Marco Bona



DANNI TANATOLOGICI NON PECUNIARI IURE SUCCESSIONIS E IURE PROPRIO: VECCHI E NUOVI ROMPICAPI DAL RISARCIMENTO DELLA PERDITA DELLA VITA AL DANNO ESISTENZIALE DA UCCISIONE

DANNI TANATOLOGICI NON PECUNIARI IURE SUCCESSIONIS E IURE PROPRIO: VECCHI E NUOVI ROMPICAPI DAL RISARCIMENTO DELLA PERDITA DELLA VITA AL DANNO ESISTENZIALE DA UCCISIONE

 


Marco Bona

 


FONTE Giur. It., 1999, 9

 

Sommario: 1. Il caso. - 2. Danni risarcibili nelle ipotesi di lesioni mortali: l'orientamento giurisprudenziale prevalente e le soluzioni dei giudici biellesi. - 3. La selva oscura dei danni da morte: questioni da rompicapi. - 3.a) Primo rompicapo: il risarcimento della perdita della vita. - 3 .b) Secondo rompicapo: la questione dell'arco di tempo apprezzabile tra evento lesivo e morte e risarcimento del danno biologico iure successionis. - 3. c) Terzo rompicapo: il risarcimento del danno morale iure successionis. - 3.d) Quarto rompicapo: il risarcimento iure proprio dei danni biologico e morale e la via del danno esistenziale da uccisione. - 3.e) Quinto rompicapo: la quantificazione dei danni da uccisione iure proprio. - 3.f) Sesto rompicapo: perdita di più congiunti nello stesso evento lesivo. - 4. La Risoluzione 7-75 del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa: esiste a livello europeo un qualche punto di riferimento per il risarcimento dei danni da morte? - 5. Conclusioni: un cauto invito al legislatore.

 

 

1. Il caso. 
 
In Castellan c. Parouty e S.A.P.A. s.p.a. il Tribunale di Biella era chiamato a decidere sulle richieste risarcitorie avanzate da una vedova e dai suoi due figli maggiorenni per la morte del rispettivo marito e padre, rimasto vittima, all'età di 68 anni, di un incidente stradale e deceduto dopo cinquantasei giorni di sofferenze. 
I parenti del defunto agivano per il risarcimento dei seguenti danni: 
1) il danno emergente per le spese di trasporto in ambulanza e per le spese funerarie; 
2) il danno biologico ed il danno morale sofferti dal de cuius nel periodo di tempo intercorso tra l'evento lesivo e la morte; 
3) il danno morale patito dagli stessi per la perdita del congiunto. 
 
2. Danni risarcibili nelle ipotesi di lesioni mortali: l'orientamento giurisprudenziale prevalente e le soluzioni dei giudici biellesi. 
 
Per quanto inerisce la risarcibilità dei danni oggetto delle domande attoree, la decisione dei giudici biellesi non si discosta dall'orientamento seguito in questi ultimi anni dalla Cassazione e dalla Corte costituzionale(1). 
In particolare, tramite vari richiami ai precedenti della Suprema Corte e della Consulta, la corte biellese accoglie, in modo del tutto acritico, le seguenti guidelines: 
a) danni risarcibili iure successionis (2)

 

 

- morte istantanea: nessun risarcimento iure successionis sia del danno biologico e sia del danno morale(3) ; nessun risarcimento iure successionis per la perdita della vita in sé e per sé considerata(4) ; 
- morte quasi immediata (arco di tempo limitato a pochi giorni o ore): in via generale nessun risarcimento iure hereditario del danno biologico(5) ; qualche possibilità in più per il danno morale(6) ; nessun risarcimento iure successionis per la perdita della vita in sé e per sé considerata(7) ; 
- morte seguita all'evento lesivo dopo un arco di tempo apprezzabile: risarcibili iure successionis sia il danno biologico e sia il danno morale (a prescindere dallo stato di colpevolezza)(8) ; nessun risarcimento iure successionis per la perdita della vita in sé e per sé considerata(9) ; 
b) danni risarcibili iure proprio 
- danno biologico risarcibile iure proprio solo in presenza di una vera e propria patologia(10) ; 
- danno morale risarcibile iure proprio solo ai congiunti stretti del de cuius(11) ; 
- cumulabilità del danno biologico e del danno morale risarcibili iure proprio (12) ; 
- nessuna presa di posizione sul c.d. «danno esistenziale»(13) ;
c) cumulabilità dei danni risarcibili iure successionis con quelli iure proprio (14)
- cumulabili i risarcimenti danno biologico iure successionis e danno biologico iure proprio; 
- cumulabili i risarcimenti danno morale iure successionis e danno morale iure proprio. 
La decisione in commento non fornisce quindi contributi innovativi rispetto al quadro sopra descritto. Essa, tuttavia, offre l'occasione per varie riflessioni sullo stato attuale del risarcimento dei danni da morte e sulla con divisibilità dell'orientamento tracciato dalla Cassazione e dalla Consulta. 
Le soluzioni adottate dai giudici biellesi per la quantificazione dei danni pongono inoltre non pochi problemi di interpretazione e stimolano ulteriormente la riflessione sui danni da uccisione, arricchendola di nuove problematiche. 
A quest'ultimo riguardo si deve infatti rilevare che i criteri seguiti dal Tribunale di Biella per la quantificazione, malgrado adottati da altre Corti di merito e suggeriti dalla stessa Suprema Corte, non convincono fino in fondo e mettono bene in rilievo la confusione e le difficoltà operative, che attualmente ancora regnano in questo campo. 
In relazione ai danni iure successionis i giudici biellesi cadono in una palese contraddizione. Il danno biologico sofferto dalla vittima nel periodo intercorso tra l'evento lesivo e la morte (56 giorni) viene liquidato sulla base dei criteri utilizzati per il risarcimento dell'invalidità temporanea totale, con un risarcimento giornaliero di lire 100.000. In particolare i giudici bielliesi osservano che «il risarcimento non può che essere rapportato al danno effettivo verificatosi, identificabile nella sofferenza patita dal soggetto nel periodo di sopravvivenza in condizioni di salute menomate» e che pertanto «idoneo criterio di liquidazione in via equitativa» è quello riferibile all'invalidità temporanea assoluta, non essendo invece configurabile un danno da invalidità permanente. Quando però si tratta di risarcire il danno morale subito dalla vittima principale nell'arco dei 56 giorni precedenti la morte, tale pregiudizio non viene risarcito in proporzione all'«effettivo danno subito» (rapportandolo, ad esempio, al danno biologico temporaneo), ma viene liquidato in lire 200 milioni, prendendo come base di calcolo, in linea con l'approccio del Tribunale di Milano, il danno morale che la vittima avrebbe sofferto, se fosse rimasta in vita con il 100% di invalidità. 

 

 

Sul punto si pongono pertanto vari problemi di interpretazione: perché il Tribunale di Biella è incorso in questa evidente contraddizione? Operando siffatta quantificazione del danno morale iure successionis, il Tribunale ha forse inteso risarcire la perdita della vita in sé e per sé considerata? Di fatto non ha forse finito per risarcire siffatto pregiudizio? Questa valutazione del danno morale non confligge con le declamazioni contrarie al risarcimento della perdita della vita e con l'assunto che il danno morale risarcibile, come quello biologico, è solo quello effettivamente subito? 
Senza dubbio, per essere coerente con i principi seguiti per la quantificazione del danno biologico e, più in generale, con lo stesso schema tracciato dalla Suprema Corte in Puglisi c. Sanremo Soc. in l.c.a. e dalla Consulta in Sgrilli c. Coki (schema incentrato sull'effettività del danno), il Tribunale biellese avrebbe dovuto liquidare il danno morale, commisurandolo al danno biologico o, comunque, rapportandolo all'effettiva sussistenza temporale del turbamento d'animo, semmai incrementando poi il quantum giornaliero per prendere in considerazione l'intensità del dolore che precede la morte e la consapevolezza del distacco dalla vita. 
Anche la quantificazione dei danni morali spettanti ai congiunti iure proprio apre le porte a non pochi interrogativi. Ha senso risarcire il danno morale iure proprio assumendo come base di calcolo il danno morale, che sarebbe spettato al defunto se, anziché morire, egli fosse sopravvissuto con un'invalidità del 100%? Oppure non sarebbe più opportuno, nell'ambito di una valutazione equitativa, muovere da elementi quali l'età dei congiunti, il loro effettivo legame d'affetto con il defunto, la loro dipendenza economica dallo stesso, la loro partecipazione nell'assistenza al moribondo? E poi, perché il Tribunale di Biella, che pure rientra nella giurisdizione della Corte d'appello di Torino, ha preferito seguire le indicazioni del Tribunale di Milano piuttosto che quelle della Corte torinese, che, tra l'altro, riconosce per i danni da uccisione risarcimenti più elevati rispetto a quelli del foro lombar-do?(15) . 
Insomma, la decisione del Tribunale di Biella in Castellan c. Parouty e S.A.P.A. s.p.a., oltre a stimolare considerazioni sui danni da uccisione, impone di riflettere sull'incertezza, che regna circa criteri di quantificazione, e sulla conseguente mancanza di uniformità tra le decisioni dei vari giudici di merito. 
 
3. La selva oscura dei danni da morte: questioni da rompicapi. 
 
L'orientamento giurisprudenziale, che oggi prevale e, almeno a livello declamatorio, è stato seguito dai giudici biellesi in Castellan c. Parouty, assoggetta, come sopra visto, il risarcimento dei danni da morte a varie restrizioni, ciò sia per i danni iure proprio e sia per i danni iure successionis (per quest'ultimi soprattutto laddove la vittima sia morta all'istante oppure sia rimasta agonizzante «solo» per pochi giorni). 
Al di là dei limiti risarcitori, che possono essere condivisi oppure criticati anche aspramente, ciò che più emerge è senza dubbio l'assenza di linee precise per l'individuazione dei danni risarcibili e la loro quantificazione: la selva dei danni da morte è, appunto, oscura, esattamente come quella in cui Dante smarrì la retta via. 
Districarsi dai rovi della selva e trovare vie di uscita non è operazione facile: il giudizio sui limiti risarcitori e la ricerca di soluzioni definitive comportano, infatti, veri e propri rompicapi, oltre il rischio di trovarsi ad operare scelte di campo (a favore delle vittime oppure dalla parte delle compagnie di assicurazioni e dei danneggiami), scelte che ovviamente il giurista, nel nome dell'obiettività, non vorrebbe mai dover compiere.
Senza, dunque, la pretesa di trovare ad ogni problema una risposta convincente e a tutti gradita, cercherò ora di tracciare una mappa della selva in questione.

 

 

3.a) Primo rompicapo: il risarcimento della perdita della vita.

 


Inoltrandoci nella selva dei danni da morte, troviamo nel problema del risarcimento della perdita della vita in sé e per sé considerata una prima, emblematica, dimostrazione dei rompicapi che questa materia può causare.

Per la Cassazione il punto dovrebbe essere ormai risolto(16) : un conto sono le lesioni e le sofferenze morali, che si collocano nel periodo di tempo intercorso tra l'evento lesivo e la morte, altra questione è la morte stessa, che tronca di netto ogni possibilità di conseguenze pregiudizievoli per il soggetto ormai morto, conseguenze assolutamente necessarie, perché si possa configurare un qualsivoglia risarcimento. 
In Puglisi c. Sanremo Soc. in l.c.a.(17) , sentenza più volte richiamata dai giudici biellesi nella decisione in commento, la Suprema Corte ha ritenuto infondata la critica, secondo cui, rimanendo la lesione del fondamentale diritto alla vita del tutto sfornita di tutela privatistica, sarebbe per assurdo più conveniente, sotto l'aspetto economico, che la vittima muoia sul colpo piuttosto che resti permanentemente menomata anche solo in modo lieve(18) . 
Secondo la Cassazione, infatti, l'assenza di una tutela nell'ambito della responsabilità civile non implicherebbe comunque un difetto di tutela del bene vita: quest'ultimo sarebbe invero protetto dall'ordinamento tramite i meccanismi della responsabilità penale(19) . 
La posizione della Cassazione non è tuttavia inattaccabile(20) . Sarà poi così vero che la perdita della vita, come la Cassazione ha affermato in Puglisi, non può essere risarcita, in quanto «il risarcimento, in definitiva, mira a ricostituire, in forma specifica o per equivalente, la consistenza del patrimonio (inteso in senso lato, comprensivo quindi anche dei diritti alla persona) del soggetto vittima dell'illecito, e nel caso di morte tale ricostruzione non è possibile»?(21) . Oppure il risarcimento può benissimo assolvere ad altre funzioni, tra le quali quella preventiva e quella punitiva? Non è forse beffarda (22) la considerazione che la vita è talmente più importante della salute da essere esclusa dai meccanismi risarcitori previsti per i danni biologico e morale? 
Argomenti per rispondere a questi interrogativi certo non mancano. 
Si può, ad esempio, osservare che senz'altro la perdita della vita costituisce una lesione di un bene giuridico costituzionalmente protetto (la vita) (23) e senza dubbio chi la subisce è una vittima nel senso che, attraverso la morte, ha subito un danno(24) . Sul fatto poi che il bene giuridico leso non sia la salute, ma la vita ci sarebbe da disquisire a lungo, poiché sarebbe risibile sostenere che la morte non è una lesione alla salute. 
È invece del tutto realistico individuare il presupposto del diritto alla salute nel diritto alla vita: la protezione del primo bene non può che inserirsi nella più ampia tutela del secondo, costituendo la salute una qualità della vita.
Sul punto il Tribunale di Massa Carrara(25) , nell'interessante decisione Salvetti ed altri c. Bernardini e Soc. Assicurazioni d'Italia, ha osservato, addentrandosi in considerazioni pseudo-filosofiche, che «non è necessario che il leso viva perché si abbia danno alla salute essendo questa solo una qualità della vita o meglio l'in sé della vita, cioè di quella forza vitale che tende per virtù propria ad espandersi nel mondo esterno in una continua e incessante ricerca delle condizioni più favorevoli in un continuo e costante sviluppo degli adattamenti più consoni alla conservazione della vita».
Sempre il Tribunale di Massa Carrara, nella sentenza Baria c. Panseri e Toro Assicurazioni, afferma che il diritto alla salute « dipende e non può prescindere dal diritto alla vita»(26) .
L'inquadramento della perdita della vita come lesione del bene salute o piuttosto del bene vita diventa tuttavia una semplice questione di classificazione della realtà, allorquando si consideri che un danno ad ogni modo sussiste ed è senz'altro risarcibile ex art. 2043 c. c.(27) : il problema che allora si pone è esclusivamente quello di scegliere se risarcirlo o meno.
E qui ci troviamo appunto a dovere risolvere un vero e proprio rompicapo (rompicapo, che i giudici biellesi, nella decisione che si commenta, hanno, come del resto la maggior parte delle Corti di merito, ignorato).
La tesi della Cassazione in Puglisi che la restitutio in integrum non possa operare nei confronti del morto è ovviamente logica, poiché solo in una realtà virtuale si potrebbe immaginare la restitutio in vitam e cioè un risarcimento in grado di riportare il defunto ad una condizione la più possibile vicina a quella precedente al tragico evento lesivo, ma è anche vero che lo stesso problema potrebbe essere posto per il risarcimento dei danni biologico e morale nelle ipotesi in cui la vittima rimanga in vita: un esperto scalatore ridotto alla paraplegia non potrà certo ritornare in cima alle sue amate cime, una madre ridotta alla cecità non potrà più vedere il sorriso dei suoi figli, un pianista, cui è stata amputata la mano, non potrà più suonare. Anche in questi casi, insomma, il risarcimento integrale è una finzione, un'idea platonica, uno scopo raggiungibile solo nella realtà virtuale.
Il fatto che la restitutio in integrum non possa trovare applicazione è, quindi, un'argomentazione facilmente superabile, almeno su un piano logico.
Peraltro, se si vuole comunque rispondere alla Cassazione sullo stesso terreno (quello delle funzioni risarcitone), sarà sufficiente individuare per il risarcimento in questione funzioni diverse da quella meramente reintegratoria.
La Cassazione, sempre in Puglisi, ha negato questa possibilità, affermando che il risarcimento può solo avere finalità reintegratone e ripa-ratrici(28) , ma questa risposta, che mira ad escludere in loto qualsiasi altra funzione del sistema risarcitorio, è contraddetta in primis dallo stesso ruolo «organizzativo» che la responsabilità civile gioca nel nostro ordinamento ed in altri sistemi giuridici(29) .
Molto semplicemente si può osservare che la responsabilità civile inerisce le conseguenze negative derivanti dall'attività umana che arrechi dei danni alla sfera giuridica altrui(30) : il complesso delle regole della responsabilità civile trova la sua più generale giustificazione nello scopo di evitare che si verifichino dei danni.
Attraverso il risarcimento dei danni la responsabilità civile attua e rafforza la sua funzione di prevenzione ed autoregolamentazione del comportamento dei consociati: generare un danno non conviene, perché la condotta lesiva obbliga al risarcimento, chi rompe paga.
Se dunque è vero che il risarcimento del danno svolge altre funzioni oltre quella squisitamente riparatoria e, talvolta, può anche arrivare a costituire un punishment privato(31) , è altresì evidente che anche per la perdita della vita - la più grave che una persona possa subire - è ben possibile ipotizzare la liquidazione di un danno.
In questo senso si era espresso il Tribunale di Firenze in Marsili c. Giaccari(32) , laddove il problema della perdita della vita veniva affrontato proprio alla luce delle funzioni che caratterizzano la responsabilità civile. In particolare il Tribunale rilevò che, assolvendo il risarcimento del danno alla salute - bene che di per sé non ha un mercato e dunque un prezzo corrente - squisitamente ad una funzione sanzionatoria, a maggior ragione la violazione più grave (la privazione della vita) deve postulare una sanzione maggiore.
La stessa Corte di cassazione(33) , del resto, è recentemente giunta, affrontando la vexata quaestio del risarcimento del danno morale ai congiunti della vittima principale rimasta in vita, a prendere atto che nella responsabilità civile possono ben albergare più funzioni e che il risarcimento del danno non patrimoniale può rispondere, oltre che alla funzione risarcitoria, anche a quella satisfattiva, punitiva e preventiva (Pinna c. Pelucchi).
In breve, sulla base dell'analisi delle funzioni che svolge il risarcimento dei danni, si deve concludere che la possibilità di risarcire la perdita della vita ime hereditatis è anche da questo punto di vista assolutamente sostenibile.
Malgrado tutte queste argomentazioni a sostegno della risarcibilità della perdita di vita in sé e per sé considerata, bisogna tuttavia ammettere che non è semplice condannare o assolvere l'orientamento prevalente, tacitamente condiviso dai giudici biellesi nella decisione in commento.
Forse, in fondo, ciò che ostacola il risarcimento iure successionis della perdita della vita è l'idea di attribuire all'essere umano un prezzo.
Ci troviamo, insomma, di fronte al classico dilemma della trasformazione dell'impalpabile in valori pecuniari: tale operazione forse potrà non piacere a tutti e talvolta potrà fare a pugni con l'incommensurabilità di determinati beni, ma, intanto, è su di essa che si regge in tutti gli ordinamenti il sistema risarcitorio dei danni non-patrimoniali. Non si può insomma criticare tale operazione solo in determinati casi: o si critica in toto il principio per cui è possibile trovare un prezzo per l'uomo ed i suoi valori, oppure non si vede perché la trasformazione in denaro di perdite di valori incommensurabili possa avere luogo senza problemi in talune ipotesi (ad esempio la perdita della vista o dell'udito), mentre in altre (la perdita della vita) è bandita dalle Corti quasi come si trattasse di un'idea blasfema.
Peraltro è pure possibile giungere in concreto a trovare delle vie, ovviamente convenzionali, per la quantificazione della perdita della vita: con un po' di fantasia (che in questo settore non può mai mancare) si possono, infatti, ipotizzare diverse soluzioni.
Si potrebbe, ad esempio, chiedere al giudice di risarcire il danno non patrimoniale in questione prendendo come base di calcolo il danno biologico, che sarebbe spettato al defunto se, anziché morire, fosse rimasto in vita con un'invalidità del 100%(34) .
Oppure si potrebbe risarcire un ammontare convenzionale, esattamente come fino a pochi anni or sono accadeva nel sistema inglese con il risarcimento iure successionis della c.d. «loss of expectation of life»(35) , liquidato con una somma standard, che nel 1979 si aggirava intorno alle 1.250 sterline(36) .
A questo punto l'interprete, anche a fronte dell'orientamento giurisprudenziale contrario al risarcimento del pregiudizio in questione, deve porsi un altro problema, chiedendosi quale soggetto sia tenuto a compiere la scelta di attuare o meno il risarcimento della perdita della vita: spetta al legislatore operare una decisione in questo senso oppure è possibile lasciare la materia ai giudici come finora è avvenuto?
Anche la risposta a questa domanda implica una serie non indifferente di rompicapi.
Potremmo, per esempio, notare che la negazione del risarcimento della perdita della vita comporterebbe tutta una serie di conseguenze rilevanti sull'operatività delle varie funzioni dell'istituto della responsabilità civile: si avrebbe in primis una restrizione degli strumenti posti a disposizione dei soggetti legittimati iure successionis, con l'ulteriore effetto di una diminuzione, sui potenziali danneggianti, della pressione costituita dal riconoscimento di azioni in capo a soggetti non legati alla vittima da un rapporto affettivo stretto (lontani parenti, enti pubblici e privati, ecc).
Insomma, si potrebbe ritenere che la decisione sulla risarcibilità di tale perdita sia essenzialmente una scelta «politica», che, in quanto tale, sarebbe opportuno lasciare al legislatore, il quale, a differenza dei singoli giudici, è forse più in grado di combinare insieme, nel rispetto dell'efficienza e del benessere del sistema, più elementi dell'ordinamento (regole della responsabilità civile, social security System, norme penali, sanzioni amministrative, ecc).
La via legislativa non sembra, in fondo, suonare così male, ma è ovvio che bisogna nutrire una certa fiducia in chi scrive le norme, il che non pare possibile in Italia, se solo si considera che in tutti questi anni non si è mai avviato un dibattito serio in Parlamento su questa materia. 

 

3 .b) Secondo rompicapo: la questione dell'arco di tempo apprezzabile tra evento lesivo e morte e risarcimento del danno biologico iure successionis.

 

La risarcibilità della perdita della vita in sé e per sé considerata non è comunque l'unica questione da rompicapi che si incontra trattando di danni tanatologici iure hereditatis. Il Tribunale di Biella ci ricorda, infatti, che il risarcimento iure successionis del danno biologico, secondo la Cassazione e la Consulta, postula necessariamente la permanenza in vita del soggetto leso per un «arco di tempo apprezzabile»(37) . 
Dalle più recenti decisioni della Suprema Corte, che si sono occupate del problema, emerge in particolare quanto segue: a) nell'istante non sorge alcun diritto al risarcimento del danno biologico [Assitalia SpA e. Trisorio e altri(38) , Giuffré c. Eredi di Bramieri (39) Durante e. RAS Soc.(40) ]; b) tre giorni non sono sufficienti a configurare siffatto danno {Monaco ed altri c. La Nationale Assicurazioni(41) ]; c) trenta giorni costituiscono un periodo di tempo «apprezzabile» e quindi meritevole di tutela (Puglisi c. Sanremo Soc. in l.c.a.(42) ]. 
Per quanto inerisce l'istante può essere anche condiviso l'assunto della Cassazione: si potrebbe cioè accogliere la tesi per cui il danno biologico, così come è stato configurato nel nostro sistema, presuppone che il soggetto sperimenti nel tempo le conseguenze negative dell'evento lesivo, seppure è altresì vero che il 100% di invalidità permanente descrive nella medicina-legale la morte della vittima. Per la morte immediata, in quest'ottica, sarebbe quindi ipotizzabile solo il risarcimento della perdita della vita, ma di questo rompicapo si è già detto a lungo sopra e certo la Cassazione è contraria a questo tipo di risarcimento.
Non si può invece concordare con la Suprema Corte, quando dichiara che tre giorni non possono dare origine al risarcimento ime suc-cesionis del danno biologico, in quanto non costituirebbero un periodo di tempo apprezzabile ai fini del risarcimento del pregiudizio alla salute(43) .
Tale soluzione, peraltro collegata dalla Cassazione all'asserita impossibilità di procedere ad una qualsivoglia quantificazione, comporta contraddizioni palesi e decisamente infelici: se la vittima, ad esempio, rimane obbligata due giorni a letto e poi si riprende, avrà diritto a chiedere il risarcimento del danno biologico da invalidità temporanea totale; se invece la stessa muore, questi due giorni di sofferenza, magari accompagnati dalla tragica consapevolezza di stare trapassando, vengono di fatto azzerati.
Non si potrebbe allora risarcire i due giorni, che precedono la morte, con lo stesso criterio convenzionale con cui viene risarcita l'invalidità temporanea(44) , eventualmente aumentando il quantum per dare giusto peso all'evento morte che incombe sulla vittima?
La logica ed il buon senso dovrebbero suggerire una risposta positiva a quest'ultimo quesito(45) , contrariamente a quanto invece continua a sostenere, senza troppi sforzi argomentativi, la Cassazione(46) . Peraltro, in questo modo potrebbero essere risarciti anche un solo giorno di sofferenza o una manciata di ore: infatti, se per l'invalidità temporanea totale giornaliera attribuiamo, ad esempio, il valore di 100.000 lire, tale valore potrà essere diviso per il numero di ore, che compongono il giorno, ed a sua volta il valore orario per il numero di minuti fino a raggiungere il nano-secondo. Il problema è piuttosto se agli eredi convenga agire ime successionis per un danno che può talvolta ammontare a ben poche lire, ma questa è esclusivamente una questione di convenienza dei legittimati attivi.
È quindi chiaro, a questo punto, che la vera ragione del limite temporale posto dalla Suprema Corte non è tanto l'impossibilità di procedere alla quantificazione del danno, ma piuttosto la volontà di restringere l'area dei danni risarcibili a titolo ereditario e, conseguentemente, evitare che danni di piccola entità diventino argomento di discussione tra le parti in causa: insomma, meno danni per i legittimati attivi iure successionis, meno cause, meno litigiosità.
Siffatto approccio non caratterizza ovviamente solo le Corti italiane: invero in tutti gli ordinamenti i giudici, in particolare quelli dei gradi superiori, alternano aperture degli schemi risarcitori ad azioni di contenimento volte a frenare l'espansione della responsabilità civile(47) , soprattutto laddove si verifica il decesso della vittima principale. Si dovrebbe allora ritornare a discutere di legai process, e cioè sarebbe necessario indagare nuovamente su chi ricada il compito di tracciare i confini tra ciò che è risarcibile e ciò che non lo è, ma di questo si è già detto sopra in relazione al risarcimento della perdita della vita.
È opportuno invece osservare qui che l'orientamento attualmente seguito dalla Cassazione, per cui è lasciato alle Corti di merito il compito di accertare discrezionalmente la sussistenza dell'arco di tempo apprezzabile(48) , offre spazio a notevoli divergenze tra le varie decisioni, differenze che si fanno ancora più evidenti in conseguenza dell'adozione da parte delle Corti di criteri diversi di quantificazione dei danni.
Si hanno così, in un contesto di totale anarchia, Corti, che hanno liquidato per una sola ora di vita ben 375 milioni di danno biologico(49) , e Corti, che, pur applicando lo stesso principio cui sono ricorse le prime, risarciscono per 56 giorni di sofferenza 5.600.000 lire(50) ; senza poi contare i giudici, che, in palese contrasto con le decisioni della Corte di cassazione, non applicano il criterio dell'apprezzabilità dell'arco temporale e riconoscono, attribuendo somme peraltro elevate, anche il danno biologico da morte istantanea(51) .
Tale situazione contribuisce senza dubbio a rendere il campo dei danni da morte una vera e propria lotteria dei risarcimenti(52) , incentivando altresì il fenomeno del cosiddetto «forum shopping». 

 

3. c) Terzo rompicapo: il risarcimento del danno morale iure successionis.

 

Un altro punto oscuro della selva dei danni da uccisione è costituito dal risarcimento iure successionis del danno morale nei casi, in cui la vittima principale si trovi in uno stato di coma e non si renda conto della sua tragica situazione. Una morte «senza sofferenza» può comportare il risarcimento del danno morale? La risposta a questo quesito dipende ovviamente dal contenuto che si vuole attribuire alla categoria del danno morale: è un danno di tipo soggettivo oppure è di tipo oggettivo? 
Le Corti inglesi, che sui c.d. «predeath paing and suffering» certo non largheggiano nei risarcimenti(53) , hanno insistito nel dire che il soggetto deve avere effettivamente sperimentato la sofferenza: deve cioè essere soddisfatto il requisito della «actual experience». 
Nel sistema inglese, tuttavia, non ci sono dubbi sulla soggettività del test, che si deve applicare per il risarcimento del pai» and suffering, poiché i contorni di queste voci risarcitorie sono da tempo ben definite: il «pain» consiste in una sensazione di prostrazione psichica, che deriva direttamente, attraverso il sistema nervoso, dalle modificazioni peggiorative dello stato fisico della vittima attribuibili all'evento lesivo o alle conseguenze occasionate da questo (ad esempio dai trattamenti medici, cui viene sottoposta la vittima)(54) ; il «suffering» è sempre uno stato psichico derivante dall'avere sperimentato l'evento lesivo, ma non direttamente connesso alla menomazione fisica subita (ad esempio ansia generalizzata, attacchi di panico, ecc.)(55) . 
In Italia, invece, non sappiamo esattamente come muoverci, perché in realtà non abbiamo ancora capito quale sia il contenuto della categoria del danno morale. 
La decisione della Cassazione in Soc. Ufficio Centrale Italiano e. Francia(56) , sembra optare per un danno morale di tipo oggettivo, che prescinde dalla consapevolezza della vittima: nel caso di specie, infatti, è stato risarcito iure successionis il danno morale di una vittima rimasta in vita, in uno stato di incoscienza, per quindici giorni. 
Siffatta sentenza, tuttavia, non è idonea a liquidare il problema, poiché manca sul punto una motivazione tale da convincere l'interprete che la strada percorsa è quella giusta. La Cassazione, infatti, si limita, confondendo peraltro tra danno psichico e danno morale, ad osservare che «il danno non patrimoniale (o morale) ... ha il suo fondamento in un ingiusto anche se non duraturo turbamento dello stato d'animo in diretta conseguenza dell'offesa subita e può consistere nella riduzione e nello squilibrio delle capacità intellettive del leso», con la conseguenza che «il danno non patrimoniale è ipotizzabile anche nel caso di sofferenze fisiche e morali sopportate in stato di incoscienza». 
Orbene, questo precedente della Suprema Corte dimostra essenzialmente che sul punto continuerà a permanere una grave situazione di incertezza fino a quando persisterà la confusione che oggi regna sui contenuti del danno morale, confusione della quale si dirà più avanti trattando dei danni iure proprio.
Se comunque si tenesse ferma la definizione di danno morale offerta dalla Corte costituzionale in Sgrilli c. Coki («patema d'animo» o «stato di angoscia transeunte»)(57) , i dubbi sulla risarcibilità del danno morale anche in presenza di uno stato di coma troverebbero senz'altro ulteriori ragioni d'essere, poiché ben difficilmente si potrebbe avere uno stato di angoscia in un caso di coma profondo.
Rimane inoltre apertissimo il problema della quantificazione del danno morale iure successionis, come appunto è dimostrato dalla stessa sentenza del Tribunale di Biella in esame. È necessario rapportare il danno morale al danno biologico? Oppure è possibile adottare altri metodi di valutazione?
Il Tribunale di Biella propone di quantificare il danno morale iure successionis assumendo come base di calcolo il danno morale che sarebbe spettato al defunto se, anziché morire, fosse sopravvissuto ed avesse riportato un'invalidità pari al 100%.
Ma a questo punto non si prende in considerazione anche il diverso pregiudizio della perdita della vita? Non vengono a confondersi tra loro perdite differenti nei contenuti?
La soluzione dei giudici biellesi potrebbe andare anche bene sotto il profilo del risultato, ma una quantificazione del genere non è certo in sintonia con l'orientamento della Cassazione e della Consulta, per cui - ciò è chiaro - possono essere risarciti iure successionis solo i danni che effettivamente hanno avuto luogo nel periodo intercorso tra l'evento lesivo e la morte.
Altra via per quantificare il danno morale iure successionis potrebbe essere di calcolarlo in considerazione dei giorni di sopravvivenza della vittima, assegnando una somma per ogni giorno di vita. Ciò ovviamente non implica che sia necessario quantificare il danno nella misura tra 1/2 e 1/4 del danno biologico, poiché, a fronte delle particolari sofferenze della vittima e di altre considerazioni fattuali, si potrebbe stabilire di attribuire al danno morale lo stesso valore attribuito al danno biologico da invalidità temporanea oppure anche un valore ben superiore.
A fronte di queste diverse prospettazioni non è certo facile indicare quale sia il modus operandi preferibile. Certamente il metodo utilizzato dal Tribunale biellese si presta a numerosi equivoci e critiche.
Insomma, trattando di quantificazione del danno morale è inevitabile finire a parlare nuovamente del contenuto di tale categoria e delle sue finalità: i rompicapi hanno purtroppo anche il difetto di venire sempre tutti insieme. 

 

3.d) Quarto rompicapo: il risarcimento iure proprio dei danni biologico e morale e la via del danno esistenziale da uccisione.

 

Venendo ad altri autentici rompicapi, si finisce ovviamente con il discutere dei danni da morte risarcibili iure proprio, il cui quadro presenta una notevole varietà di posizioni ed una continua fioritura di teorie. 
La storia di questo tipo di risarcimenti non è certamente tortuosa e complessa quanto quella dei danni iure successionis(58) , ma merita qui di essere riassunta onde meglio comprendere le ragioni dell'attuale stato di incertezza e confusione che caratterizza questo particolare ambito. 
Il principio, per cui i congiunti del defunto possono agire iure proprio per il risarcimento del danno non patrimoniale sofferto per la dipartita del loro caro, era già affermato nell'Italia pre-repubblicana(59) .
In Antonini e. Consorzio bonifica di Metaponto (1964) (60) la Cassazione delineò poi in modo del tutto inequivocabile la diversità delle azioni iure hereditario e iure proprio, affermando sostanzialmente la possibilità di cumulare i due risarcimenti e, di fatto, escludendo il rapporto di alternatività tra le due azioni(61) .
In dottrina il De Cupis(62) , nell'ormai lontano 1970, ebbe a sua volta cura di precisare che per l'uccisione di una persona esiste un «duplice titolo di risarcimento»: «il danno subito dal soggetto del bene della vita, owerossia la lesione dell'interesse di tale soggetto, oltre al danno subito dai congiunti superstiti, alla lesione, cioè, dell'interesse di tali congiunti. A tali distinti danni corrispondono distinti diritti al risarcimento, aventi diverso fondamento ed obbietto». A ciò aggiunse che «diversi soggetti possono essere titolari dei detti diritti: rispettivamente, gli eredi e i congiunti superstiti... ma poiché qualità ereditaria e legame familiare col defunto spesso concorrono nello stesso soggetto, può aversi cumulo, in questo, di due distinti ed autonomi diritti, rispettivamente basati sulla detta qualità e sul detto legame e miranti a conseguire il risarcimento del danno già subito dall'ucciso e del danno proprio, personalmente subito».
Dottrina (63) e giurisprudenza (64) successive hanno tuttavia impiegato non pochi anni a comprendere tale linea di demarcazione tra danni risarcibili iure proprio e danni iure successionis e la cumulabilità delle rispettive azioni, a tal punto che, ancora recentemente, la Cassazione, nella già menzionata decisione Puglisi e. Sanremo Soc. in L.c.a.(65) , ha dovuto ribadire che è del tutto erroneo ravvisare una «indebita duplicazione di risarcimento, qualora gli eredi azionino iure successionis, nei limiti della propria quota, il diritto di credito sorto in capo al defunto per il risarcimento del danno morale dal predetto sofferto in vita per le lesioni subite, richiedendo altresì iure proprio, non già quali eredi, ma quali prossimi congiunti del soggetto deceduto, il risarcimento del danno morale da ciascuno di essi sofferto a causa del turbamento provocato dalla morte del proprio congiunto». In particolare, la Suprema Corte ha dovuto ricordare, oltre ovviamente alla differenza di titoli delle due pretese, la diversità del danno, che viene in considerazione nelle due ipotesi, e dei soggetti che lo subiscono: «nel primo caso, v'è un unico danno subito dal soggetto offeso a causa delle lesioni subite; nel secondo, è ravvisabile (se più sono i congiunti) una pluralità di danni, di possibile diversa graduazione secondo l'intensità del legame, subiti dai congiunti in conseguenza della morte del familiare».
La storia dei danni da uccisione iure proprio ha ovviamente dovuto fare i conti con l'ingresso dirompente del danno biologico nel sistema risarcitorio.
Negli anni 70 la dottrina civilistica, in stretto contatto con alcune Corti di merito(66) , creò, infatti, le premesse per la soluzione operativa della risarcibilità del danno biologico e nel 1979 la Corte costituzionale forni un suo primo importante contributo alla costruzione del nuovo sistema risarcitorio del danno alla persona, configurando il diritto alla salute, di cui all'art. 32 della Costituzione, «come un diritto primario ed assoluto, pienamente operante anche nei rapporti tra privati» e sostenendo, in conseguenza di siffatto inquadramento, la piena risarcibilità di tutti «gli effetti della lesione al diritto, considerato come posizione soggettiva autonoma, indipendentemente da ogni altra circostanza o conseguenza»(67) .
La Suprema Corte contribuì a sua volta alla costruzione dell'innovativa categoria del danno alla salute, riconoscendo in Ferrante c. Lisi (68) che «il danno cosiddetto biologico (...) deve essere considerato risarcibile, ancorché non incidente sulla capacità di produrre reddito, ed anzi, indipendentemente da quest'ultima».
Nel 1986 si ebbe poi l'intervento della Corte costituzionale con il famoso leading case Repetto c. A.M.T. di Genova e Saporito c. Manzo, in occasione del quale venne definitivamente tracciato per il risarcimento dei danni alla persona lo schema risarcitorio caratterizzato da tre distinte categorie: il danno biologico [danno evento, risarcibile a prescindere da qualsiasi compromissione del reddito(69) ], il danno patrimoniale ed il danno morale subiettivo (questi ultimi due qualificati come danni conseguenza).
La novità di siffatto modello risarcitorio era costituita essenzialmente dal riconoscimento della risarcibilità ex art. 2043 c. c. (+ art. 32 Cost. ) del danno biologico, figura comprensiva di qualsiasi tipo di violazione ingiusta dell'integrità psicofisica della persona e, come in questi anni è stato più volte precisato dalla giurisprudenza e dalla dottrina, da considerarsi in relazione alla integralità dei suoi riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività, le situazioni ed i rapporti in cui la vittima realizza se stessa nella propria vita, con riferimento quindi, oltre che alla sfera produttiva, anche alla sfera spirituale, culturale affettiva, sociale, sportiva e cioè a tutte le attività realizzatrici della persona umana(70) .
Nell'ultimo decennio si è poi assistito alla riconduzione nella figura del danno biologico di tutta una serie di voci risarcitorie autonome elaborate in precedenza, tra le quali il danno estetico(71) , il danno alla vita di relazione(72) , il danno alla vita sessuale (73) e l'incapacità lavorativa generica(74) : per l'appunto il ed. «fenomeno dell'assorbimento».
Contemporaneamente a questi passaggi, si è altresì verificato un progressivo allargamento del danno biologico ben al di fuori della sua matrice medico-legale(75) .
In questo contesto si deve ricordare soprattutto la decisione della Cassazione in Santarelli c. Santandrea e Lucidi (1986)(76) , in cui si trattava di decidere sulla richiesta di risarcimento per danno alla salute, avanzata dal ricorrente per il fatto che la propria consorte, a causa di un errore professionale commesso dal medico curante, non era più in grado di intrattenere rapporti sessuali. Nel caso di specie la Suprema Corte giunse a risarcire all'attore un danno ex art. 2043 c. c, sulla base che il diritto ai rapporti coniugali è «diritto alla persona» e, in quanto tale, «va equiparato al diritto alla salute, quale diritto della persona all'integrità fisio-psichica»(77) .
Tale progressivo allargamento del danno biologico ha finito per influenzare anche il risarcimento dei danni da uccisione. Anzi, proprio il ragionamento operato dalla Cassazione in Santarelli c. Santandrea e Lucidi è stato, su spinta di parte della dottrina(78) , preso a modello, cosicché si è venuto ad affermare il principio, per cui, se è considerato danno alla salute il pregiudizio del coniuge derivante dalla lesione fisica e/o psichica dell'altro coniuge, a maggior ragione è danno biologico, sotto l'aspetto del rivitalizzato danno alla vita di relazione, quello che subisce il coniuge superstite per la perdita di un proprio familiare(79) .
Esplicita in questo senso è stata la decisione del Tribunale di Treviso in Cendron c. Veneta Assicurazioni S.p.A. e altri (1992)(80) : «se è stato riconosciuto il danno biologico ai prossimi congiunti nel caso di lesione fisica riportata da un familiare, a maggior ragione va riconosciuto tale danno quando il rapporto matrimoniale o quello fra genitori e figli viene non solo limitato, ma addirittura soppresso a causa dell'uccisione del familiare ad opera di un terzo».
La nuova categoria del danno biologico, nell'ambito dei danni da uccisione iure proprio, è stata pertanto interpretata in modo piuttosto ampio, facendola cioè coincidere non già con la menomazione dell'integrità psico-fisica da provare con una perizia medico-legale, ma direttamente con la lesione del bene salute in sé e per sé considerata, con un'evidente confusione tra danno biologico e lesione della salute(81) .
Questa impostazione è stata seguita, ad esempio, dal Tribunale di Milano in Bolignano elorio c. La Verde e U.A.P. Italiana S.p.A. (1993) (82) e in Penna e altri c. Minutillo e Soc. Riunione Adriatìca di sicurtà (1993)(83) .
Nel primo caso era in questione il danno sofferto dai genitori per la morte dell'unica figlia, una ragazza di sedici anni, in un incidente stradale. I giudici milanesi, oltre a risarcire il danno morale in lire 150.000.000 per ciascun genitore, hanno riconosciuto altresì la somma di lire 60.000.000 ciascuno a titolo di danno biologico iure proprio, osservando che la morte della figlia, incidendo sulla «personalità degli attori» ed essendo la personalità «un'espressione della psiche dell'individuo», aveva «certamente intaccato l'integrità psichica e quindi il bene salute degli attori».
Nel secondo caso, sempre oltre al risarcimento del danno morale, è stato liquidato ai congiunti della vittima principale (un anziano padre di famiglia) anche il danno biologico: 20.000.000 per la vedova, 15.000.000 alla figlia (41 anni) e 5.000.000 al figlio non convivente. In tale decisione, peraltro, si legge espressamente che «nell'ipotesi di morte di un soggetto ... gli effetti dannosi si ripercuotono necessariamente sui familiari alterandone l'ordinario svolgimento della vita familiare con conseguenze incidenti sul "valore uomo" di ciascun familiare convivente che subisce, quindi, autonomamente un danno di natura psico-fisica (danno biologico)»: «tale danno non abbisogna di prova specifica potendosi ritenere compresa nel notorio la diminuzione della capacità psico-fisica dei soggetti che si trovano nella citata condizione, pur dovendosi sempre valutare le peculiarità della specifica fattispecie»(84) .
Nel solco di questa lettura estensiva del danno biologico, decisamente favorevole al risarcimento delle vittime di rimbalzo, si è anche arrivati a fare coincidere questo danno con il «fatto storico di non avere più il marito o il padre o il figlio e quindi di non poter più essere (relativamente a quella persona) moglie, figlio o genitore» (85).
L'orientamento finora descritto ha posto ovviamente non pochi problemi di interpretazione e parte della dottrina non ha esitato a mettere in luce come l'allargamento della nozione del danno biologico e, in particolare, del danno psichico possa finire invero con il creare indesiderate confusioni tra danno psichico e danno morale, con conseguenti rischi di duplicazione delle voci risarcitone(86) .
Nella direzione contraria si è altresì posta parte della giurisprudenza. Si ricorda, ad esempio, la decisione della Corte di appello di Roma in Bettollini e Cresti c. MEIE Assic.(87) , in cui è stato appunto affermato che per il risarcimento iure proprio del danno alla salute occorre che siano dimostrate le lesioni di natura bio-psichica subite dalla vittima secondaria e gli eventuali postumi di natura permanente(88) .
A sua volta la Corte di appello di Milano in Soc. Liguria e Montagna c. Costa (89) ha sostenuto che il danno biologico sofferto dai familiari per la morte del congiunto deve essere provato «con riferimenti precisi a comportamenti reali, di valenza morbosa evidente o, almeno, chiaramente ed univocamente sintomatica».
Orbene, in questo contesto di abusi o stravolgimenti della categoria del danno biologico, di isolati tentativi di trovare altre vie e di critiche all'allargamento del danno biologico, la Corte costituzionale è intervenuta nel dibattito con la decisione Sgrilli c. Coki(90) , sollecitata da un'ordinanza del Tribunale di Firenze(91) , in cui era stata prospettata l'eccezione di incostituzionalità dell'art. 2043 e, in subordine, dell'art. 2059 c. e, in relazione agli artt. 2, 3, 32 Cost. , in quanto tali norme non avrebbero consentito il risarcimento del danno per violazione del diritto alla vita, sia sotto il profilo iure successionis, sia sotto quello iure proprio(92) .
Per quanto inerisce il profilo dei danni subiti dai familiari dell'ucciso, l'ordinanza in questione, chiaramente attirata dalla linea incline ad agevolare il risarcimento ai congiunti del danno biologico iure proprio per il solo verificarsi della morte della vittima principale, rilevava quanto segue:
1. «non si vede quale ostacolo possa porsi, almeno in astratto ..., a ritenere che in presenza e per causa della morte del soggetto leso si determini l'evento (naturalistico) di una rilevante lesione della integrità psico-fisica (con evidente accentuazione dell'aspetto psichico della stessa) in danno degli stretti congiunti»;
2. «che un danno siffatto possa ... in qualche modo confondersi col danno morale subiettivo ... va radicalmente escluso»: infatti, «risarcendo, sotto il profilo della lesione della salute, il danno per menomazione della integrità psico-somatica conseguente la morte del congiunto, si prende in considerazione l'evento in sé e per sé valutato della violazione di un bene primario costituzionalmente garantito; risarcendo, invece, il danno morale si prende in considerazione un effetto pregiudizievole di quella lesione, e ciò, peraltro, solo nel caso che esso assuma giuridica rilevanza»(93) ;
3. «indiscusso essendo ... in tutti gli altri diversi casi il risarcimento generale del danno alla salute, come danno centrale e presunto, per il solo fatto naturalistico della lesione della integrità psico-somatica in quanto costituente violazione del diritto alla salute garantito come diritto assoluto ed inviolabile dall'art. 32 Cost. , si determinerebbe una inammissibile disparità di trattamento (in peggio) in riferimento a tutti quei soggetti che vedessero menomata la propria integrità fisica a causa della morte di un familiare, piuttosto che a causa di un comportamento lesivo direttamente ... ed oggettivamente posto in essere nei propri confronti».
A fronte di tali rilievi, la Consulta, a quasi un anno di distanza dall'ordinanza, ha risposto con una sentenza destinata a lasciare il segno, ma, al contempo, del tutto inappagante rispetto alle attese e, per taluni punti (peraltro cruciali), addirittura da ignorare (come poi del resto è avvenuto)(94) .
Precisata correttamente «la diversità di oggetto della pretesa risarci-toria avanzata iure proprio, in quanto riferibile non alla lesione dell'integrità fisica patita dalla vittima, ma al danno salute che l'evento mortale ha causato al familiare in forma di patologia fisio-psichica permanente», la Corte costituzionale ha avviato le sue considerazioni, sottolineando il mancato esame, da parte del Tribunale rimettente, della possibilità di applicare l'art. 2043 (e insieme l'art. 1223, richiamato dall'art. 2056) per analogia juris. In particolare, è stato rilevato dalla Consulta che «dalla ratio dell'art. 2043 c. c, coordinata con l'esigenza di effettività della tutela dei diritti fondamentali, questa soluzione ermeneutica argomenta un principio di risarcibilità dei danni più generale di quello originariamente tradotto nella regola del codice civile, comprendente non solo i danni patrimoniali, ma pure i danni non patrimoniali causati dalla lesione di un diritto personale costituzionalmente protetto, quale il diritto alla salute».
Siffatto rilievo della Consulta costituisce senza dubbio uno tra i punti più oscuri della decisione: perché osservare che il Tribunale fiorentino avrebbe potuto farsi portatore del ricorso all'analogia iuris nell'applicazione dell'art. 2043 c. c? Per quale motivo suggerire una lettura dirompente della norma in questione? Per quale ragione fare intravvedere una strada per aggirare l'art. 2059 c. c. e gli ostacoli posti dal 1223 c. c?
Questi interrogativi sono leciti in quanto nei passi successivi della sentenza la Corte costituzionale ha mostrato di volere seguire ben altre vie rispetto all'allargamento dell'ambito operativo dell'art. 2043 c. c. in favore delle vittime di rimbalzo(95) .
Anzi, la Corte si è ingegnata a dimostrare l'estraneità all'art. 2043 del risarcimento iure proprio del danno biologico da morte (riportato invece nello schema del 2059) ed ha manifestato l'inequivocabile volontà di non allargare le strette maglie del sistema risarcitorio in relazione ai danni riflessi non pecuniari.
Si deve altresì osservare che la riconduzione del danno alla salute dei congiunti nell'ambito dell'art. 2059 c. c. è stata condotta dalla Corte in modo tortuoso e la decisione ha finito con il divenire un incastro malriuscito di affermazioni più o meno condivisibili, ma, senza dubbio, inserite in uno schema non accettabile (rimasto, difatti, lettera morta per la giurisprudenza successiva).
Lo schema, che è stato proposto dalla Corte, si fonda essenzialmente sulla considerazione che il danno biologico da morte risarcibile iure proprio alle vittime secondarie non è un danno evento, essendo invece una «conseguenza della lesione di un diritto altrui».
Orbene, da tale presupposto, la Consulta ha ricavato che, non ricorrendo un danno evento, mancherebbe il presupposto dell'ingiustizia.
Siffatta affermazione della Consulta era ovviamente traballante (basti pensare che la stessa Corte costituzionale ha ribadito nella stessa parte della motivazione la risarcibilità dei danni patrimoniali ai congiunti, anch'essi danni conseguenza): nel nostro sistema, infatti, l'ingiustizia del danno non viene certo individuata in considerazione della coincidenza tra evento lesivo e danno, bensì avendo riguardo per l'interesse leso e la collocazione di quest'ultimo in una posizione giuridica soggettiva protetta.
La Corte non si è, comunque, data pena di entrare più di tanto nel merito della questione dell'ingiustizia, ma, ha osservato che, se si volesse collocare il danno in questione nel 2043 c. c, andrebbe assunta «la lesione del terzo quale evento dannoso integrante una autonoma fattispecie di danno ingiusto», ed ha pertanto ricavato da ciò la necessità di trasferire il problema della risarcibilità del danno ai congiunti «dal presupposto dell'ingiustizia del danno a quello della colpa».
A questo punto, però, secondo la Corte verrebbe inevitabilmente ad emergere il «vero ostacolo» al risarcimento ex art. 2043 c. c. del danno biologico da uccisione iure proprio, e cioè il difetto di concreta preve-dibilità dell'evento lesivo: «l'evento di danno ai familiari sarebbe messo in conto all'autore in base a una valutazione "allargata" della colpa commessa nei confronti di un altro soggetto»(96) .
In definitiva, per la Corte ci troveremmo di fronte ad una «responsabilità oggettiva per pura causalità» non conciliabile con il modello risarcitorio del 2043 (97) , con la conseguenza che, al contrario, si dovrebbe riportare il danno biologico da morte nel 2059 c. c.(98) .
Dopo tutte queste considerazioni, la Corte ha concluso osservando che «la stessa giurisprudenza prevalente, che ammette il risarcimento iure proprio, ne riconosce in sostanza l'estraneità al modello dell'art. 2043. Il risarcimento è accordato in base al nesso di causalità col fatto illecito - sempre oggettivamente qualificabile come reato, trattandosi di omicidio, salve le discriminanti dello stato di necessità e della legittima difesa - indipendentemente da un giudizio di colpevolezza dell'autore, secondo le regole civili, nei rapporti col familiare. Il modello risarcitorio applicato è dunque, più o meno consapevolmente, quello dell'art. 2059 c. c».
Con tali affermazioni la Corte costituzionale è giunta dunque a vanificare la costruzione elaborata nel 1986 nel suo celebre precedente Repetto c. AMT di Genova, schema ancora ribadito pochi mesi prima nella sentenza Morirti c. INAIL(99) : la Consulta, infatti, ha frantumato in loto l'unitarietà della
categoria del danno biologico, con il conseguente ridimensionamento dei limiti operativi dell'art. 2043 c. c. e l'esclusione, in buona sostanza, della protezione delle vittime di rimbalzo da tale norma.
La sentenza ha ovviamente sollevato le critiche più disparate da parte della dottrina (100) e la giurisprudenza successiva (101) ha preferito o passare oltre(102) , oppure fornire interpretazioni non propriamente fedeli alla sentenza, a tal punto che, per quanto riguarda il danno biologico iure proprio da uccisione, la sentenza in questione è stata recepita solo limitatamente a due punti: 1) per quanto riguarda l'affermazione che «il danno biologico, al pari di ogni altro danno ingiusto, è risarcibile soltanto come pregiudizio effettivamente conseguente a una lesione» e, pertanto, deve essere sempre dimostrata la sussistenza di una patologia(103) ; 2) in relazione alla linea differenziatrice tra danno morale e danno psichico, per cui il primo si esaurirebbe «in un patema d'animo o in uno stato di angoscia transeunte», mentre il secondo è «il momento terminale di un processo patogeno originato dal medesimo turbamento dell'equilibrio psichico che sostanzia il danno morale soggettivo», che degenera in un «trauma fisico o psichico».
Per quanto riguarda il primo punto, esso pare del tutto condivisibile, se solo si accetta l'idea che il danno biologico ha una matrice medicolegale, dalla quale lo stesso non può prescindere: un conto è il problema dell'ingiustizia del danno (lesione della salute), altra questione è il danno stesso e la sua prova (danno biologico).
Affermare che il danno biologico è risarcibile in re ipsa, cioè per il semplice fatto che la perdita del congiunto inciderebbe sulla salute, provocherebbe inoltre un'inevitabile sovrapposizione tra danno morale e danno biologico, venendo fatte coincidere, in buona sostanza, l'individuazione e la prova dei due danni.
In relazione alla distinzione tra danno morale e danno psichico tracciata dalla Corte costituzionale non si può che continuare ad esprimere dubbi(104) .
Infatti, sia il criterio del tempo (danno transeunte/danno morale, danno permanente/danno psichico) e sia il criterio dell'intensità (danno lieve/danno morale, danno grave/danno psichico) non sembrano corretti né da un punto di vista giuridico (semmai siffatti criteri servirebbero a distinguere tra danno psichico temporaneo e danno psichico, con la conseguente applicazione di criteri di quantificazione diversi), né tanto meno dal punto di vista medico-legale (la psicopatologia ci insegna che, oltre il danno psichico permanente, si può individuare un danno psichico temporaneo)(105) .
Il problema della distinzione tra danno morale e danno psichico è in realtà ancora del tutto aperto, ma senz'altro l'elemento distintivo più chiaro è quello probatorio.
Per il risarcimento del danno psichico deve sussistere una patologia provata a livello medico-legale(106) .
La giurisprudenza successiva, come si è rilevato, ha sostanzialmente accolto i due punti sopra evidenziati: oltre la Cassazione(107) , anche le Corti di merito(108) , tra cui sostanzialmente anche il Tribunale di Biella nella sentenza che si commenta, sembrano, infatti, essersi adeguate ai principi, per cui il danno biologico è risarcibile solo laddove sia adeguatamente provato e il danno morale si differenzia da quello psichico per la diversa durata e intensità.
In Mormile e altro c. Mete Assicuratrice (109) la Suprema Corte, richiamando peraltro proprio la decisione della Corte costituzionale, ha affermato che «la configurabilità di un danno fisio-psichico che i figli possano avere subito in conseguenza della morte del genitore non è dubitabile in via di ipotesi», ma tale danno deve essere provato e la mancanza della prova diventa elemento ostativo al suo risarcimento.
Ancora recentemente, la Cassazione, in Assitalia SpA c. Trisorio(110) , è ritornata a ribadire la sua contrarietà al risarcimento in re ipsa del danno biologico.
Decisamente interessante sul punto è la sentenza del Tribunale di Trento in Barni c. S.p.A. Montedison e Provincia Autonoma di Trento(111) , in cui si afferma che per il risarcimento del danno biologico iure proprio «l'interprete deve ... fare riferimento, per discernere ciò che è soltanto danno morale soggettivo da ciò che incide sulla salute, alla scienza medico-legale». In particolare, la Corte trentina ha rilevato che, alla luce delle evoluzioni di detta scienza, oggi «esistono gli strumenti per definire il confine tra patema d'animo e danno biologico da morte del congiunto non solo nei casi più eclatanti (ad es. l'infarto), ma anche nelle diagnosi di malattie fino a non molti anni fa relegate nell'ambito di disturbi dell'umore e sottovalutate nella loro rilevanza personale e sociale (es. depressione)».
In Barni i giudici trentini erano chiamati a decidere sulla domanda di risarcimento del danno psichico proposta da due genitori per la morte dei due unici figli nella tragedia di Stava, in cui 269 morirono per il cedimento delle discariche minerarie di Prestavel. Per la madre tale danno è stato risarcito sulla base dei rilievi dei medici-legali, che avevano accertato che l'evento subito dall'attrice aveva scatenato in quest'ultima «difese così massicce da cristallizzare la personalità della signora in modo così rigido da non consentire neppure una parziale elaborazione del lutto: tanto da compromettere in modo vistoso la capacità di creare nuovi attaccamenti». Per il padre, pur non essendo emersi segni di «psicotica alterazione della mente», il danno psichico è, comunque, stato ritenuto sussistente, nella misura del 4%, essendo stata riscontrata dai medici legali un'«angoscia di fondo», avente le caratteristiche della depressione.
Si noti peraltro che in Barni è stata invece esclusa la risarcibilità del danno da turbamento della serenità familiare, in ragione della non condivisibilità in radice della «teorizzazione di un autonomo diritto alla serenità familiare, da inserire nel novero dei diritti della personalità»(112) .
A questo punto, esaminate le soluzioni proposte in questi anni dalla giurisprudenza e dalla dottrina, dobbiamo chiederci se il quadro dei danni da uccisione risarcibili iure proprio possa oggi essere considerato soddisfacente.
Il danno biologico, se si applicano i criteri probatori (condivisibili) affermati dalla Corte in Sgrilli c. Coki, risulta, infatti, di difficile liquidazione; e, soprattutto, tali difficoltà potrebbero aumentare ulteriormente, qualora si accettasse il chiaro invito della Corte costituzionale a ricondurre questa figura risarcitoria nel limitante ambito dell'art. 2059 c. c, invito che, per fortuna, fino ad oggi non è stato accolto né dalla Cassazione [che anzi lo ha rigettato, di fatto, in Puglisi c. Sanremo Soc. in l.c.a.(113) ], né da giudici di merito, ma, in buona sostanza, è stato riproposto dalla Corte costituzionale (sempre relatore Mengoni!) con l'ordinanza del 1996(114) .
Se il danno biologico iure proprio deve, pertanto, fare i conti principalmente con problemi di tipo probatorio e la soluzione, prospettata dalla Corte costituzionale, di ricondurre il danno biologico da morte di congiunto nell'art. 2059 c. c. è in realtà rimasta senza troppi seguaci, per il danno morale, invece, la tagliola costituita dall'art. 2059 è assolutamente garantita.
Una dimostrazione recente di questa tagliola ce la offre la recente ordinanza del Tribunale di Pisa in Preturi c. Cappelli e Toro Ass.(115) , in cui è stato affermato che il danno da uccisione spettante ai congiunti non comprende il danno morale, allorquando si versi nel caso di responsabilità soltanto presunta del danneggiarne.
Si deve inoltre rilevare che taluni giudici di merito non sempre si accontentano, per il risarcimento del danno morale, della sussistenza in astratto di una fattispecie di reato.
Insomma, se non si riesce a dimostrare la sussistenza di un danno psichico e non ricorrono i presupposti per la liquidazione del danno morale, il fatto storico della perdita di un parente stretto rischia di rimanere senza conseguenze risarcitorie.
A fronte di queste difficoltà per i congiunti del defunto ad essere risarciti iure proprio e delle lacune esistenti a livello sistematico, è stato proposto in giurisprudenza(116) , sulla scorta di autorevoli prospettazioni dottrinali(117) , di proteggere i diritti risarcitori delle vittime riflesse ricorrendo ad una nuova categoria, il danno esistenziale, attuale rompicapo per chi si occupa di questioni risarcitorie.
Leading case in materia è la decisione del Tribunale di Torino in Parasole c. Beltramo(118) .
Nel caso di specie l'attore aveva sostenuto, a fronte della perdita dell'anziana madre, di avere subito «il danno derivante dalla turbativa della serenità familiare e dalla soppressione del rapporto affettivo ... impeditivo dello sviluppo della personalità nei rapporti interperso-nali...».
Orbene, la Corte torinese ha ritenuto di non potere ricondurre tale danno «in una delle tre voci che costituiscono la tripartizione classica del danno ingiusto risarcibile - danno biologico, danno morale e danno patrimoniale». In particolare, ha escluso la riconducibilità del pregiudizio in questione nel danno morale, «poiché tale danno si sostanzia nel dolore e nel patema d'animo e nelle sofferenze che attengono esclusivamente al foro interno della persona il cui risarcimento è governato dall'art. 2059 c. c, che posto in correlazione all'art. 185 c. p. , richiede necessariamente la rilevanza penale dell'illecito»; ha respinto altresì la possibilità di collocarlo nell'ambito del danno patrimoniale, essendo escluse dall'ambito di tale categoria «tutte quelle ripercussioni che non costituiscono un effetto economico negativo sul patrimonio»; infine, ha affermato l'estraneità di tale scomodo pregiudizio all'ambito del danno biologico, essendo quest'ultimo il «danno-evento lesivo del bene giuridico inviolabile ed intangibile della salute e determinante una patologia minorativa fisica o psichica».
Per il Tribunale di Torino dovremmo dunque renderci conto « come la tripartizione classica del danno ingiusto sia inadeguata ed insufficiente a rappresentare la complessità e la rilevanza dei legami e dei rapporti che si esplicano nell'ambito del consortium familiare che certamente non possono essere inquadrati esclusivamente in un'ottica strettamente patrimonialistica, né in una ricreata sub specie di danno alla vita di relazione, che ... la giurisprudenza ... ha configurato ... come una componente interna del danno biologico e che, comunque, nell'ambito di una compromissione dei rapporti familiari coinvolgenti aspetti esistenziali di diverso genere, attribuirebbe rilevanza solo ai nocumenti riflettenti la sfera esterna dei rapporti sociali».
Ciò stabilito, i giudici torinesi, asserita l'importanza della famiglia per la personalità di ciascun componente della stessa, ha proposto di ricorrere alla autonoma categoria del danno esistenziale, «i cui contorni e contenuti, di volta in volta individuati sulla base del diritto leso, non possono che essere delineati alla luce dei valori costituzionalmente garantiti ex art. 2 Cost. ».
Si noti che il Tribunale torinese, affermando la necessità di evitare «un sistema assolutamente automatico consistente nella presunzione che ad ogni compressione del diritto del congiunto ne consegua ipso iure il risarcimento del danno», non ha poi risarcito in concreto il danno esistenziale, ritenendolo nella specie insussistente, in quanto all'epoca dell'evento luttuoso l'attore, pur coabitando con la madre, aveva l'età di 45 anni ed era già coniugato con prole, cosicché non poteva assumersi la lesione del diritto costituzionalmente garantito dall'art. 2 Cost. e «normativamente previsto dall'art. 147 c. c, all'istruzione, all'educazione e al mantenimento».
Al di là dei risultati concreti, il messaggio dei giudici di Torino risulta comunque chiaro ed inequivocabile: nel risarcimento dei danni iure proprio si deve riconoscere una quarta categoria risarcitoria, quella del danno esistenziale, permettendo tale strada la protezione di beni non tutelati tramite le categorie tradizionali.
E allora giungiamo al cuore del problema in esame, al quarto rompicapo. È possibile configurare il c.d. «danno esistenziale da uccisione»? Può davvero questa nuova figura risarcitoria risolvere larga parte delle questioni aperte? Non si rischia forse di giungere ad avere dei danni, che vengono a sovrapporsi tra loro, e di rendere, così, ancora più complesso e criticabile lo schema risarcitorio?
Ovviamente, anche per ragioni di sistematicità, la questione del danno esistenziale non può essere circoscritta alla tematica dei danni da uccisione e presuppone un chiarimento sui contenuti dei danni, che hanno natura extra-patrimoniale, e sulla clausola limitativa del risarcimento del danno non patrimoniale costituita dall'art. 2059 c. c.
In questi anni, come si è sopra evidenziato trattando del percorso evolutivo del danno biologico, si è assistito ad una vera e propria frantumazione della categoria del danno non-patrimoniale, dalle cui «macerie» sono stati estratti (più vivi che mai!) due categorie, quella del danno biologico e quella del danno morale subiettivo.
L'affinamento di queste due categorie - ciò emerge dallo stesso studio dei danni da uccisione - è ancora lungi dall'essersi concluso, ma ciò che interessa qui notare è che la frantumazione del danno non patrimoniale [tuttora in corso(119) ] e la rilettura costituzionale (sempre più disinibita) del requisito dell'ingiustizia, di cui all'art. 2043 c. c, hanno dato vita ad un fenomeno ben più dirompente e ulteriore rispetto alla già notevole fondazione della figura (quantomai complessa e dai contenuti mai scontati) del danno biologico, che, dal punto di vista comparatistico, costituisce certamente un elemento di originalità del nostro sistema.
Il fenomeno erosivo in questione è quello del collegamento instaurato tra ingiustizia del danno e violazione delle posizioni soggettive costituzionalmente protette, sulla cui base si è giunti ad affermare la possibilità di risarcire ex art. 2043 c. c. il danno «non-patrimoniale», ogniqualvolta ricorra la lesione di una posizione garantita dalla Costituzione (2043 c. c. + diritto protetto da norma costituzionale).
Orbere, per potere sostenere la configurabilità della categoria del danno esistenziale si deve necessariamente condividere siffatta ampia lettura del 2043 c. c.
Al riguardo si deve osservare che non vi è più ombra di dubbio che il danno biologico non sia un grande contenitore in cui tutto può confluire, perlomeno perché esso riguarda un diritto, quello della salute, che (seppure possa anche essere inteso in senso molto lato) non comprende tutti i diritti costituzionalmente protetti. È altresì opportuno notare che il risarcimento del danno, di cui all'art. 2059 c. c, così come è stato ridimensionato dai vari interventi della Corte costituzionale, risulta ormai circoscritto al solo pretium doloris e non può comunque svolgere, per il suo limite (pena la sua illegittimità costituzionale), le funzioni di protezione degli interessi costituzionali non tutelati dalla categoria del danno biologico.
Ciò precisato, non si vede, pertanto, per quali recondite ragioni l'ingiustizia del danno dovrebbe riferirsi alla sola combinazione tra art. 2043 c. c. e art. 32 Cost. : se si accogliesse infatti tale tesi, gli altri diritti, protetti a livello costituzionale alla stessa stregua del bene salute, e lo stesso art. 2 Cost. (norma di chiusura del sistema) rimarrebbero impiegabilmente esclusi dalla clausola generale, di cui al 2043 (e non sono diritti di poco conto: basti pensare al lungo novero delle libertà personali).
E allora, se le categorie danno biologico e danno morale non possono, per i motivi finora rilevati, riferirsi a tutte le posizioni, che la Costituzione indica di volere tutelare, necessariamente si deve fare ricorso ad un nuovo tipo di danno, il cui nomen è poi solo una questione secondaria (si rileva, tuttavia, che senz'altro l'etichetta del danno esistenziale bene si addice alle lesioni della personalità)(120) .
Altra soluzione percorribile (che non esclude comunque la possibilità di configurare il danno esistenziale) potrebbe essere quella di abrogare in foto il 2059 c. c. e, conseguentemente, affidare al danno morale, portato nell'art. 2043, il compito di costituire la forma risarcitoria di tutte le lesioni di quelle posizioni, costituzionalmente garantite, che non sono riconducibili all'art. 32 Cost.(121) .
Tuttavia, soprattutto al fine di evitare il possibile ingresso delle pene private nell'art. 2043 c. c. (122) e il conseguente insorgere di equivoci e confusioni, potrebbe essere conveniente continuare a mantenere distinti a livello normativo i danni finalizzati principalmente al risarcimento di una lesione di un bene (danni ex art. 2043) da quelli risarciti in considerazione del comportamento del danneggiarne, salvando così il vecchio brontosauro ed il sistema risarcitorio bipolare. Nel caso, però, si optasse per quest'ultima strada, l'art. 2059 c. c. andrebbe inquadrato come riconoscimento normativo della sanzione privata, con la collocazione del pretium doloris, per la parte che non dipende dalla condotta del soggetto danneggiarne, all'interno del 2043 c. c.
A prescindere da queste ultime considerazioni, è comunque chiaro che è senz'altro possibile sostenere l'introduzione di una quarta categoria risarcitoria [che non assorbe quella del danno biologico, ma si affianca ad essa(123) ], essendo appunto il suo ingresso richiesto per la protezione dei diritti costituzionali extra art. 32 Cost.
L'art. 2 Cost. , quale norma di chiusura del sistema, invoca ormai da tempo tale nuova categoria!
Non vi è altresì ombra di dubbio che la categoria del danno esistenziale possa svolgere un ruolo importante anche nel campo dei danni da uccisione, sia quando siano risarcibili il danno morale e quello biologico, sia quando invece i presupposti per il risarcimento di quest'ultimi non siano presenti.
Nei danni da uccisione è, infatti, indiscutibile che, accanto alla possibilità che si verifichi una lesione fisica o psichica e ricorra il danno morale, possa anche sussistere una lesione della personalità, esplicandosi quest'ultima anche (e per talune persone soprattutto) nei rapporti con i congiunti (a meno che non si voglia ritenere la famiglia e i rapporti affettivi valori ormai superati).
Tale danno non ha gli stessi contenuti del danno morale, che, così come oggi viene configurato, si riferisce essenzialmente allo schok provocato dalla morte di un caro e all'offesa che la perdita comporta: la nuova categoria inerisce, infatti, un pregiudizio, che si protrae nel tempo andando ad incidere in peius sull'esistenza e le aspettative esistenziali di chi sopravvive.
Siffatta distinzione non implica ovviamente che siffatto danno non possa sovrapporsi con il danno alla salute o condividere una qualche parte risarcita a titolo di danno morale. Ma tale sovrapposizione potrà semmai indicare la necessità di procedere ad una liquidazione complessiva, come già la dottrina ha suggerito quando ancora non si parlava di danno esistenziale(124) . È cioè ovvio che il giudice, al fine di evitare duplicazioni, debba, nel contesto di una valutazione necessariamente equitativa, procedere ad una allocazione globale delle somme risarcitone, che sia equa, contemperando a tal fine le varie somme identificate per i singoli danni.
La via del danno esistenziale è comunque oggi incerta e lungi dall'essere consolidata: la dottrina è ancora in una fase di intensa elaborazione(125) , la giurisprudenza di merito si è limitata finora a sporadici accenni(126) , la Cassazione e la Consulta non hanno preso in considerazione la questione, gli avvocati, infine, hanno evidentemente il timore di portare avanti le Corti siffatta soluzione.
Dal legislatore pare impossibile che possa pervenire, anche solo per respingerlo, una qualsivoglia riflessione sul danno esistenziale. La proposta dell'ISVAP, presentata all'inizio del nuovo anno, sembra ignorare in foto il problema in questione(127) .
Si aggiunga inoltre che, come del resto era immaginabile, non sono mancate critiche alla configurazione del danno esistenziale.
La Navarretta, ad esempio, ha osservato, respingendo siffatta via, che un'evoluzione verso un sistema «mononormativo» puro, in cui, fatta salva la conferma di una quota di pretium doloris ancora governata dall'alt. 2059 c. c, i danni sarebbero tutti risarcibili ex art. 2043 c. c, determinerebbe «una pericolosa ipertrofia dei risarcimenti, in direzioni sostanzialmente prive di controlli»(128) .
Per ora, dunque, non resta che prendere atto del danno esistenziale quale nuovo rompicapo nel panorama dei danni da uccisione, ma è altresì chiaro che la questione merita maggiori attenzioni sia da parte della dottrina, sia da parte dei giudici, sia da parte dei professionisti. L'auspicio è soprattutto che gli avvocati, vincendo il disagio verso la portata dirompente della soluzione del danno esistenziale, comincino a portare il dibattito avanti i giudici.
 
3.e) Quinto rompicapo: la quantificazione dei danni da uccisione iure proprio. 

 

Anche per i danni iure proprio si è posta, e tuttora permane irrisolta, la questione della loro quantificazione.

Ovviamente sul punto ci ritroviamo nuovamente nella selva [che qualcuno ha anche chiamato «giungla»(129) ] dei risarcimenti operati dalle Corti di merito. 
Per quanto inerisce la liquidazione del danno biologico iure proprio, essendo i parametri adottati gli stessi cui si ricorre nei casi di lesioni senza conseguenze mortali, si rinvia al dibattito, apertissimo, sulla ricerca di una via per razionalizzare a livello nazionale il sistema di liquidazione del danno biologico, sistema che attualmente, procedendo le Corti di merito in ordine sparso, si presenta frantumato in molteplici realtà locali(130) . 
Il quadro risarcitorio del danno morale da uccisione risulta a sua volta scomposto in diverse sfaccettature, ma, a differenza della liquidazione del danno biologico iure proprio, la liquidazione del danno morale iure proprio avviene con modalità diverse rispetto a quelle utilizzate nel caso, in cui la vittima principale rimane in vita (131).
Se, infatti, per quest'ultima ipotesi è possibile adottare, come generalmente avviene, il c.d. «criterio della proporzionalità», in base al quale la liquidazione del danno morale viene operata in proporzione a quanto risarcito a titolo di danno biologico (132) , nel caso, in cui si tratti di risarcire un congiunto per la perdita della vittima principale, l'individuazione di una base di partenza per il calcolo è ancora più ardua.
Le Corti di merito, in assenza di direttive precise da parte dei giudici superiori, hanno seguito le strade più disparate.
Il Tribunale di Milano, ad esempio, liquida il danno morale in favore dei superstiti sulla base del danno morale, che sarebbe spettato al defunto se, anziché morire, egli fosse sopravvissuto e avesse riportato un'invalidità del cento per cento(133) .
Il criterio applicato dai giudici milanesi e dalle altre Corti, che hanno optato per tale metodo, risulta decisamente artificioso, ma questa è senza dubbio l'inevitabile conseguenza della trasformazione degli affetti in termini pecuniari, della sconfortante materialità nell'individuazione di un prezzo per i sentimenti dell'uomo(134) . Al contrario, non si comprende per quali motivi la base di partenza per la liquidazione del danno in questione debba essere ancorata al defunto piuttosto che al legittimato attivo, come invero sembra più corretto.
Altre Corti, invece, hanno preferito limitarsi ad indicare dei parametri (135) minimi e massimi, entro i quali possono essere contenute le somme risarcitone spettanti ai superstiti per la morte di un congiunto, limiti che possono essere superati in casi eccezionali.
Tale orientamento, che non comporta gli strambi collegamenti operati dal Tribunale di Milano, è seguito da più tribunali, tra cui troviamo quelli di Genova(136) , di Massa Carrara (137) e di Roma(138) . Nella stessa direzione si pone la Corte d'appello di Torino, la quale, in aggiunta, indica che i valori individuati «possono essere aumentati o diminuiti fino alla metà (e anche più in casi eccezionali, che diventano tali per la modalità della perdita e la conseguente maggiore difficoltà per il superstite di "elaborare il lutto"), stante la peculiarità di ogni fattispecie, che rende estremamente variabile la effettiva misura della "pecunia dolora" nei suoi molteplici aspetti soggettivi»(139) .
Una peculiarità delle tabelle elaborate dalle Corti è che esse risultano strutturate sulla base di vere e proprie «graduatorie degli affetti»: i valori individuati mutano, infatti, a seconda del vincolo di coniugio e di parentela, cosicché, ad esempio, alla perdita del coniuge viene attribuita, in termini pecuniari, una sofferenza maggiore rispetto alla perdita di un fratello.
I riferimenti pecuniari predeterminati, nei casi concreti, possono, soprattutto su iniziativa delle parti, essere ridotti o aumentati a seconda delle circostanze e in applicazione di vari parametri, tra cui la gravita del fatto-reato (con il conseguente possibile ingresso di una vera e propria sanzione privata), l'intensità della sofferenza morale, il grado di sensibilità del congiunto da risarcire, la situazione patrimoniale in cui si vengono a trovare i congiunti in seguito alla perdita del loro caro, l'età, ecc.
Anzi, i giudici, nell'ambito di una valutazione equitativa, sono tenuti a tenere conto delle circostanze peculiari dei singoli casi e, se del caso, a rompere quelle strambe «graduatorie degli affetti», che, se possono anche avere qualche significato in astratto, non sempre hanno riscontro nelle situazioni reali. Ovviamente starà anche agli avvocati, che assistono le parti, addurre, senza lesinare particolari, gli elementi necessari per modificare il quantum tabellare.
E allora giungiamo ad un altro rompicapo: non sarebbe meglio evitare di entrare nel merito della natura dei rapporti intercorsi tra vittima principale e congiunti, e allocare, al contrario, una somma predeterminata e non modificabile in via discrezionale?
Una risposta positiva a siffatto quesito la fornisce, ad esempio, la Law Commission inglese(140) , che, a sostegno del criterio del «fixed award»(141) , osserva che l'introduzione di un «discretionary award» per il risarcimento del ed. «damages for bereavement» (che corrisponde a grandi linee al nostro danno morale da uccisione) (142) obbligherebbe a spiacevoli accertamenti inquisitori sui legami affettivi intercorsi tra le parti attrici e il defunto.
La tesi della Law Commission, che potrebbe essere anche condivisa nell'ottica di una riduzione del grado di litigiosità nel settore delle lesioni personali, si fonda, tuttavia, sulla contrapposizione tra due poli opposti, quello della liquidazione operata sulla scorta di una somma fissa e quello della liquidazione lasciata a totale discrezione dei giudici.
Un sistema come quello elaborato dalle Corti italiane, seppure ancora imperfetto, si colloca, invece, a metà dei due estremi, lasciando sostanzialmente alle parti la scelta tra lo «scontrarsi» sul quantum, richiedendo al giudice, al fine di una maggiore quantificazione o di una riduzione delle somme richieste, una fase istruttoria in merito ai rapporti intercorsi, oppure il limitarsi a classificare il rapporto familiare intercorso, fornendo solo dati, quali la sussistenza oggettiva della convivenza o l'età delle parti, e affidando, pertanto, interamente al giudice il compito di applicare le tabelle (operazione che a questo punto, in assenza di iniziativa delle parti, diventa praticamente automatica, seppure non mancano eccezioni).
La via italiana - o perlomeno l'orientamento prevalente in Italia - sembra la più corretta, sempre che si condivida la necessità che le somme risarcite corrispondano nei limiti del possibile, perlomeno se le parti (attori e convenuti) lo desiderano, al pregiudizio morale effettivamente subito. 

 

3.f) Sesto rompicapo: perdita di più congiunti nello stesso evento lesivo.

 

Un ultimo problema, su cui, ad eccezione di un'isolata pronunzia, non si annoverano particolari contributi, riguarda i criteri da applicarsi nella liquidazione del danno morale subito da un soggetto, che, in occasione dello stesso incidente, abbia perso più congiunti. Il soggetto in questione ha diritto a ottenere il risarcimento di tanti danni morali quanti sono i congiunti deceduti, oppure dovrà accontentarsi di un'ammontare minore rispetto alla somma algebrica dei danni morali risarcibili per ogni singolo congiunto? 
La risposta non è ovviamente scontata (ed è per questo che ci troviamo di fronte a un ulteriore rompicapo). 
Sulla questione è intervenuto espressamente il Tribunale di Trento nella già menzionata decisione Barni e altri c. Montedison e altri(143) . 
Nel caso di specie i giudici trentini hanno ritenuto necessaria l'introduzione di un coefficiente moltiplicatore, determinato equitativamente nella misura del 40%, per gli attori che avevano dovuto sopportare la perdita di più di un prossimo congiunto nella tragedia di Stava. 
In particolare, il Tribunale in questione ha osservato che la «perdita di più familiari, oltre a rendere il dolore personale ancora più intenso e acuto» finisce inevitabilmente con l'avere riflessi «in seno alla famiglia, rendendo più difficili e sereni gli stessi rapporti familiari». 
Su queste basi, ad uno degli attori - un padre che aveva perso i propri figli - è stata liquidata per il danno morale la somma complessiva di lire 420.000.000 di cui 150.000.000 per ciasun figlio ed il resto per l'applicazione della percentuale predeterminata del 40%.
La soluzione dei giudici trentini è quindi molto chiara: se un soggetto subisce la perdita di più familiari, avrà diritto ad un risarcimento costituito dalla somma algebrica dei danni morali dovuti per ogni congiunto perso, oltre ad un aumento della stessa per tenere conto del riverbero della tragedia sulla famiglia come insieme tragicamente annientato.
Il criterio indicato a Trento costituisce senz'altro una via percorribile: ovviamente è la sensibilità che ci suggerisce che la perdita dei due unici figli è più devastante della perdita di uno solo, ma non è detto che ciò incida sempre (o solo) nella misura del 40%.
Un punto, comunque, è senz'altro certo: gli affetti non sono dei pesi da bilancia, cosicché non è assolutamente detto che il soggetto, che perde dieci congiunti, soffra nove volte di più di uno che ne abbia perso solo uno. Bisogna insomma evitare di cadere in facili automatismi.
 
4. La Risoluzione 7-75 del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa: esiste a livello europeo un qualche punto di riferimento per il risarcimento dei danni da morte? 

 

 

Vi è infine da chiedersi, in un contesto in cui gli interpreti non possono più ignorare il diritto prodotto in Europa, se vi siano a tale livello dei contributi relativi al risarcimento dei danni tanatologici. La risposta è positiva, ma, come ora si vedrà, questi punti di riferimento sono circoscritti, in buona sostanza, ad un unico documento, che, peraltro, risale ormai nel tempo e non è vincolante per gli Stati membri. 
Il contributo in questione è la Risoluzione del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa del 14 marzo del 1975 (Résolution (75) 7 relative à la réparation des dommages en cas de lesioni corporelles et de décès)(144) . 
In tale documento il Consiglio d'Europa ha messo a disposizione dei vari Stati membri una sua proposta, concreta e pragmatica, per la pianificazione a livello europeo del risarcimento del danno alla persona, indicando i vari tipi di pregiudizi risarcibili ed i principi-guida per la loro liquidazione. 
La Risoluzione è stata presentata dal Consiglio come punto di partenza per l'avvicinamento degli schemi risarcitori presenti nei singoli ordinamenti nazionali(145) . 
A fronte della non vincolatività della Risoluzione per gli Stati membri, il Consiglio ha rivolto il suo invito ad avviare siffatto processo di armonizzazione soprattutto alle Corti e alla dottrina, rilevando che nel campo del danno alla salute sono proprio la giurisprudenza ed i contributi scientifici a giocare un ruolo fondamentale e preponderante. 
La Risoluzione risulta impostata non sulla base di particolari classificazioni, ma direttamente sui singoli tipi di pregiudizi, a prescindere dal loro carattere materiale o morale, venendo appunto osservato che «la meilleure voie pour atteindre une plus grande unite en matière de responsabilità civile extra-contmctuelle pour lésions corporelles et décès était de proposer des principes pour l'indemnisation de différentes espèces de préjudices, sans tenir compte de leur caractère de préjudice, matériel ou moral». 
Tre principi generali costituiscono le fondamenta del sistema risarci-torio ideato dal Consiglio d'Europa («dispositions générales»). 
Il primo principio è quello del risarcimento integrale: sulla scorta delle regole della responsabilità, per le quali il Consiglio rinvia ai singoli ordinamenti, la persona, che abbia subito un pregiudizio («préjudice»), ha diritto ad essere risarcita in modo tale da essere posta in una situazione la più vicina possibile a quella in cui si sarebbe trovata se l'evento lesivo («fati dommageable») non si fosse verificato(146) . 

 

 

In base al secondo principio la somma attribuita alla vittima in ristoro del pregiudizio subito deve essere calcolata secondo il valore del danno al giorno della decisione(147) . Viene, infatti, fatto notare che spesso la vittima viene risarcita molto tempo dopo che il danno si è verificato e, quindi, sarebbe contraria ad equità ed al primo principio, sopra richiamato, la mancata considerazione dei fatti intervenuti nell'intervallo tra l'evento lesivo e la data della decisione. 
In forza del terzo principio il giudice deve specificare in sentenza, nel limite del possibile, il dettaglio dei risarcimenti corrisposti per le varie voci di pregiudizi risarciti(148) : ogni singola decisione deve pertanto contenere uri indicazione analitica dei vari danni risarciti e per ciascuno dei pregiudizi liquidati le somme allocate. L'attuazione di tale principio, secondo il Consiglio, renderebbe le decisioni dei giudici più esplicite; permetterebbe agli operatori giuridici (giudici, avvocati, compagnie di assicurazione) di prevedere, tramite il punto di riferimento costituito dai precedenti giudiziari, quale potrà essere, in ciascun caso concreto, la somma verosimilmente liquidabile; infine, favorirebbe le trattative con le compagnie di assicurazione, evitando così spese e processi inutili. Per il Consiglio l'attuazione di siffatto principio è altresì strumentale allo scopo della Risoluzione stessa, in quanto l'avvicinamento dei vari sistemi risulterebbe facilitato dalla disponibilità di un quadro più parti-colareggiato dei vari tipi di pregiudizi risarciti nei vari sistemi e delle somme allocate per i singoli danni. 
Individuati questi tre principi generali, la Risoluzione scende poi nel merito dei singoli pregiudizi. 
Per quanto inerisce i danni da uccisione, il documento in questione distingue in buona sostanza tra danni risarcibili iure successionis e danni iure proprio. 
In relazione al problema del risarcimento agli eredi del danno sofferto dal de cuius nell'arco di tempo tra evento lesivo e morte, il Consiglio, a fronte delle notevoli differenze intercorrenti tra i vari ordinamenti, dichiara espressamente di non volere prendere posizione, lasciando dunque apertissimo il dibattito sul tema(149) . 
La Risoluzione si occupa invece di danni risarcibili iure proprio. 
Per quanto inerisce i danni patrimoniali, il principio XIV afferma la necessità che le spese occasionate dalla morte della vittima, tra cui soprattutto quelle funerarie, siano risarcite(150) . Tale principio pone l'accento sulle spese funerarie, ma queste non esauriscono il novero delle spese risarcibili: la Risoluzione, infatti, afferma la risarcibilità delle spese per la constatazione del decesso, per il trasporto della salma e per la sepoltura, e rinvia, più in generale, a quanto stabilito per il risarcimento dei danni materiali da lesioni corporali, cosicché si devono ritenere risarcibili altresì le spese mediche e farmaceutiche, le spese per l'assistenza della vittima principale prima della sua morte, la perdita o la riduzione della capacità di svolgere attività domestiche, il lucro cessante, ecc. Sulle spese accessorie (ad esempio l'acquisto della tomba), viene richiamato il criterio fondato sulla ragionevolezza delle spese, la cui applicazione deve comunque tenere conto delle circostanze del caso e dello status sociale della vittima. 
Sempre in tema di danno patrimoniale, il principio XV stabilisce che il decesso della vittima principale determina il sorgere del diritto a siffatto risarcimento in capo ai seguenti soggetti: 
1) le persone, verso le quali la vittima principale aveva o avrebbe avuto l'obbligo di fornire gli alimenti («obligation alimentaire legale»);
2) le persone, verso cui la vittima principale aveva o avrebbe assunto, in tutto o in parte, gli oneri di mantenimento («entretien»), pur senza esservi tenuta per legge. Tra questi soggetti rientra ad esempio il convivente more uxorio.
In relazione alle modalità risarcitorie del préjudice patrimonial, il principio XVI afferma che si può procedere sia tramite l'allocazione di una rendita («rente») sia per mezzo della liquidazione di una somma capitale («capital»).
La Risoluzione prevede altresì che la rendita possa essere revisionata, ogniqualvolta le circostanze iniziali subiscano una modifica, ma lascia agli ordinamenti nazionali l'indicazione delle condizioni e dei criteri da applicarsi per siffatta revisione (principio XVII).
Di contro, quando la vittima di rimbalzo sia invece risarcita con una somma di denaro, viene sancita l'impossibilità di procedere alla revisione (principio XVIII). In forza di quest'ultimo principio la vedova, che convoli dunque a nuove nozze, non potrà vedersi costretta a restituire quanto percepito.
La Risoluzione riconosce infine il diritto al risarcimento delle sofferenze psichiche («souffrances psychiques»), subite in seguito alla morte della vittima principale, in capo ai genitori, ai congiunti, al fidanzato (fiancé) ed ai figli, sempre che tali soggetti abbiano avuto con la vittima, in prossimità della morte, uno stretto legame affettivo con la stessa. Al riguardo si deve, peraltro, tenere presente che il Consiglio riconduce vari tipi di pregiudizi sotto l'etichetta delle «souffrances psychiques»: i disturbi ed i dispiaceri («troubles et désagréments»), che danno origine a patologie oppure a stati di insonnia o a sentimenti di inferiorità o a diminuzioni di piaceri della vita («diminution des plaisirs de la vie»), e il c.d. «nervous shock». In tale categoria rientrano, dunque, a grandi linee i nostrani danno morale e danno psichico.
Il contributo del Consiglio d'Europa è stato pressoché ignorato nella maggior parte degli Stati europei, fatta eccezione per la Francia, ove, soprattutto in tempi più recenti, le pubblicazioni in materia riportano generalmente in appendice tale documento, e per l'Inghilterra, in cui un certo, seppur limitato, interesse per la Risoluzione è stato manifestato in occasione della ricerca condotta negli anni 70 dalla Pearson Commission sul risarcimento del danno alla persona(151) , lavoro quest'ultimo che nel diritto inglese ha portato a significativi interventi legislativi nel settore (si ricorda, ad esempio, all'Administration of]ustice Act 1982).
Un richiamo senz'altro più interessante e articolato alla Risoluzione è costituito dai Colloqui di Parigi del 1988, cui hanno preso parte una serie di illustri comparatisti(152) .
In occasione di siffatti colloqui, partendo proprio dal contributo del Consiglio d'Europa, si è tentato di muovere un passo in avanti nella costruzione di un sistema risarcitorio unico a livello europeo.
Dalle raccomandazioni approvate dai partecipanti al termine dei Colloqui emergono, per quanto interessa i danni da uccisione, i seguenti suggerimenti:
1. è necessario tenere chiaramente distinte le conseguenze economiche delle lesioni personali («conséquences économiques») dalle conseguenze puramente umane («conséquences purement humaines»);
2. le conseguenze non economiche del danno alla persona («dommage corporei»), se presenti, devono essere specificate in dettaglio nel rapporto medico-legale e devono dare luogo, in funzione della loro gravità (da stabilirsi in base ai riscontri medico-legali), ad un risarcimento globale e forfettario {«indemnisation globale et forfaitaire»);
3. la sofferenza causata dalla perdita di una persona cara deve essere risarcita sulla base di una tabella, che deve comunque lasciare spazio alla considerazione delle peculiarità di ogni singolo caso concreto;
4. le conseguenze economiche del danno alla persona, nei limiti del possibile, devono essere oggetto di una riparazione integrale {«indemnisation integrale»);
5. le conseguenze (economiche e non) devono essere apprezzate in concreto avendo riguardo delle singole circostanze di ogni caso;
6. nei casi di macrolesioni il risarcimento, in linea di principio, deve essere corrisposto tramite versamenti periodici indicizzati e revisionabili, e, se hanno luogo, reversibili agli aventi diritto;
7. la vittima deve ricevere quanto prima possibile un'indennità, almeno a titolo di provvisionale.
In Italia solo in tempi molto recenti la dottrina ha iniziato a ricordarsi dell'esistenza della Risoluzione e dei risultati dei Colloqui di Parigi(153) .
Il richiamo italiano più autorevole e significativo è senza dubbio quello operato dalla Cassazione nella decisione Generali Ass. e altri c. filippini(154) , in cui viene affermata la valenza interpretativa e direttiva dei principi contenuti nella Risoluzione.
La Risoluzione 7/75 conserva ancora oggi un enorme valore, stimolando molteplici riflessioni sulla prospettiva di una via europea per il risarcimento del danno alla persona (155) , ma si deve altresì rilevare che, in fondo, i principi ivi contenuti sembrano trovare sostanziale accoglimento in Italia e negli altri Stati europei(156) .
Attualmente non resta pertanto che prendere atto della mancanza in Europa di norme che possano contribuire a sbrogliare la matassa del risarcimento del danno alla persona e dei danni da uccisione.
 
5. Conclusioni: un cauto invito al legislatore. 

 

 

Rompersi il capo sulla perdita della vita piuttosto che sulla risarcibi-lità dei nano-secondi o sulla trasformazione pecuniaria degli affetti potrà sembrare, a chi non si occupa di danni alla persona, il classico sfogo dell'accademico, ma così non è. 
Se, infatti, l'invito rivolto da Giannini e Pogliani per bocca di Giu-stiniano («continuate ... ad argomentare ed a discutere ... qualcosa di definitivo e di accettabile ne risulterà») (157) è stato senz'altro colto in questi anni dalla giurisprudenza e dalla dottrina, pur tuttavia il dibattito non ha ancora portato a soluzioni, che siano tanto condivisibili da garantire certezza. 
Invero, non rimane che rilevare ancora una volta I(158) come l'eliminazione delle incertezze relative ai danni da uccisione debba necessariamente accompagnarsi ad una più generale revisione del sistema risarcitorio, con una particolare attenzione per le categorie ed i loro contenuti. 
La sfida dell'affinamento del campo del danno alla persona è ancora aperta e l'invito a portare luce nella selva oscura deve essere colto da tutti, ma soprattutto, dal legislatore, con l'auspicio che, se mai decidesse di occuparsi del risarcimento dei danni alla persona, operi con adeguato bagaglio culturale e sufficiente tecnica legislativa, senza ignorare le proposte della dottrina, l'ottimo lavoro di supplenza svolto dalle Corti italiane, l'esperienza dei pochi avvocati specializzati nella difesa delle vittime, l'esperienza delle compagnie di assicurazioni (ma questa non può certo essere l'unica voce ad essere ascoltata!), le indicazioni della Risoluzione 7-75 del Consiglio d'Europa, gli studi comparatistici in materia e le soluzioni utilizzate negli altri Stati membri. 

 

 

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(1) Inevitabile punto di riferimento in materia è la decisione della Corte costituzionale in Sgrilli c. Colzi, Corte cost., 27 ottobre 1994, n. 372, in Foro It, 1994, I, 3297, con nota di Ponzanelu, in Corriere Giur., 1994,1455, con nota di Giannini, in Giust. Civ., con nota di Busnelli, in Giur. It., 1995, I, 409, con nota di Jannarelli. Tra le sentenze della Cassazione si segnalano in particolare le seguenti: Cass., 25 febbraio 1997, n. 1704; Id., 24 aprile 1997, n. 3592; Id., 26 settembre 1997, n. 9470, in Giur. Il, 1998, 1589; Id., 29 maggio 1996, n. 4991, in Danno e responsabilità, 1997, 41, con nota di Navarretta. Sui danni da uccisione iure successionis e iure proprio: Lanotte, Il danno alla persona nel rapporto di lavoro, Torino, 1998, 66 e segg.; Amato, Brevi riflessioni in terna di danni da uccisione, in Danno e responsabilità, 1998, 1013 e segg.; Franzoni, Il danno da uccisione, in La responsabilità civile, a cura di Cendon, Torino, 1998, 179 e segg.; Bona, Diritto alla vita e risarcimento iure successionis dei danni biologico e morale: la soluzione della Cassazione, la risposta negativa alla risarcibilità della perdita della vita e la questione (irrisolta?) dei secondi, dei minuti e delle ore tra la vita e la morte, in Giur. It., 1998,1589; Ciampi, La risarcibilità jure successionis del danno biologico, in Nuovo Dir., 1998, 855; Castronovo , Danno biologico, Milano, 1998, 151-182; Palmieri , Il danno da morte tra motivazioni giuridiche ed analisi economica, in Danno e responsabilità, 1998, 46; Monateri-Bona, Il danno alla persona, Padova, 1998, 338 e segg.; Salvi, La responsabilità civile, Milano, 1998, 66-69; Barchiesi, Danno alla salute e perdita della vita, Milano, 1997; Martini, Diventa determinante l'arco di tempo che passa tra le lesioni colpose e la morte, in Guida al Dir., 1997, n. 10, 55; Navarretta, Trasmissibilità del danno alla salute e tutela risarcitoria della «vita», in Danno e responsabilità, 1997, 41; Silla, Il danno biologico, Milano, 1997, 103-118; Petrelli, Il danno non patrimoniale, Padova, 1997,456 e segg. ; Navarretta, Diritti inviolabili e risarcimento del danno, Torino, 1997, 20-24 e 127 e segg.; Petti, Il risarcimento del danno biologico, Torino, 1997; Giannini-Pogliani, Il danno da illecito civile, Milano, 1997, 233 e segg.; Mastropaolo, II risarcimento del danno nell'ipotesi di lesioni all'integrità psico-fisica e in caso di morte, 1076 e segg. e Barone-Pellegrino, II danno biologico, 1120, in La responsabilità civile-Aggior-namento 1988-1996, diretta da Alpa e Bessone, Torino, 1997; Monateri-Bona, voce «Danno alla Persona», in Digesto Civ., XVI, Torino, 1997, 654-666; Caso, Le ultime pronunce di Cassazione in tema di risarcibilità «iure hereditario» del danno biologico da lesioni mortali: un difficile cammino sulla strada della teoria generale, in Foro It, 1996, 3109 e segg.; Ziviz, Quale futuro per il danno dei congiunti? (Riflessioni indotte dalla sentenza n. 372/94 della Consulta), in Resp. Civ. e Prev., 1996,297; Rebuffat, II risarcimento del danno ingiusto tanatologico, Roma, 1996; Franzoni, Il danno alla persona, Milano, 1995, 415 e segg.; AA. VV, Le nuove frontiere del danno risarcibile, a cura di Cannavo, Pisa, 1995; Giannini, La questione del danno biologico in ipotesi di lesioni mortali, in AA. VV., // danno biologico, patrimoniale, morale, 2a ed., Milano, 1995,133 e segg.; Ziviz, Danno biologico e morte della vittima: equivoci vecchi e nuovi, in Nuova Giur. Comm., 1995, I, 406; Navarretta, Danni da morte e danno alla salute, in AA. VV, La valutazóne del danno alla salute, a cura di Bargagna e Busnelli, Padova, 1995, 227 e segg.; Alpa, Lesione del diritto alla vita e «danno biologico da morte», in Nuova Giur. Comm., 1995, II, 153; Scalfì, L'uomo e la morte, in Resp. Civ. e Prev., 1995, 281; ivi, Giannini, La vittioria di Pirrone; ivi, Navarretta, Dall'esperienza del danno biologico da morte all'impianto dogmatico sul danno alla persona: il giudizio della Corte Costituzionale; Busnelli, Tre «punti esclamativi», tre «punti interrogativi», un «punto a capo», in Giust. Civ., 1994, 3029; Zmz, Il danno non patrimoniale dei congiunti nell'esperienza delle corti, in Resp. Civ. e Prev., 1994, 504 e segg.; Giannini, Lesioni mortali, danno biologico e danno psichico, in Corriere Giur., 1994,15; Comande, Risarcimento del danno morale ai congiunti: quando?, in Resp. Civ. e Prev, 1994, 72 e segg.; Pellecchia, «Lutto e malinconia»: ovvero, della controversa risarcibilità del danno psichico cagionato dalla morte di un congiunto, in Giur. It., 1994, I, 2, 886; Rossetti, Trasmissibilità agli eredi del diritto al risarcimento del cosiddetto danno biologico, in Riv. Circolaz. e Trasp., 1994,865; Pogliani, II danno biologico entro ma non oltre i confini della vita, in Resp. Civ. e Prev, 1992, 606; Giannini-Pogliani, Una garbata disputa autorevolmente diretta sul danno biologico da morte, in Dir. e Prat. Assicuraz., 1989, 361 ; Monateri, Danno biologico da uccisione o lesione della serenità familiare? (L'art. 2059 visto come un brontosauro), in Resp. Civ. e Prev., 1989, 1178.
(2) Cfr. Bona, Diritto alla vita e risarcimento iure successionis dei danni biologico e morale: la soluzione della Cassazione, la risposta negativa alla risarcibilità della perdita della vita e la questione (irrisolta?) dei secondi, dei minuti e delle ore tra la vita e la morte, cit.
(3) Da ultimo Cass., 30 ottobre 1998, n. 10896, ined.; Id., 26 ottobre 1998, n. 10629, in Guida al Dir., 1998, n. 45, 68 e segg., con nota di Martini, in Foro It, 1998, 3109, con nota di DI Ciommo; Cass., 24 aprile 1997, n. 3592, cit.; Id., 25 febbraio 1997, n. 1704, cit.; Trib. Monza, 28 ottobre 1997, in Resp. Civ. e Prev., 1998, 1102 e segg.; Id. Latina, 13 marzo 1997, in Riv. Circolaz. e Trasp., 1998, 508; App. Torino, 6 novembre 1996, n. 1387, ined.; Trib. Asti, 27 gennaio 1995, n. 47, ined. (in cui si distingue appunto tra diritto al risarcimento del danno consistente nella perdita della vita e diritto al risarcimento del danno biologico temporaneo sofferto nell'arco di tempo tra evento lesivo e morte). Contra: Trib. Massa Carrara, 16 dicembre 1997, n. 670, in Arch. Giur. Circolaz., 1998,165 e segg. e Id. Massa Carrara, 19 dicembre 1996, in Danno e responsabilità, 1998,354, con nota di Comande; Pret. Mortella, 12 aprile 1996, in Nuovo Dir., 1998, 855, con nota di Ciampi.
(4) Nota precedente.
(5) Cass., 24 aprile 1997, n. 3592, cit. e Id., 26 settembre 1997, n. 9470, cit.; inoltre Trib. Monza, 28 ottobre 1997, cit., 1101 e segg.; Id. Latina, 13 marzo 1997, cit.
(6) In questo senso, Trib. Genova, 9 luglio 1992, in Giur. It., 1994, I, 2, 391, con nota di Pinori; Id. Genova, 5 giugno 1992, in Assicuraz., 1992, II, 2,169, connota di Tricoli. Il Tribunale genovese ha infatti osservato che «il turbamento psichico e la sofferenza fisica, non costituendo un danno proiettantesi nel futuro, possono essere subiti anche da chi gravemente leso, muoia dopo qualche giorno e dopo alcune ore dal verificarsi dell'azione lesiva».
(7) Tale conseguenza si deve trarre in modo particolare da Cass., 24 aprile 1997, n. 3592, cit.
(8) Cass., 30 ottobre 1998, n. 10896, cit. (in cui si ribadisce che «gli eredi del defunto acquistano iure hereditatis il diritto al risarcimento del danno biologico sofferto dal proprio dante causa limitatamente ai soli danni verificatisi tra il momento dell'illecito e quello del decesso, qualora i due momenti siano separati da un apprezzabile lasso di tempo»); Cass., 25 febbraio 1997, n. 1704, cit.; Id., 28 novembre 1995, n. 12299, in Resp. Civ. e Prev, 1996, 282.
(9) Sul punto si rinvia alla già citata Cass., 24 aprile 1997, n. 3592 .
(10) Tale orientamento è stato ribadito ancora di recente dalla Suprema Corte in Giuffiré c. Eredi di Bramierì, Cass., 26 ottobre 1998, n. 10629, cit.
(11) Hanno diritto, in modo pressoché automatico, al risarcimento del danno morale iure proprio il coniuge, i figli, i genitori, i fratelli e le sorelle, ovvero tutti i componenti della famiglia nucleare. Per tutti gli altri parenti ed affini (nonni, nipoti, zii, cugini, cognati, ecc.) la legittimazione viene riconosciuta solo allorquando, oltre ovviamente, concorrano, come ha osservato la Suprema Corte, «ulteriori circostanze atte a far ritenere che la morte del familiare abbia comportato la perdita di un effettivo valido sostegno morale, non riscontrabile in mancanza di una situazione di convivenza, ove si tratti di soggetto che, per tipo di parentela, non abbia diritto di essere assistito anche moralmente dalla vittima», Cass., 23 giugno 1993, n. 6938, in fìesp. Civ. e Prev., 1994, 72, con nota di Comande. Una delle « ulteriori circostanze», cui si riferisce la Cassazione nella menzionata sentenza, è quella della convivenza. Sul punto si veda altresì Trib. Trento, 19 maggio 1995, in Resp. Civ. e Prev., 1995, 795. Per un quadro dei problemi relativi alla legittimità ad agire iure proprio si rinvia a Navarretta, Danni da morte e danno alla salute, in AA. VV., La valutazione del danno alla salute, a cura di Bargagna e Busnelli, cit, 234 e segg.
(12) Si noti che il problema della cumulabilità del danno relativo alle conseguenze apprezzabili dal punto di vista medico-legale con il danno morale è stato risolto positivamente non solo in Italia, ma anche in Inghilterra. La Law Commission ha ribadito siffatta posizione ancora recentemente, sostenendo appunto la possibilità per i congiunti di cumulare il risarcimento dei «damages for bereavement» (corrispondente al nostrano danno morale) con quello per la lesione psichica (damages for a recegnised psychiatric illness), Law Commission, Claims for wrongful death, Consultation Paper No 148, London, 1997, 96-97.
(13) Malgrado parte della dottrina, seppure con prospettazioni diverse a seconda degli Autori, e talune Corti di merito si siano già espresse in favore della risarcibilità del danno esistenziale, la Cassazione continua ad ignorare in tota il problema. Sul danno esistenziale da uccisione si sono pronunciati i giudici torinesi in Parasole c. Beltramo: Trib. Torino, 5 agosto 1995, in Resp. Civ. e Prev., 1996,282, con nota di Ziviz. In dottrina manca ancora un testo completo di riferimento. In assenza di un'opera organica si rinvia ai seguenti scritti: Monateri, Alle soglie di una nuova categoria risarcitoria: il danno esistenziale, in Danno e responsabilità, 1999, 5; Bona, Filiazione indesiderata e risarcimento del «danno da bambino non voluto», in Danno e responsabilità, 1999, 82 (in particolare 96); Ziviz, Il danno non patrimoniale, in La responsabilità civile, a cura di Cendon, Torino, 1998, 376 e segg.; Monateri-Bona, II danno alla persona, cit., 380; Monateri, La responsabilità civile, Torino, 1998, 299 e segg.; Navarretta, Diritti inviolabili e risarcimento del danno, cit., 18, 20, 35, 98, 138 e segg. (la quale svolge osservazioni piuttosto critiche); Ziviz, Alla scoperta del danno esistenziale, in Scritti in onore di R. Sacco, II, a cura di Cendon, Milano, 1994,41 e segg.; Cendon-Gaudino-Ziviz, Sentenze di un anno - 1993, in La responsabilità extracontrattuale, a cura di Cendon, Milano, 1994,41 e segg.
(14) Sul punto Cass., 25 febbraio 1997, n. 1704, cit. Correttamente è stato osservato che «il diritto dei familiari della vittima al risarcimento del danno biologico jure hereditatis ... non si pone in un rapporto di alternatività (nessuna norma del nostro ordinamento prescrive tale tipo di relazione escludente), ma di cumulabilità con il danno iure proprio (danno morale e danno psichico)», Trib. Massa Carrara, 19 dicembre 1996, cit.
(15) App. Torino, 5 maggio 1998, n. 505, ined.; Id. Torino, 26 marzo 1997, n. 452, ined.
(16) Da ultimo Cass., 26 ottobre 1998, n. 10629, cit.
(17) Cass., 25 febbraio 1997, n. 1704, cit.
(18) Proprio per evitare di cadere nell'assurda constatazione che sarebbe più conveniente il decesso istantaneo della vittima, la Corte d'appello di Roma, ad esempio, ha preferito optare in Del Monaco ed altri c. ATAC e soc. Ascoroma per la soluzione positiva alla risarcibilità del danno biologico anche in caso di morte immediata: App. Roma, 4 giugno 1992, in Resp. Civ. e Prev., 1992, 597, con note di Giannini e Pogliani.
(19) Siffatto orientamento sembra porsi in netto contrasto con l'orientamento espresso dalla Corte costituzionale, la quale ebbe ad affermare che i diritti inviolabili e garantiti dalla Costituzione non possono tollerare limiti a livello risarcitorio: Corte cost, 26 luglio 1979, n. 87, in Foro It., 1979, I, 2543. Si aggiunga inoltre che in Italia la responsabilità penale sembra sempre meno forte e capace di muovere i soggetti all'autoregolamentazione.
(20) Cfr. Bona, Diritto alla vita e risarcimento iure successionìs dei danni biologico e morale: la soluzione della Cassazione, la risposta negativa alla risarcibilità della perdita della vita e la questione (irrisolta?) dei secondi, dei minuti e delle ore tra la vita e la morte, cit.
(21) Cass., 25 febbraio 1997, n. 1704, cit.
(22) Così Palmieri, // danno da morte tra motivazioni giuridiche ed analisi economica, in Danno e responsabilità, 1998, 48.
(23) Sul punto è inevitabile il rinvio alla coraggiosa sentenza del Tribunale di Massa Carrara in Baria c. Panseri e Toro Assicurazioni, in cui si legge appunto che « il "diritto alla vita" definito in dottrina "essenziale tra gli elementi essenziali" trova la sua fonte giuridica primaria nell'articolo 2 della Cost. che è norma precettiva al pari se non addirittura con portata maggiore dell'articolo 32 Cost. È proprio la regola generale (art. 12 delle preleggi ) invocata da certa dottrina, che impone di considerare non isolatamente l'art. 32 Cost. , ma in funzionale collegamento con l'art. 2 Cost. che ne costituisce il presupposto logico e giuridico. Infatti in base all'articolo 2 la Repubblica Italiana non solo deve "riconoscere" il diritto inviolabile alla vita (...), ma deve garantirlo». Il Tribunale in questione ha richiamato altresì la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (approvata dall'ONU il 10 dicembre 1948 e ratificata dall'Italia con L. 4 agosto 1955, n. 848 ), che all'art. 3 statuisce che «ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona». Trib. Massa Carrara, 19 dicembre 1996, cit.
(24) Come giustamente è stato affermato dal Pretore di Mortella in Rosamilia e altri c. ESI SUD S.p.A., « non si comprende come la morte, che costituisce la massima lesione del diritto alla salute, debba essere sfornita di quella tutela risarcitoria che, invece, è riconosciuta anche a forme lievi di compressione dell'integrità fisiopsichica», Pret. Mortella, 12 aprile 1996, cit.
(25) Trib. Massa Carrara, 16 dicembre 1997, cit.
(26) Trib. Massa Carrara, 19 dicembre 1996, cit.
(27) Come già rilevato alla nota 23, il bene leso (la vita) corrisponde, infatti, ad una posizione soggettiva costituzionalmente garantita (art. 2 + art. 32 Cost. , oppure anche solo art. 2 Cost.). Si può poi porre allora la questione, essenzialmente nominalistica, di come qualificare tale danno all'interno del 2043 c. c. e le soluzioni sul punto possono essere molteplici: si potrebbe, ad esempio, decidere di risarcirlo come voce autonoma di danno e, quindi, attribuirgli un'etichetta propria (soluzione forse preferibile onde evitare confusioni con il danno biologico, nel caso di sopravvivenza della vittima per un certo lasso di tempo), oppure, soluzione meno preferibile, si potrebbe, come ad esempio hanno fatto il Tribunale di Massa Carrara e la Pretura di Mortella nelle sopra citate sentenze, ricondurlo nell'ambito del danno biologico (non è vero che, dal punto vista medico-legale, il 100% di invalidità corrisponde alla morte?) o, altra soluzione, collocarlo nella nuova categoria del danno esistenziale, essendo, senza alcuna ombra di dubbio, l'esistenza della vittima azzerata (danno esistenziale iure successionis). Tra le due ultime soluzioni prospettate (danno biologico oppure danno esistenziale iure successionis) è ben difficile dire quale sia quella preferibile: malgrado, infatti, le distinzioni intercorrenti tra danno biologico e danno esistenziale (soprattutto di tipo probatorio, poiché ben difficilmente si potrebbe avere un consulente tecnico esperto in «esistenzialità»), bisogna ammettere che nel caso di specie la perdita della vita potrebbe collocarsi indifferentemente sotto entrambe le categorie, venendo contenuti e prova a coincidere. La prova del danno è infatti l'avvenuta morte, sia che la perdita della vita sia inquadrata come danno biologico, sia che la stessa venga ricondotta al danno esistenziale. Escluderei, invece, di risarcire la perdita della vita a titolo di danno morale, poiché la sua collocazione è senza dubbio nel 2043 c. c. e, inoltre, diversi sono i contenuti (ben difficilmente la perdita della vita in sé e per sé considerata potrebbe essere vista come un perturbamento dell'animo, a meno che non si voglia pensare i morti condannati ad essere in pena anche dopo il trapasso). Insomma, anche la ricerca di un'etichetta da attribuire al danno da perdita della vita comporta rompicapi duri a passare.
(28) «Nel vigente ordinamento il risarcimento non riveste natura di sanzione, né ha carattere di assoluta generalità, bensì svolge la specifica funzione di reintegrazione e riparazione di effettivi pregiudizi conseguenti a fatti illeciti, sicché può operare solo ove sussistano tali presupposti, e cioè non oltre i limiti strutturali che segnano l'ambito del sistema della responsabilità civile», Cass., 25 febbraio 1997, n. 1704, cit.
(29) Del resto, come in modo convincente è stato rilevato da Monateri, la funzione principale della responsabilità civile è quella organizzativa e cioè quella di « produrre un coordinamento soddisfacente delle azioni sociali basato non su una serie di comandi centrali, ma su una serie di decisioni decentrate dei vari agenti», Monateri, La responsabilità civile, Torino, 1998, 22.
(30) Questa nozione elementare, ma decisamente efficace della responsabilità civile, è tratta dallo scritto di Ponzanelli, La responsabilità civile, Bologna, 1992,9. Per un quadro generale della responsabilità civile si rinvia ad Alpa, I fondamenti filosofici della responsabilità civile (a proposito di un libro di Izhak England), in AA. VV, La responsabilità civile - Aggiornamento 1989-1996, a cura di Alpa-Bessone, Torino, 1997, I, 3 e segg.
(31) Sui punitive damages nel nostro ordinamento si rinvia a Monateri, La responsabilità civile, cit., 22; Gianniti, Responsabilità civile e penale a confronto, Padova, 1998,172; Petrelli, Il danno non patrimoniale, cit., 122esegg.; Ponzanelli, La responsabilità civile, cit.; Busnelli-Patti, Danno e responsabilità civile, Torino, 1997; Covino, Danno e reato, Milano, 1997, 59 e segg.; Gallo, Pene Private e Responsabilità Civile, Milano, 1996; Franco, Diritto alla salute e responsabilità civile del datore di lavoro, Milano, 1995, 387; Alpa, Responsabilità civile e danno, Bologna, 1991,79 e segg.; Roxin, Risarcimento del danno e fini della pena, in fi/V. It. Dir. e Proc. Pen., 1993, 865; Zeno-Zencovich, II problema della pena privata nell'ordinamento italiano: un approccio comparatista ai «punitive damages» di «common law», in Giur. It., 1985, IV, 18; Bonilini, Pena privata e danno non patrimoniale, in Le pene private, a cura di Busnelli e Scalfì, Milano, 1985, 301 e segg.; Bricola, La riscoperta della «pena privata» nell'ottica del penalista, in Foro It, 1985; Busnelli, Verso una riscoperta delle «pene private?», in Le pene private, cit., 3 e segg.; Cendon, Pena privata e diffamazione, in Politica del Diritto, 1979.
(32) Trib. Firenze, 18 novembre 1991, in Arch. Giur. Circolaz., 1992, 39.
(33) Cass., 23 aprile 1998, n. 4186, in Danno e responsabilità, 1998, 688, con nota di De Marzo.
(34) Questa è stata la soluzione seguita dal Tribunale di Massa Carrara in Salvetti ed Altri e. Bernardini e Soc. Assicurazioni d'Italia (Trib. Massa Carara, 16 dicembre 1997, n. 670, cit.) e dal Pretore di Mortella in Rosamilia c. ESI SUD S.p.A. (Pret. Mortella, 12 aprile 1996, cit.). In questo senso si è espressa altresì parte della dottrina francese: Mazeaud e Tunc, Traité théorìque et pratique de responsabilité civile, 5a ed., t. Il, n. 1912. Tali Autori, a favore del risarcimento della perdita della vita, si esprimono peraltro in questi termini: «te dommage est nécessairement subi par la victime avant son décèe. Si rapide qu'ait été la mort, il s'est forcément écoulé entre elle et les coups portés au moins un istant de raison. Obligatoirement, les coups ont precède la mort. Dans cest instant, si bref fùt-il, où la victime déjà atteinte n'était pas encor décédée, dans cet instant où son patrimoine existait encore, est née la créance d'indennité». Sulle teorie relative al «pretium mortis» in Francia si rinvia a Le Roy, L'évaluation du préjudice corporei, 3a ed., Paris, 120.
(35) In base al Law Reform (miscellaneous Provisions) Act 1934 l'estate del defunto poteva ottenere il risarcimento della loss of expectation of life anche nell'ipotesi di morte istantanea: Rose v. Ford [1937] AC 826, [1937] 3 All E.R., 359, HL. La loss of expectation of life è stata poi abrogata dall'Administration of justice Act 1982, sebbene non sia del tutto scomparsa dal sistema andando ad esempio ad incrementare il quantum del risarcimento corrisposto per il pain and suffering patito dalla vittima nel periodo intercorrente tra l'evento lesivo e la morte. Per una ricostruzione storica del percorso relativo al risarcimento della loss of expectation of life si rinvia al recente lavoro della Law Commission sulle perdite non pecuniarie: LAW Commission, Damages for personal injury: non-pecuniary loss, London, 1995,1012. Si può inoltre consultare Cherubini, Il risarcimento del danno alla salute nella recente esperienza inglese, in Resp. Civ. e Prev., 1979,162-163.
(36) Gammel v. Wilson [1982] AC 27, [1981] 1 All E.R. 578, HL.
(37) Per una ricostruzione di siffatto orientamento rinvio al mio recente scritto sul punto, Bona, Diritto alla vita e risarcimento iure successionis dei danni biologico e morale: la soluzione della Cassazione, la risposta negativa alla risarcibilità della perdita della vita e la questione (irrisolta?) dei secondi, dei minuti e delle ore tra la vita e la morte, cit.
(38) Cass., 30 ottobre 1998, n. 10896, ined. In occasione di questa decisione la Suprema Corte ha ribadito che «in caso di morte immediata gli eredi non acquistano alcun diritto al risarcimento del danno biologico sofferto dal proprio dante causa: sia perché la morte determina l'assoluta incapacità, da parte del defunto, a disporre di ogni diritto; sia perché la liquidazione del danno biologico - essendo correlata al pregiudizio alla salute - ha per presupposto che sussista comunque una salute residua, cioè che il danneggiato permanga in vita».
(39) Cass., 26 ottobre 1998, n. 10629, cit.
(40) Cass., 24 aprile 1997, n. 3592, cit.
(41) Cass., 26 settembre 1997, n. 9470, cit.
(42) Cass., 25 febbraio 1997, n. 1704, cit.
(43) Cass., 26 settembre 1997, n. 9470, cit., in cui si legge testualmente che «il decesso del Monaco avvenuto dopo solo tre giorni dal fatto illecito ha reso, in pratica, inquantificabile il pregiudizio alla salute, non essendo stati i due momenti fatto illecito e decesso separati da un apprezzabile lasso dì tempo».
(44) Si noti peraltro che questo è proprio il criterio che viene seguito dai giudici biellesi nella decisione in commento.
(45) In questo stesso senso si veda Navarretta, Diritti inviolabili e risarcimento del danno, cit., 133, oltre le mìe osservazioni in Bona, Diritto alla vita e risarcimento iure sucessionis dei danni biologico e morale: la soluzione della Cassazione, la risposta negativa alla rìsarcibilità della perdita della vita e la questione (irrisolta?) dei secondi, dei minuti e delle ore tra la vita e la morte, cit.
(46) Si rinvia ovviamente anche qui alla già citata decisione della Cassazione in Puglisi e. Sanremo Soc. in l.c.a.
(47) Emblematiche in questo senso sono le decisioni assunte dai giudici inglesi nelle controversie seguite alla tragedia dello stadio di Sheffield, in cui 95 persone persero la vita e altre 400 rimasero ferite a causa degli scarsi controlli della polizia sull'eccessivo affollamento degli spalti, poi crollati per il peso della folla: White & Others v. Chief Constable of South Yorkshire, House of Lords, 3 dicembre 1998, ined.; Frost and Others v. Chief Constable of South Yorkshire Police [1997] 3 WLR 1194; Hicks v. Chief Constable of South Yorkshire Police [1992] 2 All E.R. 65; Alcock and Others v. Chief Constable of South Yorkshire Police [1991] 4 AH E.R. 907. In queste decisioni le Corti hanno cercato, senza troppo nascondere quest'intento, di agire restrittivamente sia sul novero dei legittimati attivi sia sui danni risarcibili, venendo ad esempio a escludere proprio il risarcimento dei danni premorte («pre-death pain and suffering») sulla base della non sussistenza di un periodo di tempo apprezzabile.
(48) In particolare Cass., 29 maggio 1996, n. 4991, in Danno e responsabilità, 1997, 41 e segg., con nota di Navarretta, in Foro it, 1996, I, 3107, con nota di Caso.
(49) Trib. Napoli, 18 febbraio 1995, in Resp. Civ. e Prev, 1996, 479. Sempre il Tribunale di Napoli ha risarcito il danno biologico di una donna di 73 anni sopravvissuta all'evento lesivo per 13 giorni, peraltro trascorsi in stato di coma, liquidandolo in lire 110.000.000, Trib. Napoli, 6 marzo 1995, n. 2285, in Resp. Civ. e Prev., 1996, 479. Il Tribunale di Massa Carrara, per un giorno di sopravvivenza, ha liquidato 317.000.000 a titolo di danno biologico iure successionis per la morte di un pensionato di 66 anni, Trib. Massa Carrara, 16 dicembre 1997, n. 670. In un altro caso il Tribunale di Massa Carrara ha risarcito, a fronte della morte di un ragazzo di 17 anni avvenuta dopo 21 giorni dall'evento lesivo, un danno biologico iure successionis liquidato in lire 800.000.000, Trib. Massa Carrara, 19 dicembre 1996, cit.
(50) II riferimento è alla sentenza dei giudici biellesi che si commenta in questo scritto.
(51) II Pretore di Mortella, nella già menzionata decisione Rosamilia c. ESI SUD S.p.A., ha liquidato a titolo di danno biologico iure successionis, per il decesso immediato di un soggetto di 24 anni, la somma record di lire 932.875.000 (circa 10 milioni per ogni punto di invalidità), Pret. Mortella, 12 aprile 1996. A sua volta il Tribunale di Firenze in Marsili c. Giaccari ha liquidato il danno biologico iure successionis in 180 milioni.
(52) L'espressione è tratta dal titolo dell'ultimo libro di Atiyah, The damages lottery, Oxford, 1997.
(53) Hicks v. Chief Constable of South Yorkshire Police [1992] 2 All E.R. 65.
(54) Law Commission, Damages for personal injury: non-pecuniaryloss, cit, 12.
(55) Napier & Wheat, Recovering damages for psychiatric injury, London, 1995, 114; Law Commission, Damages for personal injury: non-pecuniary loss, cit., 12.
(56) Cass., Sez. III, 6 ottobre 1994, n. 8177, in Foro It, 1995, I,1852, in Guida al Dir, 1995, 39. Condivide l'orientamento Trib. Genova, 9 luglio 1992, in Giur. Il, 1994, I, 2, 391, con nota di Pinori .
(57) Corte cost, 27 ottobre 1994, n. 372, cit. Si veda inoltre Corte cost. (ord.), 22 luglio 1996, n. 293, in Danno e responsabilità, 1996, 679, con nota di Ponzanelli.
(58) Sul percorso storico dei danni da morte iure successionis si rinvia a Bona, Diritto alla vita e risarcimento iure successionis dei danni biologico e morale: la soluzione della Cassazione, la risposta negativa alla risarcibilità della perdita della vita e la questione (irrisolta ?) dei secondi, dei minuti e delle ore tra la vita e la morte, cit.
(59) Cass., 17 novembre 1944, in Giust. Pen., 1945, III, 49, con nota di Bernieri; Id., 26 febbraio 1937, ivi, 1937, IV, 549.
(60) Cass., 28 febbraio 1964, n. 462, in Resp. Civ. e Prev., 1964, 286.
(61) « II risarcimento, quando la morte è avvenuta in modo istantaneo, compete esclusivamente iure proprio; mentre, se la morte si è verificata dopo un certo intervallo di tempo, ai danneggiati, che rivestano altresì la qualità di eredi della vittima, compete iure hereditario anche il risarcimento dei danni verificatisi prima della morte dell'infortunato».
(62) De Cupis, II danno, Milano, 1970, II, 116.
(63) Si vedano ad esempio le osservazioni di Pogliani nella celebre disputa con Giannini, Giannini-Pogliani, Una garbata disputa, autorevolmente diretta, sul danno biologico da morte, in Dir. e Prat. Assicuraz., 1989, 361. Nettamente contrario alla cumulabilità delle due azioni, Stefani ha osservato che tale soluzione «comporterebbe un aggravio non indifferente del risarcimento, sia del danno patrimoniale che di quello non patrimoniale, (verrebbe infatti risarcito sia il danno morale subito dai congiunti, sia quello patito dalla vittima, ove lo si ritenga trasmissibile)» e «tutto il sistema della liquidazione del danno diverrebbe eccessivamente complesso, opinabile ed esposto ad innumerevoli contestazioni», Stefani, II risarcimento del danno da uccisione, cit., 40. Ancora recentemente vi è chi ha visto le due azioni come alternative, esprimendo preferenze per quella iure proprio: Salvi, La responsabilità civile, Milano, 1998, 67.
(64) Ad esempio Trib. Firenze, 10 novembre 1993, in Foro It, 1994, I, 1954.
(65) Cass., 25 febbraio 1997, n. 1704, cit. La Cassazione aveva a modello ovviamente la decisione della Corte costituzionale in Sgrilli e. Colzi, in cui era ormai chiara la distinzione tra i due tipi di azioni e la loro cumulabilità.
(66) In particolare le Corti di Genova e Pisa: Trib. Genova, 25 maggio 1974, in Giur. It, 1975, con nota di Bessone e Roppo; Id. Genova, 20 ottobre 1975, in Resp. Civ. e Prev., 1976, 466, con nota di Scalfì; Id. Genova, 15 dicembre 1975, in Foro It, 1976,1,1997; Id. Pisa, 10 marzo 1979, inGiur. It, 1980, I, 2, 20 e segg., con nota di Del Medico, in Resp. Civ. e Prev., 1979,356, con nota di Ponzanelli. In dottrina: Monetti e Pellegrino, Proposte per un nuovo metodo di liquidazione del danno alla persona, in Foro It, 1974, V, 159 e segg.; Bessone e Roppo, Lesione dell'integrità fisica e «diritto alla salute». Una giurisprudenza innovativa in tema dì valutazione del danno alla persona, in Giur. It, 1975, I, 2, 54. Critico nei confronti delle nuove proposte in tema di danno alla salute era stato il Pogliani, La «regola del calzolaio» per la corretta valutazione del danno alla persona, in Resp. Civ. e Prev., 1975, 417.
(67) Corte cost., 26 luglio 1979, n. 88, in Foro It, 1979, 2543.
(68) Cass., Sez. III, 6 giugno 1981, n. 3675, in Giust Civ., 1981, 190.
(69) Ancora recentemente la Cassazione, in Libutti c. Montesoro e altro, è ritornata a ribadire che il livello e l'andamento delle entrate patrimoniali del soggetto non possono avere alcuna incidenza sui parametri di liquidazione del danno biologico, Cass., 19ottobre 1998, n. 10339, in Guida al Dir., 1999, n. 4, 100.
(70) In questo senso si vedano ad esempio Corte cost., 18 luglio 1991, n. 356, in Foro II, 1991, I, 2347; Cass., 20 dicembre 1988, n. 6938, in Resp. Civ. e Prev, 1989, 1173, con nota di Monateri.
(71) Cass., Sez. lav., 5 settembre 1988, n. 5033, in Orient. giur.lav., 1988,1193. La Suprema Corte è ritornata da ultimo sul punto in Boffardi c. INAIL e altri, in cui si precisa che «allorché si dice che il danno estetico è una componente del danno biologico, questa affermazione ha come conseguenza che di detta componente si tenga conto nel liquidare il danno biologico», procedendo pertanto a «personalizzare» il valore a punto, Cass., 8 maggio 1998, n. 4677, in Assicuraz., 1998, I, 2, 36 e segg., con nota di Rossetti.
(72) Cass., 13 settembre 1996, n. 8260, in Riv. Circolaz. e Trasp., 1996, 773; Id., 5 novembre 1994, n. 9170, in Rep. Giur. It., 1994, voce « Danni in mat. civ. e pen. », nn. 107 e 188; Id., Sez. III, 6 novembre 1993, n. 11011, in Mass. Giust. Civ., 1993, fasc. 11; ld, Sez. III, 10 marzo 1992, n. 2840, in Foro It, 1993, I, 1960, connota di De Marzo; Id., Sez. III, 3 aprile 1990, n. 2761, in Mass. Foro It., 1990. Ancora in tempi più recenti la Suprema Corte, in Giatti c. Ufficio Centrale Italiano s.r.L, ha ribadito la riconduzione del danno alla vita di relazione nel danno biologico: il danno biologico può essere «limitato alla sfera del soggetto offeso, ovvero estesa alle relazioni di costui con terzi; in altri termini, solo personale od anche interpersonale, e si qualifica, nel secondo caso, come danno alla vita di relazione, poiché la lesione della integrità fisica viene ad incidere, direttamente, nell'ambito dei rapporti sociali ... del soggetto», Cass., 16 aprile 1996, n. 3564, in Riv. Circolaz. e Trasp., 1996, 315. Tale posizione è stata ulteriormente riconfermata in Cignini c. SIAD Assic. S.p.A., Cass., 9 febbraio 1998, n. 1324, in Giur. It, 1998, 2039, con nota di Suppa.
(73) Cass., 11 novembre 1986, n. 6607, in Foro It, 1987, I, 833, con nota di Princigalli, in Giur. It, 1987, I, 1, 2043, con nota di Patti, in Giust. Civ, 1987, I, 573, con nota di Alpa.
(74) Cass., 19 marzo 1993, n. 3260, in Dir. Econ. Assicur, 1993, 637, con nota di Chindemi, in Resp. Civ. e Prev., 1993, 268, con nota di Comandè; Trib. Piacenza, 19 maggio 1993, in Arch. Giur. Circolaz., 1993, 705; Id. Torino, 8 agosto 1992, ibid.,545.
(75) Sullo stretto legame intercorrente tra danno biologico e medicina-legale si rinvia a Gerin, Dalle giornate triestine del 1952 all'incontro pisano del 1986. La valutazione medico-legale del danno alla persona in responsabilità civile, in Resp. Civ. e Prev., 1996, 215.
(76) Cass., 11 novembre 1986, n. 6607, in Foro It., 1987, I, 833, con nota di Princigalli, in Giur. It, 1987, I, 1, 2043, con nota di Patti, in Giust. Civ., 1987, I, 573, con nota di Alpa, in Nuova Giur. Comm., 1987, I, 351, con nota di Ferrando.
(77) L'esistenza di un diritto alla serenità familiare è stato ribadito in seguito dal Tribunale di Milano in Sanna e D'Angelo c. Arbia, Trib. Milano, 18 febbraio 1988, in Resp. Civ. e Prev, 1988, 454, con nota di Scalfì. Sul tema: Monateri, Danno biologico da uccisione o lesione della serenità familiare? (L'art. 2059 visto come un brontosauro), in Resp. Civ. e Prev., 1989, 1176 e segg.
(78) Giannini, in AA. VV, Giornate di studio sul danno alla salute, Padova, 1990, 265; Id., Il danno biologico in caso di morte, in Resp. Civ. e Prev., 1989, 383.
(79) App. Roma, 17 marzo 1994, in Assicuraz., 1995, II, 2, 16; Trib. Milano, 4 giugno 1990, in Giur. di Merito, 1992, I, 369; Id. Treviso, 5 maggio 1992, in Resp. Civ. e Prev., 1992, 441, con nota di Comandè; Id. Milano, 26 giugno 1989, n. 5737, in Giannini, Il risarcimento del danno alla persona, Milano, 1991, 136; Id. Treviso, 13 marzo 1986, in Dir. e Prat Assicuraz., 1987, 405.
(80) Trib. Treviso, 5 maggio 1992, cit. È interessante osservare che danno biologico e danno morale sono stati liquidati dal Tribunale di Treviso entrambi in lire 60.000.000.
(81) Eppure la Corte costituzionale in Repetto c. AMT di Genova era stata sufficientemente chiara: l'espressione «danno biologico» si riferisce alla «menomazione dell'integrità psico-fisica del soggetto», che «è ... evento naturalistico, effettivo, da provare in ogni caso»; la lesione della salute è «l'essenza antigiuridica dell'intero fatto realizzativo del danno biologico». Corte cost., 14 luglio 1986, n. 184, cit.
(82) Trib. Milano, 2 settembre 1993, in Giur. It, 1994, I, 2, 886, con nota di Pellecchia, in Corriere Giur., 1994, 115, con nota di Giannini.
(83) Trib. Milano, 1° febbraio 1993, in Foro It, 1994, I, 1954, con nota di Salme.
(84) Si noti tuttavia che la giurisprudenza milanese non è stata univoca sul punto e nello stesso anno delle citate decisioni ha affermato anche l'opposto e cioè che il danno biologico deve identificarsi con l'insorgere o l'aggravarsi di una vera e propria malattia psichica: Trib. Milano, 15 aprile 1993, in Corriere Giur., 1993, 1219, con nota di Polotti Di Zumaglia.
(85) Trib. Treviso, 5 maggio 1992, cit., 442.
(86) Sul punto si veda in particolare la nota di Pellecchia alla sopra menzionata decisione del Tribunale di Milano in Bolignano e lorio c. La Verde e U.A.R Italiana S.p.A., Pellecchia, «Lutto e malinconia»: ovvero, della controversa risarcibilità del danno psichico cagionato dalla morte di un congiunto, cit. Comandè, a sua volta, ha rilevato il rischio per la categoria del danno alla salute di diventare « una catch all category, un "sacco" dentro il quale... si può mettere di tutto, perdendosene così, a poco a poco, l'originaria funzione ed il retroterra dogmatico», Comandè, in Resp. Civ. e Prev, 1992,444.
(87) App. Roma, 17 marzo 1994, in Assicuraz., 1994, II, 2, 16. In questo stesso senso Trib. Crema, 31 dicembre 1993, in Informazione prev., 1993, 1561.
(88) Sulla base di questo principio non è stato risarcito al minore, rimasto orfano di entrambi i genitori, il danno biologico. È stato, tuttavia, riconosciuto al minore il danno morale in lire 300.000.000.
(89) App. Milano, 11 ottobre 1994, in Nuova Giur. Comm., 1995, I, 490, con nota di Chindemi.
(90) Corte cost., 27 ottobre 1994, n. 372, cit.
(91) Trib. Firenze, 10 novembre 1993, in Foro it, 1994, I, 1954.
(92) Si osservi che il Tribunale di Firenze poneva in rapporto di alternatività i due tipi di risarcimento, osservando peraltro che la configurazione del danno da morte come dovuto iure proprio appariva «più corretta nelle sue conseguenze concrete», poiché da un lato lo sganciamento della titolarità del diritto dalla mera qualità di erede e la conseguente rilevanza della posizione di stretto congiunto avrebbero reso effettiva la possibilità di individuare i danneggiati e aperto la «via della prova contraria», dall'altro il superamento delle obiezioni al risarcimento iure successionis, fondate sulla natura di diritto personalissimo del diritto alla salute o alla vita.
(93) II Tribunale di Firenze rinunciava in pratica, come invece sarebbe stato opportuno, ad attaccare l'art. 2059 c. c, concentrandosi invece sull'art. 2043 c. c. e il danno alla salute, dimenticandosi tuttavia, come ad esempio il Tribunale di Milano nella menzionata decisione Bolignano e lorio c. La Verde e U.A.R Italiana S.p.A., della prova medico-legale dello stesso.
(94) Decisamente critico il Giannini, Danno biologico in ipotesi di lesioni mortali, in AA. VV, II danno biologico, patrimoniale, morale, cit., 160.
(95) Sulle difficoltà a comprendere le ragioni, che hanno spinto la Consulta a operare la sottolineatura in questione, si rinvia a Busnelli, Tre «punti esclamativi», tre «punti interrogativi», un «punto a capo», cit., 3038.
(96) In questo modo la Corte costituzionale ha dato segno di ignorare totalmente la storia dei danni riflessi (su cui Pellecchia, Dal figlio indesiderato al desiderio di un figlio (e di un fratello): brevi note su ingiustizia del danno, danni riflessi e vittime secondarie, in Danno e responsabilità, 1998, 898; Pellecchia, La Corte di Cassazione e i c.d. danni riflessi: divagazioni e deviazioni sul tema, in Resp. Civ. e Prev., 1991, 451 e segg.) e l'orientamento della Cassazione, che solo qualche anno prima aveva rilevato in Dall'Olio e De Carli c. Soc. Lavoro e Sicurtà che «può ritenersi ormai acquisito, dalla coscienza sociale e dalla esperienza giurisprudenziale, il dato della ammissibilità, sulla base del disposto dell'art. 1223 richiamato dall'ari 2056 c. c, del risarcimento della lesione dei così detti "danni riflessi" o di rimbalzo, secondo l'inciso usato dalla dottrina francese) di cui sono portatori soggetti diversi dalla vittima iniziale del fatto ingiusto altrui», Cass., 7 gennaio 1991, n. 60, in Resp. Civ. e Prev., 1991, 446. Inevitabile poi il riferimento al risarcimento della lesione del diritto di credito ed al celebre caso Meroni, giocatore del Toro rimasto vittima di un incidente.
(97) È chiaro che la Corte costituzionale in Sgrilli c. Colzi ha attribuito al concetto della prevedibilità un significato decisamente particolare (ed arcaico), per cui siffatta condizione sarebbe soddisfatta solo quando l'autore dell'illecito si rappresenti anche il pregiudizio delle vittime secondarie. Ma una soluzione di questo genere, ancorata alla figura della rappresentazione dolosa, era considerata accettabile nel secolo scorso (si veda, ad esempio, il caso inglese Wilkinson v. Downtown [1897] 2 Q.B. 57), non lo è più oggi. In realtà, il requisito della prevedibilità non richiede l'effettiva rappresentazione, semmai la potenzialità della previsione. Non si comprende inoltre per quali motivi il problema della prevedibilità dovrebbe porsi solo in connessione con il danno biologico (lesione del diritto alla salute) e non invece con il danno patrimoniale subito dai congiunti (lesione del diritto di credito). Sul punto il Franzoni ha osservato che «resta inspiegabile perché del danno da perdita di alimenti il responsabile deve subire la condanna al risarcimento e non invece del danno per la lesione della salute del sopravvissuto. Perché la prevedibilità della colpa nel primo caso non svolge la funzione di filtro nel selezionare l'imputazione del danno, mentre ciò si verifica nel secondo?», Franzoni, II danno da uccisione, cit, 222. Osservazioni di questo tipo si ritrovano in Navarretta, Dall'esperienza del danno biologico da morte all'impianto dogmatico sul danno alla persona: il giudizio della Corte costituzionale, in Resp. Civ. e Prev., 1994, 996 e segg. Infine, se si analizza il panorama giurisprudenziale, emerge chiaramente che il criterio della prevedibilità non costituisce l'unica vìa possibile per l'accertamento del nesso causale, ma vi sono, in realtà, diverse teorie (oltre quella della prevedibilità, la teoria della condicio sine qua non, la teoria della causalità adeguata, la teoria dello scopo della norma violata, la teoria della causalità come signoria del fatto), cosicché non è corretto (ma evidentemente strumentale) ricorrere ad una sola di queste. Sul nesso causale: Monateri, La responsabilità civile, cit., 144 e segg.
(98) Per la Corte costituzionale l'art. 2059 c. c, costituirebbe, quindi, una fattispecie autonoma di responsabilità; inoltre, l'art. 2043 c. c. non potrebbe in alcun modo riguardare le vittime secondarie. Ma queste prospettazioni sono palesemente errate: il 2059 c. c, come invero si trae dalla sua stessa formulazione e dalla sua collocazione codicistica, svolge, infatti, esclusivamente la funzione di limite risarcitorio in relazione alla categoria del danno morale subiettivo, ma non configura un autonomo sistema di responsabilità, che sia in grado di permettere da solo l'individuazione del soggetto danneggiato. In questo stesso senso si è espresso Lanotte, Il danno alla persona nel rapporto di lavoro, cit., 94. Per quanto riguarda poi l'impossibilità, asserita sostanzialmente dalla Consulta, di riferire il 2043 c. c. alle vittime secondarie, non si vede perché l'ingiustizia del danno non possa riferirsi anche a questi soggetti.
(99) Corte cost, 17 febbraio 1994, n. 37, in Foro II, 1995, I, 84, con nota di Castronovo, in Giur. Il, 1995, I, 10, con nota di Nasi.
(100) In particolare: Giannini, La vittoria di Pirrone, cit.; Busnelli, Tre «puntiesclamativi», tre «punti interrogativi», un «punto a capo», cit.; Navarretta, Dall'esperienza del danno biologico da morte all'impianto dogmatico sul danno alla persona: il giudizio della Corte costituzionale, cit.
(101) Si veda, ad esempio, la decisione del Tribunale di Trento in Barni e altri c. Montedison e altri, Trib. Trento, 19 maggio 1995, in Resp. Civ. e Prev., 1995, 787.
(102) Non mancano tuttavia le eccezioni. In Bedogni e Bigi c. Davolio e Reale Mutua Assicurazioni il Tribunale di Reggio Emilia, ad esempio, ha aderito all'impostazione sostenuta dalla Corte costituzionale, riconducendo nel 2059 c. c. il danno biologico risarcibile iure proprio ai congiunti, Trib. Reggio Emilia, 3 novembre 1995, in Danno e responsabilità, 1997, 105, con nota di Palmieri.
(103) Vi sono tuttavia decisioni, che si sono discostate da questo indirizzo. Ad esempio, il Tribunale di Napoli, in Nicolella e Strofaldi c. Acampora e SIAD Ass. S.p.A., ha riconosciuto il danno biologico iure proprio sulla base che, per effetto del decesso del congiunto, gli attori avevano subito «una modificazione peggiorativa della qualità della vita, essendo venuto meno quel fascio di relazioni umane identificantesi nella stessa posizione di moglie e figlio», Trib. Napoli, 28 dicembre 1995, in Resp. Civ. e Prev, 1996, 993, con nota di Ziviz.
(104) In tema di danno psichico: Monateri-Bona, Il danno alla persona, cit., 88 e segg.; Brondolo-Marigliano, Danno psichico, Milano, 1996; Giannini, Riflessioni sul danno psichico da menomazione psichica, in AA. VV. Il danno biologico, patrimoniale, morale, cit, 107 e segg.; Franzoni, Il danno alla persona, cit, 362 e segg.; AA. VV, Le nuove frontiere del danno risarcibile, a cura di Cannavo, cit.; Pellecchia, «Lutto e malinconia»: ovvero, della controversa risarcibilità del danno psichico cagionato dalla morte di un congiunto, in Giur. It., 1994, I, 2, 886; Giannini, Lesioni mortali, danno biologico e danno psichico, in Resp. Civ. e Prev., 1993, 1011 (per Giannini «la lesione psichica rappresenta un fenomeno intangibile, caratterizzato da elementi incorporei con sintomatologia soggettiva, che si manifesta attraverso il comportamento del danneggiato»); Ponti, Danno psichico e attuale percezione del disturbo mentale, Milano, 1993; Castiglioni, Eventi traumatici modesti e sequele psichiche: il problema del nesso di causalità materiale, in Dir. Econ. Ass., 1992, 419; AA. VV, Danno biologico e danno psicologico, a cura di D. Pajardi, Milano, 1990; Tarizzo, N esso di causalità e danno psichico, in Giur. It, 1991, I, 2, 54; Cendon, II prezzo della follia, Bologna, 1984.
(105) Sul punto Monateri-Bona, Il danno alla persona, cit., 88.
(106) In Inghilterra si afferma che deve sussistere una «recognisible psychiatric illness». È tuttavia opportuno tenere presente che la nozione della recognisible psychiatric illness è nel diritto inglese di matrice giuridica e non di matrice medicolegale, cosicché, mentre talune manifestazioni psichiche sono diagnosticabili in campo medico (ad esempio l'acute stress reaction), le stesse non sono invece risarcite delle Corti, che richiedono un ulteriore elemento, cioè che la vittima abbia subito una lesione psichica più rilevante rispetto ad un ordinario turbamento psichico («ordinary mental distress»). Su questo punto si rinvia alla Law Commission, Liability for psychiatric illness, London, 1998 (Law Com No 249), 57-58. In Italia, invece, la matrice del danno psichico è senz'altro prima di tutto medico-legale.
(107) Cass., 29 maggio 1996, n. 4991, in Danno e responsabilità, 1996, 41, con nota di Navarretta.
(108) Trib. Monza, 28 ottobre 1997, in Resp. Civ. e Prev., 1998, 1101 e segg.; Id. Trento, 19 maggio 1995, cit.; Id. Torino, 31 marzo 1995, in Riv. critica dir. lavoro, 1995, 1003.
(109) Cass., 29 maggio 1996, n. 4991, cit.
(110) Cass., 30 ottobre 1998, n. 10896, ined.
(111) Trib. Trento, 19 maggio 1995, cit.
(112) Teorizzazione invece condivisa in buona sostanza dal Tribunale di Torino, che, come si vedrà oltre, ha finito con il collocare tale turbamento nella nuova categoria del danno esistenziale. La differenza di posizione tra le due Corti in questione è chiara: i giudici torinesi hanno optato per una lettura allargata dell'ingiustizia del danno, il Tribunale di Trento risulta al contrario restio ad uscire dal tradizionale sistema risarcitorio tripartito, a tal punto da non dare valore autonomo ad un diritto della personalità quale quello dei rapporti familiari.
(113) La Suprema Corte nota infatti che, se la «Corte costituzionale, con la sent. n. 372/94, ha ritenuto operante non il modello risarcitorio dell'art. 2043 c. c, ma quello dell'art. 2059 c, c. », « la decisione non ha tuttavia riscosso unanimi consensi in dottrina».
(114) Corte cost. (ord.), 22 luglio 1996, n. 293, cit.
(115) Trib. Pisa (ord.), 13 maggio 1998, in Danno e responsabilità, 1998, 1013, con nota di Amato.
(116) Trib. Torino, 8 agosto 1995, in Resp. Civ. e Prev., 1996, 282, con nota di Ziviz.
(117) In particolare Ziviz, Alla scoperta del danno esistenziale, in Scritti in onore di R. Sacco, II, a cura di Cendon, Milano, 1994, 1299 e segg. e in La responsabilità extracontrattuale, a cura di Cendon, Milano, 1994, 41 e segg.; Cendon-GaudinoZiviz, Sentenze di un anno - 1993, in La responsabilità extracontrattuale, cit., 697. Sul danno esistenziale da uccisione: Ziviz, II danno non patrimoniale, cit., 378; Monateri-Bona, Il danno alla persona, cit., 380; Lanotte, Il danno alla persona nel rapporto di lavoro, cit., 75; Ziviz, Quale futuro per il danno dei congiunti? (Riflessioni indotte dalla sentenza n. 372/94 della Consulta), cit.
(118) Trib. Torino, 8 agosto 1995, cit.
(119) Monateri, La responsabilità civile, cit, 298.
(120) In linea con quanto appena rilevato si pone la Ziviz, che individua appunto la giustificazione teorica del danno esistenziale nella lettura costituzionale degli artt. 2043 e 2059 c, c: Ziviz, Il danno non patrimoniale, cit., 379-380. In particolare, l'Autrice osserva che «laddove scopo fondamentale della carta costituzionale appare il perseguimento dello sviluppo della persona umana, apparirebbe illegittima qualsiasi restrizione riguardante la piena salvaguardia - anche sul piano risarcito-rio - delle attività attraverso le quali il soggetto realizza la propria individualità»: « in definitiva, il danno esistenziale risulterà risarcibile ex art. 2043 c. c senza che si applichi alcuna limitazione al risarcimento».
(121) A favore dell'abrogazione del 2059 c. c. si è espresso già da tempo Monateri, Danno biologico da uccisione o lesione della serenità familiare? (L'art. 2059 visto come un brontosauro), cit., 1182. Si veda inoltre Monateri, La responsabilità civile, cit., 295 e segg. Contro l'agganciamento del danno morale al reato e l'art. 2059 c. c. si sono espressi anche i giudici, ad esempio il Presidente del Tribunale di Brescia, il quale ha osservato che «non si comprende perché il nostro ordinamento debba ritenere che il danno patrimoniale sia risarcibile se derivi da un illecito civile mentre il danno non patrimoniale sia risarcibile soltanto se derivi da un illecito penale», essendo del resto il danno morale «spesso ... molto più intenso di qualsiasi perdita economica», Bonavitacoia in AA. VV, Danno biologico: le nuove tabelle dei Tribunali, Guida al Dir., Dossier Aprile 1998, 73. In dottrina, con motivazioni diverse, si sono espressi contro l'abrogazione del 2059 c. c. Busnelli (Bu-snelli, Figure controverse di danno alla persona nella recente evoluzione giurisprudenziale, in Resp. Civ. e Prev, 1990, 469 e segg.: per l'Autore il 2059 non sarebbe un brontosauro, ma piuttosto un vecchio sauro di cui la carrozza della responsabilità civile avrà sempre bisogno), Ponzanelli (Ponzanelli, L'art. 2059 resiste: ma quanti problemi ancora!, in Danno e responsabilità, 1996, 679) e Navar-retta (Navarretta, Diritti inviolabili e risarcimento del danno, cit., 350 e segg.).
(122) Sulle pene private si rinvia alla nota 31.
(123) In questo senso si è espresso ad esempio Monateri al convegno sul danno esistenziale organizzato da Cendon e Ziviz a Trieste il 13 e 14 novembre 1998.
(124) Chindemi, ad esempio, ha sostenuto che «ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale appare preferibile la determinazione di un'unica voce risarcitoria, con la specificazione al suo interno, delle poste liquidate a titolo di danno morale e danno biologico da morte "iure proprio", ove lo stesso sia ritenuto provato sussistente», Chindemi, Sulla prova del danno biologico da morte «iure proprio», in Nuova Giur. Comm., 1995, 495.
(125) Ciò è emerso con estrema evidenza in occasione del recente convegno triestino sul danno esistenziale.
(126) Oltre la già menzionata sentenza del Tribunale di Torino in Parasole e. Beltramo, si deve menzionare la decisione del Tribunale di Verona in Bruti c. Lega Nord, in occasione della quale è stato risarcito il danno esistenziale ad un sacerdote, la cui immagine era stata utilizzata (con conseguente lesione della personalità) per una campagna elettorale della Lega Nord, Trib. Verona, 26 febbraio 1996, in Dir. informazione e informatica, 1996, 576.
(127) Sulla proposta ISVAP si rinvia a Mariotti-Pellino, Un giusto rimborso al danno biologico, in II Sole 24-Ore, 11 gennaio 1999, 19.
(128) Navarretta, Diritti inviolabili e risarcimento del danno, cit., 287 (e 313-314). A questa critica si potrebbe obbiettare che il sistema risarcitorio non può discriminare tra diritti costituzionalmente protetti, altrimenti, mentre alcuni diritti (ad esempio il diritto alla salute) godrebbero di tutela risarcitoria, altri finirebbero con il rimanere privi di tale protezione. Al contrario, la selezione dei danni risarcibili si deve giocare in concreto, tramite il nesso di causa e la prova di una effettiva diminuzione dello status della vittima.
(129) Aa. Vv , Danno biologico: le nuove tabelle dei Tribunali, in Guida al Dir., Milano 1998, 3.
(130) Sui criteri di liquidazione del danno biologico seguiti dalle Corti italiane: Pellecchia, Valutazione del danno alla salute e «criterio del triplo della pensione sociale»: il lungo addio, in Danno e responsabilità, 1999, 65; Comande, No alla moltiplicazione delle tabelle: il coraggio della giurisprudenza nella continuità della tradizione e all'insegna della scientificità, in Danno e responsabilità, 1998, 809 e segg.; lanotte, Il danno alla persona nel rapporto di lavoro, cit., 42 e segg.; Suppa, La liquidazione del danno biologico: un problema ancora in attesa di soluzione, in Giur. Il, 1998, 2040; Rossetti, Ancora una «tabella» aspettando il legislatore (brevi note sull'esperienza del Tribunale di Roma), in Danno responsabilità, 1998, 519esegg.; Molinari, II risarcimento del danno alla persona negli incìdenti stradali, Padova, 1998; Monateri-Bona, II danno alla persona, cit., 157 e segg.; Aa. Vv , Danno biologico: le nuove tabelle dei Tribunali, cit.; Silla, Il danno biologico, 1997, 129 e segg.; Comande, Verso una moltiplicazione delle tabelle?, in Danno e responsabilità, 1997, 354 e segg.; Comande, Dalla ricerca alla prassi operativa nella liquidazione del danno alla salute, in Danno e responsabilità, 1997, 9; Barone e Pellegrino, Il danno biologico, in Alpa e Bessone, La responsabilità civile - Aggiornamento 1988-1996, cit., 1115; Petti, II risarcimento del danno biologico, cit., 297 e segg.; Aa. Vv , Danno biologico: i nuovi valori per il risarcimento, in Guida al Dir., Milano, 1997; Aa. Vv , Danno biologico: la valutazione e il risarcimento, ivi, Milano, 1996; Gruppo di Ricerca C.N.R. sul Danno alla Persona, Rapporto sullo Stato della Giurisprudenza in Tema dì Danno alla Salute, coordinato e diretto da Bargagna e Busnelli, Padova, 1996; Comande, Le tabelle milanesi per la liquidazione del danno alla persona, in Danno e responsabilità, 1996, 40; Anzani, Danno biologico: ipotesi di una tabella, ìbid., 672; Rossetti, A parità di danno parità di indennizzo: possibilità di uniformare ì criteri di risarcimento in sede giudiziaria, in Riv. Circolaz. e Trasp., 1996,474; Costanza, Note sul danno biologico e sulle modalità del suo risarcimento per mezzo dell'equità, in Giust. Civ., 1996,1, 507; Giannini e Mangili, Le nuove tabelle milanesi sul «danno biologico», in Resp. Civ. e Prev, 1996, 403; AA. VV., La valutazione del danno alla salute, a cura di Bargagna e Busnelli, cit.; Loi, La liquidazione del risarcimento, in AA. VV, Il danno biologico, patrimoniale, morale, cit., 301 e segg.; Ponzanelli, La Corte di Cassazione e il criterio equitativo nella valutazione del danno alla salute, in Resp. Civ. e Prev, 1995, 524.
(131) Sulla liquidazione del danno morale: Petti, Il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale della persona, Torino, 1999,261 ss.; Ziviz, lldannonon patrimoniale, cit., 309 e segg.; Monateri-Bona, Il danno alla persona, cit., 275; Violante, La valutazione equitativa del danno morale da fatto illecito, in Danno e responsabilità, 1998, 351 e segg.; AA. VV., Responsabilità civile - Rassegna di Giurisprudenza e Dottrina 1997, a cura di Carbone, Milano, 1998, 310; Petrelli, Il danno non patrimoniale, cit., 614 e segg.; Palmieri, Quanto vale la sofferenza dei genitori per la perdita di un figlio?, in Danno e responsabilità, 1997,105; GianniniPogliani, II danno da illecito civile, cit., 298-299; Grappolo, Criteri di quantificazione del danno morale, in Nuova Giur. Comm., 1989, II, 240 e segg.
(132) Sul ed. «criterio della proporzionalità» si rinvia a Monateri-Bona, Il danno alla persona, cit., 277. La Cassazione ha recentemente affermato la legittimità di siffatto criterio in Fedozzi e. Lombardi e altro, Cass., 9 gennaio 1998, n. 134, in Danno e responsabilità, 1998, 351, con nota di Violante, in Foro II, 1998, 409, con nota di Granieri.
(133) Tale soluzione come si è osservato in fase introduttiva, è stata seguita anche dal Tribunale di Biella nella sentenza in commento.
(134) Suggestivi spunti sull'individuazione dei «valori dell'uomo» si trovano nello scritto AA. VV, II prezzo dell'uomo, a cura di Cannavo, Pisa, 1995.
(135) Ovviamente tali parametri variano, anche sensibilmente, da Corte a Corte.
(136) in questa direzione si è posta, ad esempio, già nel passato la decisione Capelli ed altri c. S.p.A. Unione Subalpina, Trib. Genova, 1° luglio 1982, in Petrelli, Il danno non patrimoniale, cit., 335. Da ultimo Trib. Genova, 14 marzo 1997, n. 566, ined. e Id. Genova, 28 settembre 1998, in Danno e responsabilità, 1999, 65, con nota di Pellecchia.
(137) Trib. Massa Carrara, 19 dicembre 1997, n. 670, cit.
(138) Sul punto si rinvia a Rossetti-Pinto-Ranieri, Il danno biologico nella giurìsprudenza di Roma, Roma, 1997,124 e segg. La tabella utilizzata dei giudici romani per la liquidazione del danno morale da morte riporta valori decisamente superiori rispetto alle tabelle elaborate dagli altri Tribunali e prevede dei «fattori dì correzione», quali l'eventuale non convivenza col defunto e la presenza o l'assenza di altri congiunti conviventi col superstite.
(139) App. Torino, 5 maggio 1998, n. 505, ined.
(140) Law Commission, Claims for wrongful death - A Consultation Paper, 1997, 90-93.
(141) È il criterio di liquidazione attualmente in vigore e applicato dalle Corti inglesi. Il Lord Chancellor, cui spetta, in forza della Section 1A (5) del fatai Accidents Act 1976, il potere di fissare il valore del damages for bereavement, nel 1991 ha innalzato da 3,500 sterline a 7,500 la somma da liquidarsi a tale titolo.
(142) Munkman, Damages for personal Injuries and Death, 10th ed., London, 1996,136.
(143) Trib. Trento, 19 maggio 1995, cit.
(144) Conseil de l'Europe, Réparation des dommages en cas de lésions corporelles et de décès, Ed. Conseil de l'Europe, Strasbourg, 1975. Il testo originale in francese si può leggere in Lambert-Faivre, Droìt du dommage corporei, Paris, 3a ed., 1996; Le Roy, L'évaluation du préjudice corporei, Paris, 1996. Per una sua recente traduzione in italiano si rinvia a Petti, Il risarcimento del danno biologico, Torino, 1997, 360 e segg. La Risoluzione è commentata in Bona, La via europea per il risarcimento del danno alla persona, in Tagete, 1998, 11 e segg.
(145) Per una panoramica dei vari sistemi europei si rinvia ai seguenti scritti: Molinari, Il risarcimento dei danni fisici da incidenti stradali in Europa e nei paesi extra-europei, Padova, 1998; Warren Neocleus, Personal Injury - Practiceand Procedure in Europe, London, 1997; Aa. Vv , International Personal Injury Compensation, London, 1996; Procida Mirabelli di Lauro, La riparazione dei danni alla persona, Napoli, 1993; Dessertine, L'évaluation du préjudice corporei dans les pays de la C.E.E., Paris, 1990; Aa. Vv , Compensation for Personal Injury in Sweden and other Countrìes, Stockholm, 1988.
(146) «Compte tenu des règles concernant la responsabilité, la personne qui a subì un préjudice a droit à la réparation de celui-ci, en ces séns qu'elle doit ètre replacée dans une situation aussi proche que possible de cellequi aurait été la sienne si le fait dommageable ne s'était pas produit».
(147) « L'indemnité réparant le préjudice est calculée selon la valeur du dommage au jour du jugement ».
(148) «Dans le mesure du possible, le jugement doit mentionner le détail des indemnités accordées au titre des différents chefs de préjudice subis par la victime».
(149) II diritto comparato insegna tuttavia che negli ultimi anni i principali sistemi risarcitori europei, al di là delle declamazioni, sono venuti a convergere verso uno stesso modello, in forza del quale sono ritenute risarcibili iure successionis le sofferenze ed i dolori patiti dalla vittima principale nell'arco di tempo tra l'evento lesivo e la morte, a condizione che tale lasso di tempo sia apprezzabile e, dunque, la morte non sia stata immediata o quasi istantanea. Osservazioni comparatistiche in questo senso si trovano in Caso, La Cassazione, la macchina del tempo e la risarcibilità «iure hereditario» del danno (biologico) da lesioni mortali, in Foro It., 1995, I, 1853. Inoltre: Procida Mirabelli di lauro, La riparazione dei danni alla persona, cit., 192 e segg.
(150) «Les frais occasionnés par le décès de la victime, et notamment les frais funéraires doivent ètre remboursés».
(151) Royal Commission on Civil Liability and Compensation for Personal Injury, op. cit.
(152) II resoconto dei colloqui parigini si trova in Dessertine, L'évaluation du préjudice corporei dans les pays de la C.E.E., cit.
(153) Hanno richiamato la Risoluzione i seguenti Autori: Busnelli, Il danno alla salute ad una svolta: legge si? legge no? quale legge?, in Danno e responsabilità, 1998, 305 e segg.; Busnelli-Patti, Danno e responsabilità civile, Torino, 1997,44 esegg.; Petti, Il risarcimento del danno biologico, cit.; Canepa, La valutazóne del danno alla persona in responsabilità civile nel quadro di sviluppo della medicina legale presso il Consiglio d'Europa, in Le piccole invalidità permanenti, a cura di Introna e Rodriguez, Milano, 1994, 305; Procida Mirabelli di Lauro, La riparazione dei danni alla persona, cit.
(154) Cass., 11 aprile 1997, n. 3170, in Monateri-Bona, Il danno alla persona, cit., 474. Estensore della sentenza è il Dott. Petti, il quale del resto risulta essere stato il primo a pubblicare in Italia una traduzione della Risoluzione.
(155) Da ultimo sul punto è intervenuto Alpa, Il danno alla persona oltre le esperienze nazionali. Una prospettiva europea, in Resp. Civ. e Prev., 1998, 325 e segg. In dottrina è stato, peraltro, recentemente osservato che «il danno alla salute è sempre meno un istituto confinato negli angusti limiti del diritto "municipale", e sempre più una prospettiva europea», cosicché «non sarebbe da meravigliarsi se tale prospettiva dovesse consolidarsi, in futuro, in una direttiva volta ad armonizzare i modelli e le tecniche di risarcimento», Busnelli, Il danno alla salute ad una svolta: legge si? legge no? quale legge?, in Danno e responsabilità, 1998, 305 e segg.
(156) Si deve tuttavia rilevare che il sistema risarcitorio proposto dal Consiglio d'Europa non prevede, come invece si verifica nell'ordinamento italiano con l'art. 2059 c. c, alcuna particolare restrizione per il risarcimento dei danni non patrimoniali risarcibili iure proprio.
(157) Giannini-Poguani, Una garbata disputa, autorevolmente diretta, sul danno biologico da morte, cit., 369.
(158) Bona, Diritto alla vita e risarcimento iure successionis dei danni biologico e morale: la soluzione della Cassazione, la risposta negativa alla risarcibilità della perdita della vita e la questione (irrisolta?) dei secondi, dei minuti e delle ore tra la vita e la morte, cit.