittima primaria (così espressamente Trib. Roma, sez. XIII, la sentenza del 23/01/2004 (in D&G on line, pubblicata in data 11/02/2004). 
[12] Tale ordinanza è commentata da Barenghi in Corr. Giur. 2002, n.10. Per un'ampia disamina dei tentativi per superare il limite dell'accertamento del reato in concreto sia consentito rinviare a Colasanti, "Lo studio e la redazione del parere di diritto civile", p. 90, 2006. 
[13] Vedi ad es. C.Cass. 8305/1996, 8978/1998, 1516/2001. 
[14] Per tutti vedi Busnelli, "Danno biologico e danno alla salute", in "La valutazione del danno alla salute", 3, 1988. 
[15] Ad esempio Cass. 3025/1985, 6938/1988, 7101/1990. Più recentemente, proprio con riferimento al danno ai congiunti, C. App. Brescia 12/01/2002 (su cui il ricorso deciso da Cass. 19546/2006) per cui, pur escludendosi un trauma psicologico permanente, accertabile secondo i parametri della medicina legale, deve ravvisarsi la sussistenza di un danno psico-fisico permanente, definito esistenziale, rientrante nel concetto di danno biologico. Quest'ultimo corrisponde alla menomazione psico-fisica della persona incidente su tutta la sua concreta dimensione, da quella biologica a quella sociale, culturale ed estetica. Ciò corrisponde alla definizione di salute dell'OMS, nonché alla definizione di salute utilizzata dal legislatore in determinati interventi come l'art. 4 l. 194/1978, con riferimento alle condizioni per l'interruzione della gravidanza, nonché l'art. 9 l. 300/1970, dove si distingue la salute del lavoratore dalla sua integrità fisica. Ciò è altresì coerente con la moderna concezione della persona tutelata a livello costituzionale. Questo tipo di danno, cioè la permanente alterazione familiare, non si confonde con il danno morale inteso come mera sofferenza psichica. 
[16] Sentenza 7713/2000, annotata da De Marzo in Corr. Giur. 2000, n. 7. Tale primo utilizzo della categoria del danno esistenziale aveva sollevato varie perplessità in dottrina, soprattutto per la qualificazione come danno in re ipsa . 
[17] Addirittura c'è chi ha svilito la figura a "mero sofisticato espediente per risarcire il danno morale al di fuori dalle ipotesi di reato ". Così Rossetti, "Separazione dei coniugi e risarcimento del danno morale al coniuge superstite", Corr. Giur. 2003, n. 2. 
[18] Annotate, tra gli altri, da Franzoni in Corr. Giur. 2003, n. 8; Cendon in Resp. civ. e Prev. 2003, p. 675; Navarretta in Foro It. 2003, I, 2272. 
[19] Nonostante l'unanime apprezzamento per la soluzione teorica elaborata dalla Corte, sintetizzata nell'espressione "bipolarità del sistema risarcitorio", si deve sottolineare che dal punto di vista pratico nulla cambi rispetto al passato. In questo senso per il danno biologico vedi Cass. 19057/2003. 
[20] Con questa precisazione le sentenze