Niccolò Massella Ducci Teri
ANCORA SULLA RISARCIBILITÀ DEL DANNO BIOLOGICO IURE HEREDITATIS
ANCORA SULLA RISARCIBILITÀ DEL DANNO BIOLOGICO IURE HEREDITATIS
di Niccolò Massella Ducci Teri
FONTE Resp. civ., 2008, 11, 893 - Danno biologico
Sommario: 1. Il fatto - 2. Premessa - 3. L'evoluzione della tematica del danno non patrimoniale dall'entrata in vigore del Codice del 1942 ad oggi - 4. Il danno biologico: nozione. La sua risarcibilità in caso di decesso del familiare dovuto all'illecito comportamento altrui, sia iure proprio che iure hereditatis - 5. I criteri liquidativi del danno biologico - 6. Le altre figure di danni risarcibili a seguito di morte del congiunto causata dall'illecito comportamento altrui
1. Il fatto
Oggetto del presente giudizio sono state le domande risarcitorie formulate nei confronti del Sig. G.D.R. e della A. s.p.a. assicurazioni, a seguito del decesso del Sig. E.C., avvenuto tre giorni dopo un incidente stradale causato dal G.D.R. con la propria autovettura. Il Giudice istruttore, con ordinanza successivamente confermata dalla Corte d'Appello, ha condannato i convenuti al pagamento di una somma di denaro a favore di A.C., I.D.V. e C.S., a titolo di risarcimento del danno morale, ed esclusivamente ad A.C. e I.D.V., genitori della vittima, ha liquidato anche i danni patrimoniali. Proposto ricorso per la cassazione della sentenza, la S.C. ha riconosciuto la risarcibilità del danno biologico iure hereditatis in capo ai familiari del de cuius, mentre ha negato la sussistenza di un danno patrimoniale da risarcire.
2. Premessa
La sentenza in commento, affrontando nello specifico la problematica inerente la risarcibilità del danno biologico sia iure hereditatis sia iure proprio, a seguito della morte di un proprio congiunto causata dall'illecito comportamento altrui, offre numerosi spunti di riflessione in relazione alla tematica del risarcimento del danno non patrimoniale. A tale proposito, scopo di queste brevi annotazioni è quello di richiamare innanzi tutto, in estrema sintesi, le principali tappe dell'evoluzione della disciplina in materia di danni non patrimoniali dal 1942 ad oggi, per poi ricordare le varie voci di danni(1), di creazione dottrinaria e giurisprudenziale, configurabili in siffatto ambito, per poi successivamente analizzare, più nello specifico, la figura del danno biologico, cercando di individuarne le linee essenziali per poterla distinguere da quelle del danno morale e del danno esistenziale; verrà quindi affrontata la questione concernente la trasmissibilità iure hereditatis di tale voce di danno in tutti quei casi in cui il decesso del soggetto segua di qualche tempo l'evento lesivo, indicando quelli che ad oggi sembrano essere i criteri adottati dalla Corte di Cassazione al riguardo e verranno infine esaminati i parametri valutativi adottati in sede di quantificazione del danno stesso.
3. L'evoluzione della tematica del danno non patrimoniale dall'entrata in vigore del Codice del 1942 ad oggi
Con la locuzione danno non patrimoniale, si è soliti intendere la lesione di interessi che, "alla stregua della coscienza sociale, sono insuscettibili di valutazione economica"(2).
Il Codice Civile, poi, con l'art. 2059, fissa la regola in base alla quale la risarcibilità di tale danno deve essere effettuata "solo nei casi previsti dalla legge": casi il principale dei quali, fino a non molto tempo fa, è stato costituito da quello, contemplato nell'art. 185 c.p., in cui il comportamento dannoso costituisca anche un illecito penale(3).
Muovendo da tali premesse, dalle quali sembrerebbe doversi fare discendere la regola secondo cui i danni non patrimoniali in buona sostanza non sarebbero risarcibili se non in presenza di un reato, appare emergere una disciplina, in tema di risarcimento del danno, così come concepita dal legislatore del 1942, incentrata sulla salvaguardia di interessi solamente economici. Come ulteriore conferma di tale affermazione, sembra potersi richiamare anche quanto disposto dall'art. 2056 c.c., che, in relazione al calcolo dei danni, rimanda alla disciplina prevista in materia di responsabilità contrattuale (art. 1223 c.c.): conseguentemente, anche in base all'art. 2056 c.c., avrebbe rilevanza esclusivamente il danno patrimoniale(4).
A fondamento di tale impostazione, che nega sostanzialmente la risarcibilità del danno non patrimoniale, appare essere una concezione del diritto privato come sistema volto fondamentalmente alla tutela di interessi economici. La risarcibilità dei danni non patrimoniali se dipendenti da un illecito penale si spiegherebbe, in una simile prospettiva, risultando violati, nella fattispecie, interessi a rilevanza pubblica(5).
Evidenti sono le conseguenze di una simile concezione: sul presupposto della natura economica del danno aquiliano, le eventuali lesioni dell'integrità psicofisica di un soggetto acquisirebbero rilevanza per l'ordinamento nel solo caso in cui da esse siano derivate conseguenze economicamente valutabili; ove, invece, dal fatto lesivo non derivino conseguenze economiche ed il fatto stesso non configuri un illecito penale, la persona, anche quando abbia subito danni alla propria integrità fisica, resterebbe priva di tutela dal punto di vista del diritto civile(6).
Tuttavia, nel corso dell'evoluzione dottrinaria e giurisprudenziale svoltasi dall'entrata in vigore del Codice Civile, la concezione paneconomica del diritto privato è mutata, essendo intervenuto un radicale cambiamento nella scala gerarchica dei valori tutelati dall'ordinamento: la persona umana è andata assumendo un ruolo centrale e la sua tutela è divenuto uno degli obiettivi principali del sistema. Conseguentemente, l'impianto codicistico in materia di danno risarcibile ha mostrato tutti i suoi limiti, in quanto "il limite normativo lasciava irrisarcibili le lesioni dei diritti fondamentali dell'uomo"(7).
Fondamentali, nel corso di tale evoluzione ermeneutica, sono risultate due pronunzie della Corte Costituzionale, attraverso le quali è stata ammessa nel nostro ordinamento la figura del danno biologico, inteso come lesione della integrità psico-fisica della persona, indipendentemente dalle ripercussioni che tale lesione possa avere comportato sulla capacità di produrre reddito(8).
Sintomatiche dell'abbandono della concezione paneconomica del diritto privato, tali decisioni, riconoscendo la preminente importanza che la persona assume all'interno del nostro ordinamento, legittimano il risarcimento di tale nuova voce di danno, ex art. 2043 c.c., sulla base del dettato costituzionale. Le citate sentenze assegnano all'art. 32 Cost., norma attraverso la quale viene tutelata la salute quale diritto fondamentale dell'uomo, natura precettiva, con il conseguente riconoscimento del carattere cogente di detta disposizione, e, di conseguenza, prospettano una pretesa del cittadino immediata e tutelabile erga omnes(9).
La dottrina successiva che si è occupata della questione, ai fini di disancorare la risarcibilità di tale nuova voce di danno dalle ancora troppo strette maglie dell'art. 2059 c.c., ha compreso il danno biologico all'interno della categoria del danno patrimoniale (art. 2043 c.c.), tramite una rilettura in senso lato del concetto stesso di patrimonialità(10).
Il danno alla persona risultava allora suddiviso in tre categorie eterogenee: danno patrimoniale, inteso come lesione di beni di stretta valenza reddituale; danno biologico, patrimonialmente apprezzabile sulla base di una valutazione sociale secondo la quale «il fatto lesivo risulterebbe essere idoneo a determinare in concreto una diminuzione dei valori e delle utilità economiche di cui il danneggiato può disporre»(11); e danno non patrimoniale, limitato, tuttavia, alla sola categoria del danno morale, risarcibile in base all'art. 2059 c.c.(12).
Secondo la dottrina più recente, la tesi della patrimonialità del danno biologico non sarebbe condivisibile, per il motivo che «le utilità, di cui il soggetto leso può disporre, che non hanno alcun valore pecuniario, secondo una logica di mercato, non possono essere considerate, per ciò stesso, rilevanti da un punto di vista economico: quindi, esse non possiedono carattere patrimoniale»(13).
Appurato, dunque, che anche il danno biologico sarebbe una figura di danno non patrimoniale, per ciò risarcibile ai sensi dell'art. 2059 c.c., lo sforzo della dottrina si è incentrato nella ricerca di una legittimazione della risarcibilità di tale figura di danno al di fuori delle strettoie della riserva di legge contenuta nell'articolo del Codice Civile. Così come aveva in precedenza fatto la Corte Costituzionale(14), la dottrina ha prospettato una nuova lettura per detta riserva, combinandola con le norme contenute nella Carta Costituzionale e, specificamente, con l'art. 32 Cost.: rientrando la salute tra i diritti assoluti della persona, ed essendo detta norma pienamente operante nei rapporti tra i privati, sarà solo ed esclusivamente la tutela di tale bene che giustificherà la risarcibilità del danno biologico, prescindendo da una qualsivoglia configurazione patrimoniale dello stesso(15).
A conclusione di tale processo, e confermando tale ultima concezione, sono intervenute due sentenze "gemelle" della Cassazione, le quali hanno avuto un ruolo essenziale nella rilettura in chiave costituzionale dell'art. 2059 c.c. e nella riorganizzazione della disciplina dei danni risarcibili nel nostro ordinamento(16).
Di notevole importanza è stata la circostanza che la Cassazione abbia preso posizione sull'ampia gamma di voci di danno create dalla dottrina e le abbia, sostanzialmente, ricondotte alla tradizionale bipartizione danni patrimoniali/danni non patrimoniali. A ciò si aggiunga che, con tali pronunzie, è avvenuto il definitivo superamento dell'interpretazione restrittiva della riserva di legge contenuta nell'art. 2059 c.c.; anzi, secondo la Cassazione, «la lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c. va tendenzialmente riguardata [...] soprattutto come mezzo per colmare le lacune della tutela risarcitoria della persona, che va ricondotta al sistema bipolare del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale, quest'ultimo comprensivo del danno biologico in senso stretto, del danno morale soggettivo tradizionalmente inteso nonché dei pregiudizi, diversi ed ulteriori, purché costituenti conseguenza della lesione di un interesse costituzionalmente protetto»(17).
4. Il danno biologico: nozione.
La sua risarcibilità in caso di decesso del familiare dovuto all'illecito comportamento altrui, sia iure proprio che iure hereditatisDopo queste sia pur brevi considerazioni riguardanti l'evoluzione della concezione del danno non patrimoniale nel nostro ordinamento, verrà ora preso in considerazione quello che appare il nodo centrale della sentenza in commento, ovvero la risarcibilità o non del danno biologico, sia iure hereditatis che iure proprio, a seguito del decesso di un familiare dovuto all'illecito comportamento altrui.
La dottrina e giurisprudenza sono pressoché concordi nel definire il danno biologico come una lesione dell'integrità psicofisica e della salute di un soggetto, prescindendo da qualsivoglia effetto economico negativo(18).
Non sembra possano esserci dubbi sulla circostanza che tale figura di danno rientri nella categoria del danno non patrimoniale, risarcibile in base all'art. 2059 c.c. sulla base di un accertamento medico-legale, dato che le menomazioni psicofisiche subite dalla persona, in sé considerate, sono insuscettibili di valutazione patrimoniale(19).
Una simile nozione del danno biologico permette, poi, di distinguere tale figura di danno da quelle del danno morale e del danno esistenziale. Avendo riguardo alla prima delle due distinzioni, quella fra danno biologico e danno morale, è a dirsi che con l'espressione danno morale la dottrina e la giurisprudenza sembrano identificare una voce di danno avente natura necessariamente temporanea e consistente nella sofferenza e nel dolore che un soggetto subisce a seguito della lesione di un interesse giuridicamente protetto (a tale proposito, è ricorrente l'affermazione che identifica nel danno morale il cosiddetto pretium doloris)(20).
Conseguentemente, sulla base di tali premesse, sembra chiaro che la differenza principale tra tali figure di danno risieda nel fatto che, mentre il danno morale rappresenta uno stato d'animo soggettivo, interno al danneggiato, il danno biologico rappresenta una menomazione fisica del soggetto, accertabile sulla base di consulenze medico legali.
Passando ad analizzare la differenza fra danno biologico e danno esistenziale, giova, preliminarmente, dare una nozione di quest'ultima figura di danno non patrimoniale dai confini incerti ed oggetto di numerose discussioni sia in ambito dottrinario che giurisprudenziale, già relativamente alla sua configurabilità all'interno del sistema dei danni risarcibili.
Per danno esistenziale si deve intendere, secondo una parte della dottrina e della giurisprudenza, alla quale si ritiene di aderire, ogni pregiudizio che non rivesta natura meramente emotiva ed interiore, che non incida sulla capacità reddituale del soggetto, bensì alteri le abitudini e gli assetti relazionari propri dello stesso, spingendolo ad effettuare scelte differenti da quelle che in una situazione di normalità avrebbe effettuato, con la conseguenza che tale voce di danno si estrinsecherebbe in un "non fare, ovvero in un non poter più fare"(21).
Per tale dottrina, anche il danno esistenziale costituirebbe conseguenza della lesione di diritti inviolabili, sulla base del presupposto che la tutela offerta dalla nostra Carta Costituzionale non è indirizzata solo ed esclusivamente nei confronti del bene salute, bensì anche nei confronti della libera esplicazione della personalità del singolo all'interno di contesti, quale quello familiare o di altra comunità (artt. 2 e 29 Cost.). Con la conseguenza che, in tutti i casi in cui il disagio patito dalla vittima non possa essere risarcito sulla base delle precedenti categorie di danno indicate - danno morale o danno biologico -, la tutela andrebbe accordata causa la violazione del più generale dovere di solidarietà sociale di cui all'art. 2 Cost.(22).
Alla luce di tale definizione di danno esistenziale, la differenza tra quest'ultimo e il danno biologico viene fatta discendere dalla dottrina soprattutto dalla circostanza che solo il danno biologico si risolverebbe allora in vere e proprie patologie mediche accertabili attraverso un esame medico-legale. Con la conseguenza che l'introduzione della figura del danno esistenziale nel nostro ordinamento avrebbe la funzione di dare tutela a tutta una serie di situazioni causanti danni ingiusti, di natura non patrimoniale, non integranti una lesione dell'integrità psico-fisica. Verrebbero, dunque, in considerazione pregiudizi esistenziali che non potrebbero essere riscontrati tramite accertamenti diagnostici, ma non per questo meno significativi e tutelabili delle "lesioni" scaturenti dal danno biologico(23).
Entrando nel merito del problema affrontato dalla S.C., bene ha fatto la Cassazione ad escludere la risarcibilità del danno biologico agli stretti familiari della vittima, basandosi sugli accertamenti medico-legali svolti dal c.t.u. Non sembra possano nutrirsi dubbi, infatti, sulla possibilità che tale voce di danno sia riconosciuta, direttamente, in capo ai familiari del soggetto deceduto quale danno-conseguenza concretizzatosi in una lesione psicofisica subita da tali soggetti a causa dell'evento traumatico(24).
A tale proposito, tuttavia, la giurisprudenza è costante nel ritenere che sia sempre necessaria una valutazione operata dal c.t.u. attestante che, in concreto, vi sia la presenza della lesione psicofisica, elemento cardine della fattispecie in esame(25).
Più complessa è la questione se sia configurabile un danno biologico in capo al familiare deceduto, liquidabile iure hereditatis. Al riguardo, le tesi prospettate dalla dottrina e dalla giurisprudenza sono essenzialmente due. Da una parte, si nega già che la questione possa essere posta, sulla base, principalmente, della considerazione che il diritto al risarcimento del danno biologico sarebbe comunque un diritto personalissimo, per ciò stesso intrasmissibile(26).
La dottrina e la giurisprudenza maggioritaria, al contrario, ritengono che possa concretizzarsi un danno biologico in capo al defunto, e che il risarcimento dello stesso possa essere preteso iure hereditatis, a condizione, tuttavia, che tra l'evento lesivo e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo(27).
Fondamentale, nel cammino interprativo in tale ambito, appare la C. Cost. n. 372/1994, la quale, se, da una parte, ha escluso la possibilità del risarcimento del danno biologico iure hereditatis nel caso in cui il decesso della vittima sia immediato, dall'altra ne ha riconosciuto la presenza in tutte quelle ipotesi in cui, tra l'evento lesivo ed il decesso, il soggetto sia rimasto in vita per un tempo apprezzabile(28).
Ciò che sembra rilevare, ai fini della concretizzazione del danno biologico nel caso de quo, appare essere la circostanza che un danno giuridicamente apprezzabile in capo alla vittima si sia verificato: il danno biologico sarebbe giuridicamente apprezzabile se il soggetto abbia goduto di un seppure breve spazio di vita dopo la lesione. Ragionando in tali termini, parrebbe potersi ancorare la sussistenza del danno biologico anche alla semplice sopravvivenza della vittima, quale che ne sia stata, poi, l'effettiva durata(29).
Tuttavia non si possono sottacere i considerevoli dubbi che, soprattutto in ambito giurisprudenziale, hanno investito il significato da attribuire al termine "apprezzabile", assurto a criterio discriminante ai fini della configurabilità del danno. A tale proposito, infatti, si registra una notevole incertezza riguardo la sufficienza e la congruità del periodo di sopravvivenza, dovuta, soprattutto, alla circostanza che si è in presenza di una valutazione da effettuarsi caso per caso, analizzando le peculiarità di ogni singola fattispecie(30).
Anche sulla base di quanto sin qui detto, dunque, non sembra possa dubitarsi della correttezza della decisione della Cassazione, la quale, giustamente, ha riconosciuto la risarcibilità del danno biologico iure hereditatis nel caso di specie.
5. I criteri liquidativi del danno biologico
Notevole importanza riveste, ma è anche foriera di numerosi dubbi, in tale materia, l'individuazione di validi criteri idonei ad orientare la decisione del giudice nello stabilire il quantum concretamente risarcibile. Dubbi nascenti dalla difficoltà evidente di tradurre in termini monetari la lesione di interessi di valore non economicamente predeterminabile.
La problematicità della questione è, poi, aumentata dalla necessità di conciliare due diverse esigenze: da un lato, quella di predeterminare criteri certi di liquidazione, in modo da assicurare una uniformità di giudizi a livello nazionale, rispettando così le esigenze costituzionali di eguaglianza e solidarietà sociale; dall'altro, quella di "personalizzare" la quantificazione del danno, alla luce delle particolarità proprie di ogni caso concreto(31).
Per dare una risposta alla prima delle due esigenze prospettate, sono state predisposte, presso i Tribunali, tabelle riproducenti dati statisticamente testati, utilizzabili dai giudici per orientare la loro decisione riguardo al quantum liquidabile; tuttavia, non sembra possa disconoscersi la relatività di tale sistema, se solo si pone attenzione alla circostanza che i valori riportati da siffatte tabelle variano da regione a regione(32).
Pare ragionevole, in ogni caso, ritenere, al fine di soddisfare anche la seconda esigenza, che, in tale ambito, l'equità sia il principale criterio da applicare: la valutazione del giudice deve fondarsi sulla sua propria e prudente discrezionalità, nell'ottica, come si diceva, di una "personalizzazione" del risarcimento, tenuto conto di tutte le circostanze rilevanti del caso concreto(33).
Non sembrano esserci ragioni ostative a che il giudice possa fare riferimento a tabelle già predisposte, anche a tabelle in uso presso altri uffici giudiziari; tuttavia, sembra opportuno che il giudice ricorra a tali strumenti solo allo scopo di orientarsi, senza ritenersi ad essi vincolato(34).
Con specifico riguardo alla quantificazione del danno biologico risarcibile iure hereditatis, appare meritevole di apprezzamento l'orientamento maggioritario della giurisprudenza, secondo il quale, in tale circostanza, ciò che deve indirizzare la decisione del giudice non è l'evento morte (evento, tra l'altro, che non è compreso fra quelli che possono essere fonte di un danno biologico), bensì sono l'entità della perdita subita per effetto della lesione ed il tempo per il quale tale lesione si sia protratta. Sembra evidente, dunque, che, se, da una parte, si avrà a che fare con una durata, giocoforza, circoscritta, dall'altra, all'entità della lesione dovrà essere attribuita la massima importanza(35).
6. Le altre figure di danni risarcibili a seguito di morte del congiunto causata dall'illecito comportamento altrui
Si ritiene opportuno, da ultimo, dare conto di quelle che, in concreto, sembrano essere le ulteriori voci di danno risarcibili a seguito della morte di un familiare causata dall'illecita condotta altrui. La dottrina che si è occupata della questione è solita distinguere, a tale
proposito, fra danno morale, danno esistenziale, danno parentale e danno futuro, di natura patrimoniale(36). Per quanto riguarda la definizione delle prime due voci di danno, si rimanda a quanto già in precedenza indicato(37).
In questa sede, cercheremo, invece, di delineare le differenze intercorrenti fra di esse. Al riguardo, non sembra possa disconoscersi, in primo luogo, che, mentre il danno morale si presenta come necessariamente temporaneo, il danno esistenziale, al contrario, segna in maniera duratura il soggetto titolare del diritto al risarcimento. A ciò si deve poi aggiungere che, se, da una parte, il danno morale è costituito dalle sofferenze e dal dolore del soggetto che abbia subito una lesione di un interesse giuridicamente protetto, il danno esistenziale, d'altra parte, si estrinseca in un non potere più fare, con la conseguenza che le sofferenze patite dal soggetto non sono riconducibili al fatto lesivo in sé, bensì alla circostanza di vedersi precluse determinate opportunità nella propria vita futura(38).
Passando ad analizzare la diversa figura del danno da perdita del rapporto parentale(39), giova, preliminarmente, osservare come tale autonoma voce di danno sia frutto di quella interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c. di cui, sia pure sommariamente, si è cercato di tracciare l'evoluzione in precedenza(40).
La ratio della risarcibilità di tale danno sembra doversi rinvenire nella riconosciuta intangibilità della sfera degli affetti, della reciproca solidarietà in ambito familiare e della libera, serena e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona all'interno del proprio nucleo familiare. Appare, dunque, evidente lo stretto collegamento del fondamento risarcitorio di tale danno al dettato costituzionale e, precisamente, alle norme contenute negli artt. 2, 29 e 30 Cost.(41).
Tale tipo di danno, poi, non sembrerebbe conseguire direttamente alla lesione dell'interesse protetto (morte del congiunto), bensì parrebbe corrispondere alla "privazione di un valore consistente nella perdita irreversibile del godimento del congiunto"(42); il contenuto precipuo del danno parentale andrebbe allora determinato, sulla base di quanto detto, avendo riguardo alla definitiva perdita di tutti quei diritti e doveri che scaturiscono dai vari status familiari. Conseguentemente, tale voce di danno si differenzierebbe dal danno morale in quanto, mentre il secondo, come più volte detto, consiste nel dolore patito dai familiari per la morte del proprio congiunto, il primo consiste invece nella sofferenza causata dalla perdita del patrimonio di valori ed affetti rappresentato dalla vittima stessa(43).
Proprio in considerazione di ciò, il danno parentale non può essere considerato un danno in re ipsa: sarà sempre necessario provare l'esistenza di un vincolo familiare particolarmente intenso(44). Ulteriore voce di danno risarcibile ai congiunti di un soggetto deceduto a seguito dell'illecita condotta altrui è rappresentata dal danno patrimoniale futuro, consistente nella perdita di tutti quei contributi di carattere patrimoniale, o di quelle attività economiche che il soggetto, se ancora in vita, avrebbe apportato alla famiglia(45).
Per quantificare tale danno, risarcibile ex art. 2043 c.c., sembra necessario operare una prima valutazione consistente nella determinazione del reddito goduto dal defunto al momento del decesso, per poi individuare la quota concretamente e normalmente destinata al fabbisogno dei familiari: ciò che conta è infatti l'entità di quanto il de cuius effettivamente avrebbe erogato, sia in adempimento di un obbligo familiare sia, eventualmente, a titolo di liberalità(46).
Ulteriori aspetti che sembrano doversi prendere in considerazione sono poi rappresentati dalla composizione del nucleo familiare e, soprattutto, dalla capacità economica dei suoi componenti, dati questi necessari ai fini della valutazione presuntiva del reddito che il soggetto deceduto avrebbe materialmente destinato. Secondo la dottrina, l'onere di provare dette circostanze incomberebbe sui familiari richiedenti(47).
Per quanto sin qui detto, appare corretta la decisione qui annotata della Corte di Cassazione, la quale ha escluso che i genitori del de cuius avessero titolo per pretendere il risarcimento di un danno patrimoniale, non essendo stata allegata alcuna prova a sostegno della richiesta e, soprattutto, godendo gli stessi di adeguate fonti di reddito in proprio, tali da escludere l'utilità di qualsivoglia contributo da parte della vittima.