Giusy Cosco



LE STEPFAMILIES ED IL DANNO PER LA PERDITA DEL RAPPORTO PARENTALE

LE STEPFAMILIES ED IL DANNO PER LA PERDITA DEL RAPPORTO PARENTALE

di Giusy Cosco

 

FONTE Famiglia e Diritto, 2007, 10, 938

 

1. La vicenda

Oggetto della pronuncia dei giudici milanesi è la richiesta di risarcimento danni per le lesioni provocate a due minori, uno dei quali poi deceduto.

Le vittime, a bordo delle proprie biciclette, sono state travolte da un'autovettura (al cui conducente è stata addebitata la colpa esclusiva del sinistro) che procedeva "ad una velocità non commisurata alle condizioni atmosferiche ed allo stato della strada".

Nel caso di specie si sono costituiti in giudizio, per ottenere il risarcimento del danno per la morte del minore, oltre ai suoi genitori, i conviventi more uxorio di questi ultimi, la sorella nata dalla nuova relazione del padre, i nonni materni e paterni, gli eredi della nonna paterna deceduta in corso di causa.

A tutti è stato accordato - sia pure in diversa misura - il risarcimento del danno non patrimoniale nella duplice accezione di danno morale e di danno esistenziale; alla madre è stato liquidato (anche) il danno emergente derivante dalle spese per le onoranze funebri e per la tumulazione della salma; nulla è stato riconosciuto alla convivente del padre.

2. Danno per la perdita del rapporto parentale

Al centro della complessa e drammatica vicenda processuale su cui verte l'articolata pronuncia del Tribunale ambrosiano si colloca la tematica della tutela risarcitoria da riconoscere, iure proprio (1), ai congiunti della vittima principale di un illecito. La questione, nello specifico, si pone per il danno non patrimoniale (2) nella duplice accezione indicata nella massima.

L'analisi della fattispecie investe essenzialmente tre profili: i danni risarcibili, i criteri di calcolo ed i legittimati attivi all'azione. Dopo circa un ventennio di vivaci dibattiti dottrinali e di note pronunce giurisprudenziali in materia di danno non patrimoniale, la Suprema Corte, con la sentenza n. 8828 del 31 maggio 2003 (3), e la Corte costituzionale, con la pronuncia n. 233 dell'11 luglio 2003 (4) - per la sentita esigenza di riconoscere alla persona una riparazione integrale delle lesioni subite - hanno superato la tradizionale, restrittiva e ormai datata (5) lettura dell'art. 2059 (6) e, grazie ad una interpretazione costituzionalmente orientata del suddetto articolo, hanno fatto rientrare proprio tra i danni non patrimoniali tutti quelli derivanti dalla lesione dei valori inerenti alla persona: il danno biologico, il danno morale soggettivo ed il cd danno esistenziale (7), conseguente alla lesione di altri interessi costituzionalmente rilevanti.

È stato osservato in particolare che la morte del congiunto provocherebbe "la permanente alterazione dell'equilibrio del nucleo familiare" (8), pregiudizio questo distinto dal danno biologico e da quello morale, non trattandosi di una lesione psico-fisica della persona o della transeunte sofferenza che consegue alla perdita del familiare (9). Viene così accolta la tesi secondo cui un tale evento, provocato da un fatto illecito di un terzo, lede diritti inviolabili sanciti e garantiti dalla Costituzione (10) (la famiglia come riconosciuta dall'art. 29, comma 1, e come formazione sociale, ex art. 2, in cui si esplica la personalità del singolo) e determina in capo ai parenti quel danno ingiusto che i giudici avevano in precedenza qualificato, in alcuni casi, come danno da lesione del rapporto parentale (11), in altri, come danno esistenziale (12) o, in altri ancora, come danno edonistico (13), danno morale "costituzionalizzato" (14), danno psichico temporaneo.

La Cassazione, nella citata sentenza del 2003, rilevando l'inutilità di ogni tentativo di ritagliare all'interno della categoria generale del danno non patrimoniale specifiche figure di esso e di cercarne sottili e discutibili differenze, ha ritenuto fondamentale ai fini del risarcimento ex art. 2059 c.c. la sussistenza dell'ingiusta lesione di valori inerenti alla persona (art. 2 Cost.), da cui conseguono pregiudizi non suscettivi di valutazione economica. In questo modo si è inteso riconoscere una valenza generale alla categoria del danno non patrimoniale (15).

I giudici di merito, nella decisione in commento, accordano ai familiari della vittima il diritto a vedersi risarcito il danno non patrimoniale (nella duplice componente del danno morale ed esistenziale) per la morte del loro caro, per la perdita irreversibile del godimento del congiunto, per il venir meno dell'unità familiare, dei rapporti affettivi, della solidarietà reciproca, ma l'importo liquidato a ciascun congiunto è unico (16) in quanto rapportato alla macrocategoria del danno non patrimoniale.

L'individuazione analitica delle (distinte) tipologie di pregiudizio subito dai danneggiati e le categorie corrispondenti servono tuttavia a garantire, nell'ambito della valutazione equitativa, un giusto equilibrio fra le diverse voci di danno risarcibile nel caso concreto, evitando duplicazioni, così come avviene per la categoria inglese del general demages (17).

3. Prova e liquidazione del danno

Le premesse svolte ci consentono intanto di effettuare alcune osservazioni sui criteri di prova e di liquidazione del danno non patrimoniale.

Innanzitutto il danno per la morte ex delicto di un congiunto non può essere considerato in re ipsa poiché non coincide con la lesione dell'interesse protetto. Dalla suddetta lesione, invero, possono scaturire una serie di conseguenze dannose che devono essere provate caso per caso, anche sulla base di un complesso di circostanze dalle quali l'oggetto della prova può essere desunto, come il legame derivante dal rapporto di parentela o di convivenza esistente con la vittima (18), la sua età e la composizione del nucleo familiare (19), l'esistenza di affetto e affidamento reciproco, oltre che la frequentazione tipica del rapporto parentale dalle quali l'oggetto della prova può essere desunto.

L'esistenza del rapporto familiare, d'altra parte, non determina necessariamente il diritto al risarcimento, occorrendo verificare di volta in volta il legame affettivo esistente con la vittima.

Ed ancora, il risarcimento del danno non patrimoniale non riguarda solo i congiunti conviventi al momento della morte: ove convivenza non vi sia non può per ciò solo escludersi l'esistenza di una comunione spirituale se comunque, in concreto, la morte del familiare abbia provocato un pregiudizio effettivo (20).

Ai fini della quantificazione e della liquidazione del danno non patrimoniale da uccisione possono poi essere presi in considerazione (ed i giudici del Tribunale lombardo hanno tenuti presenti) la gravità del reato, l'entità delle sofferenze, la spiccata personalità della vittima ed il senso di vuoto lasciato all'interno della famiglia (21), l'età del danneggiato e la circostanza che risulti ancora stabilmente inserito nel nucleo familiare, la sensibilità dell'avente diritto o le condizioni socio economiche di una determinata zona in cui vivono i soggetti offesi (22) .

4. Soggetti legittimati ad ottenere il risarcimento

Il fatto dell'uccisione di una persona generalmente provoca una "propagazione intersoggettiva" (23) delle sue conseguenze. Ciò è accaduto nella vicenda de qua, "di ordinaria amministrazione" se non fosse per il numero di soggetti a cui viene riconosciuto il diritto alla riparazione.

La questione della legittimazione ad agire per ottenere il risarcimento dei danni "riflessi", che si producono nella sfera di soggetti diversi rispetto alla vittima iniziale dell'illecito, ha suscitato orientamenti discordanti. I criteri proposti dalla dottrina sono stati vari (24) e se a lungo ha prevalso nella giurisprudenza la tesi restrittiva, più di recente la tendenza è nel senso di allargare considerevolmente il novero dei soggetti legittimati ad agire (25).

Dimostrazione del nuovo trend è proprio la pronuncia in rassegna, in cui il risarcimento del danno non patrimoniale per la morte ex delicto di un parente non è limitato ai soggetti conviventi al momento della morte, ma altresì al padre non convivente, ai nonni del minore ed alla sorella.

Risulta così evidente che lo strumento risarcitorio, soprattutto in caso di morte di un congiunto, tutela la famiglia, ma non solo quella (strutturata) riconosciuta dall'art. 29, comma 1, della Costituzione, bensì anche la (famiglia) formazione sociale, ex art. 2 della Carta fondamentale, in cui si esplica la personalità del singolo. In questa prospettiva la giurisprudenza fin dagli anni novanta attribuiva al convivente more uxorio il diritto alla riparazione del danno (patrimoniale e non) in caso di morte del partner provocata da fatto ingiusto (26).

5. Le famiglie ricomposte

E tuttavia la vicenda contemplata dalla sentenza in epigrafe va oltre le acquisizioni alle quali si è fatto cenno, considerando rilevante un rapporto di convivenza che coinvolge, oltre alla coppia, "anche il figlio di uno dei conviventi, con il quale il convivente non genitore abbia instaurato un solido legame affettivo".

Il vero è che, sempre più di frequente, si pone all'attenzione del giurista il problema delle cd famiglie ricomposte (27) (o stepfamilies, secondo l'espressione americana (28), cioè dei nuclei familiari che si ricostituiscono dopo la morte di un coniuge o di un convivente, la separazione ed il divorzio (29)), le quali assumono rilevanza soprattutto in presenza di figli nati da matrimoni o convivenze precedenti (30).

In questa nuova dimensione i rapporti all'interno della famiglia (intesa appunto come formazione sociale) si complicano, sorgono legami non fondati su vincoli di sangue e non formalizzati dalla legge (31).

Si instaurano in questo modo rapporti fra soggetti "giuridicamente estranei tra loro ma che per scelta (propria o dei loro rappresentanti legali esercenti la potestà) convivono sotto uno stesso tetto" (32), cioè tra i figli ed il coniuge o il compagno del genitore, che danno vita ad una famiglia pluriematica (33).

In caso di separazione e di divorzio, infatti, al genitore biologico si aggiunge quello sociale (34): la dissoluzione del matrimonio non cagiona quella del rapporto di filiazione, ma ciò non toglie che lo step parent (35) riveste un ruolo di supporto a quello del genitore naturale .

La disciplina dell'anagrafe (art. 4 d.P.R. 30 maggio 1989, n. 223) si esprime anche in questo caso in termini di famiglia (36), ma tra il figlio ed il "compagno" del genitore (37) allo stato non intercorre alcun rapporto giuridicamente rilevante, come invece avviene in realtà diverse dalla nostra (38).

Né si può pretendere che le aperture manifestate dalla Cassazione penale (39) nei confronti di alcune tipologie di convivenza, come quella oggetto di espressa previsione normativa tra il minore ed i genitori affidatari, valga anche per le famiglie ricomposte o ricostituite. Ed invero, pur rientrando le stepfamilies tra le formazioni sociali di cui all'art. 2 Cost., la pluriematicità che le caratterizza solleva tanti e tali problemi giuridici da sollecitare l'intervento del legislatore (come è avvenuto per le famiglie legittime con figli adottivi e per quelle affidatarie) a tutela del minore, dei suoi diritti patrimoniali e non (40).

Proprio per l'assenza nel nostro paese di un riferimento normativo che dia rilevanza al rapporto del minore con il terzo convivente o con il coniuge del genitore (41), non possiamo non manifestare perplessità per la soluzione prospettata dai giudici milanesi nella misura in cui riconoscono al compagno della madre il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale (42).

A non dire che l'allargamento eccessivo dei soggetti danneggiati potrebbe comportare altresì, in chiave di analisi economica del diritto, una gestione del risarcimento del danno non patrimoniale poco efficiente dal punto di vista gius-economico, una ipervalutazione delle prestazioni da risarcimento non conforme al livello attuale di efficienza del sistema. Tutto questo rischierebbe di trasformare in qualche caso la responsabilità civile in un fenomeno lucrativo (43).

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(1) È orientamento consolidato quello secondo il quale il risarcimento del danno non patrimoniale, sofferto in vita dalla persona deceduta per le lesioni provocate da un fatto illecito altrui, si trasmette iure hereditatis ai prossimi congiunti, che abbiano agito in qualità di eredi e nei limiti della relativa quota (Cass. 25 febbraio 1997, n. 1704, in Nuova giur. civ. comm., 1997, I, 221 ss., con nota di D. Chindemi, Ancora sul risarcimento del danno da uccisione spettante agli eredi della vittima). Ai familiari spetta altresì iure proprio il risarcimento per sofferenze e patimenti derivanti dalla morte del congiunto "a nulla rilevando il fatto della convivenza con quest'ultimo o la qualità di erede di colui cui spetta tale risarcimento": Tribunale di Roma 9693 del 9 luglio 1991 (citato nella sentenza in epigrafe). Sulla differenza fra risarcimento iure proprio e iure herditatis v. G. Facci, I nuovi danni nella famiglia che cambia, Milano, 2004, 139 s.

(2) Sul tema, tra gli altri, M. Bona, Il danno non patrimoniale dei congiunti: edonistico, esistenziale, da lesione del rapporto parentale, alla serenità famigliare, alla vita di relazione, biologico, psichico o morale "costituzionalizzato"? (nota a Cass. 2 febbraio 2001, n. 1516), in Giur. it., 2002, 953 ss. e bibliografia in esso contenuta (nota n. 1).

(3) Commentata, tra gli altri, da P. Cendon, Anche se gli amanti si perdono l'amore non si perderà. Impressioni di lettura su Cass. 8828/2003, E. Bargelli, Danno non patrimoniale ed interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 e P. Ziviz, E poi non rimase nessuno, in Resp. civ. prev., 2003, 675 ss.; F.D. Busnelli, Chiaroscuri d'estate. La Corte di Cassazione e il danno alla persona, G. Ponzanelli, Ricomposizione dell'universo non patrimoniale: le scelte della Corte di Cassazione e A. Procida Mirabelli Di Lauro, L'art. 2059 c.c. va in paradiso, in Danno e resp., 2003, 826 ss.; E. Navarretta, Danni non patrimoniali: il dogma infranto e il nuovo diritto vivente, in Foro it., 2003, 9, I, 2277 ss.

(4) V. E. Navarretta, La Corte costituzionale e il danno alla persona "in fieri", in Foro it., 2003, 9, I, 2201 ss.

(5) L'aggettivo è utilizzato da C. Castronovo, La nuova responsabilità civile, Milano, 2006, 88. 

(6) Lettura strettamente collegata all'art. 185 c.p., come rivolto a tutelare il danno morale soggettivo, la sofferenza contingente, il turbamento transeunte dell'anima, determinati dal fatto illecito che integra il reato. Così la già citata sentenza n. 8828/2003.

(7) Da ultimo Cass. 6 febbraio 2007, n. 2546, definisce il danno esistenziale in questi termini: " da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) che alteri le abitudini e gli assetti relazionali propri del soggetto, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno, non costituisce una componente o voce né del danno biologico né del danno morale, ma un autonomo titolo di danno, il cui riconoscimento non può prescindere da una specifica allegazione nel ricorso introduttivo del giudizio sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo". Cass., sez. un., 24 marzo 2006, n. 6572, guarda al danno esistenziale come ad un' autonoma categoria all'interno dell'art. 2059 c.c.

(8) Così Cass. 31 maggio 2003, n. 8828, cit. L'interesse tutelato, quindi, "è quello alla intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia, alla inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 Cost.".

(9) A questa distinzione, cara agli esistenzialisti, è contrario G. Ponzanelli, Gli "esistenzialisti" dopo la svolta del 2003 e la sentenza della cassazione penale sul caso Barillà, in Danno e resp., 2004, 972.

(10) C. Castronovo, op. cit., 89, ricorre all'art. 2 Cost. come ad un calderone in cui far rientrare la tutela degli "attributi" della persona che non rinvengano nella Carta fondamentale una protezione più specifica. Lo stesso Autore (90, nota 76) critica le affermazioni di esponenti della scuola triestina (P. Ziviz, op. cit., 709) secondo cui le conseguenze non economiche discendenti dalla lesione di valori della persona costituzionalmente protetti vanno considerate una "indeterminata categoria", mentre la categoria è quella del danno non patrimoniale.

(11) V. Trib. Milano 31 maggio 1999 e Trib. Treviso 25 novembre 1998, in Danno e Resp., 2000, 67 ss., con nota di R. Caso, Danno per lesione del rapporto parentale: tra esigenze di giustizia e caos risarcitorio; Trib. Treviso 7 agosto 2001, in Guida al dir., 2001, 46, 33, con nota di F. Martino, Una nuova tutela per i diritti della persona che supera gli orientamenti tradizionali.

(12) Trib. Palermo 8 giugno 2001, in Giur. it., 2002, 951 ss., con nota di M. Bona, op. cit.

(13) V. Trib. Firenze, 24 febbraio 2000, in Guida al dir., 2000, 25, 46, con nota di F. Martini, L'uscita da un sistema tradizionale di ristoro rischia di generare una categoria senza regole; in Resp. civ. prev., 2000, 1437 ss., con nota di P. Ziviz, Il danno edonistico: un nuovo nome per il pregiudizio derivante dalla morte del congiunto; in Danno e resp., 2001, 97 ss., con nota di G. Ponzanelli, Danno edonistico: verso la creazione di un tertium genus o verso la valorizzazione di rimedi esistenti. Cfr. G. Facci, I nuovi danni nella famiglia che cambia, cit., 166 ss. e ID., Il "nuovo danno non patrimoniale" nelle relazioni familiari (nota a Trib. Mantova 30 agosto 2004 e Trib. Venezia, 30 giugno 2004), in questa Rivista, 2004, 301.

(14) Cass. 2 febbraio 2001, n. 1516, in Giur. it., 2002, 951, con nota di M. Bona, cit., parla di danno morale "costituzionalizzato" in questi termini: conformato "ai valori che la Costituzione riconosce alla persona umana come diritti umani inviolabili che arricchiscono la sua dignità, non essendo a ciò di ostacolo l'argomento della causalità diretta e immediata di cui all'art. 1223 c.c. in quanto detto danno trova causa efficiente nel fatto del terzo".

(15) M. Franzoni, Il danno patrimoniale e non patrimoniale da perdita delle relazioni parentali, in Resp. civ. prev., 2003, 977.

(16) Questo è ciò che avviene in ordinamenti giuridici come l'Inghilterra e la Germania, che nella prassi fanno rientrare tutti i pregiudizi non patrimoniali in una sola categoria di danno. Cfr. M. Bona, Il danno non patrimoniale dei congiunti...., cit., 966 e nota n. 105.

(17) Auspica una tale soluzione anche M. Bona, op. ult. loc. cit.

(18) Cass. 31 maggio 2003, n. 8828, cit. Cfr. G. Visintini, Trattato breve della responsabilità civile, Padova, 2005, 663 s.

(19) V. Appello Milano 30 novembre 1999, in Arch giur. circol. Sin., 2002, 56, con nota di V. Toninelli V., Il calcolo del danno morale in tema di sinistri dalle conseguenze mortali come previsto dalle "tabelle milanesi" e suo confronto con alcune sentenze della Corte d'Appello di Milano; Trib. Mantova 30 agosto 2004, con nota di G. Facci, Il "nuovo danno non patrimoniale" nelle relazioni familiari, in questa Rivista, 2005, 301 ss..

(20) V. Cass. 7 maggio 1983, n. 3116, in Resp. Civ. prev., 1984, 375 ss.; Trib. Palermo 8 giugno 2001, in Giur. it., 2002, 951 ss., con nota di M. Bona, cit.; Cass. 15 luglio 2005, n. 15019, in Resp. civ., 2005, 851; Cass. 19 gennaio 2007, n. 1203 (con nota di G. Facci), in Resp. civ., 2007.

(21) Cass. 6 ottobre 1994, n. 8177, in Foro it., 1995, I, 1852, con nota di R. Caso, La Cassazione, la macchina del tempo e la risarcibilità "iure ereditario" del danno biologico da lesioni mortali ed in Giur. it., 1995, I, 1, 1534, con nota di G. Citarella, Stato di coma e danno morale.

(22) Così giurisprudenza citata da G. Facci, op. cit., 146 (note nn. 27, 29, 30). Il Tribunale milanese liquida il danno tenendo conto di tutti i fattori sopra elencati ed, in particolare, delle sofferenze effettivamente patite dai congiunti per effetto dell'evento lesivo. V. Cass. 5 gennaio 2001, n. 116, in Giust. civ. Mass., 2001, 42, secondo cui «in conseguenza della morte della persona cagionata da un reato, ciascuno dei suoi familiari prossimi congiunti fa valere per il risarcimento del danno un autonomo diritto, sicché il danno dev'essere liquidato in rapporto al pregiudizio da ciascuno patito per effetto dell'evento lesivo. Ciò esclude che il giudice possa procedere ad una determinazione complessiva ed unitaria del danno morale ed alla conseguente ripartizione dell'intero importo in modo automaticamente proporzionale tra tutti gli aventi diritto ». In tal senso anche recente Cass. 19 gennaio 2007, n. 1203, cit. La valutazione non è uniforme e somme diverse vengono liquidate ai diversi attori. Allo scopo di quantificare le sofferenze è stata presa in considerazione, ad esempio, la circostanza che la vittima fosse figlio unico per la madre e che i due convivessero, mentre il padre aveva avuto una bambina dalla nuova compagna.

(23) Così la più volte citata sentenza n. 8828/2003.

(24) Un'esposizione delle teorie è contenuta in P. Petrelli, Il danno non patrimoniale, Padova, 1997, 328 s. e G.B. Petti, Il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale della persona, Torino, 1999, 184 s.

(25) Cfr. G. Visintini, op. cit., 499 s.

(26) Cass. 28 marzo 1994, n. 2988, in Giust. civ., 1994, I, 1849. Più recente Cass., 29 aprile 2005, n. 8976, in Resp. civ., 2006, 339, con nota di A. Vasapollo, Il risarcimento del danno al convivente di fatto della vittima di un incidente stradale, in cui si puntualizza che «colui che chiede il risarcimento dei danni derivatigli, quale vittima secondaria, dalla lesione materiale, cagionata alla persona con cui convive, dalla condotta illecita del terzo, deve dimostrare l'esistenza e la portata dell'equilibrio affettivo-patrimoniale instaurato con la medesima, e perciò, per poter essere ravvisato il vulnus ingiusto a tale stato di fatto, deve essere dimostrata l'esistenza e la durata di una comunanza di vita e di affetti, con vicendevole assistenza materiale e morale, non essendo sufficiente a tal fine la prova di una relazione amorosa, per quanto possa essere caratterizzata da serietà di impegno e regolarità di frequentazione nel tempo, perché soltanto la prova della assimilabilità della convivenza di fatto a quella stabilita dal legislatore per i coniugi può legittimare la richiesta di analoga tutela giuridica di fronte ai terzi ». Grande diffusione da parte dei media ha avuto di recente la sentenza della Cassazione, 12 luglio 2006, 15760 (in Corr. giur., 2006, 10, 1375 ss., con nota di G. Ponzanelli, Pacs, obiter, miopia giornalistica e controllo della Cassazione sulla quantificazione del danno; in Resp. civ., 2007, 1, 9, con nota di A. Scalisi, Gli obiter dicta della Cassazione, tutti contenuti in una stessa sentenza, in tema di danno esistenziale, di danno tanatologico e di cc.dd. Pacs; in Resp. civ., 2007, 01, con nota di F. Toschi Vespasiani, La quantificazione del danno morale da morte subito dai congiunti. Tra nuove e vecchie problematiche, la Cassazione attende i "Pacs") che, dopo aver riconosciuto il risarcimento per lesione dell'integrità familiare, in un obiter sottolinea come "l'attuale movimento per l'estensione della tutela civile ai Pacs (patti civili di solidarietà ovvero stabili convivenze di fatto) conduce all'estensione della solidarietà umana a situazioni di vita in comune". Tutto questo considerando che alla famiglia di fatto viene ormai attribuita rilevanza giuridica come formazione sociale meritevole di tutela da parte dell'ordinamento "quando essa presenta una analogia con la famiglia legale per solidità dell'impegno e durata della convivenza" (così G. Visintini, op. cit., 504), quando l'affectio che caratterizza il menage è identificabile con quella coniugalis. Se in un primo momento l'orientamento è stato nel senso di negare il risarcimento del danno patrimoniale al convivente in relazione al "carattere di obbligazione naturale delle prestazioni tra i conviventi, che impediva la configurazione di un danno patrimoniale risarcibile, in assenza di un diritto soggettivo violato" (ancora G. Facci, I nuovi danni nella famiglia che cambia, cit., 112. Cfr. anche la ricostruzione dell'evoluzione giurisprudenziale in materia di risarcimento del danno al convivente more uxorio fatta da D. Feola, Convivenza e convivenze: i diritti dei genitori di Tanguy, in Resp. civ. prev., 2003, 380), in un secondo tempo si ammise il risarcimento al partner del danno non patrimoniale, poiché esso necessita della lesione di una situazione giuridicamente protetta quale è oggi la convivenza more uxorio. La famiglia, dunque, ormai oggetto di continue modifiche e cambiamenti, ha perso la sua nozione unitaria ed a riprova di ciò è sufficiente rilevare proprio la sempre maggiore diffusione delle unioni non fondate sul matrimonio che, soprattutto negli ultimi anni, avanzano in Italia - come è già avvenuto in altri paesi europei (sull'argomento R. Amagliani, La disciplina della famiglia di fatto nei paesi europei. L'esperienza francese del Pacs, in Autonomia privata e diritto di famiglia, Torino, 2005, 47 ss., e mi sia consentito di rinviare al mio G. Cosco, Convivenza fuori dal matrimonio: profili di disciplina nel diritto europeo, in Dir. fam. pers., 2006, 349 ss. per ulteriori riferimenti bibliografici) - pretese di riconoscimento. 

(27) Fenomeno che, però, non ha ancora incontrato in dottrina e giurisprudenza lo stesso interesse palesato per le convivenze more uxorio.

(28) P. Rescigno, Nuove prospettive giuridiche per le famiglie ricomposte, in S. Mazzoni (a cura di), Nuove costellazioni familiari. Le famiglie ricomposte, Milano, 2002, 74.

(29) P. Rescigno, op. cit., 69.

(30) S. Mazzoni, Introduzione, in ID. (a cura di), Nuove costellazioni familiari... cit., 81.

(31) La questione è sollevata anche da A. L. Zanatta, Le nuove famiglie, Bologna, 2003, 88.

(32) A. De Mauro, Le famiglie ricomposte, in Familia, 2005, 4-5, 768.

(33) Con tale neologismo F. Uccella, Dalla "famiglia pluriematica" alla "famiglia putativa"come soggetto giuridico: prime considerazioni, in Familia, 2005, 3, 448 s., indica quei gruppi familiari composti da soggetti in cui non scorre lo stesso sangue.

(34) In tal senso anche M. Sesta, Verso nuove trasformazioni del diritto di famiglia italiano?, in Familia, 1, 2003, 157.

(35) Ancora M. Sesta, op. cit., 158.

(36) Questo è quanto fatto notare anche da A. De Mauro, op. cit., 768 s.

(37) In caso di famiglie ricomposte in cui la coppia è coniugata, il coniuge del genitore può chiedere l'adozione particolare ex art. 44, comma 1, lett. b della legge 4 Maggio 1983, n. 184. Per l'adozione particolare, però, occorre il consenso del genitore biologico ed i partners devono essere coniugi. In tal senso M. Sesta, op. cit., 158 e A. L. Zanatta, op. cit., 101.

(38) In Francia la legge n. 2002-305 del 4 marzo 2002 riconosce alcuni diritti dell'autorità parentale anche in capo a terzi. V. J. Rubellin Devichi, Le seconde famiglie e il diritto francese, in S. Mazzoni (a cura di), Nuove costellazioni familiari. Le famiglie ricomposte, Milano, 2002, 61 ss. In Inghilterra il giudice, con ordinanza, può attribuire poteri al genitore sociale. Cfr. Sesta M., op. cit., 160. Di autorità parentale si discute anche in Austria. Nel codice civile svizzero si prevede l'assistenza del nuovo coniuge nell'esercizio della potestà genitoriale verso il figlio dell'altro e la possibilità che il coniuge rappresenti l'altro quando le circostanze lo richiedono. In Olanda il genitore sociale è obbligato al mantenimento ed esercita la potestà se la convivenza ha determinate caratteristiche. Negli Stati Uniti molto spazio viene lasciato all'autonomia della coppia, anche se in alcuni stati sono previsti veri e propri obblighi in capo al genitore sociale. M. Sesta, op. loc. cit. Per una sintesi delle relative discipline in altri paesi europei e non v. F. Uccella, op. cit., 449 ss.

(39) Cass. pen., 27 settembre 2001, in Resp. civ. prev., 2003, 145 ss., con nota di D. Feola, Affido di minori e costituzione di parte civile: per una nuova nozione di "famiglia di fatto", ha riconosciuto agli affidatari di un minore il diritto a costituirsi parte civile per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale sofferto per la morte del bambino. Gli stessi conviventi more uxorio, pur non potendo pretendere la parificazione della loro relazione a quella coniugale, ne vedono da anni ed in più occasioni riconosciuta la rilevanza giuridica.

(40) Uccella F., op. cit., 447 ss., sottolinea la necessità che il minore venga ascoltato affinché, se ultradodicenne, possa dare il consenso ad essere inserito stabilmente nella nuova famiglia.

(41) A questo proposito si veda il precedente giurisprudenziale (Cass. pen., 8 luglio 1980, in Giust. pen., 1981, III, c. 623 ss.) in cui era stato negato alla "matrigna" il diritto a costituirsi parte civile per chiedere il risarcimento del danno non patrimoniale per l'omicidio colposo del figliastro, poiché non titolare di diritti riconosciuti dall'ordinamento.

(42) Soprattutto se si pensa alla breve durata della convivenza.

(43) V. A. Gorassini, Il metodo dell'analisi economica del diritto nella responsabilità civile italiana. Valutazioni di utilità euristica nella quantificazione dei danni alla persona, Torino, 2003, passim ed in part. 54 s., il quale precisa che l'istituto della responsabilità civile, avente ordinariamente la funzione di garantire il risarcimento integrale delle perdite subite dalla vittima, "è in grado di sopportare, come imperfezione di sistema, un risarcimento non integrale, ma entro gli spazi topologici in cui sistematicamente non trasforma il fenomeno in un'altra figura che riconosce alla vittima indennità e non risarcimento". D'altro canto, però, il risarcimento superiore alle perdite subite dalla vittima potrebbe "innescare terremoti sistemici e alterazioni assiologiche interattive sul sistema giuridico complessivo". Le perdite da danni causate dal danneggiante non possono gravare sul danneggiato, ma non è altresì possibile stimare in eccesso il risarcimento.