Dott. Roberto Conti (Tribunale di Palermo)



"Il danno morale da morte del congiunto e l'obbligo di motivazione del giudice."

 

"Il danno morale da morte del congiunto e l'obbligo di motivazione del giudice."
 
A cura del Dott. Conti del Tribunale di Palermo
 
 
Il fenomeno del riconoscimento e della liquidazione del danno da uccisione si inserisce a pieno titolo nella querelle i n ordine all'esistenza, ai contenuti ed alle forme liquidatorie del c.d.danno esistenziale, non mancando, già in alcuni precedenti giurisprudenziali, accenni ai criteri discretivi, che mi sembrano tuttavia particolarmente labili, tra danno morale e danno esistenziale1.
L'analisi del fenomeno della liquidazione del danno morale da morte del congiunto, al quale ci si può accostare dopo il recente intervento nomofilattico delle Sezioni Unite a proposito della riconoscibilità del danno morale ai congiunti del soggetto leso e non deceduto2 prende le mosse dall'accertata irrisarcibilità del danno da morte in capo agli eredi dell'ucciso, al di fuori delle residuali ipotesi in cui sia possibile individuare uno scarto temporale fra lesione inferta e tempo del decesso.
Ciò in ragione del fatto che la lesione alla vita è diversa dalla lesione dell'integrità fisica che presuppone l'esistenza in vita del danneggiato.
La riconosciuta irrisarcibilità della pretesa iure ereditario spiegata dagli eredi del morto, particolarmente criticata attraverso il rinvio al motto ormai noto secondo il quale "è più conveniente uccidere che ferire", ha secondo un fiorente filone dottrinario dato la stura ad un movimento giurisprudenziale che, più o meno consapevolmente, ha cercato di dribblare il divieto giurisprudenziale della risarcibilità del danno alla vita attraverso una riconsiderazione del danno morale patito dai congiunti iure proprio in dipendenza della morte del proprio caro, a volte orientata al riconoscimento di importi di notevole consistenza3.
Quel che può osservarsi, in via assolutamente preliminare, è la particolare attenzione mostrata dalla giurisprudenza alla tematica dell'individuazione del soggetti attivamente legittimati a pretendere il danno morale da uccisione, attestata dai numerosi precedenti che avevano volta per volta individuato - e limitato- le categorie dei congiunti titolati a pretendere il ristoro del danno morale.
Si riscontra, pure, un certo interesse al rilievo che tale pregiudizio rientra fra i c.d. "danni-conseguenza" che per essere risarciti richiedevano una specifica dimostrazione.
Prospettiva, quest'ultima che, inaugurata da Corte Cost. n.184/1986, è stata progressivamente abbandonata fino a fare assurgere il danno morale a danno-evento, almeno nel senso che la sua liquidazione non è agganciata alla necessaria pre-esistenza di un danno biologico "evento"4 .
Alla domanda sul che cosa dovesse essere provato per ottenere il ristoro di tale pregiudizio si risponde tradizionalmente richiamando il concetto di lesione di quel rapporto fra congiunto ed ucciso che si concreta nel sostegno morale che il secondo avrebbe potuto fornire al primo.
Si arriva, dunque al patema d'animo o stato di angoscia transeunte che Corte Cost. n.372/1994 aveva indicato come connotato ineludibile del danno morale per distinguerlo dal danno psichico che invece insorgeva come conseguenza fisica ulteriore - e stabile - del perturbamento cagionato dall'evento delittuoso.
L'ottica delle presenti riflessioni vuole essere quella di esaminare alcuni significativi precedenti resi dal tribunale di Palermo sul tema, in modo da potere pervenire, attraverso il vaglio critico dei sistemi liquidatori volta a volta sperimentati, ad alcune conclusioni che possano valere come guidelines per la riconsiderazione del fenomeno a livello generale .
Un approccio casistico del tipo di quello proposto si dimostrerà, infatti, particolarmente proficuo laddove consente di evidenziare i rischi che sono insiti nella teoria che intende individuare una base fissa da cui muovere per procedere alla quantificazione del pregiudizio che può essere singolarmente modificata ad opera del giudice in relazione al caso di specie.

 

 

Il danno da morte nei sinistri stradali
 
Occorre dunque partire dal sistema c.d.tabellare che il tribunale di Palermo utilizza per la liquidazione dei danni da uccisione nei sinistri stradali.
Nella sentenza Trib.Palermo 6 marzo 2000, inedita -proc. 3608/1997 R.G. tra Abbonato Filippo +7 c.Bayerische Assicurazioni s.p.a.- dopo un'attenta analisi della tematica relativa alla individuazione dei soggetti legittimati alla pretesa non patrimoniale che sono rimasti attinti dal pregiudizio sofferto direttamente dal deceduto - si parla correttamente di potenzialità plurioffensiva dell'illecito" il giudicante richiamando un precedente della Cassazione assai importante in cui la selezione dei soggetti attivamente legittimati passa anche attraverso l'individuazione dell'ubi consistam del danno morale -"il risarcimento del danno non patrimoniale, derivante dalla morte ex delicto, va riconosciuto in favore dei prossimi congiunti, iure proprio, cioè indipendentemente dalla loro qualità di eredi, quando il rapporto di stretta parentela con la vittima, le condizioni personali ed ogni altra circostanza del caso concreto evidenzino un grave perturbamento del loro animo e della loro vita familiare, per la perdita di un valido sostegno morale, e, pertanto, a prescindere dall'eventuale pregressa cessazione della situazione di convivenza con la vittima medesima, la quale di per sé non può configurare elemento indiziario idoneo a sorreggere la congettura del venir meno della comunione spirituale fra congiunti, con conseguente riduzione della sofferenza dei superstiti a un livello giuridicamente irrilevante"-cfr.Cass.3113/1983-.
In effetti, il giudicante si discosta profondamente dal principio affermato dalla corte di nomofilachia, individuando una sorta di presunzione di danno laddove la richiesta di danno morale iure proprio provenga dagli stretti congiunti - figli (anche in tenera età), genitori, fratelli e sorelle: in breve, tutti i componenti della cosiddetta famiglia nucleare, per i quali appare irrilevante anche la cessazione della convivenza - che invece svanisce per gli altri parenti ed affini i quali dovranno dimostrare "ulteriori circostanze atte a far ritenere che la morte del familiare abbia comportato la perdita di un effettivo e valido sostegno morale".
Già tale differenziazione ha dell'opinabile laddove il criterio di selezione dei soggetti finisce con l'individuare, forse inconsapevolmente, una diversa ripartizione dell'onere probatorio fra categorie di soggetti che, in realtà, la Cassazione non intendeva enucleare almeno nei termini prospettati dal giudice isolano.
Ragionando a contrario, infatti, sembrerebbe che lo stretto congiunto non deve dimostrare di avere subito una perdita di sostegno morale dalla morte del congiunto, onere che invece incombe sul parente lontano.Ma, pur ammettendo il ricorso a massime di esperienza, è corretto ritenere che sia sempre così?
Rinviando al prosieguo la risposta a tale interrogativo e passando invece alla valutazione del pregiudizio operata dal giudice isolano, questi ricorda che il danno morale sfugge, in virtù del suo contenuto etico, ad una precisa quantificazione ed è, pertanto, di natura essenzialmente equitativa.
Ma a fronte di questa affermazione che nel contesto dell'intero decisum ha un sapore meramente astratto, il giudicante mostra particolare attenzione al problema della obiettività della decisione.
Ed infatti, per rispettare "l'esigenza di una razionale correlazione tra l'entità oggettiva del danno (specie se destinato a protrarsi nel tempo) e l'equivalente pecuniario, in modo che questo, tenuto conto del potere di acquisto della moneta, mantenga la sua connessione con l'entità e la natura del danno da risarcire, e non rappresenti un mero simulacro o una parvenza di risarcimento" viene proposto un  meccanismo, che pur non discostandosi dal criterio equitativo, intende offrire un parametro di riferimento concreto.
Fa dunque capolino il criterio tabellare che porta ad una liquidazione "sulla base del danno morale che sarebbe spettato al defunto se, anziché morire, avesse riportato una invalidità del 100%, tenendo pure conto delle esigenze del caso di specie, e cioè dell'età della persona offesa e del dolore arrecato ai familiari per la sua morte e di tutte le circostanze ed elementi della fattispecie in modo da rendere la somma liquidata il più possibile adeguata all'effettivo pretium doloris. Ciò utilizzando un parametro di riferimento preciso, rappresentato dalle tabelle in uso presso questo Tribunale per la liquidazione del danno biologico e del morale".
Il danno dei congiunti viene dunque parametrato al danno morale che avrebbe subito il deceduto - se fosse rimasto in vita- quantificato dal tribunale tra ¼ e la metà rispetto alla quantificazione del danno biologico.
Va ricordato, peraltro, il criterio, solo in parte differente, adottato dal tribunale di Milano che prende come base di calcolo il danno morale (da determinarsi secondo il criterio seguito per il caso di sopravvivenza, ossia da 1/4 a 1/2 del danno biologico relativo ad invalidità permanente), che sarebbe spettato al defunto se, anziché morire, fosse sopravvissuto ed avesse riportato un'invalidità' pari al 100%, chiarendo che il coniuge superstite, convivente o figlio hanno diritto fino a 2/3 del danno morale così determinato5.
In prima battuta, può dirsi che il sistema sperimentato dalla sezione palermitana tabellarmente competente a decidere controversie "da sinistri stradali" in tema di danno da morte del congiunto - analogamente a quello ambrosiano- intende, nelle stesse intenzioni dei giudici che lì operano, perseguire un preciso obiettivo di politica giudiziaria.
Infatti, la predeterminazione precisa del criterio di liquidazione del danno morale consente ai soggetti a vario titolo coinvolti nella vicenda di sapere, già prima o comunque durante il corso del giudizio qual è il range entro il quale il giudicante si muoverà per liquidare il pregiudizio sofferto.
E quanto il sistema abbia connotati deflattivi è facile intendere da qualunque operatore del settore giustizia. Esso, tuttavia, sembra prestare il fianco ad un critica di fondo su cui si tornerà in seguito, mostrandosi in qualche modo una certa artificiosità di fondo.
 
Omicidio di mafia e danni riflessi dei congiunti

 

 

Nel procedimento iniziato dagli stretti congiunti della Signora Emanuela Setti Carraro, assassinata insieme al Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, nei confronti di Riina Salvatore ,Brusca Bernardo e Calò Giuseppe quali responsabili dell'eccidio del 3 settembre 1982 in cui i coniugi Dalla Chiesa persero la vita, veniva reclamato il risarcimento del danno sotto diversi profili.
Si lamentava, per un verso, un danno "non patrimoniale morale", sotto il profilo delle sofferenze psicologiche patite dalla Setti Carraro Emanuela per la morte del marito avvenuta qualche attimo prima - la consorte del Generale Dalla Chiesa, secondo gli attori, non solo aveva vissuto già prima dell'eccidio ed in dipendenza delle minacce di morte e degli avvertimenti come realisticamente possibile l'evento morte del congiunto, ma nei frangenti immediatamente precedenti alla di lei morte aveva vissuto con estremo disagio psico-fisico e prostrazione l'agguato, l'affiancamento dei sicari alla propria autovettura ed il tentativo, estremo, del marito di farle da scudo con il proprio corpo-. Circostanze, queste ultime, che rendevano possibile ritenere che il diritto al
risarcimento del danno subito dalla Setti Carraro fosse insorto sin dal momento in cui era subentrato nell'animo della predetta la consapevolezza della possibilità concreta che il proprio matrimonio avrebbe subito di lì a poco un "qualche mutamento".
Accanto a tale pretesa v'era poi quella patita iure proprio dai congiunti della Setti Carraro -madre, figli, conviventi e non conviventi, in proprio e nella qualità di eredi del padre della Setti Carraro-.Danno che secondo gli attori offriva al giudice un'ampia discrezionalità sulla valutazione dell'effettiva liquidazione dell'equivalente pecuniario del pregiudizio che in ogni caso doveva essere determinato con riguardo all'efferatezza del delitto e delle conseguenze di tale episodio e tenere conto dei gravi disagi, della sofferenza morale, dell'angoscia, della afflizione e del turbamento psichico sofferto dagli attori.
La asserita responsabilità dei convenuti si fondava su una sentenza penale divenuta irrevocabile che, dopo varie vicissitudini giudiziarie dipanatesi in ben cinque giudizi, aveva ritenuto responsabile dell'eccidio la "Commissione" dell'associazione "Cosa Nostra" e dei suoi singoli componenti.
Esaminando dapprima la domanda risarcitoria sperimentata iure successionis dagli attori con riguardo al danno, non patrimoniale e/o biologico sofferto dalla Setti Carraro per la morte del marito avvenuta, a dire degli attori, qualche attimo prima del decesso della Setti Carraro, la stessa viene disattesa sul presupposto della mancata dimostrazione che il Generale Dalla Chiesa fosse morto prima della Setti Carraro.
Passando al danno morale dei congiunti, la decisione tenta di fornire un quadro d'insieme ai sistemi di liquidazione del danno sperimentati dalle Corti ed in questo senso dà conto del metodo c.d.tabellare, nelle diverse forme che lo stesso ha assunto, del metodo equitativo puro e di quello misto, verso il quale sembra propendere. 
Viene in questo senso ricordato l'orientamento della Cassazione impone al giudice di merito di tenere conto delle effettive sofferenze patite dall'offeso, della gravita' dell'illecito di rilievo penale e di tutti gli elementi della fattispecie concreta, in modo da rendere la somma liquidata adeguata al particolare caso concreto ed evitare che la stessa rappresenti un simulacro di risarcimento, tanto da ritenere immune da vizi la decisione del giudice di merito che, per la determinazione del danno morale, aveva tenuto conto della personalita' altamente qualificata della vittima e della gravita' del vuoto provocato dalla ua morte nei familiari privati del suo sostegno e della sua guida morale.
Appare quindi consequenziale l'affermazione che l'adozione del criterio i determinazione della somma dovuta a titolo di risarcimento del danno morale alla stregua del sistema cosiddetto del "valore di punto differenziato" (nelle forme variegate fin qui proposte) non può costituire un dovere del giudice, il quale ben può seguire criteri correlati esclusivamente alle particolarita' del caso concreto -cfr. Cassazione civile sez. III, 20 gennaio 1999, n. 490 .
In questo senso viene ricordato che anche i fautori del sistema tabellare ammettono che i valori tabellari possono essere aumentati o diminuiti fino alla meta' (e anche piu' in casi eccezionali, che diventano tali per la modalita' della perdita e la conseguente maggiore difficolta' per il superstite di "elaborare il lutto"), stante la peculiarita' di ogni fattispecie, che rende estremamente variabile la effettiva misura della "pecunia doloris" nei suoi molteplici aspetti soggettivi.
Secondo la decisione è centrale "l'esigenza di agganciare il ristoro del danno sofferto per la morte del congiunto a parametri valutativi che tengano conto della concreta vicenda - e del contesto- nel quale si è prodotta la lesione vitale del congiunto, delle modalità che hanno caratterizzato il fatto delittuoso, delle ripercussioni prodotte dalla vicenda nei superstiti".
A questa affermazione di principio, che pure compare ciclicamente nel panorama giurisprudenziale, viene fatta seguire un'analitica scomposizione del dato fattuale che si cerca di esaminare sotto tutti i profili che lo hanno caratterizzato,scavando in concreto nella vicenda.
Questa operazione di sezionamento del fatto muove anzitutto, dalla peculiarità degli omicidi di mafia, attestata dalla istituzione di un Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso-legge 22 dicembre 1999 n.512-.Fatto dal quale viene inferita una tutt'affatto peculiare attenzione riservata dallo Stato verso le vittime di reati di tale specie orientata ad impedire che la confisca dei beni degli appartenenti alle associazioni criminali mafiose possa ritorcersi in danno delle vittime che, prima della introduzione della legge, non potevano sperimentare proficuamente le azioni a tutela dei danni subiti proprio per l'incapienza - a volte apparente- dei patrimoni degli aggressori.
L'analisi si sposta quindi verso una ricognizione del fatto accaduto e delle concrete conseguenze prodotte sugli attori danneggiati.
La disamina delle modalità dell'agguato dimostravano quanto "devastante, disgregante ed offensivo fosse risultato per gli stretti congiunti l'uccisione di Emanuela Setti Carraro avvenuta quando la donna in compagnia del marito, da pochissimo sposato, si stava dirigendo a cena in una vicina località balneare. Ripercorrendo i tratti salienti della sentenze penali viene ricordato che i corpi dei coniugi Dalla Chiesa erano stati crivellati di colpi di kalashnikov ed i sicari si erano, dopo tutto insolitamente, accaniti anche contro la Setti Carraro, poiché dalle risultanze obiettive era emerso che numerosi colpi di kalashnikov erano stati esplosi al volto della donna, che si trovava al posto di guida, da parte di qualcuno che ovviamente girando attorno alla macchina ormai ferma sul lato sinistro, dove era andata ad impattare dopo i primo colpi)aveva sparato da brevissima distanza.Tale crudezza dell'episodio aveva infatti suscitato interrogativi dolorosi in capo ai giudici penali che pure avevano sottolineato l'inutile, inconsueto, certamente clamoroso, accanimento dei sicari contro la Setti Carraro" concludendo poi che il volontario,quasi spettacolare,scempio del suo corpo aveva avuto come scopo solo quello di suscitare profonda emozione.
Per comprendere i patimenti sofferti dalle parti attrici, vengono poi valorizzati alcuni passi del libro scritto dalla madre della Setti Carraro in cui veniva espressa la sofferenza materna >.Si ricordano le telefonate minatorie fatte a varie testate quotidiane in occasione degli omicidi avvenuti a Palermo nell'estate del -1983 in cui si faceva riferimento ad un'operazione "Carlo Alberto" non ancora conclusa.
Da qui il convincimento "che gli scuotimenti dell'animo, vissuti già come dolorosi - anche solo in una prospettiva egoistica, dal familiare che non può più
frequentare assiduamente la giovane figlia perché trasferita nella lontana Palermoprima dell'uccisione della Setti Carraro, non potevano che diventare, dopo la morte di quest'ultima, ragione di insanabile strazio per la perdita di una persona che, seppur già impegnata nel sociale prima del matrimonio col Prefetto Dalla Chiesa aveva poi condiviso fino in fondo il destino del marito-Generale (impegnato in compiti che toccavano le radici stesse dell'unità e della sicurezza dello Stato) oltre che per atto di amore, anche per interiore condivisione del senso del dovere ed del valore di giustizia che avevano spinto il Generale a Palermo trasmettendo, quando era in vita, alle persone alla stessa più care tale esperienza di vita straordinaria con semplicità, garbo e fermezza".
Una prima conclusione è dunque quella dell'assoluta eccezionalità della persona deceduta e per ciò stesso dell'afflizione - anch'essa fuori dal comune- che i di lei genitori ed i fratelli ebbero a soffrire per la prematura perdita della Setti Carraro e per le modalità dell'eccidio, compiuto con orrenda ferocia e macabra spettacolarità.
Ulteriore valenza concretizzatrice viene tratta dalla gravità del delitto di cui rimase vittima la Setti Carraro che assumeva connotati di riprovevolezza anch'essi non comuni.
Accanto, infatti all'aggressione al bene supremo della vita che ordinariamente caratterizza il delitto di omicidio volontario sono state considerate rilevanti, ad approfondire ulteriormente la lesività del fatto, l'aggressione al ruolo attivo che la Setti Carraro, appena trentenne all'epoca dell'omicidio aveva, pur consapevole dei rischi cui andava incontro, volontariamente deciso di svolgere accanto all'allora Prefetto di Palermo e la già descritta eclatanza del gesto delittuoso deliberatamente messo in atto, come arrogante dimostrazione di forza nei confronti dello Stato, dalla "Commissione" di Cosa Nostra (e quindi dai suoi massimi esponenti) con modalità tali da rendere manifesta la firma dell'eccidio.
Era dunque ovvio che l'operazione di monetizzazione del pregiudizio patito dai congiunti non poteva in alcun modo avvicinarsi al sistema tabellare in uso nello stesso tribunale che, considerando l'età della Setti Carraro all'epoca del delitto, si sarebbe dovuta attestare attorno ad una percentuale compresa fra la metà ed il terzo di circa 460.000 euro.
Il ricorso a tale sistema di calcolo dal quale non era opportuno prendere formalmente le distanze in ragione delll'episodicità della decisione a fronte del sistema risarcitorio applicato dalla sezione del tribunale tabellarmente competente ai giudizi risarcitori, viene riconosciuto come mero parametro di massima nella vicenda concreta dovendo infatti considerarsi le peculiarità della vicenda concreta sopra esposte.
Considerando unitariamente la tipologia del delitto, il coefficiente psicologico che lo sosteneva e le modalità della condotta6, la pena irrogata7, le notoriamente ingentissime capacità patrimoniali degli autori del delitto8, artificiosamente dissimulate e/o colpite per effetto di misura sanzionatorie normativamente previste, nonché il concreto pregiudizio morale inferto agli stretti congiunti della Setti Carraro, all'epoca dei fatti, è stato liquidato in favore di Carraro Maria Antonietta Setti ( madre della Setti Carraro, all'epoca dei fatti sessantaduenne) una somma che in relazione al particolare grado di sensibilità della predetta9 la somma di circa euro 460.000, già adeguata ai valori correnti mentre ai fratelli della vittima Setti Carraro Giovanni -
trentatrenne all'epoca dei fatti, ancora convivente con i genitori e Setti Carraro Paolo - trentaquattrenne all'epoca dei fatti, già avente un nucleo familiare autonomo che ha presumibilmente contribuito ad alleviare le sofferenze del congiunto- sono stati riconosciuti importi gradatamente - ma consistentemente- inferiori.
Ciò anche considerando che la quantificazione del pregiudizio veniva fatta a distanza di quasi vent'anni dall'episodio omicidiario di cui si è detto accaduto nel settembre 1982 e teneva dunque conto dello scarto temporale fra lesione sofferta e liquidazione del danno.
 
Il danno da morte del soggetto ucciso da un carabiniere nell'atto di commettere un furto.
 
Con sentenza dei 22.4-14.5.1997 divenuta irrevocabile la Corte di Assise di Appello di Palermo dichiarava la responsabilità di un carabiniere, colpevole del delitto di omicidio colposo in danno di un soggetto , condannandolo alla pena di mesi otto di reclusione, nonché al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio, sostenute anche dalle parti civili al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata sede, oltre al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva nella misura di £ 10.000.000 per ciascun genitore, in proprio e nella qualità di esercenti la potestà su due figli minori, e di £ 5.000.000 in favore di un'altra sorella dell'ucciso.
Nel conseguente giudizio risarcitorio promosso innanzi al Tribunale di Palermo10 dai congiunti dell'ucciso nei confronti dell'autore del delitto e del Ministero della Difesa, veniva richiesta la liquidazione del risarcimento del danno patrimoniale e morale da quantificare in un importo di £.1.000.000.000.
I soggetti convenuti deducevano che non sussisteva prova del danno patrimoniale arrecato in quanto il soggetto deceduto era da tempo caduto nella morsa della droga e di certo non era il sostegno economico della famiglia, non svolgendo alcuna attività lavorativa, e che, in sede penale, era già stato liquidato a carico dell'imputato un risarcimento non irrisorio.
La decisione del giudice palermitano muove dalla individuazione del fatto e sul punto ricorda nel tardo pomeriggio del 7 aprile 1991, un giornalista, mentre percorreva una via cittadina era stato fermato da un uomo che impugnava una pistola che, dopo essersi qualificato carabiniere, gli spiegò di aver sparato ad un ragazzo che si trovava, rantolante, su un marciapiede di tal che essi lo avevano caricato su un'auto e lo avevano condotto al locale nosocomio ove ne era stato constatato il decesso.
In esito all'autopsia era stato poi appurato che la vittima presentava nelle urine tracce di morfina non dosabili.
Il decidente, preso atto che la sentenza penale aveva affermato l'esclusiva responsabilità del carabiniere per l'omicidio, ricordava pure che quest'ultimo, benché in borghese e fuori dall'orario di servizio, dopo aver sorpreso il soggetto mentre tentava di consumare un furto con scasso a suo danno, l'aveva più volte intimato proferendo le parole "fermo Carabinieri" e poi inseguito impugnando l'arma.
Da ciò emergeva la concreta sussistenza di quel nesso di occasionalità necessario per fondare la responsabilità del Ministero "essendo stato il colpo mortale esploso dal carabiniere proprio uno sviluppo dell'azione diretta ad assicurare il responsabile di un reato, seppur commesso contro di lui, alla giustizia avente palese finalità pubblicistica"..
Si passa, dunque, alla liquidazione dei pregiudizi.Il giudicante ricorda che pur avendo gli attori allegato che il congiunto era "all'epoca dell'evento un sostegno economico oltre che morale all'interno della famiglia", gli stessi non avevano però offerto alcun elemento di prova a riguardo, onere di certo a loro carico, risultando al contrario dal compendio documentale in atti che lo sventurato "faceva uso di sostanze stupefacenti ed aveva trascorsi significativi di un inserimento in un difficile contesto sociale e di una precorsa propensione a delinquere".E' a questo punto che viene ricordata la produzione di un rapporto della Legione dei Carabinieri di Palermo dal quale risultavano i precedenti penali del morto.
L'ottica del giudicante sembra però mutare laddove questo si accosta alla pretesa relativa al reclamato danno morale rispetto alla quale scompare del tutto l'affermazione di principio, precedentemente espressa a proposito del danno patrimoniale, circa la necessità di una piena dimostrazione del pregiudizio a carico dei congiunti.Ciò in favore di una sorta di automatismo che vorrebbe giustificare tout court il risarcimento del danno morale in presenza di un'uccisione del congiunto.
Passando alla quantificazione del pregiudizio, dopo una veloce rassegna dello stato dell'arte , il giudicante mostra di ben sapere che nella liquidazione del danno non patrimoniale derivante da fatto illecito si deve tenere conto delle effettive sofferenze patite dall'offeso, della gravita' dell'illecito di rilievo penale e di tutti gli elementi della fattispecie concreta, in modo da rendere la somma liquidata adeguata al particolare caso concreto. In questo senso lo stesso sente il dovere di discostarsi dal criterio agganciato al sistema del cosiddetto "valore di punto differenziato".
Tuttavia, dopo lo scostamento dal metodo che avrebbe condotto il giudicante ad una quantificazione sicuramente maggiore del danno poi concretamente liquidato, la via di fuga viene attuata attraverso il ricorso al vecchio metodo equitativo attraverso la valorizzazione di taluni elementi.
In particolare, viene fatto riferimento alla tipologia del delitto, avente natura colposa, all'incensuratezza del danneggiante ed alle modalita' della condotta in precedenza descritte, che si é innestata nel dinamismo causale della commissione di un reato ad opera della stessa vittima, alla pena irrogata, alle modeste capacità patrimoniali dell'autore del delitto ed ancora al "concreto pregiudizio morale inferto agli stretti congiunti della vittima" più elevato per il padre e la madre rispetto ai germani, nonche' allo scarto temporale tra lesione sofferta e liquidazione del danno.
Così facendo si giunge ad una quantificazione di euro 51.645,69 (£ 100.000.000) per ciascuno dei due genitori e di euro 25.822,84 (£ 50.000.000) per ciascuno dei tre fratelli che lievita poi ad un importo complessivo di oltre euro 260.000 comprensivo degli interessi compensativi.
La decisione, che non offre elementi per comprendere quale sarebbe stato il risarcimento del danno morale sulla base del criterio tabellare in uso presso il Tribunale di Palermo, mancando l'indicazione dell'età del danneggiato all'epoca del sinistro, sembra inserirsi nell'alveo di quelle decisioni che intendono concretizzare il sistema di liquidazione equitativo agganciato all'individuazione delle peculiarità del caso di specie.
Resta però da capire in che misura, ed al di là dell'esplicito richiamo a parametri concretizzatrici, la liquidazione sia stata effettivamente calibrata sulle conseguenze pregiudizievoli realmente patite nell'animo dai congiunti che sembrano restare, almeno nella loro dimensione concreta, sullo sfondo.
Non risulta infatti adeguatamente valorizzata l'esperienza di vita pregressa del deceduto, che pure, in una vicenda come quella esaminata, avrebbe dovuto spiegare efficacia decisiva ai fini di parametrare al ribasso il dolore sofferto dal familiare.
Se, come diceva lo stesso giudicante nel negare il pregiudizio patrimoniale, nessun apporto materiale aveva potuto fornire l'ucciso in ragione del suo stato di tossicodipendente pluripregiudicato, non è dato capire quale tipo di apporto morale questi aveva concretamente potuto fornire ai familiari.
E' dunque legittimo chiedersi se sia astrattamente ipotizzabile un danno morale in capo al familiare di un soggetto che si trovava nelle condizioni del congiunto deceduto all'atto di perpetrare un delitto per mano di un agente di pubblica sicurezza che tentava, sia pur maldestramente, di impedire la consumazione del delitto gridando "fermo Carabinieri", ovvero se la presunzione di danno morale che sembra orientare la decisione di cui si discuta non era comunque in grado di attenuare il rigoroso onere probatorio a carico dei familiari dell'ucciso, volto a dimostrare concretamente che, malgrado i contorni foschi della vicenda, quel familiare aveva comunque svolto, all'interno del nucleo familiare, un ruolo di sostegno, di aiuto, di condivisione.
Ben avrebbero potuto gli attori dimostrare che il loro congiunto aveva intrapreso la difficile strada della disintossicazione, che si era dedicato al volontariato ed ai familiari fornendo comunque un apporto concreto alla loro vita, che era entrato in comunità terapeutiche dedicandosi ad attività.Che, in una parola, l'omicidio aveva effettivamente e concretamente provocato all'interno della famiglia un vuoto familiare.
Ma sembra di poter dire che solo la dimostrazione di tali emergenze avrebbe potuto superare una massima di esperienza che porta l'uomo comune a ritenere che la vita - e non la morte - di un soggetto dedito all'uso di sostanze stupefacenti e pluripregiudicato colto nel tentativo di un furto commesso sotto gli effetti di sostanza drogante altro non poteva apportare all'interno della famiglia se non sofferenze, dolori e patimenti.
In altri termini, la dimostrazione che la morte del congiunto era stata non una liberazione da una presenza dolorosa, fortemente diseducativa e fuorviante per i fratelli spettava integralmente ai congiunti del danneggiato che, a quanto è dato comprendere dalla lettura della decisione, si sono invece ben guardati dal provare, al di là delle mere allegazioni, anche solo una circostanza a sostegno del solo allegato inconsolabile dolore sofferto per la perdita del proprio caro.  
E non può revocarsi in dubbio che siffatte considerazioni appaiono vieppiù conducenti allorchè si guarda alla liquidazione operata in favore dei tre fratelli senza attribuire veruna valenza differenziatrice all'età degli stessi ed alla minore età di due di loro che avrebbe forse giustificato il ricorso ad un più significativo abbattimento del ristoro in ragione della minore capacità di percezione di un patimento morale da parte dei minori.
E' dunque palese il rischio che in queste materia il giudice divenga, certamente in modo inconsapevole, artefice di un meccanismo che si avvicina ad una vera e propria rendita di posizione dalla quale occorre invece rifuggire.
Anzi, proprio a proposito della vicenda da ultimo esaminata viene da pensare che il dictum giudiziale ha finito con l'attestare una sorta di funzione catartica della morte del soggetto che, essendo stato "causa" del risarcimento riconosciuto ai parenti, sarebbe riuscito a riscattare, sia pure involontariamente, la condotta "di quando era in vita" risarcendo egli stesso, prim'ancora di colui che ne aveva cagionato la morte, i soggetti danneggiati per i patimenti apportati durante la vita, con un finale e doloroso atto d'amore.
 
Considerazioni conclusive
 
Occorre ora trarre i frutti dal metodo casistico prescelto nella trattazione del tema della liquidazione del danno morale per morte del congiunto.
Esaminando la vicenda Setti Carraro si è cercato di trarre alcune linee direttive che potessero evitare che la decisione concreta, travalicando i limiti della concreta vicenda processuale apparisse frutto, anche solo inconsapevole, di retorica emotività e non di un rigoroso- anche se arduo- tentativo di concretizzazione del ristoro del pregiudizio economico sofferto dalle parti attrici. Ciò si fece, tuttavia, sottolineando la relatività di un'operazione di monetizzazione di un quid surrogante e sostitutivo delle sofferenze indotte dal fatto-reato che nessuna analisi economica poteva pretendere di determinare con precisione facendo ricorso a formule matematiche.
L'indagine voleva essere per un verso orientata ad un esame dei sistemi di liquidazione che potessero sgravare il giudicante dall'improbo compito di quantificare una sofferenza considerata come incommensurabile, che tale era risultata dalle allegazioni documentali.
Ed è stato proprio l'esame dei precedenti che ha condotto il giudicante a prendere coscienza che nessun sistema di liquidazione tabellare poteva essere validamente sperimentato in ragione delle peculiarità del caso di specie, quantificando il pregiudizio in una misura pari a più del doppio della quantificazione del risarcimento che sarebbe spettato in forza del sistema tabellare.
Per far ciò si è scelta la strada della valorizzazione della pluralità di elementi che avrebbero dovuto orientare verso una liquidazione che non apparisse spropositata.
Da qui la consapevolezza che solo una precisa e puntigliosa individuazione di tutte le caratteristiche della vicenda processuale ed un rigoroso collegamento di tali elementi avrebbe potuto reggere ad un vaglio di razionalità.
In questo senso, l'incedere sulle modalità dell'eccidio, sui momenti che lo avevano preceduto e seguito, sui patimenti esternati dalla madre e dai congiunti non solo agli amici, ma anche in forma pubblica attraverso la pubblicazione di un libro, altro non voleva essere se non il tentativo di fotografare un accadimento per come esso era stato realmente vissuto dagli interessati, nel convincimento che solo quello poteva e doveva essere il parametro per giungere ad un quid monetario che la legge vuole essere succedaneo dalla sofferenza.
Non, dunque, ambizione del giudice a fare il romanziere travalicando gli ambiti del giudizio.Non compiacimento per il linguaggio aulico o dotto della decisione, vizi che alla giustizia- ed ai giudici italiani - sono attribuiti dalla dottrina11, ma soltanto valutazione del dato fattuale.
La trattazione del precedente relativo alla morte " da sinistro stradale" ha invece messo in evidenza che la rappresentazione di un criterio base da potere utilizzare per la quantificazione del danno morale ha come obiettivo primario quello di predeterminare delle soluzioni che nel rendere prevedibile la decisione intendono più o meno apertamente abbattere il contenzioso aprendo le porte a modalità alternativa di risoluzione delle controversie e che tuttavia si agganciano ad un parametro non omogeneo, o se si vuole non completamente omogeneo attualizzato - ed anzi forgiato se si guarda alla rilevanza dell'età che viene attribuita dal sistema tabellare- sulla persona deceduta e non su colui che ha sofferto il pretium doloris.
La vicenda della persona uccisa nell'atto di commettere un'attività criminale ha dimostrato come la quantificazione del pregiudizio non patrimoniale, pur formalmente agganciata a momento di concretizzazione della vicenda concreta possa inconsapevolmente rimanere condizionata dal metodo tabellare.
Sembra infatti evidente che l'adozione, all'interno di un tribunale di sistemi collegati al meccanismo tabellare espone poi il giudicante che se ne voglia motivatamente discostare, anche sensibilmente come sarebbe stato possibile nella vicenda appena ricordata -in ragione della fattispecie concreta - ad uno sforzo oltremodo impegnativo orientato al raggiungimento di livelli che la mettano al riparo dal vizio di illogicità .
A me sembra che i tre dicta dimostrino come la tendenza giurisprudenziale, prevalente, ad una operazione di precostituzione di criteri liquidatori del danno morale da morte del congiunto, oltre ad apparire in se contraddittoria, contribuisce sempre più a svilire il ruolo del giudice, facendolo pericolosamente precipitare verso una deriva culturale e professionale che, invece, occorre necessariamente contrastare.
Un'attenta analisi dei precedenti giurisprudenziali della Corte di Cassazione rende palese che lo sforzo richiesto al giudice in materia di danno morale è quello di approntare, in relazione alla singola vicenda processuale, un sistema di tutela che non tralasci di considerare i contorni della fattispecie per come si è prodotta12.
In questo senso, appare poco perspicuo evocare un'esigenza di predeterminazione standardizzata di criteri di liquidazione.
Più persuasiva, invece, sembra la necessità che il giudice debba sforzarsi di approntare una motivazione analitica dei criteri usati per la determinazione del pregiudizio.
nzi, la corretta motivazione dei provvedimenti giurisdizionali diventa il fulcro del processo decisionale.
Guardando al novellato art.111 Cost. si comprende ancor di più quanto la motivazione costituisca al tempo stesso baluardo della razionalità della decisione e garanzia per il cittadino.
E' la motivazione l'unico e fondamentale limite che deve orientare l'attività giurisdizionale nell'operazione di quantificazione del risarcimento del danno morale.
In questo senso, il florilegio di decisioni della Corte di Cassazione nelle quali si riconosce che la soluzione del problema del giudice - che è quello di attualizzare e concretizzare il risarcimento- passa ineludibilmente attraverso un corretto percorso motivazionale che nel rigoroso riscontro fattuale riesce a fornire la decisione di razionalità e logicità, non fa altro che sottolineare, laddove ve ne fosse ancora bisogno, che il danno morale non è in re ipsa e va rigorosamente accertato, sia nell'an che nel quantum, proprio in ragione della diversità delle reazioni psicologiche ad un fatto che già cinquant'anni fa si erano sottolineate13.
D'altra parte, il ricorso alle c.d. massime di esperienza(art.115 c.p.c.) seppur utile, in via generale per confermare l'esistenza del pregiudzio, può essere vinto, nel caso concreto, da altre massime di analoga potata che escludono l'esistenza di pregiudizio anche in caso di decesso del congiunto.
Esemplare, in questo senso, mi sembra proprio la recente sentenza "Petti" sul c.d.danno catastrofico14, nella parte in cui, dopo avere ritenuto che il danno morale supera il concetto di pretium doloris fino a comprendere la lesione della stessa dignità umana, ha cassato la decisione di merito che, nel liquidare il danno morale iure proprio patito dal congiunto dell'ucciso era stata sommariamente motivata ed aveva ridotto il canone equitativo ad un criterio del tutto arbitrario, sottratto a qualsiasi controllo di congruità.
L'ottica - e lo sforzo- richiesti al giudice civile in vicende del tipo di quelle esaminate deve essere dunque maggiormente improntati alla individuazione precisa degli elementi in fatto prendendo a prestito la professionalità assai familiare al giudice penale.
L'esatto riscontro della vicenda, l'attenta analisi dei fatti anteriori, contemporanei o successivi che l'hanno caratterizzata, il loro rigoroso collegamento logico, la puntigliosa valutazione della sofferenza che ha realmente attinto il singolo danneggiato attraverso il rigido riscontro degli elementi fattuali, dovrebbe costituire l'in se dell'operato del giudice che si trova a quantificare un pregiudizio di natura etica qual è il danno morale di cui si discute. E sembra essere soltanto questa la via per evitare che il risarcimento liquidato si risolva in un mero simulacro o risulti eccessivamente sproporzionato.
Soffermarsi sui principi giurisprudenziali resi dal giudice di legittimità in materia significa dunque riempire di un contenuto anch'esso etico l'attività giurisdizionale, renderla tanto profonda da discostarla sensibilmente da qualsiasi forma di meccanicizzazione del sistema di risarcimento.
Rinvigorire la funzione giurisdizionale, ri-chiamando il giudice, non sempre propenso, per vari ordini di ragioni, ad un vaglio che dovrebbe portare alla realizzazione di un unicum, vuol dire discostastarsi dalla visione che orienta pericolosamente il giudice verso la ricerca, spesso per esigenze di sopravvivenza, di "schemi" che possano abbreviare il percorso motivazionale, fondandolo sulla precostituzione di argomenti che è sufficiente modificare, all'occorrenza, per fornire un prodotto solo apparentemente avvertito, consapevole, attento, vicino al fatto.
In questo senso, la monetizzazione tabellare finisce col rappresentare la morte del sistema di liquidazione rigorosamente ancorato alla vicenda umana patita dal danneggiato, allontanando la decisione da quelle che dovrebbero essere le caratteristiche intrinseche di ogni provvedimento giurisdizionale.
Si spiega, perciò, come anche a livello europeo l'esigenza di armonizzazione avvertita sul tema del risarcimento del danno non economico si sia prontamente - ed inesorabilmente - arrestata all'atto di individuare parametri predefiniti per la liquidazione delle menomazioni non suscettibili di valutazione o di constatazione medico legale, proprio riconoscendo l'arbitrarietà di soluzioni volte ad una valutazione oggettiva di un danno avente carattere personale che avrebbero determinato una vera e propria espropriazione del potere giudiziale di decidere caso per caso secondo criteri di pura equità15.
Ciò consentirebbe, poi, di astrarre da ogni decisione l'essenza che la caratterizza anche al fine di valorizzarne la valenza extraprocessuale di precedente.
In questo senso, il ricorso al precedente giudiziario tornerebbe ad avere un peso rilevante nell'amministrazione della giustizia, orientando il giurista- accademico, avvocato, giudice -nell'opera di concretizzazione del diritto. Non più dunque selva oscura dei risarcimenti operati dalle Corti di merito16.
Sembra dunque che le preoccupazioni, sempre più agitate, circa una disomogenea quantificazione del risarcimento che porta alla lotteria dei risarcimenti, in thesi giustificate dall'ottica della prevedibilità della decisione, altro non sono che inquietudini rivolte all'attività giurisdizionale nel suo agire.
Tuttavia, le tre sentenze appena ricordate testimoniano quanto l'apparente eccezionalità che le caratterizza - e che induce ad allontanarsi dall'impoverimento tabellare17- sia in effetti ordinarietà rispetto alla multiforme e variegata diversità degli accadimenti che si prospetta al giudice e che questi può dominare solo svolgendo al meglio il proprio lavoro.
Nessuno può arrogarsi il diritto di poter dire che la morte di un uomo provoca generalmente un danno morale x nel congiunto senza intimamente accostarsi alla vicenda, umana, sociale, relazionale, storica del fatto.
Senza, per questo, perdere di vista quel minimo contenuto punitivosanzionatorio che la quantificazione del risarcimento del danno morale finisce con l'avere18.
Ciò ovviamente, deve passare anche attraverso una forte rivitalizzazione del ruolo e della funzione dell'avvocato, anch'essa troppo spesso appiattita su posizioni di comodo che, strumentalmente richiamando l'esigenza della prevedibilità della decisione, finiscono col ricercare un modello di professionalità che non appare conforme alla delicatezza della vicenda correlata al danno provocato dalla morte del congiunto.
Il discorso, è fin troppo chiaro, si inserisce nella più vasta tematica dei poteri riservati normativamente al giudice ed al ruolo che lo stesso deve svolgere nell'esercizio della giurisdizione.
Deve essere comunque chiaro che le osservazioni sparse fin qui esposte sono ben lungi dal volere indurre l'interprete a ritenere che il giudice voglia esso stesso diventare legislatore, ma piuttosto intendono riconsiderare nella sua essenza il ruolo del giudice come artefice primo della risoluzione del caso concreto portato al suo esame e dunque richiamarlo a svolgere al meglio la propria funzione nel severo, e non solo formale, rispetto dei canoni motivazionali, di razionalità e di logicità.
Tale obiettivo è possibile realizzare, peraltro, solo attraverso un'opera di maturazione della magistratura che ovviamente passa attraverso una sua profonda riqualificazione.
Il giudice in tanto riuscirà a fornire risposte appaganti ed adeguate all'alto tasso di specializzazione che la società gli richiede sempre di più, in quanto riesca ad essere adeguatamente "formato" nell'equilibro, nella fermezza, rifuggendo da tecniche motivazioni preconfezionate che, se possono fare la felicità dei teorici della prevedibilità della decisione, finiscono col depotenziare la giustizia concreta della decisione.
Riscoprire nella funzione giurisdizionale quell'unicum che la distingue da tutte le altre professioni vuol dire, dunque, ritrovare l'orgoglio di essere giudici.

 


Roberto Conti

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1 -Trib.Palermo 14 maggio 2001 est.De Gregorio, in Giur.it.,2001,..., in cui si ricorda che il danno morale è essenzialmente un sentire, il danno esistenziale è piuttosto un non poter più fare, un dover agire altrimenti-
2Cass.S.U. 01.07.2002 n. 9556, in www.ipsoa.it
3 Caso,Incommensurabilità ( e dunque,azzeramento) del valore della vita:verso il tramonto del modello restrittivo di isarcimento del danno da morte, in Danno e resp.,2001,1017.
4 Cass.S.U. 21 febbraio 2002 n.2515, Icmesa, in Danno e resp.,2002,499, con nota di Ponzanelli e Tassone, in cui si fferma espressamente che la dicotomia danno evento danno conseguenza appare una mera sovrastruttura teorica per oi giungere alla conclusione che laddove il reato che ha cagionato il pregiudizio sia inquadrabile nella categoria dei elitti a pericolo presunto , il danno morale soggettivo è "danno-evento, alla pari dell'eventuale danno biologico o atrimoniale".
5 così Tribunale Biella, 6 febbraio 1998 , in Giur. it. 1999,1635
6 -per cui v.Trib.Brescia 20 gennaio 1996, in Arch.circ.,1996,377;Trib.Venezia 27 gennaio 1990, in Nuova iur.civ.,1990,I,734-,
7
8 -cfr.Cass.pen.26 novembre 1982,Brescia, in Resp.civ.prev.,1984,212- 
9 per cui v. Cass.pen.26 novembre 1982,Brescia,cit.-
10 cfr.Trib.Palermo 31 maggio 2002, proc.n. 3301/99 R.G Di Gorgio Gaetano +4 c.Perrini Antonio e Ministero della Difesa.
11 Monateri, Il brontosauro alla resa dei conti?<>, in Danno e resp.,2002,862.
12 In questo senso possono essere ricordate Cass.17 luglio 2002, n. 10393, in tema di danno morale patito dal separato er la morte del marito, in cui sottolinea che il danno morale intende risarcire il patimento morale ed il dolore che , che solitamente si accompagnano alla morte di una persona più o meno cara.V. anche Cass.S.U. 21 febbraio 2002 n.2515, Icmesa, in danno e resp.,2002,499, con nota di Ponzanelli e Tassone, in cui si sottolinea ancora una volta che il soggetto che reclama il danno morale ha l'onere di provare in concreto di avere subito un turbamento psichico. Anche Cass.S.U. 01.07.2002 n. 9556, in www.ipsoa.it che nel riconoscere il danno morale ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni personali, ha richiesto che questo fosse concretamente accertato
13 cfr.Scognamiglio,Il danno morale,(Contributo alla teoria del danno extracontrattuale),in Riv.dir.civ.,1957,I,329.
14 Cass.2 aprile 2001 n.4783, in Danno e resp.,2001,820, con nota di Bona.
15 cfr.Busnelli,Prospettive europee di razionalizzazione del risarcimento del danno non economico, relazione introduttiva presentata al Convegno europeo svoltosi a Treviri l'8 ed i l9 giugno 2000 avente ad oggetto la discussione di una Raccomandazione alla Commissione europea al Parlamento europeo ed al Consiglio, in Danno e resp.,2001,9 che si sofferma sul lavoro svolto dal Gruppo di lavoro costituito a livello europeo per affrontare i temi collegati al risarcimento del danno alla persona. 
16 Cfr.Bona,Danni tanatoligici non pecuniari iure successionis e iure proprio.vecchi e nuovi rompicapi dal risarcimento della perdita della vita al danno esistenziale da uccisione, in Giur.it.,1999,I,1,1637 e 1647 
17 L'espressione è di Severi,Il risarcimento del danno ai congiunti della vittima di un incidente stradale,in Corr.giur.,2001,1323.
18 Busnelli, op.ult.cit.,9