Filippo Farolfi



L'ESTENSIONE DEL DANNO MORALE "RIFLESSO" OLTRE I CASI DI MORTE E DI LESIONI PERSONALI GRAVI

L'ESTENSIONE DEL DANNO MORALE "RIFLESSO" OLTRE I CASI DI MORTE E DI LESIONI PERSONALI GRAVI

di Filippo Farolfi

 

FONTE Nuova Giur. Civ., 2008, 3, 313

 

I. Il caso

I genitori di una ragazza minore d'età si costituiscono parti civili nel procedimento penale che vede la propria figlia persona offesa dal reato di violenza sessuale, ed ottengono il risarcimento iure proprio del danno non patrimoniale, sub specie di danno morale. La sentenza che si annota fornisce l'occasione per un'ulteriore riflessione intorno al problema, di stretta attualità, concernente il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale in favore di soggetti legati da una particolare situazione affettiva con la vittima primaria del fatto illecito.

II. Le questioni

Che il risarcimento del danno morale spetti, a norma degli artt. 185 cod. pen. e 2059 cod. civ., non soltanto alla persona offesa dal reato, titolare dell'interesse penalmente tutelato, ma altresì iure proprio ad ogni altra persona che, congiuntamente o meno con la prima, sia dal reato danneggiata costituisce un principio enunciato da costante consolidata giurisprudenza della Supr. Corte in sede civile e penale. Sono quelle situazioni che la dottrina e la giurisprudenza francese indicano come préjudices d'affection che consistono in quei turbamenti, in quei patemi d'animo, in quelle emozioni conseguenti ad eventi gravi e che non riguardano chi ha subito la lesione ma, par ricochet, persone diverse dal danneggiato e legate a quest'ultimo da un legame particolare.

Com'è noto il cammino che ha portato al riconoscimento di questo tipo di pregiudizi è stato piuttosto travagliato. In particolare per quanto riguarda la risarcibilità dei danni morali in favore degli stretti congiunti, solo recentemente si è consolidato l'orientamento giurisprudenziale che ammette il risarcimento anche per i danni morali sofferti dai congiunti del soggetto passivo di lesioni personali e non solo per quelli patiti dai congiunti dell'ucciso. Sotto questo profilo, infatti, il nodo della questione era rappresentato dall'antitetico trattamento riservato dalla giurisprudenza ai prossimi congiunti secondo che la vittima fosse deceduta o fosse invece rimasta soltanto infortunata. Nella prima ipotesi la giurisprudenza di legittimità non aveva problemi a risarcire il danno morale sofferto dal congiunto della vittima defunta sul presupposto che il danno morale si congiungesse direttamente ed immediatamente all'evento morte. Nella seconda ipotesi, invece, prevaleva la soluzione negativa fondata principalmente su di una lettura particolarmente restrittiva dell'art. 1223 cod. civ.: ai congiunti della vittima di lesioni non spettava il risarcimento del danno morale perché le sofferenze patite dai congiunti stessi, aggiungendosi a quelle della vittima e rappresentandone un semplice riflesso, venivano a porsi in rapporto di consequenzialità mediata ed indiretta con l'evento lesivo. Veniva altresì notato come un'eventuale risarcibilità del danno morale ai prossimi congiunti del soggetto leso avrebbe condotto al paradossale risultato che il responsabile sarebbe stato obbligato ad un'unica liquidazione nel caso di omicidio (a favore dei prossimi congiunti) e ad una duplice liquidazione nel caso di lesioni personali (a favore del leso e dei suoi congiunti). In buona sostanza, attraverso tali interpretazioni si intendeva assumere un preciso orientamento di politica del diritto: evitare che dalla lesione personale di un soggetto potessero scaturire istanze risarcitorie a cascata, avanzate dai soggetti più diversi aventi un rapporto anche solo di prossimità affettiva con la persona offesa. L'orientamento testé riassunto è stato oggetto di profonda rivisitazione ed infine superato ad opera di una serie di decisioni le quali, inquadrato il danno in questione nella categoria dei c.d. danni riflessi o di rimbalzo, si sono mostrate favorevoli nel riconoscere ai congiunti della vittima del reato di lesione il risarcimento iure proprio del danno morale. In primo luogo è stato reputato inconsistente il tradizionale argomento dell'ostacolo costituito dall'art. 1223 cod. civ. (argomento della causalità diretta ed immediata), dal momento che il criterio in base al quale sono risarcibili i danni conseguiti dal fatto illecito deve intendersi, ai fini della sussistenza del nesso di causalità, in modo da comprendere nel risarcimento i danni indiretti e mediati che si presentino come conseguenze ordinarie e normali del fatto secondo il principio della c.d. regolarità causale. Perfettamente compatibile risulta poi essere il risarcimento del danno morale ai congiunti del leso con il sistema che tale risarcimento prevede (artt. 2059 cod. civ. e 185 cod. pen.). Nessuna ragionevole preclusione può essere invocata per negare un effettivo risarcimento se si tiene presente il fatto che la giurisprudenza penale distingue tra persona offesa dal reato (art. 90 cod. proc. pen.), ossia il titolare del bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice, e danneggiato (civile) dal reato - ovvero colui che dal reato ha ricevuto un danno e che non coincide necessariamente con la persona offesa - cui è riconosciuta la legittimazione a costituirsi parte civile (art. 74 cod. proc. pen.). Da ultimo, nessun ostacolo al detto risarcimento può essere desunto dalla particolare natura o funzione riconosciuta al risarcimento del danno morale. Sotto tale profilo, ove si intenda attribuire a tale risarcimento una natura prettamente risarcitoria, dovrà riconoscersi l'equità della corresponsione di un risarcimento ad ogni soggetto danneggiato, in via diretta o riflessa. Ove al contrario si intenda optare per la natura punitiva, il risarcimento riconosciuto ai congiunti dell'offeso non implica alcuna violazione del principio del ne bis in idem, atteso che la "punizione" in questione non attiene alla pena criminale bensì alla sanzione civile.

I termini del problema sono stati definitivamente chiariti dalle sezioni unite civili della Supr. Corte, le quali non solo manifestano la propria adesione all'indirizzo favorevole alla risarcibilità del danno in questione, ma arricchiscono tale scelta attraverso una più compiuta elaborazione della materia. Viene infatti riformulato e, nei fatti, superato l'inquadramento del danno morale sofferto dai congiunti all'interno della categoria dei danni c.d. riflessi o di rimbalzo. A tale proposito si osserva come appaia forviante ragionare in termini di "danno riflesso o di rimbalzo, proprio perché lo stretto congiunto, convivente e/o solidale (per la doverosa assistenza) con la vittima primaria, riceve immediatamente un danno consequenziale, di varia natura (biologico, anche se può essere di ordine psichico/morale e secondo recente dottrina e giurisprudenza, anche esistenziale) che lo legittima iure proprio ad agire contro il responsabile dell'evento lesivo" (CASS., 17.2.2002, n. 9556, infra, sez. III). In altre parole, la nozione di danno riflesso o di rimbalzo indica soltanto il fenomeno rappresentato dalla propagazione delle conseguenze dell'illecito alle cc.dd. vittime secondarie, ossia ai soggetti legati alla persona offesa da un rapporto significativo. In presenza di un illecito plurioffensivo si avrà perciò una lesione contestuale ed immediata per tutti i soggetti titolari delle varie posizioni giuridiche protette pregiudicate dal medesimo fatto dannoso.

Posto che la legittimazione dei prossimi congiunti ad agire per il risarcimento dei danni morali non è più in discussione, anche in considerazione delle successive pronunce di legittimità in tal senso, è necessario comprendere se dal ragionamento seguito dalla più recente giurisprudenza civile e ripreso anche dalla sentenza che si annota, possa ricavarsi uno schema generale all'interno del quale la riparazione del danno in questione trovi spazio anche al di fuori delle ipotesi delittuose di lesioni personali o di morte del congiunto. Per tentare una risposta a tale quesito appare opportuno concentrare l'attenzione sugli elementi che compongono tale schema: da un lato il nesso di causalità tra il danno ed il fatto di reato e dall'altro la natura dell'interesse leso dalla condotta colpevole.

Per ciò che riguarda il rapporto di causalità, come accennato in precedenza la tutela risarcitoria dei familiari non trova più un ostacolo nella lettura particolarmente restrittiva dell'art. 1223 cod. civ., norma cui la giurisprudenza tradizionalmente affidava il compito di selezionare sia i soggetti che i danni risarcibili. In questa prospettiva la questione della causalità è stata ricondotta, dalla più recente giurisprudenza, nell'alveo degli artt. 40 e 41 cod. pen. e non dell'art. 1223 cod. civ. il quale, presupponendo un fatto illecito completamente definito, attiene all'oggetto dell'obbligazione risarcitoria e riguarda, casomai, il problema della selezione dei danni risarcibili e non quello del nesso causale. L'intera problematica va ora collocata all'interno del fenomeno della propagazione intersoggettiva delle conseguenze di un medesimo fatto illecito. Sarà così necessario preliminarmente individuare il responsabile del fatto dannoso il quale, con la propria condotta, ha leso simultaneamente le diverse posizioni giuridicamente tutelate ossia tanto quelle appartenenti alla vittima primaria quanto quelle proprie alle cc.dd. vittime secondarie. Una volta risolta la questione dell'imputazione dell'evento, secondo le regole di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., potrà procedersi alla selezione dei pregiudizi risarcibili, secondo quanto dispone l'art. 1223 cod. civ., norma quest'ultima da intendersi nel senso che il risarcimento può essere esteso anche ai danni mediati ed indiretti a patto che costituiscano una conseguenza immediata e diretta del fatto illecito, secondo il criterio della c.d. regolarità causale.

Va ora esaminata la questione rappresentata dal rapporto tra la diffusione del danno e la nozione di illecito plurioffensivo. La giurisprudenza civile ha affrontato il tema della plurioffensività dell'illecito esaminando il problema della risarcibilità del danno morale pur in assenza di un danno biologico. In quel caso si trattava di un reato plurioffensivo (art. 449 cod. pen.) nel significato penalistico del termine e le sez. un. civili hanno avuto buon gioco nel riconoscere l'autonoma risarcibilità del danno morale soggettivo anche in mancanza di una lesione all'integrità psico-fisica, da momento che la plurioffensività del reato comportava, oltre all'offesa dell'ambiente e della pubblica incolumità, anche un pregiudizio della sfera individuale dei singoli (CASS., 21.2.2002, n. 2515, infra, sez. III). A parte il fatto che nella circostanza il S.C. era chiamato a pronunciarsi sul risarcimento del danno morale spettante alle vittime primarie del reato e non ai prossimi congiunti delle medesime, che dire nel caso preso in esame dalla sentenza che si annota, dove è presa in considerazione la risarcibilità del danno morale ai congiunti di una vittima di violenza sessuale (art. 609 bis cod. pen.), ipotesi nella quale il bene protetto dalla norma incriminatrice è unico e consiste nella libertà di autodeterminazione sessuale del singolo? Come è stato correttamente osservato, volendo applicare il principio testé enunciato alla materia del danno ai congiunti, concentrare l'attenzione sulla natura plurisoggettiva del reato significherebbe "ritornare alla necessità di identificazione del soggetto danneggiato come soggetto offeso dal reato", con la conseguente alternativa: ritenere la natura plurisoggettiva del reato anche quando il reato non possieda tale caratteristica oppure negare il risarcimento del danno morale (CASTRONOVO, 78, infra, sez. IV). Appare perciò preferibile ricercare la soluzione al problema della legittimazione delle cc.dd. vittime secondarie nel dato normativo (art. 74 cod. proc. pen.): è legittimato chiunque "vanti" un diritto al risarcimento del danno conseguente all'ipotetico reato, e cioè il danneggiato, che non si identifica necessariamente con il soggetto passivo del reato ma con chiunque abbia riportato un danno riferibile, sotto il profilo causale, alla condotta del colpevole.

La riflessione dovrà pertanto vertere sul tema dell'ingiustizia del danno e di conseguenza dovrà essere preso in considerazione l'interesse giuridico di cui sono titolari le cc.dd. vittime secondarie. Sotto tale aspetto la sentenza in esame recepisce le più recenti indicazioni fornite dalla giurisprudenza civile secondo cui alla base della legittimazione dei congiunti si trova un preciso interesse, individuato nel rapporto interpersonale di natura familiare, tutelato direttamente dalla carta costituzionale (artt. 2, 29 e 30 Cost.), e relativo sia alla "intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia" sia "alla inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia" (CASS., 31.5.2003, nn. 8827 e 8828, infra, sez. III). In tale prospettiva, la legittimazione ad agire iure proprio per il risarcimento del danno morale si fonda sul riconoscimento dei "diritti della famiglia" previsto dall'art. 29, comma 1o, Cost.; un riconoscimento da intendersi non in termini restrittivi, come tutela delle espressioni della persona nell'ambito esclusivo del nucleo familiare, bensì nel più ampio senso di tutela delle possibilità di realizzazione dell'individuo secondo i valori ed i sentimenti che il rapporto familiare ispira. L'offesa a tale interesse potrà assumere varie gradazioni ed il massimo grado di offesa si avrà nel caso di uccisione del congiunto con la conseguente definitiva perdita del rapporto parentale. La riflessione svolta dalla giurisprudenza sul fenomeno della propagazione intersoggettiva delle conseguenze dannose di un medesimo fatto illecito ha posto le basi perché possa discutersi della liquidazione dei danni morali ai congiunti anche in ipotesi diverse da quelle di morte o di lesioni, come nel caso di delitti contro l'onore (artt. 594, 595 cod. pen.), contro la libertà personale (ad es., artt. 605, 630 cod. pen.) e, in genere, in tutti i casi nei quali un fatto lesivo commesso in danno di un soggetto sia in grado di produrre conseguenze dannose anche nell'ambito della sua sfera familiare (si pensi alla calunnia ex art. 368 cod. pen.).

Se tale è, come sembra, il ragionamento sottinteso alla decisione in commento, ci siano consentite alcune osservazioni critiche. In primo luogo colpisce la disinvoltura con la quale i giudici della terza sezione penale della Supr. Corte affrontano uno degli argomenti più dibattuti all'interno della responsabilità civile. Per rendersi conto di ciò è sufficiente leggere la motivazione della sentenza, la quale più che ad una attenta riflessione sull'intera problematica, sembra dovuta ad un semplice collage di considerazioni svolte su casi diversi rispetto a quello in esame. A tale riguardo è persino superfluo ricordare che, nel nostro ordinamento, esiste un principio generale in forza del quale è legittimato a domandare il risarcimento del danno morale ex art. 185 cod. pen. soltanto il titolare del bene o dell'interesse tutelato dalla norma penale. Vi sono poi casi particolari nei quali si ammette, in via appunto eccezionale, che a taluni soggetti, diversi dal titolare dell'interesse pregiudicato dall'illecito ma a quest'ultimo legati da un rapporto particolare, sia riconosciuto un diritto alla riparazione del dolore sofferto. I casi per i quali sono state previste determinate eccezioni al principio generale riguardano essenzialmente ipotesi nelle quali il rapporto di natura familiare leso dall'evento dannoso risulti, se non totalmente, almeno gravemente pregiudicato. Così è nel caso di morte ex delicto del congiunto, dove l'estinzione del rapporto parentale provoca una lesione irreversibile dell'interesse proprio dei familiari all'intangibilità della sfera degli affetti reciproci ed alla vicendevole solidarietà caratterizzante la vita familiare (CASS., 31.5.2003, n. 8828). Lo stesso criterio è adottato nell'ipotesi in cui il congiunto rimanga vittima di lesioni personali particolarmente gravi: dal caso del professionista il quale, investito da un autoveicolo, riporti lesioni cerebrali gravissime con conseguente deterioramento della sfera intellettiva e disturbi di quella emotiva (CASS., 2.2.2001, n. 1516, infra, sez. III), a quello del neonato che, all'atto del parto, subisca lesioni seriamente invalidanti (CASS., 31.5.2003, n. 8827). La stessa giurisprudenza, consapevole del rischio di una proliferazione delle istanze risarcitorie, traccia alcune linee guida per la liquidazione del danno morale ai prossimi congiunti. Tali linee sono rappresentate dai riferimenti alla effettività del danno da accertarsi in concreto al fine di evitare duplicazioni risarcitorie, alla reciproca relazione tra la gravità delle lesioni subite dalla vittima primaria e le sofferenze patite dagli stretti congiunti ed infine alla particolare gravità delle sofferenze stesse, con riguardo sia alle condizioni soggettive della vittima primaria, sia all'attitudine della lesione subita dalla vittima a compromettere lo svolgimento della relazione con le persone ad essa legate da un particolare rapporto affettivo (CASS., 14.5.2003, n. 7379, infra, sez. III). Se questi sono i criteri elaborati dalla giurisprudenza, ci si può chiedere in che misura la decisione che si annota ne abbia tenuto conto. Rispetto a casi di gravità indubbiamente maggiore come quelli richiamati sopra, si potrebbe ritenere che il delitto in questione non abbia arrecato ai genitori uno shock emotivo tale da giustificare l'estensione del risarcimento. Si deve tuttavia supporre che nel caso in esame i giudici abbiano voluto considerare la minore età della vittima quale fattore aggravante la reazione emotiva dei congiunti.

Un ulteriore aspetto che merita attenzione è quello che riguarda l'individuazione della cerchia dei soggetti legittimati, ossia delle cc.dd. vittime secondarie. Il criterio adottato dalla giurisprudenza si basa sulla titolarità, in capo al soggetto richiedente il risarcimento, di una situazione qualificata dal contatto con la vittima. Tale condizione funge, contemporaneamente, da criterio di identificazione della sfera giuridica di coloro che appaiono meritevoli di tutela risarcitoria e da limite alla tutela medesima. L'esistenza di un rapporto interpersonale di natura affettiva tra persona offesa dal reato e cc.dd. vittime secondarie è condizione necessaria ma non "sufficiente a giustificare la pretesa risarcitoria, occorrendo di volta in volta verificare in che cosa il legame affettivo sia consistito e in che misura la lesione subita dalla vittima primaria abbia inciso sulla relazione fino a comprometterne lo svolgimento" (CASS., 1o.7.2002, n. 9556, infra, sez. III). In tal modo la situazione qualificata che legittima la c.d. vittima secondaria alla pretesa risarcitoria può certamente trovare un utile riferimento sia in rapporti familiari, sia in rapporti parafamiliari (come la convivenza more uxorio). Con riguardo a quest'ultimo genere di rapporti, va osservato come la più recente giurisprudenza, sul presupposto della rilevanza sociale assunta dalla convivenza di fatto, riconosce anche al convivente il diritto al risarcimento del danno purché sia in grado di provare l'esistenza di una comunanza di vita e di affetti con la vittima, con vicendevole assistenza morale e materiale (CASS., 29.4.2005, n. 8976, infra, sez. III). Appare ormai chiaro come la tutela aquiliana operi a favore dei congiunti, in considerazione della lesione di un loro interesse costituzionalmente protetto. Di conseguenza, l'identificazione dei danni risarcibili in capo ai familiari potrà essere fondata compiutamente sulla possibilità di provare da un lato l'esistenza di un rapporto interpersonale meritevole di tutela, dall'altro dei singoli pregiudizi di cui si invoca il risarcimento.

In tema di prova e di liquidazione del danno la sentenza in esame è estremamente concisa. Nella motivazione si sostiene che il delitto di cui è rimasta vittima la figlia minore "crea indubbiamente un danno anche ai suoi genitori" e che tale danno può essere anche di natura non patrimoniale "per le apprensioni e i dolori causati dall'illecito". L'affermazione sembra costituire un richiamo ad una valutazione del danno morale in termini di danno in re ipsa quando, semmai, una valutazione di tal genere può avere come destinatario il titolare del bene giuridico tutelato dalla norma penale e non i suoi congiunti. Con ogni probabilità, il S.C. ha adottato un criterio basato sull'esperienza, constatando che normalmente, secondo criteri di regolarità causale (id quod plerumque accidit), un determinato genere di illecito è potenzialmente idoneo a produrre un perturbamento emotivo sia nei confronti della persona offesa che dei suoi prossimi congiunti. La conclusione cui giunge la Supr. Corte non pare esente da critiche alla luce di quanto già sostenuto dalla giurisprudenza civile la quale, ponendosi il problema del paventato allargamento a dismisura del risarcimento del danno morale, ha chiarito come debba esigersi la prova rigorosa del danno stesso, evitando il disinvolto ricorso alle presunzioni e considerando le peculiarità del caso concreto. Nel caso in esame, in luogo di un risarcimento in favore dei congiunti prettamente simbolico (quasi fosse un "contentino"), forse sarebbe stato preferibile riconoscere un risarcimento di entità maggiore alla persona offesa, ripagando in tal modo anche i familiari dell'eventuale sofferenza patita. Pur tenendo nella debita considerazione le indicazioni della giurisprudenza ricordate sopra, non si può del resto sottacere come la specifica natura del danno morale soggettivo - inteso quale sofferenza contingente - fa sì che esso, da una parte non sia accertabile con metodi scientifici e, dall'altra, come tutti i moti dell'animo, possa essere provato solo quando assume connotazioni eclatanti. In questo modo, almeno nella generalità dei casi, il danno morale dovrà necessariamente essere accertato solo sulla base di indizi e presunzioni oppure facendo ricorso alle nozioni di comune esperienza ed al notorio. Sotto tale profilo l'intensità del vincolo familiare può certamente costituire di per sé un utile elemento presuntivo sul quale fondare la prova dell'esistenza del danno morale in capo ai congiunti.

Per quanto invece attiene alla liquidazione del danno morale da reato rimane fermo il criterio della sua liquidazione equitativa, e tale apprezzamento è di esclusiva spettanza del giudice di merito il quale dovrà tenere conto delle effettive sofferenze patite dall'offeso, della gravità dell'illecito di  rilievo penale e di tutti gli elementi della fattispecie, in modo da rendere la somma adeguata al particolare caso concreto.

Sia consentita un'ultima riflessione in ordine alla tematica del danno morale inteso nel suo tradizionale significato di pecunia doloris. All'interno del sistema bipolare delineato dal codice civile - che contrappone il danno patrimoniale (art. 2043 cod. civ.) al danno non patrimoniale (art. 2059 cod. civ.) - il danno non patrimoniale è comprensivo di ogni danno derivante dalla lesione di valori propri della persona e pertanto sia del danno morale soggettivo sia del danno biologico in senso stretto sia, infine, del danno derivante dalla lesione di valori della persona umana costituzionalmente protetti. Particolare attenzione merita il profilo concernente la liquidazione del danno non patrimoniale conseguente alla compromissione del rapporto parentale, bene tutelato, come si è visto, dagli artt. 2, 29 e 30 della Costituzione. Nel caso in cui la lesione abbia raggiunto la soglia massima di pregiudizio (morte del congiunto), si è ritenuto di potere liquidare sia il danno morale da reato che il danno da perdita del rapporto parentale senza che in ciò possa ravvisarsi una duplicazione di risarcimento. In caso di liquidazione congiunta del danno morale soggettivo e del danno da lesione del rapporto parentale sarà il giudice a dover considerare la più limitata funzione di ristoro della sofferenza contingente - poiché, in caso contrario, sarebbe concreto il rischio di duplicazioni del risarcimento - e a dovere assicurare il conseguimento del giusto equilibrio tra le varie voci in cui si può suddividere il danno alla persona (CASS., 31.5.2003, n. 8828). Sebbene non sia questo il caso affrontato dalla sentenza che si commenta, limitandosi la pretesa dei genitori al riconoscimento del solo danno morale soggettivo, la decisione del S.C. propone l'ipotesi che un delitto contro la libertà sessuale del congiunto possa essere considerato, alla pari dell'omicidio o delle lesioni personali gravi, quale evento capace di ledere una serie di posizioni giuridicamente protette riferite a persone diverse.

Rimane al contrario sullo sfondo il problema, irto di difficoltà, riguardante il rapporto tra le varie voci di danno non patrimoniale, ossia quello morale e quello derivante dalla ingiusta lesione di un interesse della persona costituzionalmente tutelato. Per evitare una contrapposizione tra queste voci di danno, tale da offuscare ogni sostanziale diversità tra le stesse, una possibile soluzione potrebbe essere quella di attribuire al danno morale ex art. 185 cod. pen. la funzione di pena privata attraverso la quale "si riafferma la dimensione e la valenza giuridiche dell'interesse leso e l'effettività del sistema normativo che lo protegge ed, insieme, si sanziona l'eventuale turbamento (danno morale), che il titolare della situazione lesa possa aver risentito" (FERRI, 174, infra, sez. IV). Soltanto l'attribuzione al danno morale di una funzione spiccatamente sanzionatoria è in grado di giustificarne la liquidazione quale autonoma posta di danno, pur all'interno di un'unica valutazione equitativa di tutti i pregiudizi di natura non patrimoniale cagionati dal medesimo evento lesivo. Tale soluzione coincide del resto con l'idea che la responsabilità civile sia in grado di operare non solo come strumento mediante il quale ottenere la reintegrazione del patrimonio del danneggiato ma anche, attraverso la riparazione dei danni non patrimoniali, quale mezzo per rafforzare il carattere preventivo e sanzionatorio della responsabilità penale.

III. I precedenti

L'unico precedente edito in tema di risarcibilità del danno morale ai congiunti di persona offesa da un reato contro la libertà sessuale sembra essere TRIB. MILANO, 9.6.2005, in Foro ambr., 2005, 271.

Sul diverso trattamento riservato ai danni non patrimoniali derivanti da morte rispetto a quelli causati da lesioni personali, nel senso che ai congiunti del leso non spettava il risarcimento del danno morale, in quanto solo il leso può considerarsi vittima del reato e quindi solo a costui spetta diritto al risarcimento del danno morale, ai sensi dell'art. 185 cod. pen.: CASS., 15.10.1971, n.2215, in Giur. it., 1972, I, 1, 294; CASS., 16.12.1988, n. 6854, in Resp. civ. e prev., 1990, 422; CASS., 17.9.1996, n. 8305, ivi, 1997, 123; CASS., 17.11.1997, n. 11396, in Rep. Foro it., 1997, voce "Danni civili", n. 108; CASS., 23.2.2000, n. 2037, in Riv. circ. e trasp., 2000, 520.

La regola contraria alla risarcibilità dei danni non patrimoniali in caso di sopravvivenza della vittima primaria è destinata ad entrare in crisi ad opera di CASS., 23.4.1998, n. 4186, in Danno e resp., 1998, 686, la quale sul danno morale conclude osservando come "dalla struttura della norma di cui all'art. 2059 cod. civ. (nonché dalle norme cui detto articolo rinvia) non emerge alcuna limitazione alla legittimazione attiva dei congiunti della vittima a richiedere il risarcimento del danno non patrimoniale". Le ragioni addotte a sostegno dell'innovativo orientamento trovano accoglienza da parte della giurisprudenza successiva (CASS., 2.2.2001, n. 1516, in Giur. it., 2002, 953), fino alla decisione delle sez. un. che mette fine al contrasto interpretativo: CASS., sez. un., 1o.7.2002, n. 9556, ivi, 2003, 1359, a cui si deve il seguente principio di diritto: "ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a causa di fatto illecito costituente reato, lesioni personali, spetta anche il risarcimento del danno morale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell'art. 1223 cod. civ., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso, con conseguente legittimazione del congiunto ad agire iure proprio contro il responsabile". La pronuncia delle sez. un. rappresenta un punto di riferimento anche per la giurisprudenza successiva: CASS., 26.2.2003, n. 2888, in Rep. Foro it., 2003, voce "Danni civili", n. 167; CASS., 14.5.2003, n. 7379, ibidem, voce cit., n. 246; CASS., 11.3.2004, n. 4993, in Foro it., 2004, I, 2108; CASS., 8.6.2004, n. 10816, in Rep. Foro it., 2004, voce "Danni civili", n. 240; CASS., 14.6.2006, n. 13754, ivi, 2006, voce cit., n. 259; CASS., 27.6.2007, n. 14845, ined.

Il principio in forza del quale il danno non patrimoniale di cui all'art. 2059 cod. civ. non può più essere identificato (secondo la tradizionale restrittiva lettura dell'art. 2059 cod. civ. in relazione all'art. 185 cod. pen.) soltanto con il danno morale soggettivo, ma deve ricomprendere anche ogni ipotesi in cui si verifichi un'ingiusta lesione di valori della persona costituzionalmente garantiti dalla quale conseguano pregiudizi non suscettibili di valutazione economica, è affermato da CASS., 31.5.2003, nn. 8828 e 8827, consultabili in questa Rivista, 2004, I, 233; in Foro it., 2003, I, 2277; in Resp. civ. e prev., 2003, 675 ss.

L'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 cod. civ., volta a ricomprendere nell'astratta previsione della norma ogni ipotesi di danno non patrimoniale derivante dalla lesione di valori inerenti alla persona, riceve l'avallo di CORTE COST., 11.7.2003, n. 233, in questa Rivista, 2004, I, 231, la quale sottolinea come, nel quadro del sistema bipolare del codice civile del danno patrimoniale (art. 2043 cod. civ.) e di quello non patrimoniale (art. 2059 cod. civ.), quest'ultimo ricomprende "nell'astratta previsione della norma, ogni danno di natura non patrimoniale derivante dalla lesione di valori inerenti alla persona: e dunque sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d'animo della vittima, sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell'interesse, costituzionalmente garantito, all'integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.); sia infine il danno (spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona". Tra le più recenti decisioni che accolgono l'innovativo orientamento: CASS., 9.11.2006, n. 23918, in questa Rivista, 2007, I, 791; CASS., 24.4.2007, n. 9861, in Mass. Giust. civ., 2007.

Per la giurisprudenza, legittimati ad agire per il risarcimento del danno morale sono solo i congiunti, ovverosia coloro che sono legati alla vittima da un rapporto giuridicamente qualificato, come i figli, il coniuge, i fratelli e le sorelle. Si registrano tuttavia significative aperture nei confronti del convivente di fatto: CASS., 29.4.2005, n. 8976, in Rep. Foro. it., 2005, voce "Danni civili", n. 162; TRIB. GENOVA, 4.1.2004, in Giur. merito, 2005, I, 301.

Per una più attuale definizione di danno morale, CASS., 15.3.2007, n. 5987, ined., la quale osserva come "nello spazio di giustizia e di libertà posto dalla Unione europea e dalla sua Legge fondamentale, il valore universale della dignità umana, include l'integrità morale a pieno titolo, alla pari della integrità fisica e psichica e del diritto alla vita. Il fondamento del danno morale da illecito, ed in particolare da un illecito civile che si accompagna ad un illecito penale, è la lesione dell'integrità morale della persona". Sulla autonoma risarcibilità del danno morale pur in assenza di una lesione al bene della salute, CASS., sez. un., 21.2.2002, n. 2515, in questa Rivista, 2003, I, 213.

In merito alla prova del danno morale, inteso come danno non accertabile secondo metodi scientifici e, pertanto, suscettibile di essere provato attraverso presunzioni semplici o per fatti notori: CASS., 8.11.2006, n. 23865, in Mass. Giur. it., 2006; APP. MILANO, 10.12.2005, in questa Rivista, 2006, I, 917. In caso di riconoscimento del danno morale ai parenti per la morte del congiunto, la prova di tale danno può essere desunta dalle indubbie sofferenze patite dai parenti sulla base dello stretto vincolo familiare, di coabitazione e di frequentazione che essi hanno avuto quando la vittima era in vita, CASS., 11.5.2007, n. 10823, in Mass. Giust. civ., 2007.

La liquidazione del danno morale deve essere operata dal giudice di merito, secondo criteri equitativi, ed il relativo apprezzamento è da considerarsi sufficientemente motivato se il giudice dimostra di avere tenuto presente la gravità dei fatti, l'intensità del dolore patito a causa dell'evento delittuoso ed ogni altro elemento della fattispecie concreta: CASS., 19.2.2007, n. 3758, in Mass. Giur. it., 2007. Sul criterio di liquidazione del danno, adottato dai giudici di merito, per il quale la somma dovuta a titolo di risarcimento del danno morale può essere determinata in una frazione dell'importo riconosciuto per il risarcimento del danno biologico: CASS., 25.4.2004, n. 10035, in Danno e resp., 2004, 1065. L'importo dovuto può essere determinato anche attraverso l'utilizzo di parametri tabellari, purché sia rispettato il principio della personalizzazione ed il criterio equitativo dell'approssimazione al preciso ammontare, senza fare applicazione automatica delle tabelle concepite per la stima del danno biologico, che consiste nella lesione dell'integrità psicofisica, mentre il danno morale è costituito dalla lesione dell'integrità morale: CASS., 12.6.2006, n. 13546, in Rep. Foro it., 2006, voce "Danni civili", n. 253. Sempre in ordine alla liquidazione del danno morale, merita di essere segnalato l'orientamento che prende in considerazione il dato della pena astrattamente comminabile per il reato commesso, convertita in una somma di denaro secondo quanto stabilito dall'art. 135 cod. pen.: CASS., 5.2.1998, n. 1164, in Resp. civ. e prev., 1998, 1031.

Nel caso di morte della persona dovuta a reato, ciascuno dei suoi familiari è titolare di un autonomo diritto al risarcimento del danno morale, il quale deve essere liquidato in rapporto al pregiudizio da ognuno individualmente patito per effetto dell'evento lesivo, in modo da rendere la somma riconosciuta adeguata allo specifico caso concreto: CASS., 19.1.2007, n. 1203, in Mass. Giur. it., 2007.

IV. La dottrina

Sul danno morale da reato, nel suo tradizionale significato di pretium doloris, SCOGNAMIGLIO, voce "Danno morale", nel Noviss. Digesto it., V, Utet, 1960, 146 ss.; BONILINI, voce "Danno morale", nel Digesto IV ed., Disc. priv., sez. civ., IV, Utet, 1989, 83; PETRELLI, Il danno non patrimoniale, Cedam, 1997.

Con riferimento ai rapporti tra azione civile e processo penale, si segnala ZENO-ZENCOVICH, La responsabilità civile da reato, Cedam, 1989. In particolare, sulla nozione di parte civile nel processo penale, CORDERO, Procedura penale, Giuffrè, 2006, 257 ss.

Sul tema della tutela risarcitoria ai prossimi congiunti e, in genere, sulla nuova configurazione del danno non patrimoniale alla luce delle recenti pronunce giurisprudenziali: ZIVIZ, Il nuovo volto dell'art. 2059 c. c., in Resp. civ. e prev., 2003, 1039; BUSNELLI, Chiaroscuri d'estate. La Corte di Cassazione e il danno alla persona, ibidem, 826; NAVARRETTA, Il dogma infranto e il nuovo diritto vivente dei danni non patrimoniali, in Foro it., 2003, I, 2277; BONA, Il danno esofamiliare. Una lunga storia di selezioni verso un approdo finale (la prova), in La nuova disciplina del danno non patrimoniale, a cura di DAL LAGO- Bordon, Giuffrè, 2005, 329 ss.; CRICENTI, Il danno non patrimoniale, Cedam, 2006, 343 ss.; CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, Giuffrè, 2006, 71 ss.; SEGRETO, Le attuali frontiere del danno non patrimoniale e dintorni, in Danno e resp., 2007, 1081 ss.

Con riguardo ai problematici rapporti tra il tradizionale danno morale ed il nuovo danno non patrimoniale, PALISI, Il danno morale soggettivo: il vaso di coccio nel nuovo danno non patrimoniale?, in Resp. civ. e prev., 2005, 781 ss.; FRANZONI, Il nuovo danno non patrimoniale, in Studi in onore di Bianca, IV, Giuffrè, 2006, 445 ss.

Sulla natura di pena esemplare propria del ristoro dovuto in conseguenza della lesione di un bene non patrimoniale della persona, FERRI, Dall'economia della bontà all'economia del dolore, Cedam, 2005, 141 ss.