Marco Bona



IL DANNO NON PATRIMONIALE DEI CONGIUNTI: EDONISTICO, ESISTENZIALE, DA LESIONE DEL RAPPORTO PARENTALE, ALLA SERENITÀ FAMIGLIARE, ALLA VITA DI RELAZIONE, BIOLOGICO, PSICHICO O MORALE «COSTITUZIONALIZZATO»?

IL DANNO NON PATRIMONIALE DEI CONGIUNTI: EDONISTICO, ESISTENZIALE, DA LESIONE DEL RAPPORTO PARENTALE, ALLA SERENITÀ FAMIGLIARE, ALLA VITA DI RELAZIONE, BIOLOGICO, PSICHICO O MORALE «COSTITUZIONALIZZATO»?

di Marco Bona

 

FONTE Giur. It., 2002, 5

Sommario: Premessa: una nuova dimensione per il risarcimento dei congiunti. - La tutela risarcitoria dei congiunti: il percorso evolutivo e le novità giurisprudenziali. - I danni non patrimoniali dei congiunti: troppe «etichette» di danno? - Che cosa rimane oggi dell'art. 2059 c. c.?

Premessa: una nuova dimensione per il risarcimento dei congiunti.

Le sentenze, che si commentano in questa nota, affrontano tutte, quale campo d'indagine centrale, il tema della tutela risarcitoria dei congiunti della vittima iniziale dell'illecito (1), con particolare riguardo per il risarcimento dei pregiudizi non patrimoniali.

Il quadro, che si ricava da questi contributi giurisprudenziali, conferma in pieno il trend evolutivo della tutela delle relazioni famigliari nell'ambito della responsabilità civile (2), che già da tempo si caratterizza per una marcata estensione degli orizzonti risarcitori.

Anzi, si aggiungono nuovi importanti tasselli, dai quali è dato evincere come le nostre corti stiano gradualmente definendo, al contempo espandendoli, i confini del risarcimento dei congiunti almeno su tre fronti: 1) la valorizzazione del profilo «esistenziale» del danno dei congiunti non solo nelle ipotesi di incidenti mortali, ma anche nelle varie fattispecie di sopravvivenza del famigliare (3); 2) l'estensione dei congiunti legittimati attivi, anche in relazione al nascituro già concepito al verificarsi dell'evento lesivo; 3) l'affinamento, anche tramite la rivitalizzazione dell'art. 2 Cost. nell'ambito della clausola generale di responsabilità (4), delle fondamenta costituzionali del modello risarcitorio in questione, con riguardo altresí per il danno morale.

Peraltro, tra le novità segnate dalle pronunce in commento, si deve osservare come la Sezione terza della Cassazione, in Lunetta ed altri c. Ministero della Difesa, sancisca expressis verbis il definitivo superamento del precedente della Corte costituzionale in Sgrilli c. Colzi (5): l'intera tematica del risarcimento dei congiunti viene infatti ricondotta nell'ambito del 2043 c. c. e, dunque, sotto l'ombrello, sempre piú largo, dell'ingiustizia.

Ciò, se si legge bene tra le righe della decisione, non solo per il danno psichico, ma addirittura per il danno morale «costituzionalizzato». E, proprio in relazione a quest'ultimo profilo, la svolta può sicuramente risultare copernicana e riguarda non solo il risarcimento dei congiunti, ma il sistema risarcitorio nel suo complesso: il danno morale esce in buona sostanza dall'art. 2059 c. c. e si va a collocare sotto la clausola generale dell'ingiustizia. Tuttavia, viene altresí in luce dalle decisioni riportate in epigrafe un problema particolarmente spinoso ed attuale, che coinvolge ogni ambito dei danni non pecuniari.

Infatti, nelle sentenze in esame i giudicanti «etichettano» il pregiudizio non patrimoniale subito dai congiunti in modi marcatamente diversi: danno morale, danno psichico temporaneo, danno edonistico, danno esistenziale.

L'interprete viene cosí a trovarsi dinanzi ad una ragnatela di categorie di danno non patrimoniale, pur a fronte, per quanto consta, di fattispecie naturalistiche di pregiudizio sostanzialmente coincidenti in termini di valori umani violati.

Si tratta pertanto di focalizzare l'attenzione su tali «frammenti» di danno non patrimoniale per meglio comprenderne l'esatto significato e la loro utilità teorica e pratica, nonché per iniziare a riflettere seriamente sui risultati piú recenti dell'inarrestabile processo erosivo dell'art. 2059 c. c. Infatti, se da un lato, come afferma la Cassazione in Lunetta, il danno morale deve essere soggetto al modello interpretativo della lettura costituzionale («e cioè "conformato" ai valori che la Costituzione arreca alla persona umana»), e se dall'altro lato, comunque, il danno non patrimoniale può sempre di piú liberarsi del giogo di cui all'art. 2059 c. c. tramite categorie «costituzionalizzate» (prime tra tutte il danno esistenziale), cosa rimane di questa norma? È di fatto da considerarsi abrogata dalla comunità degli interpreti? A questi ed altri quesiti è opportuno oggi fornire una risposta, sebbene questo non sia ancora tempo di bilanci definitivi.

La tutela risarcitoria dei congiunti: il percorso evolutivo e le novità giurisprudenziali.

Prima di scendere nel merito delle sentenze riportate in epigrafe e delle novità ivi contenute rispetto al modello di partenza pare opportuno richiamare in primis, ancorché per sommi capi, le tappe principali della progressiva estensione del sistema risarcitorio posto a tutela dei congiunti.

Preliminarmente occorre ricordare sul punto come due siano gli ambiti che, spesso unificati sotto i sintagmi «danni riflessi» e «danni di rimbalzo» (6), riguardano il diritto dei congiunti al risarcimento del danno per il fatto illecito del terzo che colpisce il famigliare: il primo ambito attiene alla classica ipotesi della morte della vittima principale e il conseguente risarcimento dei famigliari del de cuius per la perdita del loro caro; il secondo riguarda i danni «riflessi» che i famigliari della vittima principale (o cosiddetta «iniziale») subiscono per effetto delle lesioni, fisiche e/o psichiche, occorse a quest'ultima. Questi due ambiti per lungo tempo hanno seguito percorsi diversi e spesso sono stati volutamente tenuti disgiunti nel segno del timore di un eccessivo allargamento degli orizzonti risarcitori: pur tuttavia risultano strettamente connessi in termini di valori perduti, sotto il profilo delle situazioni giuridiche protette e pertanto in relazione all'ingiustizia del danno.

La tutela risarcitoria dei congiunti non costituisce invero una novità nella nostra storia giuridica, soprattutto per quanto riguarda la prima ipotesi. Il diritto ad agire iure proprio per il risarcimento del danno non patrimoniale sofferto per la dipartita di un famigliare era infatti già ampiamente riconosciuto nell'Italia pre-repubblicana (7) e venne in seguito ribadito dalla Cassazione negli anni '50 e '60 in una lunga serie di precedenti, tra cui si segnalano Boschi c. Barbieri (8), Peri c. Torgler (9) e Antonini c. Consorzio Bonifica di Metaponto (10).

Per il caso dei danni riflessi susseguenti alle lesioni personali del congiunto dottrina e giurisprudenza di legittimità hanno invece mantenuto fino agli anni ottanta una posizione in tutto e per tutto negativa (11), spesso ricorrendo ad un utilizzo marcatamente strumentale dell'art. 1223 c. c. Alla radice di siffatto orientamento, al di là delle argomentazioni giuridiche via via adottate, si poneva la preoccupazione, «politica», di un eccessivo ampliamento della responsabilità civile, secondo lo schema classico del cosiddetto «floodgate argument». E certo la questione dei danni riflessi si è sempre posta come un problema di selezione «politica» delle pretese risarcitorie, ovvero di contenimento della responsabilità civile entro ambiti ben delimitati.

Invero, fu solo a partire dagli anni ottanta che il sistema della responsabilità civile avviò il suo cammino verso l'affermazione della piena risarcibilità dei danni riflessi e, pertanto, verso la valorizzazione, sotto il profilo risarcitorio, dei rapporti famigliari, sia in relazione alle ipotesi di morte della vittima iniziale e sia, con un progressivo attacco alle resistenze tradizionali, alla fattispecie delle lesioni personali del congiunto. 

Oggi i due ambiti sono venuti finalmente a coincidere in tutto e per tutto sotto il segno dei valori tutelati (le relazioni famigliari e la personalità dei singoli membri della famiglia) e della struttura logico giuridica dei meccanismi di compensation (lettura costituzionale dell'art. 2043 c. c.; pieno superamento del requisito dell'intersoggettività tra autore della condotta e vittima di rimbalzo). Ciò risulta ben rappresentato nelle sentenze in esame che segnano appunto il definitivo approdo a principi comuni per tutti i tipi di danni riflessi. Tuttavia il percorso, come ora si evidenzierà, è stato lungo e tortuoso; inoltre, anche alla luce delle sentenze in commento, non risulta ancora giunto al suo capolinea in quanto i principi elaborati necessitano di essere ulteriormente affinati.

Ciò premesso, ancora negli anni settanta la Cassazione, sulla scorta di un ampio consenso dottrinale (12), distingueva nettamente tra ipotesi di uccisione e ipotesi di lesioni personali del congiunto. Il riferimento è in particolare alla decisione della Suprema Corte in Perego c. Cavallotti (13), in cui expressis verbis si confermò il pieno sostegno al dogma della «diversità di trattamento dei danni non patrimoniali derivanti da lesioni rispetto a quelli causati da morte». Da un lato la Corte mise in luce che «l'uccisione di un componente del nucleo familiare non solo investe e coinvolge le personalità degli altri componenti, ma ingiustamente li lede, in quanto sopprime le loro posizioni giuridiche verso il congiunto, e suscita perciò in essi il diritto di pretendere il risarcimento dei danni non patrimoniali»; per altro verso la stessa osservò, senza troppe remore, che «nel caso di lesioni dell'integrità fisica del congiunto stesso, tali posizioni giuridiche non rimangono annullate, cosicché i relativi soggetti potranno anche gravemente risentirne nella loro sfera affettiva e spirituale, ma non avranno titolo giuridico ad ottenere il risarcimento dei danni non patrimoniali». La filosofia spicciola della Suprema Corte era in allora inequivocabilmente ispirata ad un rigido controllo dei risarcimenti e non poteva spiegarsi altrimenti: esplicito in questo senso il richiamo dei giudici di legittimità alla «tendenza restrittiva» segnata dall'art. 2059 c. c., norma che all'epoca dominava interamente il sistema risarcitorio.

Un parziale ed isolato ripensamento di questa impostazione da parte dei giudici di legittimità si ebbe solo nel 1983 con la pronuncia della Sezione penale della Cassazione in Malavasi (14), avente ad oggetto il caso estremo della vittima iniziale ridotta in stato vegetativo. La Suprema Corte, pur ribadendo la propria (formale) fedeltà alla regola dell'irrisarcibilità del danno non patrimoniale conseguente alle lesioni subite da un congiunto, ritagliò una deroga ad hoc (sostanziale) per i «casi di eccezionale gravità delle lesioni e dei postumi che ne sono derivati, quando cioè la persona dell'offeso ha riportato danni permanenti di cosí grave rilevante entità, con la compromissione delle piú importanti funzioni vitali (quali quella cerebrale e motoria), da concretare uno stato simile alla morte»: «in casi del genere, il dolore, la sofferenza, la pena continua ed immutabile, sono unicamente dei prossimi congiunti, specie di quelli piú strettamente legati all'offeso dal vincolo familiare, come i genitori, ed essi pertanto direttamente e personalmente patiscono quel pregiudizio morale che merita congrua riparazione». Si osservi dunque che il risarcimento venne ammesso tramite l'espediente dell'equiparazione tra morte e stato vegetativo della vittima: in altri termini un vero e proprio salvataggio della vecchia regola, resosi inevitabile dinanzi alla palese assurdità del principio in questione.

Tuttavia, nello stesso periodo la giurisprudenza di merito, che peraltro aveva già dato dei segnali positivi (15), iniziò sempre di piú a schierarsi contro l'orientamento tradizionale. In particolare, una esplicita presa di posizione la si coglie nella decisione del Tribunale di Milano in Micciantuono e Galera c. istituto Ospedaliero Provinciale per la Maternità (16). Nel caso di specie, l'azione era stata proposta dai genitori per i danni riflessi connessi al grave stato di salute in cui versava la figlia, nata asfittica e affetta da tetraparesi spastica per colpa del personale sanitario nell'assistenza durante il parto. Cosí si legge nella sentenza: «È indubitabile in proposito che la condizione in cui versa la figlia ... ha procurato ai genitori sofferenze morali forse ancora superiori a quelle della stessa minore: il Tribunale non ignora che la prevalente giurisprudenza ha escluso il risarcimento del danno morale a favore dei prossimi congiunti del danneggiato, al di fuori dell'ipotesi di evento letale, ma il Collegio reputa di non condividere l'orientamento giurisprudenziale, in quanto il danno morale subito dai prossimi congiunti, quanto meno nell'ipotesi di danni gravissimi alla persona del proprio familiare, costituisce anch'esso una conseguenza diretta ed immediata dell'illecito, tale da dover essere ricompresso quindi, in virtú dei principi generali, tra i danni risarcibili ad opera del responsabile dell'illecito» (17).

Negli anni immediatamente successivi altre corti di merito aderirono ai principi di cui alle due sentenze sopra citate (18) e l'impostazione tradizionale iniziò ad accusare i primi veri segni di cedimento: ciò soprattutto in seguito all'ingresso del danno biologico, che avviò la fase calante dell'art. 2059 c. c. e schiuse gli orizzonti della responsabilità civile ad un nuovo sentire da parte della comunità degli interpreti. La svolta epocale del danno biologico, unitamente al progressivo allargamento di tale categoria oltre la sua matrice medico-legale, finí invero con il giocare un ruolo decisivo nel passaggio all'attuale dimensione della tutela dei congiunti.

In primis, nel solco degli effetti domino del ragionamento posto alla base del danno biologico (violazione di un diritto costituzionalmente garantito = ingiustizia del danno = diritto al risarcimento del danno ex art. 2043 c. c.), si deve qui ricordare la decisione della Cassazione in Santarelli c. Santandrea e Lucidi (1986) (19), di poco successiva al leading case della Consulta in Repetto c. AMT di Genova. La pronuncia della Suprema Corte aveva ad oggetto la domanda risarcitoria avanzata da un marito per il fatto che la propria consorte, a causa di un errore professionale commesso da un medico, non era piú in grado di intrattenere rapporti sessuali. Nel caso di specie i giudici di legittimità, richiamandosi alla lettura costituzionale dell'art. 2043 c. c. sancita dalla Corte costituzionale in Repetto, giunsero a ritenere risarcibile il danno non patrimoniale patito dall'attore sulla base che il diritto ai rapporti coniugali è «diritto alla persona» e, in quanto tale, «va equiparato al diritto alla salute, quale diritto della persona all'integrità fisio-psichica». Al centro della decisione si collocava un'approfondita disamina sulla reciprocità del complesso delle situazioni soggettive dei coniugi e, in particolare, sulla loro tutela nei confronti dei terzi. Preliminarmente la Cassazione ricordò che la famiglia è riconosciuta dal 1° comma dell'art. 29 Cost. come «società naturale fondata sul matrimonio» e che essa configura pertanto una «formazione sociale», «nella quale, a norma dell'art. 2 Cost., si esplica, nell'aspetto della vita familiare, la personalità di ciascuno dei coniugi, estrinsecandosi in "diritti inviolabili", costituzionalmente riconosciuti e garantiti non soltanto nei rapporti fra i coniugi, ma anche a fronte di terzi». Sulla scorta di ciò la Suprema Corte, anche a fronte della tutela riconosciuta ai rapporti famigliari dall'art. 8, 1° comma, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ricavò il principio per cui i terzi sono «tenuti a rispettare la "formazione sociale" familiare e a non pregiudicare, con loro atti lesivi, i "diritti inviolabili" di ciascun coniuge».

In Santarelli la Cassazione consegnò dunque alla comunità degli interpreti un modello logico-giuridico di ampio respiro, che permetteva una tutela piena dei congiunti contro i fatti illeciti di terzi lesivi dei valori della famiglia, a prescindere che si trattasse di lesioni mortali o lesioni personali del congiunto (20). Correttamente l'intera questione dei danni riflessi fu affrontata dalla Cassazione sul terreno dell'ingiustizia del pregiudizio.

Il ragionamento operato dai giudici di legittimità in Santarelli c. Santandrea e Lucidi, condiviso anche in dottrina (21), fu ripreso successivamente dalla giurisprudenza di merito sia nei casi di danni riflessi collegati alla lesione non mortale occorsa ad un membro della famiglia e sia in relazione alle ipotesi di perdita del congiunto.

Sul primo versante si devono qui segnalare alcuni precedenti ormai noti.

In primis risulta di particolare rilievo la decisione del Tribunale di Milano in Sanna e d'Angelo c. Arbia (22). Il collegio milanese si trovava a dare una soluzione alla domanda proposta dai genitori per i danni «per il mancato aiuto materiale della figlia, per i disagi derivati dalla continua assistenza di cui necessita e per i patemi d'animo conseguenti alle gravi lesioni subite». Richiamandosi espressamente al precedente citato della Cassazione, il Tribunale insistette sulla tesi per cui l'ingiustizia del danno dei congiunti ben possa essere valutata con riferimento alla «turbativa della serenità famigliare», e giunse quindi a configurare, anche a fronte della lettura costituzionale dell'art. 2043 c. c., una categoria di danno autonoma, non soggetta - in riferimento agli artt. 2 e 29 Cost. - ai limiti di cui all'art. 2059 c. c. e risarcibile a titolo di «danno alla serenità familiare» (23): «si deve ... ritenere che gli stretti congiunti della vittima di sinistro stradale che abbia subito rilevanti lesioni abbiano un titolo autonomo, svincolato dalla figura del danno morale, da far valere in giudizio per ottenere il ristoro del danno subito dalla violazione del diritto alla cosiddetta "serenità familiare" nei casi in cui la stessa sia notevolmente compromessa in conseguenze delle gravi lesioni subite dal congiunto, qualora vi siano effettivi e permanenti legami di comunanza di vita». A livello di contenuti del danno da violazione del diritto alla serenità familiare il Tribunale rilevava come esso consistesse «nel grave disagio, nelle sofferenze e nel patema d'animo dei familiari».

I giudici milanesi ritornarono poi a riflettere sul punto in Gobbi c. Chiesa ed altri (24), che aveva ad oggetto una fattispecie del tutto simile a Sanna. In aperta critica con il precedente della Suprema Corte in Ente Ospedaliero per la maternità c. Micciantuono e Galera (25), il collegio milanese affrontò questa volta la questione sotto il diverso profilo dell'art. 1223 c. c. ed affermò in primo luogo che «non può escludersi ... che lo stesso fatto illecito riverberi, immediatamente e contemporaneamente, i suoi effetti dannosi su piú soggetti» e che, «d'altra parte, è massima di comune esperienza che i prossimi congiunti soffrono sia nell'ipotesi di morte che di lesioni gravi della vittima del fatto illecito»: quindi, risulta «destituita di fondamento la tesi che il dolore sia strutturalmente diverso e muti, da diretto a riflesso, nelle ipotesi, rispettivamente, di morte o di lesioni gravi del prossimo congiunto»; «al contrario, la continua presenza del soggetto leso fa rivivere nel prossimo congiunto, e forse anche in modo piú penetrante, la sua personale sofferenza, la quale è comunque riconducibile, direttamente, al fatto illecito che aveva cagionato l'evento lesivo». In conclusione per il Tribunale di Milano «la corretta applicazione del principio d'uguaglianza impone, quindi, che il danno non patrimoniale del prossimo congiunto sia risarcito, indifferentemente, sia nell'ipotesi di morte che di lesioni gravi del soggetto passivo del reato». Dunque, un vero e proprio capovolgimento della tesi tradizionale, peraltro proprio sul terreno principale dell'orientamento negativo, e cioè in relazione all'interpretazione dell'art. 1223 c. c. La sentenza in questione risulta inoltre interessante per la rivisitazione del contenuto della categoria del danno non patrimoniale dei congiunti: «per danno non patrimoniale non si intende solamente quello collegato alle sofferenze patite (pecunia doloris), ma anche quello, non suscettibile di valutazione economica, che deriva dalla impossibilità di ripristinare un normale ménage familiare, in relazione alle condizioni sociali, economiche e culturali del nucleo familiare» (26). Dunque, una dimensione «esistenziale» del danno riflesso dei congiunti.

Accanto alle due sentenze milanesi or ora esaminate si deve poi segnalare la decisione del Tribunale di Verona in Valentini c. Castaldini (27) in cui si trattava di risarcire i danni riflessi dei genitori e della sorella di una bambina nata con delle gravi malformazioni a causa delle lesioni pre-natali riportate in conseguenza della negligenza del personale medico nella fase anteriore al parto. In relazione al risarcimento dei congiunti il collegio veronese svolse ampie e approfondite considerazioni a tal punto da risultare tra i precedenti piú interessanti in materia (28). Per il Tribunale punto nodale dell'intera questione era l'interpretazione da attribuirsi ancora una volta all'art. 1223 c. c. A tale proposito i giudici presero preliminarmente atto di un dato molto semplice ma affatto irrilevante, e cioè che la soluzione del problema riguarda sostanzialmente «aspetti di politica del diritto»: «il Collegio ritiene che laddove sia possibile determinare chiaramente i margini dell'area soggettiva risarcibile, l'evoluzione della vita sociale, quale quella che si è verificata negli ultimi anni, giustifichi una selezione di interessi tutelabili giuridicamente, piú ampia di quella conosciuta in passato». Dunque il Tribunale compie una precisa scelta «politica» di campo, evidentemente frutto della nuova sensibilità di dottrina e corti in merito ai danni non patrimoniali. Le giustificazioni tecniche addotte dal Tribunale di Verona a sostegno dell'apertura risarcitoria risultano poi molteplici, seppure strettamente connesse tra loro dal filo conduttore dell'illecito plurioffensivo: 1) «se si accoglie la tesi che il danno biologico della vittima è il "danno-evento" e che danno morale e danno patrimoniale costituiscono forme di "danno-conseguenza", si percepisce che il fatto illecito ha una potenzialità plurioffensiva in quanto provoca lesioni di diversi beni giuridici e di diverso livello»: in quest'ottica «"danno-conseguenza" dell'illecito è anche la sofferenza procurata ai prossimi congiunti ..., non meno che la alterazione della loro vita di relazione, definitivamente compromessa dalla presenza di un essere umano ridotto ad uno stato di vita pressoché vegetativo»; 2) «l'attribuzione ai prossimi congiunti del diritto autonomo al risarcimento dei danni può essere spiegata osservando che la violazione del bene giuridico di cui sono portatori gli attori si verifica contestualmente nel momento in cui viene compromessa, ad esempio, la capacità lavorativa della vittima»; 3) «in una ipotetica rappresentazione grafica, il danno biologico della vittima si pone come elemento centrale e di partenza di un fascio di rapporti, i cui punti terminali sono: danno morale e danno patrimoniale della vittima, danno morale e danno biologico (normalmente costituito dal danno alla vita di relazione) dei prossimi congiunti, quando costoro, per la tipologia delle lesioni subite dal parente, possono considerarsi essi stessi vittime principali del fatto lesivo»; 4) «a proposito del superamento della vecchia logica risarcitoria incapace di superare il dualismo autore dell'illecito-vittima, va segnalato che un punto di riferimento va rinvenuto nell'ormai acquisito riconoscimento della tutela aquiliana del credito» (29). Accanto a queste considerazioni il collegio veronese richiamò inoltre, quasi ad abundantiam, il fondamento costituzionale del diritto al risarcimento dei congiunti, ovviamente con espresso riferimento alla sentenza della Cassazione in Santarelli. Come quindi si può facilmente evincere da quanto riportato il Tribunale di Verona mise sul tavolo tutte le carte a sostegno del risarcimento dei danni in questioni, sia sul versante dell'art. 1223 c. c. e sia su quello dell'ingiustizia dei pregiudizi «riflessi». Tale sforzo trovò peraltro concreto riscontro in relazione ai danni risarciti e al quantum liquidato ai congiunti. Su questi ultimi profili della sentenza si osservi in primis che il Tribunale di Verona si pose come vero e proprio precedente ante litteram del danno esistenziale, peraltro in una logica conseguenzialista di siffatta categoria: «la malattia di cui è portatrice la figlia ha sconvolto l'esistenza della famiglia in modo tale da annullare o gravemente compromettere, secondo l'id quod plerumque accidit, la cosiddetta vita di relazione». Per risarcire tale compromissione furono liquidate dal Tribunale ben due voci di danno non patrimoniale: il «danno per la lesione della vita di relazione», «potendo, in via presuntiva, essere riconosciuto solo questo aspetto del danno biologico, atteso che gli attori non hanno fornito prove di una compromissione della propria salute» (30); il danno morale per «il vedere quotidianamente un essere umano ridotto alla completa impotenza» (31). Dunque, una vera e propria rivitalizzazione della categoria del danno alla vita di relazione, ben al di fuori del contenitore danno biologico.

A sua volta significativa nel contesto in esame risulta la decisione del Tribunale di Genova in Stacchini e D'Arrigo c. USL n. 10 e Leandro (32), in cui furono risarciti 250 milioni a titolo di danno morale ad un soggetto la cui moglie, a causa di un intervento chirurgico negligente, aveva perso la capacità di procreare: «il Collegio non vede per quale ragione il danno morale, pacificamente liquidabile ai prossimi congiunti di un defunto, non possa essere liquidato anche ai prossimi congiunti di un soggetto che, gravemente leso da un terzo, subisca menomazioni che ricadono pesantemente sui di lui congiunti». A giustificazione dell'entità della somma liquidata il Tribunale richiamò l'attenzione sull'impossibilità dell'attore di intrattenere rapporti coniugali e di proiettare nel mondo esterno propri discendenti legittimi.

Come dunque emerge dai precedenti sin qui citati, agli inizi degli anni novanta sul versante dei danni riflessi da lesioni personali del congiunto, la situazione si presentava nettamente diversa dal contesto precedente: l'orientamento negativo vacillava non poco e mancava solo piú il definitivo imprimatur della Cassazione, la cui posizione continuava peraltro ad essere affatto univoca sul punto (33).

Al contempo, l'impostazione seguita dalla Corte costituzionale in Repetto e dalla stessa Corte di cassazione in Santarelli giocò un ruolo importante anche sul versante dei danni da uccisione, soprattutto nel superamento dei limiti posti dalla categoria del danno morale e ai fini di una maggiore valorizzazione dei profili «esistenziali» della perdita del congiunto.

In particolare, si venne ad affermare il principio, per cui, se è considerato danno alla salute il pregiudizio del coniuge derivante dalla lesione fisica e/o psichica dell'altro coniuge, a maggior ragione è danno biologico, sotto l'aspetto del redivivo danno alla vita di relazione, quello che subisce il coniuge superstite per la perdita di un proprio famigliare (34). Esplicita in questo senso fu la decisione del Tribunale di Treviso in Cendron c. Veneta Assicurazioni S.p.A. e altri (1992) (35): «se è stato riconosciuto il danno biologico ai prossimi congiunti nel caso di lesione fisica riportata da un familiare, a maggior ragione va riconosciuto tale danno quando il rapporto matrimoniale o quello fra genitori e figli viene non solo limitato, ma addirittura soppresso a causa dell'uccisione del familiare ad opera di un terzo».

La nuova categoria del danno biologico, nell'ambito dei danni da uccisione iure proprio, fu quindi utilizzata in modo piuttosto ampio e disinvolto, facendola coincidere non già con la menomazione dell'integrità psico-fisica da provare attraverso i criteri di accertamento della medicina legale, ma direttamente con la lesione del bene salute in sé e per sé considerata. Questa impostazione fu seguita, ad esempio, dal Tribunale di Milano in Bolignano e Iorio c. La Verde e U.A.P. Italiana S.p.A. (1993) (36) e in Penna e altri c. Minutillo e Soc. Riunione Adriatica di sicurtà (1993) (37). Nel solco di questa lettura estensiva del danno biologico, decisamente favorevole all'allargamento, anche in termini quantitativi (38), del risarcimento delle vittime di rimbalzo, si pervenne altresí a fare coincidere questo danno con il «fatto storico di non avere piú il marito o il padre o il figlio e quindi di non poter piú essere (relativamente a quella persona) moglie, figlio o genitore» (39).

Si osservi in particolare, che già in allora il danno non patrimoniale per la perdita del congiunto si andò ad affiancare alla tradizionale categoria del danno morale riconosciuta nelle fattispecie configuranti reato a titolo di pretium doloris. Ad esempio nel citato precedente Bolignano e Iorio c. La Verde e U.A.P. Italiana S.p.A. era in questione il danno sofferto dai genitori per la morte dell'unica figlia, una ragazza di sedici anni, in un incidente stradale. I giudici milanesi, oltre a risarcire il danno morale in lire 150.000.000 per ciascun genitore, riconobbero altresí la somma di lire 60.000.000 ciascuno a titolo di danno biologico iure proprio, osservando che la morte della figlia, incidendo sulla «personalità degli attori» ed essendo la personalità «un'espressione della psiche dell'individuo», aveva «certamente intaccato l'integrità psichica e quindi il bene salute degli attori».

L'orientamento finora descritto pose ovviamente non pochi problemi sul piano sistematico e parte della dottrina non esitò a mettere in luce come l'allargamento della nozione del danno biologico e, in particolare, del danno psichico potesse finire invero con il creare indesiderate confusioni tra danno psichico e danno morale, con conseguenti rischi di duplicazione delle poste risarcitorie (40).

Iniziarono quindi a svilupparsi orientamenti contrapposti. Ad esempio, la Corte di appello di Roma in Bettollini e Cresti c. MEIE Assic. (41) rilevò che per il risarcimento iure proprio del danno alla salute occorre che siano dimostrate le lesioni di natura bio-psichica subite dalla vittima secondaria e gli eventuali postumi di natura permanente (42). A sua volta la Corte di appello di Milano in Soc. Liguria e Montagna c. Costa (43) sostenne che il danno biologico sofferto dai famigliari per la morte del congiunto deve essere provato «con riferimenti precisi a comportamenti reali, di valenza morbosa evidente o, almeno, chiaramente ed univocamente sintomatica».

Orbene, in questo contesto intervenne poi, come noto, la Corte costituzionale in Sgrilli c. Colzi (44), sollecitata da un'ordinanza del Tribunale di Firenze (45), in cui, per quanto riguardava i danni iure proprio, era stata prospettata l'eccezione di incostituzionalità dell'art. 2043 e, in subordine, dell'art. 2059 c. c., in relazione agli artt. 2, 3, 32 Cost., in quanto tali norme non avrebbero consentito il corretto risarcimento del danno dei congiunti.

Per quanto riguarda il profilo specifico dei danni subiti dai famigliari dell'ucciso, l'ordinanza in questione, in un'ottica favorevole al risarcimento ai congiunti del danno biologico iure proprio, rilevava, tra l'altro, quanto segue: «non si vede quale ostacolo possa porsi, almeno in astratto ..., a ritenere che in presenza e causa della morte del soggetto leso si determini l'evento (naturalistico) di una rilevante lesione della integrità psico-fisica (con evidente accentuazione dell'aspetto psichico della stessa) in danno degli stretti congiunti»; inoltre, «indiscusso essendo ... in tutti gli altri diversi casi il risarcimento generale del danno alla salute, come danno centrale e presunto, per il solo fatto naturalistico della lesione della integrità psico-somatica in quanto costituente violazione del diritto alla salute garantito come diritto assoluto ed inviolabile dall'art. 32 Cost., si determinerebbe una inammissibile disparità di trattamento (in peggio) in riferimento a tutti quei soggetti che vedessero menomata la propria integrità fisica a causa della morte di un familiare, piuttosto che a causa di un comportamento lesivo direttamente ... ed oggettivamente posto in essere nei propri confronti».

A fronte di tali rilievi, la Consulta rispose con una sentenza che lasciò perplessi non pochi interpreti (46). In particolare, per quanto interessa il tema in esame, la Corte mirò a dimostrare l'estraneità all'art. 2043 c. c. del risarcimento iure proprio di tutti i danni non patrimoniali da morte, compreso il danno biologico (riportato quindi nel 2059 c. c.). La Corte, senza darsi la pena di entrare piú di tanto nel merito della questione dell'ingiustizia, osservò che, se si volesse collocare il danno in questione nel 2043 c. c., andrebbe assunta «la lesione del terzo quale evento dannoso integrante una autonoma fattispecie di danno ingiusto»: tuttavia, non ritenendo il pregiudizio dei congiunti un danno evento bensí un danno conseguenza rispetto all'ingiustizia del pregiudizio subito dalla vittima iniziale, la Corte affermò la necessità di trasferire il problema della risarcibilità del danno ai congiunti «dal presupposto dell'ingiustizia del danno a quello della colpa». A questo punto, però, secondo la Corte verrebbe inevitabilmente ad emergere il «vero ostacolo» al risarcimento ex art. 2043 c. c. del danno non patrimoniale iure proprio, e cioè il difetto di concreta prevedibilità dell'evento lesivo: «l'evento di danno ai familiari sarebbe messo in conto all'autore in base a una valutazione "allargata" della colpa commessa nei confronti di un altro soggetto» (47). In definitiva, per la Corte ci troveremmo di fronte ad una «responsabilità oggettiva per pura causalità» non conciliabile con il modello risarcitorio del 2043 (48), con la conseguenza che, al contrario, si dovrebbe riportare il danno biologico da morte nel 2059 c. c. (49).

Dopo tutte queste strambe considerazioni, la Corte concluse osservando che «la stessa giurisprudenza prevalente, che ammette il risarcimento iure proprio, ne riconosce in sostanza l'estraneità al modello dell'art. 2043. Il risarcimento è accordato in base al nesso di causalità col fatto illecito - sempre oggettivamente qualificabile come reato, trattandosi di omicidio, salve le discriminanti dello stato di necessità e della legittima difesa - indipendentemente da un giudizio di colpevolezza dell'autore, secondo le regole civili, nei rapporti col familiare. Il modello risarcitorio applicato è dunque, piú o meno consapevolmente, quello dell'art. 2059 c. c.».

Fortunatamente - è proprio il caso di dirlo - la decisione della Corte costituzionale non fu seguita né in relazione alla collocazione di tutta la materia del danno dei congiunti entro il 2059 c. c., né, quindi, sulla necessità di spostare il punto di osservazione dall'ingiustizia alla prevedibilità del danno (50). Invero, malgrado Sgrilli c. Colzi, l'ingiustizia del danno rimase al centro del dibattito sui danni riflessi. In particolare parte della dottrina e della giurisprudenza proseguirono su due linee direttrici: da un lato portarono avanti il processo di valorizzazione dei profili esistenziali del danno non patrimoniale dei congiunti andando a colmare progressivamente il vuoto lasciato dalla Consulta tra le due categorie tradizionali (danno biologico e danno morale); dall'altro lato proseguirono il cammino verso l'affermazione definitiva della risarcibilità del danno riflesso dei congiunti anche nelle ipotesi di sopravvivenza della vittima iniziale.

Particolarmente significativa in questo contesto risulta la decisione del Tribunale di Torino in Parasole c. Beltramo (51), che, proprio all'indomani di Sgrilli c. Colzi, affermò, sulla scorta di autorevoli contributi dottrinali (52), la risarcibilità del danno esistenziale in capo alle vittime di rimbalzo. Nel caso di specie l'attore aveva sostenuto, a fronte della perdita dell'anziana madre, di avere subito «il danno derivante dalla turbativa della serenità familiare e dalla soppresione del rapporto affettivo ... impeditivo dello sviluppo della personalità nei rapporti interpersonali ...». Orbene, la corte torinese ritenne di non potere ricondurre tale danno «in una delle tre voci che costituiscono la tripartizione classica del danno ingiusto risarcibile - danno biologico, danno morale e danno patrimoniale». In particolare, escluse la riconducibilità del pregiudizio in questione nel danno morale, «poiché tale danno si sostanzia nel dolore e nel patema d'animo e nelle sofferenze che attengono esclusivamente al foro interno della persona il cui risarcimento è governato dall'art. 2059 c. c., che posto in correlazione all'art. 185 c. p., richiede necessariamente la rilevanza penale dell'illecito»; respinse altresí la possibilità di collocarlo nell'ambito del danno patrimoniale, essendo escluse dall'ambito di tale categoria «tutte quelle ripercussioni che non costituiscono un effetto economico negativo sul patrimonio»; infine, affermò l'estraneità di tale scomodo pregiudizio all'ambito del danno biologico, essendo quest'ultimo il «danno-evento lesivo del bene giuridico inviolabile ed intangibile della salute e determinante una patologia minorativa fisica o psichica». Per il Tribunale di Torino dovremmo dunque renderci conto «come la tripartizione classica del danno ingiusto sia inadeguata ed insufficiente a rappresentare la complessità e la rilevanza dei legami e dei rapporti che si esplicano nell'ambito del consortium familiare che certamente non possono essere inquadrati esclusivamente in un'ottica strettamente patrimonialistica, né in una ricreata sub specie di danno alla vita di relazione, che ... la giurisprudenza ... ha configurato ... come una componente interna del danno biologico e che, comunque, nell'ambito di una compromissione dei rapporti familiari coinvolgenti aspetti esistenziali di diverso genere, attribuirebbe rilevanza solo ai nocumenti riflettenti la sfera esterna dei rapporti sociali». Ciò stabilito, i giudici torinesi, asserita l'importanza della famiglia per la personalità di ciascun componente della stessa, proposero di ricorrere alla autonoma categoria del danno esistenziale, «i cui contorni e contenuti, di volta in volta individuati sulla base del diritto leso, non possono che essere delineati alla luce dei valori costituzionalmente garantiti ex art. 2 Cost.» (53).

Il messaggio dei giudici di Torino fu dunque chiaro ed inequivocabile: il sistema risarcitorio doveva schiudersi ad una nuova categoria, quella del danno esistenziale. Ciò al fine di permettere un grado piú avanzato di tutela delle vittime, non garantito dalle figure tradizionali.

Inizialmente il danno esistenziale, nella forma di categoria autonoma e dotata di una sua propria identità, stentò a farsi largo ed invero, lungo il suo percorso evolutivo, non sempre trovò spazio. Tuttavia l'idea della valorizzazione dei profili esistenziali della sfera personale delle vittime, già emersa nel passato sotto diverse spoglie, continuò a farsi strada, come ad esempio è dato trarre dalle sentenze dei Tribunali di Milano (54) e di Treviso (55), che, nella fattispecie dell'uccisione del congiunto, coniarono il cosiddetto «danno da lesione del rapporto parentale». Solo da ultimo, grazie anche al proliferare di contributi dottrinali sul tema, il danno esistenziale è poi giunto ad essere espressamente riconosciuto da diverse corti di merito, sino infine a registrare i primi riconoscimenti da parte dei giudici di legittimità (56). Le sentenze in commento dimostrano ampiamente il successo della categoria in questione nel campo dei danni dei congiunti.

Peraltro, contemporaneamente alla progressiva espansione dell'idea del danno esistenziale, seguí il definitivo tramonto della vecchia regola contraria alla risarcibilità dei danni riflessi in caso di sopravvivenza della vittima iniziale.

In questa direzione la Cassazione, dopo avere manifestato ancora in qualche occasione residui sprazzi di attaccamento all'orientamento tradizionale (57), mandò definitivamente in soffitta la vecchia regola nella decisione Pinna c. Pelucchi (58), vero e proprio leading case in materia. Nel caso di specie si trattava del risarcimento del danno morale ai genitori di un giovane ragazzo, il quale aveva perso completamente l'uso dell'occhio sinistro e non era dunque piú in grado di svolgere, anche a fronte delle gravi lesioni neurologiche ed estetiche riportate, alcuna attività lavorativa. Espressamente la Suprema Corte, «rimeditando la questione», ritenne «di non poter condividere il principio secondo cui i prossimi congiunti del soggetto, vittima di lesioni, non hanno diritto al risarcimento dei danni non patrimoniali». È opportuno qui richiamare in breve i passaggi centrali della sentenza. In primis, la Corte ha osservato come non possa condividersi l'assunto per cui osterebbe a tale riconoscimento la qualificazione di siffatta tipologia di danno come conseguenza mediata ed indiretta della lesione della vittima iniziale. Infatti, ad avviso dei giudici di legittimità l'obiezione tradizionale, secondo la quale l'art. 1223 c. c. determinerebbe l'irrisarcibilità dei danni non patrimoniali riflessi, contrasta con il cosiddetto «principio della regolarità causale», per cui sono risarcibili anche i danni, indiretti e mediati, «che si presentino come effetto normale» . Invero, «ai fini del sorgere dell'obbligazione di risarcimento, il nesso di causalità fra fatto illecito ed evento, può essere anche indiretto e mediato». In quest'ottica per la Cassazione non si può dubitare che «lo stato di sofferenza dei congiunti ... trova causa efficiente, per causa mediata, pur sempre nel fatto illecito del terzo nei confronti del soggetto leso»: «risulterebbe estremamente arduo, oltre che iniquo, negare consistenza teorica ad un fatto che nella realtà è unanimemente riconosciuto esistente». Dunque, spazzato via l'ostacolo posto dal 1223 c. c., i danni riflessi, ad eccezione per il danno morale, diventano pienamente risarcibili ed affidati agli schemi noti del 2043 c. c. Per quanto riguarda poi il danno morale riflesso, la Cassazione giunge alla conclusione per cui «dalla struttura della norma di cui all'art. 2059 c. c. (nonché dalle norme cui detto articolo rinvia) non emerge alcuna limitazione alla legittimazione attiva dei congiunti della vittima a richiedere il risarcimento del danno non patrimoniale». La Suprema Corte chiude quindi il cerchio avviato agli inizi degli anni ottanta: la selezione dei legittimati attivi al risarcimento dei danni riflessi, ivi compreso il danno morale, non pone problemi sotto il profilo della causalità giuridica e si riconduce sostanzialmente agli stessi criteri che vengono adottati nello schema di cui all'art. 2043 c. c. (in altri termini, l'ingiustizia e dunque il tipo di rapporto relazionale che intercorre tra la vittima iniziale e chi si assume vittima di rimbalzo).

Negli anni successivi a Pinna c. Pelucchi il nuovo orientamento si è fatto poi strada sia in decisioni degli stessi giudici di legittimità (59), che nella giurisprudenza di merito (60), fino a giungere alla sentenza, qui in commento, della Cassazione (Lunetta ed altri c. Ministero della Difesa), la quale completa sicuramente l'inversione di tendenza e cancella ogni dubbio residuo circa la posizione della Suprema Corte in merito alla risarcibilità del danno morale ai congiunti del macroleso (61). Peraltro, la Cassazione non solo aderisce all'orientamento avviato nel precedente Pinna [conferma peraltro importante a seguito di un isolato passo falso segnato dalla Sezione lavoro della S. C. (62)], ma finisce, come già anticipato in premessa, per aggiungere vari spunti inediti e di vasta portata, apportando in particolare nuovi importanti tasselli non solo alla protezione risarcitoria dei congiunti, ma al sistema del danno alla persona nel suo complesso.

Il caso oggetto della sentenza riguardava un notaio, il quale, già in là con gli anni, era stato investito da un'auto riportando gravi lesioni della salute (encefalopatia traumatica, sindrome psichico organica deteriorativa con una fenomenologia neurologica e psichiatrica che aveva comportato un grave deterioramento della sfera intellettiva, nonché disturbi alla sfera emozionale). La moglie del professionista, unitamente a quest'ultimo, aveva agito in giudizio per i danni patititi in conseguenza dello stato di salute del marito, rilevando peraltro di avere dovuto rinunciare alla sua attività lavorativa di insegnante al fine di assistere adeguatamente il marito. In merito alla risarcibilità del danno patrimoniale subito dall'attrice per l'abbandono della sua attività lavorativa, la Cassazione rileva come invero si tratti di «un danno diretto, sia pure di natura consequenziale, per la vittima secondaria, che lo subisce come conseguenza rispetto al medesimo evento, subendo l'ingiusta menomazione della propria sfera patrimoniale». Piú in generale, relativamente a tutti gli altri danni che un congiunto può patire per la lesione o la morte che colpisce il famigliare, la Cassazione, includendo peraltro nel novero dei danni risarcibili anche il danno esistenziale, rileva che «appare fuorviante parlare di un danno riflesso o di rimbalzo, proprio perché lo stretto congiunto, convivente e/o solidale (per la doverosa assistenza) con la vittima primaria, riceve immediatamente un danno conseguenza, di varia natura (biologico, anche se può essere di ordine psichico/morale, patrimoniale, e secondo recente dottrina e giurisprudenza, anche esistenziale) che lo legittima iure proprio ad agire contro il responsabile dell'evento lesivo». Ricorda peraltro la Corte, contro l'argomentazione tradizionale della causalità diretta ed immediata, che si deve fare riferimento alla «regolarità causale», cosicché «sono considerati risarcibili i danni che rientrano nelle conseguenze ordinarie e normali del fatto». Al di là delle considerazioni svolte dalla Suprema Corte sui sintagmi «vittime di rimbalzo» o «danni riflessi», va sicuramente notato come tale inquadramento della Cassazione risulti ancorato ad una particolare visione dell'illecito e del nesso di causa: le conseguenze dell'evento possono ben essere plurioffensive ed intaccare non solo la sfera della vittima iniziale, ma anche quella dei suoi famigliari (... a questo punto l'etichetta dei danni come riflessi o consequenziali diventa una mera sfumatura descrittiva dello stesso concetto). In altri termini rientra nell'id quod plerumque accidit che da un medesimo illecito che colpisce la salute di un soggetto possano discendere conseguenze anche per i congiunti della vittima iniziale. Si deve poi osservare qui, sempre sotto il profilo del nesso di causale, che la Cassazione, ricordato correttamente che la questione non si pone in termini di «causalità materiale» bensí di «causalità giuridica», osserva, richiamandosi alla teoria dell'id quod plerumque accidit, che, «posto che il conducente dell'auto che guidi spericolatamente e imprudentemente, ben può prevedere che la vittima sia un padre o una madre di famiglia, e che dunque le conseguenze dell'evento possano essere plurioffensive». Un'interpretazione quindi piuttosto ampia del concetto di prevedibilità. In realtà, in critica a quest'ultima osservazione della Suprema Corte, si può notare come non sia affatto necessario un richiamo a tale concetto per giustificare la risarcibilità del pregiudizio subito dal congiunto, essendo il problema già risolto in radice sotto il profilo della plurioffensività dell'illecito e dunque in termini di ingiustizia. Del resto, l'esperienza della giurisprudenza inglese insegna bene come la teoria della prevedibilità del danno possa giocare, se rapportata alle vittime secondarie, sorprese decisamente negative, fino a veri e propri casi di denegata giustizia e azzeramento della protezione risarcitoria della persona (63). In altri termini, se una critica si può muovere alla sentenza in merito a questo profilo, è che essa mantiene ancora un collegamento, sia pure decisamente sottile e labile, con la teoria della relazione intersoggettiva tra autore dell'illecito e vittima riflessa. Tuttavia, si può prendere atto, al di là della critica qui prospettata, che la Suprema Corte estende, in chiave presuntiva, la formula «prevedibilità del danno» ai soggetti che circondano, in senso di legame affettivo, la vittima iniziale nella sua vita quotidiana: in sintesi, il concetto della «reasonable forseeability» viene svuotato delle sue potenzialità restrittive.

Il passaggio piú interessante della decisione in commento è comunque quello relativo al definitivo superamento del precedente della Corte costituzionale in Sgrilli c. Colzi: la Cassazione, infatti, consegna al 2043 c. c. l'intera tematica dei danni risarcibili in capo ai congiunti. Espressamente i giudici di legittimità rilevano che «la problematica del danno ai congiunti della vittima primaria deve considerarsi ... nel quadro della clausola generale dell'articolo 2043 del codice civile». Per il danno biologico la Suprema Corte ricorda come, anche a fronte dei recenti interventi legislativi, siffatta voce di danno non possa collocarsi nell'art. 2059 c. c., contrariamente a quanto a suo tempo sostenuto dalla Consulta nel 1994. Tuttavia, se questo primo punto era già condiviso da tempo sia dalla dottrina (64) che dalla giurisprudenza, risulta certamente rivoluzionaria l'affermazione per cui anche «il danno morale debba essere costituzionalizzato e cioè conformato ai valori che la Costituzione arreca alla persona umana, come diritti umani inviolabili che arricchiscono la sua dignità» (65). L'importanza di siffatto inciso della Cassazione è di palmare evidenza: se vi è la violazione di diritti della persona tutelati dalla nostra Carta costituzionale, il danno morale va soggetto ad una interpretazione «costituzionalizzata», il che, avendo ben presente il percorso evolutivo di altri danni e piú segnatamente del danno biologico e, da ultimo, del danno esistenziale, dovrebbe significare una sola cosa, e cioè che il danno morale è regolato dalla clausola generale dell'ingiustizia ogni qualvolta vi sia la lesione di un bene costituzionalmente garantito. Ovviamente, se questa è la lettura corretta della decisione in commento, l'art. 2059 c. c., cosí come oggi strutturato, risulterebbe in tutto e per tutto svuotato di significato. Il che non sarebbe un risultato da poco, ma sul punto si ritornerà in sede di conclusioni del presente contributo, poiché a questo punto occorre riflettere seriamente su quale spazio rimanga da attribuirsi al 2059 c. c.: una norma da considerarsi ormai vuota e inutile, o ancora dotata di una qualche funzione?

Pare tuttavia opportuno precisare che in relazione al concetto di «danno morale costituzionalizzato» (66) la decisione in esame non tira completamente le fila del suo discorso. Che l'intendimento della Suprema Corte sia quello di svuotare definitivamente la norma in questione potrebbe trarsi dal successivo rilievo, in cui la Cassazione, expressis verbis, segnala all'interprete come la sentenza risolva in radice i «contrari arresti» della giurisprudenza e recepisca, di fatto risolvendo in anticipo il problema al legislatore, i disegni di legge, presentati nel corso della passata legislatura, che «recano la consapevolezza di regolare diversamente la disciplina dell'articolo 2059 c. c., escludendo la stretta delimitazione al cosiddetto danno morale da reato». Tuttavia, neppure questa osservazione della Corte chiarisce del tutto gli intendimenti della stessa. Infatti, se è vero che i principali progetti di riforma (il progetto ISVAP, il disegno di legge n. 4093/1999 del Governo, il progetto di legge n. 6817/2000 originato dal contributo dell'Istituto Piemontese Studi Economici e Giuridici) (67) prevedono tutti il superamento dell'attuale formulazione dell'art. 2059 c. c., al contempo si distinguono tra loro andando ad individuare requisiti diversi per il risarcimento del danno non patrimoniale (la proposta ISVAP la sussistenza del fatto illecito e della gravità dell'offesa; il disegno di legge governativo la gravità dell'offesa; il progetto di legge n. 6817/2000 il solo requisito dell'ingiustizia). A fronte di questi spazi lasciati all'interprete circa le reali intenzioni della Suprema Corte, si potrebbe quindi, in critica ad una lettura della decisione in commento secondo cui questa sancirebbe un definitivo svuotamento dell'art. 2059 c. c., obiettare che in realtà la Cassazione lascia il danno morale comunque nell'ambito di questa norma, sia pure sottraendolo al requisito della sussistenza della fattispecie di reato. A tale conclusione pare si debba anche pervenire in ragione di quanto espresso in altra sede dall'Estensore della sentenza (68). In quest'ottica, però, il risultato finale sarebbe comunque il medesimo, e cioè la sostanziale parificazione del danno morale al danno ingiusto ogniqualvolta sia ravvisabile la violazione di una norma costituzionale (69). E di nuovo si propone il quesito sopra formulato: che cosa rimane dell'art. 2059 c. c.? Un inutile alter ego del 2043 c. c.? A questo punto, tuttavia, parte della dottrina e della giurisprudenza, tramite operazioni di ingegneria ermeneutica ispirate a determinate scuole di pensiero (70), potrebbe sfruttare il precedente Lunetta per introdurre nel risarcimento del danno morale, in giustificazione della diversa disciplina, un limite ulteriore rispetto al requisito dell'ingiustizia, limite da individuarsi nella gravità dell'offesa. Sennonché è opportuno tenere ben presente che tra la decisione in esame e l'indirizzo dottrinale or ora menzionato corre una differenza importante: mentre la Cassazione, anche a fronte di altre sue decisioni (71), incanala comunque i suoi sforzi verso l'attribuzione all'art. 2043 c. c. di un ruolo primario nel risarcimento del danno non patrimoniale, la scuola di pensiero pisana, dichiaratamente ispirata a logiche di contenimento dei risarcimenti secondo il modello del floodgate argument, muove nella direzione opposta di una riconduzione entro l'art. 2059 c. c. di tutti i pregiudizi non patrimoniali diversi dal danno biologico, proponendo, de iure condendo, di innovare questa norma passando da un sistema imperniato sulla «gravità tipicizzata penalmente ad una gravità oggettiva come clausola elastica affidata all'accertamento del giudice civile» (72) . In altri termini il precedente Lunetta, cosí come potrebbe essere utilizzato per completare l'iter di svuotamento del 2059 c. c., al contempo potrebbe costituire il punto di partenza per un'inversione di tendenza. Questo il prezzo di un danno morale «costituzionalizzato», ma lasciato per incuria nell'art. 2059 c. c. Ed è proprio su questo versante che è presumibile che il dibattito verrà nel prossimo futuro ad incentrarsi.

A prescindere da questi rilievi, in Lunetta la Cassazione ci consegna comunque una fotografia ben nitida sulla collocazione della tutela dei congiunti: la Suprema Corte, infatti, indica come l'intera tematica del danno dei congiunti si risolva interamente all'interno del 2043 c. c., sotto l'ombrello dell'ingiustizia. Almeno questo punto risulta certo. Orbene, siffatta fotografia non è peraltro isolata, ma reca gli stessi colori, le stesse luci e vedute che ci vengono offerte dalle altre sentenze riportate in epigrafe.

Le sentenze del Tribunale di Agrigento e del Tribunale di Torino insistono entrambe, soprattutto la prima, sulla valorizzazione, all'interno dell'art. 2043 c. c., dei riflessi esistenziali del danno dei congiunti in caso di sopravvivenza della vittima iniziale.

In particolare, il Tribunale di Agrigento, chiamato ad esprimersi in merito alla responsabilità penale di due soggetti che avevano abusato sessualmente di una minorenne affetta da deficit psichico, affronta, con profusione di considerazioni (ben venti pagine!), la posizione dei congiunti della vittima sotto il profilo della loro legittimazione attiva quali parti civili nel processo. Offrendo all'interprete un interessante excursus storico del sistema risarcitorio dei congiunti, il Tribunale pone al centro della tutela risarcitoria dei congiunti, anche ai fini della loro eventuale costituzione di parte civile, la figura del danno esistenziale, «da intendersi come qualsiasi danno che l'individuo subisce alle attività realizzatrici della persona umana». Ricordano correttamente i giudici di Agrigento che il danno esistenziale trova le sue ragioni d'essere principalmente in quella «zona grigia di confine», che si era venuta a creare tra il danno biologico e il danno morale all'indomani della decisione della Corte costituzionale in Sgrilli c. Colzi. Il danno esistenziale, cosí come inteso nella sentenza in questione, non è quindi determinato da particolari contenuti delimitati dal punto di vista naturalistico, ma in primis dalla sua funzione giuridica nel sistema dell'illecito civile: la protezione risarcitoria di interessi afferenti alla persona, lesi da un atto ingiusto, meritevoli di risarcimento e non garantiti dalle categorie di danno tradizionali. In altri termini il Tribunale assorbe interamente l'insegnamento della Scuola torinese nell'impostazione di questa categoria (73): innanzitutto il danno esistenziale come «necessità dell'illecito civile», quale figura giuridica che serve a colmare le lacune lasciate dalle figure tradizionali di danno nel segno di una piú completa protezione risarcitoria della persona. Senza paletti sotto il profilo delle conseguenze naturalistiche dell'evento lesivo. Ciò premesso, per quanto attiene il tema in esame, il Tribunale osserva che il danno esistenziale «finisce con il risolvere il problema della gestione dei danni riflessi dei danni familiari delle vittime»: infatti, consistendo «nella alterazione della quotidianità della vittima dell'illecito», «è un danno diretto ed immediato, casualmente riferibile, sul piano giuridico, allo stesso illecito di cui è stata vittima una diversa persona». In questo senso i giudici osservano che la violenza subita dalla ragazza ha indubbiamente comportato una grave e irrimediabile alterazione della dinamica quotidiana delle relazioni familiari: l'illecito penale «si riverberà necessariamente sulla ordinaria condotta di vita dei congiunti a causa delle maggiori cure ed attenzioni - sia a livello personale che economico - che dovranno essere indirizzate nei confronti della persona offesa, il tutto con correlativo, consequenziale ed inevitabile detrimento - in termini di tempo, denaro, attenzione, ecc. - delle loro esigenze personali (sia ludiche che lavorative o di semplice riposo) e familiari "latu sensu" intese». Oltre, peraltro il grave danno alla serenità familiare arrecato dal danno in questione (si pensi solo alla penosa fase di un processo penale).

La sentenza del Tribunale di Torino, in un caso di morte sopravvenuta per cause non imputabili al soggetto responsabile, si pone sostanzialmente nella stessa direzione del Tribunale di Agrigento per quanto attiene la valorizzazione dell'alterazione della quotidianità delle relazioni famigliari, pur non riconoscendo espressamente la categoria del danno esistenziale, come invece aveva fatto in precedenza nel leading case Parasole c. Beltramo. Anche nella sentenza in epigrafe, infatti, viene attribuito particolare rilievo all'incidenza «riflessa» dello stato psicofisico, in cui viene a trovarsi la vittima iniziale, sulla «qualità di vita» dei suoi congiunti, soprattutto sotto il profilo della vita di relazione. Sicuramente interessante risulta lo strumento utilizzato dal Tribunale per la valorizzazione di siffatto profilo. Infatti, per risarcire il pregiudizio sofferto dai congiunti nell'arco di tempo intercorso tra la lesione mortale ed il successivo decesso del de cuius il Tribunale, sulla scorta della prova di uno stato di depressione sofferto dai congiunti medio tempore, ricorre non già al danno morale, bensí alla categoria del «danno biologico temporaneo» (74). E si noti che la soluzione sposata dal Tribunale prendeva le mosse da una CTU che aveva escluso la sussistenza del danno biologico sia temporaneo che permanente. Dunque, una precisa volontà di risarcire i pregiudizi «esistenziali» subiti dalle vittime a prescindere dalle risultanze delle consulenze tecniche: uno spazio vuoto colmato con una categoria che è chiaramente frutto della stessa matrice del danno esistenziale. Si osservi peraltro che la volontà del Tribunale di Torino di attribuire rilevanza autonoma all'incidenza («esistenziale») della depressione sulla «qualità di vita» discende altresí dall'allocazione di una somma anche a titolo di danno morale, che, almeno stando alla definizione consolidata nella giurisprudenza, si riferisce proprio a quegli stati di perturbamento psichico, transeunti e non degeneranti in una patologia accertata secondo i parametri della medicina legale, quali appunto la depressione accusata dalle vittime nel caso di specie. Ancora una volta, dunque, l'interprete si trova dinanzi ad un «danno x» che si aggiunge alle categorie tradizionali di danno per attribuire autonomo rilievo alla modifica in peius dell'esistenza (o, secondo, la dizione del Giudice torinese, della vita di relazione).

L'idea del danno esistenziale ritorna pure nelle decisioni, sempre riportate in epigrafe, dei Tribunali di Firenze, Milano e Palermo che hanno invece affrontato il tema dei danni riflessi da uccisione.

Il Tribunale di Firenze (75) ha liquidato ai congiunti, oltre una somma a titolo di danno morale, il cosiddetto «danno edonistico», distinto dal «pretium doloris» e corrispondente alla perdita dello «status connesso al particolare rapporto che lega il soggetto con la persona colpita dall'evento dannoso». Per il Tribunale, infatti, «non c'è dubbio che, a parte i riflessi economici e il dolore per la scomparsa della persona cara ..., coniugi, genitori, figli ... soffrono ... una menomazione propria, cioè perdono, a causa dell'altrui fatto illecito, quella stabilità di situazioni connesse alla loro posizione, anche legalmente riconosciuta con un insieme di diritti e obblighi, nei confronti della vittima stessa». Dunque, una nuova etichetta si aggiunge al novero, ormai decisamente ampio, dei danni non patrimoniali risarcibili, sebbene la categoria fosse già conosciuta da tempo dagli interpreti italiani, come ci ricorda la pubblicazione, nel 1987, di una sentenza statunitense (76) in cui veniva appunto risarcito il cosiddetto «hedonistic damage» (77), sentenza peraltro presente allo stesso Tribunale fiorentino, che rievoca, non a caso, il «diritto vivente in U.S.A.».

Ovviamente, come anche si avrà occasione di osservare piú avanti, il salto dal danno edonistico a quello esistenziale risulta del tutto impercettibile (78): le due voci in questione coincidono perfettamente e del resto, sia sufficiente tenere presente i pregiudizi che vengono ricondotti dal giudice fiorentino entro la categoria coniata. In altri termini, si tratta, in tutta evidenza, di denominazioni diverse, ma assolutamente coincidenti sia sotto il profilo giuridico e sia dal punto di vista naturalistico dei pregiudizi sottesi. Ed in questo senso non ci si deve fare sviare dal fatto che il Tribunale di Firenze, attraverso il danno alla vita di relazione, faccia rientrare il danno edonistico entro la categoria del danno biologico. Trattasi ovviamente di un errore di fondo, frutto una nozione del danno biologico sostanzialmente coincidente con il danno alla salute (79).

Il danno esistenziale occupa un posto di tutto rilievo nelle decisioni dei Tribunali di Milano e di Palermo. In queste sentenze, che sono emblematiche del successo ottenuto dalla nuova categoria, l'interprete viene posto dinanzi a due diverse impostazioni del danno esistenziale.

Il giudice milanese, cui peraltro si devono altri interessanti precedenti sul danno esistenziale (80), tratteggia nella sentenza (81) un vero e proprio decalogo di questa categoria: «perché possa ravvisarsi il "danno esistenziale" occorre che sussistano le seguenti condizioni: 1) violazione del "diritto alla qualità della vita" e/o "alla libera estrinsecazione della personalità", con modificazioni peggiorative nella sfera personale del soggetto leso; 2) ingiustizia del danno secondo gli usuali parametri dell'art. 2043 c. c. o in base a presunzioni di legge; 3) nesso di causalità tra comportamento lesivo e danno che deve tradursi in un giudizio di proporzionalità o adeguatezza tra il fatto illecito e le conseguenze dannose; 4) consecutività temporale tra comportamento lesivo e danno; 5) mancanza di danno biologico». Il danno esistenziale ancora una volta, come sembra ben evincersi dal decalogo, viene presentato come categoria che serve a colmare le lacune lasciate dal sistema tradizionale (82): tanto è vero che per il giudice milanese esso non risulta risarcibile laddove la vittima possa già ottenere il risarcimento del danno biologico, che evidentemente, tramite le sue componenti (ad esempio il danno alla vita di relazione) e posta la corretta personalizzazione del quantum, già riguarda ripercussioni attinenti alla qualità della vita (83). Dunque, un danno, quello esistenziale, che bene si concilia con la finalità di realizzare una piena tutela risarcitoria dei congiunti, il cui pregiudizio non sempre sfocia in una patologia che soddisfa i criteri posti dalla medicina legale per la configurazione del danno psichico.

Si noti inoltre che il danno esistenziale non risulta circoscritto a particolari requisiti a livello di gravità delle alterazioni esistenziali o loro durata nel tempo: nella categoria in questione confluiscono infatti anche le modificazioni «dei normali ritmi di vita che incidono negativamente su attività reddituali, alterando le normali attività quotidiane, impedendo la piena realizzazione della personalità della vittima, provocando uno stato di malessere psichico diffuso che, pur non sfociando in una vera e propria malattia, provoca, tuttavia ansia, irritazione, difficoltà a far fronte alle normali occupazioni, depressione, ecc.». Ciò è sostanzialmente condivisibile perché finisce con il riportare entro la clausola generale dell'ingiustizia «tutti i danni che almeno potenzialmente ostacolano le attività della persona umana» (84), e cioè tutti i pregiudizi che, ai fini della restitutio in integrum, riguardano la sfera soggettiva della vittima. Il che pare corretto nell'ottica della «concezione unitaria» della persona (85). Ovviamente, a questo punto, la sentenza lascia tuttavia aperto un problema: come gestire la categoria del danno morale una volta che la si è di fatto sradicata dall'art. 2059 c. c. o comunque svuotata tramite il danno esistenziale? Sul punto specifico la sentenza non pare del tutto chiara: da un lato afferma che il danno morale è risarcibile solo in presenza di reato, dall'altro lato ne sostiene la risarcibilità anche al di fuori di questa ipotesi ogniqualvolta si realizzi un combinato disposto dell'art. 2043 c. c. e di una norma costituzionale di riferimento. La situazione presenta quindi delle ambiguità: in presenza di violazioni di posizioni tutelate dalla norma costituzionale il danno esistenziale e il danno morale opererebbero entrambi all'interno del 2043 c. c. per risarcire gli stessi pregiudizi, il che, in tutta evidenza, si presta ad obiezioni circa il rischio di una duplicazione di poste risarcitorie, soprattutto nei casi in cui il danno esistenziale riguardi turbamenti psichici e non già profonde alterazioni della vita quotidiana. Come uscire da siffatta impasse? Una prima soluzione potrebbe essere quella di aggiungere al decalogo del Tribunale di Milano la precisazione che il danno esistenziale è risarcibile quando non solo manchi il danno biologico, ma anche il danno morale (risarcibile) (86). Una seconda strada percorribile potrebbe essere quella di tenere disgiunta la finalità risarcitoria da quella sanzionatoria: il danno morale, collegato e vincolato al reato, interverrebbe esclusivamente per sanzionare il responsabile (una sorta di «danno morale sanzionatorio» contrapposto al «danno morale compensativo» risarcibile ex art. 2043 c. c.). In altri termini l'art. 2059 c. c. continuerebbe ad operare, ma solo per aggiungere una posta risarcitoria quale segnale di un disvalore sociale tanto rilevante da configurare un illecito penale, esattamente come gli exemplary e aggravated damages di marca inglese. Tuttavia, a questo punto, non avendo piú alcuna connotazione soggettiva, l'aggettivo «morale» attribuito all'etichetta in questione risulterebbe fuorviante dal punto di vista descrittivo: meglio il nomen «danno esemplare» o «danno aggravato», senza altre specificazioni. Una tale via certo dovrebbe fare i conti con i numerosi ostacoli, soprattutto di politica del diritto, che il tentativo di introdurre nel nostro ordinamento una categoria avente siffatte funzioni oggi implicherebbe. Sia sufficiente immaginare gli oppositori del danno esistenziale alle prese con un'ulteriore categoria di danno, la quale, peraltro, esulerebbe da attacchi fondati sul rischio di duplicazioni, rispondendo a finalità nettamente distinte da quelle cui assolverebbero tutte le altre voci risarcitorie.

In definitiva, la decisione del Tribunale milanese potrebbe imporre all'interprete passaggi ulteriori: dichiarare il definitivo svuotamento dell'art. 2059 c. c. oppure procedere oltre con la creazione di una nuova figura riconducibile a funzioni squisitamente sanzionatorie.

Il Tribunale di Palermo, marcatamente influenzato dalla scuola triestina (87), opta per una impostazione del danno esistenziale sicuramente diversa da quella milanese. In primis, il danno biologico viene inquadrato come «sottotipo» del danno esistenziale (88): da un lato il «danno biologico-esistenziale», dall'altro lato il «danno esistenziale non-biologico» (89). In secondo luogo, si osservi che nella sentenza in questione il danno esistenziale assume dei contorni, a livello contenutistico, ben precisi e distinti da quelli che connotano il danno morale: rispetto a quest'ultimo, infatti, il danno esistenziale consiste nell'incidenza dell'evento lesivo sulla sfera qualitativa della persona «in maniera drastica e risolutiva» (90), tale da determinare «un non poter piú fare» distinto dal «sentire», che attiene «alla sfera dell'emotività» e dunque al danno morale

L'output finale della teoria sposata dai giudici palermitani si discosta quindi dal risultato cui conduce l'impostazione milanese: infatti, il danno esistenziale, seguendo la via delineata dal Tribunale di Palermo è risarcibile solo ove ricorrano gli estremi, qualitativi e quantitativi, della modificazione esistenziale: non già la prova di alterazioni peggiorative della «sfera personale» della vittima, bensí la prova puntuale di modificazioni, non temporanee, di aspetti della vita. Il danno morale soggettivo conserva dunque il suo spazio («compensativo») entro l'art. 2059 c. c., diversamente da quanto si registra nella decisione del Tribunale di Milano. Tuttavia, quid iuris nel caso in cui il danno morale non fosse ritenuto risarcibile, ad esempio a fronte di una responsabilità solo presunta ex art. 2054, 2 ° comma, c. c.? In questa ipotesi, evidentemente, il danno esistenziale finirebbe con il perdere la sua vera e piú autentica portata: colmare lo spazio vuoto tra danno biologico e danno morale (91).

Il Tribunale di Palermo offre poi un interessante decalogo per l'individuazione dei congiunti legittimati ad esperire l'azione risarcitoria. In particolare, sintetizzando i risultati del percorso giurisprudenziale, il giudice palermitano individua due categorie di soggetti: 1) «devono senz'altro considerarsi come aventi diritto il coniuge, i figli (anche in tenera età), i genitori i fratelli e le sorelle: in breve, tutti i componenti della cosiddetta famiglia nucleare, per i quali appare irrilevante anche la cessazione della convivenza»; 2) «quanto agli altri parenti ed affini (nonni, nipoti, zii, cugini, cognati, ecc.), la legittimazione può esser loro riconosciuta soltanto se, oltre all'esistenza del rapporto di parentela o di affinità, concorrano ulteriori circostanze atte a far ritenere che la morte del familiare abbia comportato la perdita di un effettivo e valido sostegno morale, non riscontrabile in mancanza di una situazione di convivenza, ove si tratti di soggetto, che, per tipo di parentela, non abbia diritto ad essere assistito anche moralmente dalla vittima». Se per i primi soggetti opera dunque una vera e propria presunzione, peraltro indifferente all'elemento della convivenza, per la seconda categoria di congiunti si deve comunque prendere atto di una decisa apertura nel segno di una valorizzazione del legame affettivo e morale tra il famigliare sopravvissuto ed il caro estinto.

Proprio sul tema dei legittimati attivi è intervenuta la Cassazione penale nella sentenza riportata epigrafe, con particolare riguardo per la vexata quaestio se il nascituro concepito prima della morte del genitore possa, una volta venuto alla luce, agire iure proprio per il risarcimento del danno riflesso e in quali termini (92). La questione viene risolta positivamente dalla Suprema Corte, che aggiunge quindi un ulteriore tassello alla categoria dei legittimati ad agire per il risarcimento dei danni riflessi.

Al di là della specifica questione della legittimazione attiva del concepito, la sentenza in questione rileva comunque nella presente disamina soprattutto per le considerazioni che svolge in merito ai principi che regolano la tutela dei congiunti in generale. In particolare, la Cassazione, espressamente menzionando il danno esistenziale e l'estensione della tutela operata riguardo alla lesione del rapporto parentale, sancisce il definitivo superamento del requisito di una relazione intersoggettiva tra autore del fatto illecito e chi ha subito il danno riflesso: gli ostacoli tradizionali posti al risarcimento delle vittime di rimbalzo vengono letteralmente schiacciati dal peso dell'ingiustizia del danno. Il «mutamento teorico», che ha portato l'art. 2043 c. c. nella dimensione attuale di «vera e propria clausola generale di responsabilità civile», è «di per sé sufficiente ad eliminare ogni rilevanza al requisito dell'intersoggettività».

In definitiva, il quadro che ci consegnano le sentenze in commento denota come la giurisprudenza si sia ormai assestata su di una posizione decisamente favorevole al risarcimento delle vittime di rimbalzo, a prescindere che si tratti di ipotesi di uccisione o di pregiudizi connessi alla lesione della vittima iniziale.

Al centro dei danni riflessi si pone come cardine la dimensione esistenziale delle vittime di rimbalzo o, meglio, il complesso dei valori umani che discendono dai legami famigliari. Tale dimensione non solo illumina il sistema risarcitorio fino alla «costituzionalizzazione» dello stesso danno morale, ma, affondando le sue radici nel concetto piú autentico dell'ingiustizia, finisce per risolvere del tutto le ultime resistenze in merito alla legittimazione attiva dei congiunti a ricevere tutela risarcitoria sia in sede civile che penale, a prescindere che si tratti di fatal accidents o di ipotesi di sopravvivenza della vittima iniziale.

I danni non patrimoniali dei congiunti: troppe «etichette» di danno?

Le sentenze in commento, tutte accomunate da un marcato approccio favorevole al risarcimento dei congiunti, pongono, come si è già anticipato in premessa, un problema di base di non poco conto. Infatti, diverse denominazioni di danno (rectius, categorie descrittive dell'obbligazione risarcitoria) intervengono su fattispecie naturalistiche di pregiudizio del tutto coincidenti e dotate di un denominatore giuridico comune: la modificazione in peius del rapporto relazionale con un congiunto, in primis rilevante ai sensi dell'art. 2 Cost., e cioè l'alterazione, di segno negativo, della qualità della vita della «vittima di rimbalzo». Orbene, si tratta solo di «etichette» diverse per danni uguali o di pregiudizi diversi che vanno tenuti distinti entro categorie autonome? Il danno esistenziale, riconosciuto dai Tribunali di Milano, di Palermo e di Agrigento, è diverso dal danno edonistico della sentenza fiorentina? È diverso, a sua volta, dal danno da lesione del rapporto parentale riconosciuto a suo tempo dai Tribunali di Treviso e di Milano, o dal danno alla serenità familiare, oppure dal danno biologico (psichico) temporaneo risarcito a Torino o, ancora, dal danno morale «costituzionalizzato» di cui alla sentenza della Suprema Corte in Lunetta? Vi è una categoria, tra tutte queste, cui accordare preferenza?

L'interprete è ovviamente libero di ritenere preferibile l'etichetta del «danno per la lesione del rapporto familiare» a quella del danno esistenziale in forza del piú immediato riferimento della prima denominazione all'interesse protetto (93). Oppure di accordare la sua preferenza al danno esistenziale in quanto categoria in grado di assurgere, per la sua ampiezza descrittiva e per il suo riferimento diretto agli interessi sottesi, a macrocategoria, a quarta voce di danno accanto a quelle «classiche» dei danni biologico, morale e patrimoniale. O ancora di ritenere che la soluzione del Tribunale di Torino (danno psichico temporaneo) non descriva nella sua interezza il pregiudizio subito dai congiunti (non solo alterazioni della psiche, ma stravolgimento della qualità della vita e quindi della personalità). Sempre nello stesso solco si possono tracciare raffinate distinzioni tra «danno esistenziale biologico» e «danno esistenziale non biologico», attribuendo cosí alla figura in questione il ruolo di supercategoria. L'interprete è pure libero di individuare una cesura netta tra le conseguenze esistenziali e quelle sulla salute psichica della vittima, cosí come di sondare a fondo la differenza tra il danno morale e la modificazione in peius delle qualità di vita, mettendo acutamente in luce la (sottile) distinzione tra il «sentire» e il «non poter piú fare».

Quale tra queste soluzioni risulta preferibile?

Invero, ciò che importa è che il pregiudizio subito dalla vittima sia integralmente risarcito. Tutte le categorie sopra esaminate, hanno il pregio di realizzare questo scopo. Le nuove figure di danno, e primariamente il danno esistenziale, intervengono infatti per colmare delle lacune presenti nel sistema. In particolare, l'insistere su etichette nuove, quali il danno esistenziale oppure il danno da lesione della serenità famigliare o le altre sopra riportate, e sull'opportunità che le sentenze, attraverso un'operazione di distinguishing, riconoscano tali categorie accanto a quelle tradizionali continua a trovare le sue ragioni nella necessità di affermare una tutela risarcitoria della persona a tutto tondo, protezione che il danno biologico, anche a fronte delle sue recenti definizioni legislative, ed il danno morale, nella sua veste tradizionale (94), non riescono oggi a garantire. Inoltre, l'accostamento di ulteriori figure di danno a quelle tradizionali si rende necessario a fronte degli automatismi che si sono venuti ad affermare nella quantificazione delle figure classiche del sistema risarcitorio, ovvero il danno biologico e quello morale (95). Infatti, non può che ingenerarsi l'aspettativa di ulteriori voci di danno il momento in cui nella prassi quotidiana delle corti si applicano con rigidità i valori tabellari del danno biologico oppure si fa ricorso in via esclusiva al principio della liquidazione del danno morale proporzionato nella misura massima della metà di quanto liquidato a titolo di danno biologico o, ancora, per i danni dei congiunti si usano in modo automatico le cosiddette «graduatorie degli affetti» (96) monetizzate (97).

Ciò premesso, se si tiene a mente proprio questo obiettivo di realizzare una protezione risarcitoria delle vittime integrale, la libertà degli interpreti di utilizzare diverse categorie descrittive dell'obbligazione risarcitoria non sembra affatto costituire un problema. Anzi, gli eccessi dogmatici nella costruzione delle categorie di danno non hanno mai reso giustizia alle vittime: ciò lo hanno dimostrato il danno morale subiettivo ed il danno biologico in tutti questi anni. Inoltre, l'arrovellarsi troppo su sottili distinzioni tra le varie categorie di danno non patrimoniale rischia, conducendo ad un indesiderato «blablabla» di teorie e sotto-teorie, di fare smarrire agli interpreti l'essenza piú autentica del danno esistenziale e di tutte le altre categorie di danno non patrimoniale che si sono venute ad affiancare alla bipartizione classica danno morale/danno biologico. L'idea che soggiace al danno esistenziale o al danno morale «costituzionalizzato» o al «danno psichico temporaneo», è sempre la stessa e non merita di annegare in cristallizzazioni concettuali e dogmatiche: il principio base è che il danno non patrimoniale, qualsivoglia sia la veste con cui esso si presenta nelle sentenze, non può soggiacere a limitazioni ulteriori rispetto ai noti requisiti di ordine probatorio, soprattutto laddove si tratti di interessi tutelati dall'ordinamento. Esso, con altre parole, dovrà sempre risultare risarcibile ex art. 2043 c. c. (98). Questa è l'idea del danno esistenziale, ma anche del danno edonistico di Firenze, del danno psichico temporaneo di Torino e di tutte le altre categorie di danno non patrimoniale che possano sfociare dalla sempre fervida fantasia degli interpreti. È la stessa idea che si coglie nella decisione della Cassazione n. 7713/2000 (99), in cui la Suprema Corte, aprendosi peraltro per la prima volta al danno esistenziale (100), ha affermato expressis verbis che «l'articolo 2043 c. c., correlato agli articoli 2 e e segg. Costituzione, va cosí necessariamente esteso fino a ricomprendere il risarcimento non solo dei danni in senso stretto patrimoniali, ma di tutti i danni che almeno potenzialmente ostacolano le attività realizzatrici della persona umana». Se il pregiudizio non patrimoniale è provato, anche solo attraverso presunzioni, esso va risarcito, perché solo per questa via i principi della responsabilità civile acquisiscono piena efficienza. Ciò che conta, in fondo, è che il Giudice, una volta accertato l'illecito civile, risarcisca il danno che la vittima ha patito. E ben si possono accettare in quest'ottica anche risarcimenti per danni non patrimoniali in re ipsa, e cioè per danni le cui conseguenze non vivono necessariamente in una dimensione temporale, ma risiedono in primis nel fatto stesso di avere subito un illecito (esattamente come si risarcisce il danno morale in presenza di reato). Se il reato «offende», anche l'illecito civile reca «offesa» alla persona che lo subisce: il pregiudizio è immanente all'offesa. Eventuali conseguenze, che siano apprezzabili solo in una dimensione temporale, incideranno invero sul quantum, incrementandolo.

In definitiva, la questione è di sostanza, non di etichette.

Se si tiene bene presente questo punto, cade allora la necessità di condurre una ricerca esasperata sulle linee di confine tra le varie voci di danno non patrimoniale, ricerca che potrebbe sfociare in pura estetica del diritto, se non diventare un vero e proprio boomerang. Sotto quest'ultimo profilo, infatti, siffatta ricerca potrebbe condurre a circoscrivere i contenuti di categorie quali il danno esistenziale, ponendo cosí nuovi paletti. Per questa via si potrebbe ad esempio giungere a ritenere che il danno esistenziale riguardi solo lo stravolgimento permanente dell'esistenza di un soggetto, lasciando stati d'ansia, disturbi psichici, sofferenze morali e altre conseguenze psicologiche ancora in mano al 2059 c. c. oppure fuori dalla portata risarcitoria (101). In altri termini circoscrivere a livello contenutistico, quantitativo e qualitativo categorie come il danno esistenziale può spegnere o in ogni caso ridurre la portata innovativa delle stesse sotto il profilo dell'estensione risarcitoria delle vittime in relazione alla loro personalità.

A ciò si aggiunga che sicuramente siamo dinanzi alla costruzione, ancora in fieri, di un nuovo e migliore sistema risarcitorio. Siamo cioè dinanzi ad una fase di transizione verso nuovi e piú evoluti equilibri. Questa rivoluzione in corso, che risponde peraltro ad istanze della società degne di ogni considerazione, necessita, in corso d'opera, di continui aggiustamenti e di una certa flessibilità. Circoscrivere anche le categorie di danno nuove oppure fare battaglie su singole etichette rischia di togliere flessibilità e dinamicità ad un'evoluzione ancora in corso.

In definitiva, non occorre interrogarsi piú di tanto sulla sussistenza di rigide demarcazioni tra le nuove tipologie di danno, oppure se il danno esistenziale possa o meno avere tra i suoi contenuti stati d'ansia o di sofferenza psichica che non costituiscono patologia, o ancora, per quanto riguarda soprattutto i danni non economici dei congiunti, su quale denominazione debba essere preferita. Nella fattispecie della tutela accordata ai congiunti il danno edonistico sicuramente coincide con il danno esistenziale (102). A sua volta, il danno da lesione del rapporto parentale non si distingue da questi ultimi. Il danno psichico temporaneo del Tribunale di Torino è indubbiamente un alter ego del danno esistenziale, perfettamente interscambiabile con questa categoria. Il danno biologico, quando risarcibile, può sicuramente ricomprendere i riflessi esistenziali, sempre che lo strumento della valutazione in via equitativa sia correttamente utilizzato con un'adeguata «personalizzazione» del danno. Il danno morale «costituzionalizzato» ben può assorbire il danno esistenziale e viceversa. At the end of the day, queste sono tutte voci di danno non patrimoniale, sono vasi comunicanti attraverso i quali si muovono le conseguenze, anche solo immediate, dell'illecito. Come correttamente osserva il Tribunale di Palermo nella sentenza riportata in epigrafe «le nuove figure di danno via delineate a partire dagli anni 70, quali il danno alla vita di relazione, il danno all'identità sessuale, sino al danno biologico ... presentano tutte un comune elemento: la tutela risarcitoria da accordare al danneggiato a fronte della modificazione peggiorativa della fase dinamica della propria esistenza, cioè l'esplicazione della propria individualità».

Ovviamente l'impostazione fin qui seguita si presta ad essere criticata sotto piú punti di vista, anche da parte di chi condivide la stessa meta, e cioè in buona sostanza i sostenitori del danno esistenziale quale categoria dotata di forza assorbente dei contenuti delle categorie tradizionali.

Le accuse ad un ragionamento di questo tipo sono facilmente prevedibili. Si potrebbe ad esempio osservare che per questa via, caratterizzata da una sostanziale indifferenza alle etichette di danno, si possono solo generare incertezze e favorire duplicazioni di danni. Inoltre, il fenomeno in corso potrebbe essere bollato come un vero e proprio «gioco delle categorie» in cui corti e dottrina si avvicendano con gusto senza però approdare a risultati apprezzabili. Come un inutile «blablabla» di pura accademia in cui solo gli avvocati delle vittime, da parafanghisti che sono, possono cascarci creando scompiglio. E poi un'impostazione siffatta, in cui l'interprete è libero di scegliere la categoria descrittiva che piú desidera, che cosa offre di pratico a chi deve assistere la vittima e si trova a redigere atti di citazioni e conclusionali?

Sul punto non vi è ombra di dubbio che la libera proliferazione di nuove categorie di danni, bene rappresentata dall'insieme delle sentenze in commento, pone la necessità di razionalizzare in qualche modo gli input che provengono numerosi dalle corti e dalla dottrina: ciò al fine di evitare che molti dei risultati raggiunti vengano poi respinti sull'onda di reazioni restrittive, nel nome della certezza delle regole di compensation e paventando la possibilità di sovrapposizioni (103).

La libertà degli interpreti di muoversi tra nuove categorie deve cioè fare i conti anche con esigenze di tipo pratico, oltre che con il background tecnico e lessicale degli operatori del diritto. Il sovrapporsi di piú categorie di danno, che esulano da quelle strettamente tradizionali, non risulta per certo alla portata dei liquidatori delle compagnie assicuratrici (sempre piú impreparati e comunque sottoposti a precise direttive insensibili alle innovazioni), né alla portata di taluni giudici (spesso restii, anche solo per svogliatezza, a levarsi dai comodi giacigli offerti da tabelle, quantificazioni automatiche e categorie di danno ormai pacifiche). Con le «etichette» di danno si può certo giocare a lungo, fino a perdersi. Tuttavia chi assiste le vittime non desidera certo passare per un alchimista, che si inventa ripetutamente nuovi danni e si prefigge di esasperare a dismisura i risarcimenti saltellando da una formula all'altra. Per questa via non si vincono invero le cause. Il plaintiff lawyer non gioca con le categorie, ci lavora per una migliore tutela del proprio cliente.

Se dunque da un punto di vista teorico la razionalizzazione degli schemi risarcitori al fine di evitare duplicazioni non richiede quale output finale l'individuazione di una nuova macrocategoria unificante, che si affianchi, in una sorta di triade, al danno biologico e al danno morale, né richiede di tracciare rigide linee di demarcazione tra le voci di danno nuove e quelle precedenti, alla ricerca di un'identità inafferrabile e sfuggente, tuttavia ragioni pratiche suggeriscono di insistere oggi su un'unica voce di danno, il danno esistenziale. Quest'ultimo, utilizzato quale categoria che interviene per riempire spazi di pregiudizio lasciati vuoti dalle figure tradizionali, permette di opporsi a strategie di contenimento dei risarcimenti, sottraendosi al contempo a critiche circa rischi di moltiplicazioni di nuove categorie all'infinito. Non si può in particolare dimenticare che il danno esistenziale, come bene dimostrano alcune delle sentenze in esame, è tuttora l'arma piú efficace in una battaglia per il definitivo superamento dell'art. 2059 c. c. È la categoria piú «easy to spot», come risulta altresí dimostrato dall'interesse mediatico che essa ha suscitato in questi ultimi tempi. Ben vengano in questa prospettiva altre decisioni come quella dei Tribunali di Milano, Agrigento e Palermo. In altri termini la difesa del danno esistenziale e della sua riconduzione entro l'art. 2043 c. c. bene si spiega sotto il profilo di una precisa strategia politica del diritto, soprattutto per i casi in cui le categorie tradizionali non possano intervenire a soddisfare compiutamente la tutela risarcitoria delle vittime. Una strategia politica che si pone in aperto contrasto con chi, tolto il caso del danno alla salute (peraltro limitato a quello stimabile medicolegalmente), vorrebbe ricondurre le perdite esistenziali entro nuovi paletti (104).

Sussistono quindi ottime ragioni per ritagliare uno spazio operativo ad hoc per la categoria del danno esistenziale, lasciando tuttavia almeno un certo margine di flessibilità alla libertà creativa degli interpreti. Questa è una soluzione pratica che si spiega perfettamente in relazione al particolare contesto storico del sistema risarcitorio, che, come si è detto, si muove verso una nuova dimensione, ma non si è ancora assestato.

In questa prospettiva allora ben si può accogliere una soluzione quale quella dei Tribunali di Milano e di Agrigento, che ci presentano il danno esistenziale come una categoria che completa, nel vero senso della parola, il sistema risarcitorio, raggruppando, per razionalizzare ed ordinare, tutti i pregiudizi diversi da quelli già coperti dal danno biologico e dal danno morale.

Tutto ciò ovviamente ha senso a meno che non si voglia sin da subito smontare dalle radici l'approccio metodologico al sistema risarcitorio e quindi fare piazza pulita delle categorie vecchie e nuove, prendendo anche spunto da altri ordinamenti giuridici che nella prassi convogliano, al momento della liquidazione, tutti i pregiudizi non patrimoniali entro una sola macrocategoria di danno (105).

Quanto poi alla gestione concreta del problema di eventuali duplicazioni di danno, una volta inserito nel sistema il danno esistenziale per ragioni pratiche e di politica del diritto (rectius, di giustizia), si tratta di muoversi prima di tutto facendo ricorso al buon senso.

Ora, sul punto è sicuramente opportuno chiarire che il Giudice può senza dubbio riconoscere il danno biologico accanto a quello esistenziale, oppure quello esistenziale accanto a quello morale, malgrado le sovrapposizioni di contenuti sostanziali: del resto, ciò accade già quando si risarciscono danno biologico e danno morale insieme, il che è una prassi consolidata da tempo.

Inoltre, non si vede per quali ragioni il giudicante non possa, nell'esercizio del suo potere discrezionale, decidere di scomporre il danno non patrimoniale in piú categorie descrittive delle conseguenze negative dell'illecito sul valore uomo. Una tale operazione può peraltro permettere alla vittima, cosí come agli avvocati delle parti, di comprendere meglio a quali profili del pregiudizio subito sia stato attribuito rilievo da parte del magistrato e in quale misura per ogni singola voce.

Il vero problema non è quello di trovarsi dinanzi a sentenze che descrivono e risarciscono il danno non patrimoniale attraverso piú categorie. Ciò che invece il magistrato, nell'ambito di una corretta valutazione equitativa, dovrebbe evitare è di giungere per siffatta via a risarcire una somma che non sia equa nella sua globalità. Rimane cioè valido quanto rilevato correttamente in dottrina (106): ci muoviamo in un contesto di pregiudizi non patrimoniali e di valutazione equitativa, cosicché compito del giudice sarà proprio quello di contemperare tra loro le singole voci risarcitorie onde evitare possibili duplicazioni. In altri termini, poco importa se il giudice, accanto al danno biologico liquida anche una somma a titolo di danno esistenziale, purché le somme allocate, globalmente considerate, configurino nel loro complesso un risultato equo e non una mera duplicazione dello stesso danno.

Sicuramente, ciò che è auspicabile è che in un prossimo futuro, allorquando il danno non patrimoniale sarà definitivamente «liberalizzato», i pregiudizi non pecuniari, anche individuati tramite piú categorie, trovino poi un output finale unico a livello di quantum, come ad esempio è avvenuto nella decisione del Tribunale di Milano riportata in epigrafe (riconduzione delle diverse categorie di danno non patrimoniale entro un'unica somma risarcitoria). Soluzione questa decisamente pratica, ma che costituisce la normalità in molti altri sistemi giuridici. In quest'ottica, nei casi di lesione dell'integrità psicofisica il danno biologico, correttamente liquidato, potrà sicuramente essere quello piú idoneo a svolgere siffatta funzione. Nelle altre ipotesi potrà essere sufficiente liquidare una sola posta a titolo di danno non patrimoniale. Il riferimento è ovviamente alla categoria inglese dei general damages.

Che cosa rimane oggi dell'art. 2059 c. c.?

Le sentenze in commento lasciano l'interprete dinanzi ad un quadro ben preciso: 1) il danno esistenziale è ormai largamente condiviso e «preso sul serio» (107) non solo dalle corti di merito, ma anche dalla stessa Cassazione (108); 2) le categorie del danno esistenziale e le altre ad esso assimilabili rendono sempre risarcibili, al di fuori dell'art. 2059 c. c., i danni non patrimoniali conseguenti alla violazione di posizioni giuridicamente tutelate o, perlomeno, di quelle riconosciute dalla nostra Carta costituzionale a partire dall'art. 2 Cost.; 3) peraltro, il danno morale, secondo quanto suggerito dalla Sezione III della Cassazione civile nella decisione Lunetta in commento, va pure esso sottoposto a lettura costituzionale, cosicché diventa praticamente risarcibile al di fuori dai limiti dell'art. 2059 c. c. Inoltre, siffatto quadro non risulta circoscritto alle decisioni qui in commento, ma è invero ben piú ampio, come dimostrano due recenti sentenze della Cassazione in tema di lesione della reputazione: Morena Belli Valletta c. Monte dei Paschi di Siena (109) e Cancani c. Paglierini (110). In particolare in queste due pronunce la Suprema Corte, nell'ottica di una concezione monistica dei diritti della personalità, ribadiscono che tutti pregiudizi ai diritti che rientrano tra quelli fondamentali attributi della personalità umana devono trovare indefettibilmente ristoro ai sensi dell'art. 2043 c. c. Che cosa rimane dunque del vecchio «brontosauro»?

Allo stato attuale e tenendo soprattutto conto della decisione della Cassazione in Lunetta, l'art. 2059 c. c. si presenta come una norma sostanzialmente vuota. Tuttavia, essa continua ad esistere sulla carta e la sua sopravvivenza non può certo passare inosservata, anche perché vi sono interpreti che sicuramente impediranno di staccare la spina e consegnare al riposo definitivo tale articolo. Quali scenari potrebbero dunque prospettarsi all'interprete nel prossimo futuro?

A parte eventuali interventi legislativi, su cui non pare oggi possibile formulare previsioni (111), tre potrebbero risultare le strade: 1) le corti, traendo spunto dalla decisione della Cassazione in Lunetta, sanciranno il pieno svuotamento della norma avviando la rivoluzione in corso del sistema risarcitorio verso una posizione di equilibrio; 2) parte della giurisprudenza e della dottrina cercheranno di arginare il fenomeno espansivo in corso, riconducendo sotto il 2059 c. c. o tutti i danni non patrimoniali diversi dal danno biologico oppure perlomeno tutti gli emotional distress e cioè tutti quei perturbamenti passeggeri che non degenerano in qualcosa di «esistenzialmente» significativo sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo e di durata (112); 3) l'art. 2059 c. c., in ragione del suo stretto collegamento con l'estrema gravità della condotta (tanto grave da costituire reato), inizierà ad essere utilizzato a scopi essenzialmente sanzionatori (ad esempio, con la configurazione di un «danno morale sanzionatorio», distinto dal «danno morale compensativo» risarcibile ex art. 2043 c. c.).

In realtà, all'interno della dottrina le scelte di campo risultano già ben delineate. Da un lato la Scuola pisana, in reazione a fenomeni espansivi quali in primis il danno esistenziale, ha tracciato la propria linea d'azione, che consiste nel ricondurre entro l'art. 2059 c. c. tutte le voci di danno non patrimoniale ad eccezione del danno alla salute (rectius, danno alla salute comunque intriso di stimabilità medico legale), spostando l'interpretazione di tale norma dal requisito del reato alla condizione della gravità dell'offesa (113); dall'altro lato vi sono scuole, quale quella torinese, che, facendo perno sul danno esistenziale, mirano ad un definitivo superamento dell'art. 2059 c. c. al fine di ricondurre l'intera tematica del risarcimento entro il 2043 c. c., e scuole, quale quella triestina, che, impegnate nel tentativo di giungere ad un inquadramento sistematico del danno esistenziale ben preciso, intendono sancire il definitivo spostamento di tutti i pregiudizi non patrimoniali nel 2043 c. c., ad eccezione, per quanto consta, del solo danno morale (circoscritto a livello contenutistico a perturbamenti veramente passeggeri, alle «lacrime sul cuscino» e alle «notti insonni»), che viene lasciato al 2059 c. c.

Se questo è effettivamente il quadro, allora le sentenze in esame, che certo segnano ulteriori punti a favore per una maggiore apertura dell'art. 2043 c. c. al risarcimento dei pregiudizi esistenziali, vanno considerate come un particolare momento, sicuramente significativo, di uno scontro ancora aperto sull'alternativa tra un sistema risarcitorio fondato interamente sull'art. 2043 c. c. ed un sistema bipolare di risarcimento che vede ancora in gioco il 2059 c. c.: un conflitto che si gioca intorno a precise ideologie del sistema risarcitorio e che, in quanto quintessenza della politica del diritto, non potrà che concludersi con la scesa in campo del legislatore, fermo restando che non c'è nulla di meno definitivo e intaccabile di una legge, soprattutto in un ordinamento come il nostro che pone quale cardine la costituzionalizzazione del principio della restitutio in integrum e che spesso viene riformato con interventi legislativi di dubbia validità (114).

Questo scontro si è venuto in tempi recenti a caratterizzare per la forte pressione delle compagnie di assicurazioni, cui però non corrisponde, diversamente da altre realtà giuridiche (115), un gruppo organizzato e coeso di plaintiff lawyers, che a loro volta svolgano un'opera di sensibilizzazione sugli interessi delle vittime. In altri termini, si tratta di un dibattito zoppo e che denota una lacuna non indifferente nella professione forense italiana. Ciò malgrado, il danno esistenziale prosegue il suo cammino.

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(1) Sulla tutela risarcitoria dei congiunti cfr. ex multis i seguenti contributi: Ziviz, Attesa consapevole della morte e danno psichico, in Resp. Civ. e Prev., 2001, 557 e segg.; Navarretta, Danno da morte e danno alla salute, in La valutazione del danno alla salute, a cura di Busnelli e Bargagna, 4ª ed., Padova, 2001; Rossetti, Il danno da lesione della salute, Padova, 2001, 828 e segg.; Ponzanelli, Danno edonistico: verso la creazione di un tertium genus o verso la valorizzazione dei rimedi esistenti?, in Danno e responsabilità, 2001, 99 e segg.; Simeoli, Sul cosiddetto «danno edonistico», in Giur. di Merito, 2001, 213 e segg.; Ziviz, Il danno edonistico: un nuovo nome per il pregiudizio derivante dalla morte del congiunto, in Resp. Civ. e Prev., 2000, 1442 e segg.; Caso, Danno per lesione del rapporto parentale: tra esigenze di giustizia e caos risarcitorio, in Danno e Resp., 2000, 67; Peccenini, Danni riflessi e danno esistenziale, in Tagete - Rivista medico giuridica sul danno alla persona, 2000, n. 4, 144 e segg.; Barzazi, Bosio, Demori, Roncali, Il danno da morte, Padova, 2000; Caso, Danno per lesione del rapporto parentale: tra esigenze di giustizia e caos risarcitorio, in Danno e Resp., 2000, 67 e segg.; Chindemi, Il danno edonistico, in Nuova Giur. Comm., 2000, 9; Arrigo, Il danno alla persona come danno biologico. Le nuove tipologie di danni risarcibili ai congiunti. I criteri di quantificazione del danno, in AA. VV., Risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale, a cura di Visintini, Milano, 1999, 201 e segg.; Petti, Il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale della persona, Torino, 1999, 175 e segg.; Ziviz, La tutela risarcitoria della persona, Milano, 1999, 243 e segg.; Bona, Lesioni mortali e danni tanatologici non pecuniari: danni risarcibili, quantificazione e questioni aperte, in Monateri, Bona e Oliva, Il nuovo danno alla persona, Milano, 1999, 81 e segg.; Franzoni, Il danno da uccisione, in La responsabilità civile, a cura di Cendon, VII, Torino, 1998, 179 e segg.; Ziviz, Il danno non patrimoniale, ibidem, 332 e segg.; Pellecchia, Dal figlio indesiderato al desiderio di un figlio (e di un fratello): brevi note su ingiustizia del danno, danni riflessi e vittime secondarie, in Danno e Resp., 1998, 898 e segg.; Monateri e Bona, Il danno alla persona, Padova, 1998, 291 e segg.; Monateri, La responsabilità civile, Torino, 1998, 489 e segg.; Giannini e Pogliani, Il danno da illecito civile, Milano, 1997; Pellecchia, La Corte di Cassazione e i cosiddetti danni riflessi: divagazioni e decisioni sul tema, in Resp. Civ. e Prev., 1991, 453.

(2) Sul processo di estensione della tutela risarcitoria dei congiunti si rinvia a Arrigo, Il danno alla persona come danno biologico. Le nuove tipologie di danni risarcibili ai congiunti. I criteri di quantificazione del danno, cit., 201 e segg.

(3) Siffatta valorizzazione coincide con il successo, sempre piú manifesto, del danno esistenziale, bene rappresentato anche nelle decisioni riportate in epigrafe. In dottrina su tale categoria si rinvia da ultimo ai seguenti contributi: Cendon, Esistere o non esistere, in Trattato breve dei nuovi danni, a cura di Cendon, I, Padova, 2001, 2 e segg.; Bona e Castelnuovo, P.A., pretese del cittadino e danno esistenziale, in Danno e Resp., 2001, 981 e segg.; Torino, Nascita inaspettata di figlia malforme e danno esistenziale della madre, in Corriere Giur., 2001, 781 e segg.; Ziviz, Danno biologico e danno esistenziale: parallelismi e sovrapposizioni, in Resp. Civ. e Prev., 2001, 417 e segg.; Cassano, Contravvenzioni illegittime e risarcimento del danno esistenziale, in Il Giudice di Pace, 2001, 193 e segg.; Id., Danno esistenziale, e cosí sia!, in Fam. e Dir., 2001, 425 e segg.; Bilotta, Il danno esistenziale: l'isola che non c'era, in Danno e Resp., 2001, 392 e segg.; Chiarloni, Danno esistenziale e attività giudiziaria, in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 2001, 759 e segg.; Bona, Mancata diagnosi di malformazioni fetali: responsabilità del medico ecografista e risarcimento del danno esistenziale da «wrongful birth», in Giur. It., 2001, 735 e segg.; Cassano, Intervento di sterilizzazione, nascite indesiderate e danni incidenti nella sfera «esistenziale», in Fam. e Dir., 2001, 106 e segg.; Cendon, Esistere o non esistere, in Resp. Civ. e Prev., 2000, 1251 e segg.; Ziviz, Continua il cammino del danno esistenziale, ibidem, 930 e segg.; Pizzetti, Il danno esistenziale approda in Cassazione, in Giur. It., 2000, 1352; Monateri, «Alle soglie»: la prima vittoria in Cassazione del danno esistenziale, in Danno e Resp., 2000, 837; Bona, Danno morale e danno esistenziale, in Monateri, Il danno alla persona, I, Torino, 2000, 99 e segg.; Bilotta, Profili del danno esistenziale nella procreazione, in Resp. Civ. e Prev., 2000, 337 e segg.; AA. VV., Il danno esistenziale - Una nuova categoria della responsabilità civile, a cura di Cendon e Ziviz, Milano, 2000; Ziviz, Il danno esistenziale preso sul serio, in Resp. Civ. e Prev., 1999, 1343 e segg.; Id., La tutela risarcitoria della persona - Danno morale e danno esistenziale, Milano, 1999; Monateri, Alle soglie di una nuova categoria risarcitoria: il danno esistenziale, in Danno e Resp., 1999, 7. Accanto ed in parallelo all'elaborazione dottrinale negli ultimi anni il danno esistenziale ha incontrato altresí un sempre piú crescente consenso da parte dei giudici di merito. Oltre alle decisioni riportate in epigrafe si segnalano le seguenti: Trib. Gorizia, 24 settembre 2001, n. 446, ined. (danno esistenziale dei condomini da inquinamento olfattivo da felini); Id. Bergamo, Sez. I, 22 settembre 2001, ined. (sempre in tema di danno dei congiunti); G.d.P. Sora, 22 agosto 2001, ined. (danno esistenziale da limitazione delle ordinarie occupazioni del vivere, derivante da distorsione del rachide cervicale); Trib. Vibo Valentia, Sez. distaccata di Tropea, 28 maggio 2001, ined. (in tema di danno da perdita della vita risarcibile iure successionis, qualificato appunto come danno esistenziale iure successionis); Id. Torino, Sez. lav., 18 aprile 2001, n. 1618, G. U. Sanlorenzo, ined. (danno da demansionamento professionale); G.d.P. Torino, 21 marzo 2001, n. 1229, Giud. Falchi, ined. (danno esistenziale da perdita dell'autovettura); Trib. Milano, Sez. XII, 15 marzo 2001, G. U. Chindemi, in Giur. milanese, 2001, 344 (danno esistenziale da ingiurie e minacce perpetrate dall'ex compagno); G.d.P. Bologna, 8 febbraio 2001, Giud. Camerani, in Danno e Resp., 2001, 981, con nota di Bona e Castelnuovo (danno esistenziale da condotta illecita della P. A.); Trib. Locri, Sez. distaccata di Siderno, 6 ottobre 2000, in Giur. It., 2001, con nota di Bona (danno da wrongful birth); Id. Torino, Sez. IV, 28 giugno 2000, est. Damiano, ined. (danno dei congiunti per morte della vittima principale); Id. Milano, 8 giugno 2000, in Resp. Civ. e Prev., 2000, 923, con nota di Ziviz (danno esistenziale illegittimo protesto); Id. Milano, 21 ottobre 1999, ivi, 1999, 1335, con nota di Ziviz; G.d.P. Casamassima, 10 giugno 1999, in Danno e Resp., 2000, 89, con nota di Bona, in Resp. Civ. e Prev., 1999, 1335, con nota di Ziviz; Trib. Milano, 20 ottobre 1997, in Danno e Resp., 1999, 82, con nota di Bona (danno da perdita del frutto del concepimento); Id. Verona, 26 febbraio 1996, in Dir. informazione e informatica, 1997, 1436 (danno all'immagine); Id. Torino, 8 agosto 1995, in Resp. Civ. e Prev., 1996, 282, con nota di Ziviz (danno ai congiunti). Deve infine rilevarsi come la stessa Suprema Corte sia pervenuta a dare una prima risposta positiva al danno esistenziale: Cass., Sez. I, 7 giugno 2000, n. 7713, in Giur. It., 2000, 1352, con nota di Pizzetti, in Danno e Resp., 2000, 835, con note di Monateri e Ponzanelli; Cass., Sez. lav., 3 luglio 2001, 9009, ined.

(4) Nella direzione di una nuova dimensione dell'art. 2 in ambito di responsabilità civile e tutela dei congiunti si pone la decisione della Sezione penale della Cassazione riportata in epigrafe.

(5) Corte cost., 27 ottobre 1994, n. 327, in Foro It., 1994, I, 3297, con nota di Ponzanelli, in Giur. It., 1994, I, 409, con nota di Jannarelli, in Giust. Civ., 1994, I, 3029, con nota di Busnelli, in Corriere Giur., 1994, 1455, con nota di Giannini. In allora, come si vedrà oltre, la Consulta rilevò come il danno dei congiunti, sia biologico che morale, andasse collocato nell'ambito del 2059 c. c.

(6) Come già posto piú volte in luce dalla dottrina le espressioni «danni riflessi» e «vittime di rimbalzo» derivano dal lessico giuridico francese. Si tratta ovviamente di mere «etichette» cui non va attribuito alcun particolare rilievo se non una funzione puramente descrittiva. L'idea che sta alla base di tali definizioni è che il fatto illecito, in questi casi, coinvolge una vittima principale e, al contempo, altri soggetti legati a questa (appunto le vittime di rimbalzo, o, all'inglese, «secondary victims»). In altri termini l'illecito civile incide direttamente su diverse posizioni giuridiche tutelate dall'ordinamento e l'intera questione ruota intorno all'individuazione di quali sfere personali siano state lese oltre quella della vittima iniziale. Giustamente, quindi, è stato osservato che «il sintagma "danno riflesso" è correttamente usato - anche se con funzione meramente descrittiva - là dove serve ad unificare tutte le ipotesi di risarcibilità di danni incidenti su persone diverse dalla vittima iniziale del fatto illecito, ma ricollegabili causalmente a quest'ultimo; è, invece, causa di ambiguità, quando si tenda ad identificare il danno riflesso, proprio perché di rimbalzo, con il danno mediato e indiretto, risarcibile ove ricorra, quanto meno, un nesso di regolarità causale», Peccenini, Danni riflessi e danno esistenziale, cit., 144-145. Il rischio di un siffatto utilizzo distorto di tali sintagmi, come è stato posto in luce dalla dottrina, «attiene alla mancata considerazione di quello che, invece, appare il problema preliminare da risolvere, avente ad oggetto, piuttosto, la individuazione di un interesse meritevole di tutela in capo al soggetto diverso dalla vittima iniziale, cosí da poter procedere a quella qualificazione in termini di ingiustizia del danno che costituisce il filtro per la selezione dei danni risarcibili: ove tale processo di qualificazione dovesse risolversi con esito positivo, non si vede per quale ragione il "danneggiato di rimbalzo" - in presenza di tutti gli altri elementi della fattispecie risarcitoria - dovrebbe aver subito solo danni mediati, laddove invece (non diversamente dalle ipotesi in cui esiste un'unica vittima) ben potrebbe aver subito pregiudizi tanto diretti e immediati, quanto indiretti e mediati», Pellecchia, Dal figlio indesiderato al desiderio di un figlio (e di un fratello): brevi note su ingiustizia del danno, danni riflessi e vittime secondarie, cit., 899. In questo stesso senso cfr. Bianca, Diritto Civile, 5, La responsabilità, Milano, 1994, 115. 

(7) Cass., 17 novembre 1944, in Giust. Pen., 1945, III, 49, con nota di Bernieri; Cass., 26 febbraio 1937, ivi, 1937, IV, 549.

(8) Cass., 8 aprile 1959, n. 1041, in Resp. Civ. e Prev., 1960, 164, in cui si legge che «non è possibile disconoscere, anche in base a nozioni di comune esperienza, che la morte violenta del coniuge, troncando prematuramente e irreparabilmente il vincolo affettivo e il consorzio di vita che lo legava all'altro coniuge, apporti in re ipsa, a quest'ultimo, un complesso, spesso imponente e solo gradualmente sanabile col tempo, di patemi e di turbamenti dell'anima». Inoltre cfr. Cass., 20 maggio 1958, n. 1666, in Resp. Civ. e Prev., 1959, 140.

(9) Cass., 22 luglio 1963, n. 2017, in Resp. Civ. e Prev., 1964, 131.

(10) Cass., 28 febbraio 1964, n. 462, in Resp. Civ. e Prev., 1964, 286. All'epoca in dottrina si osservava che «l'uccisione di un uomo fonda una responsabilità verso il gruppo familiare, perché la tradizione germanistica è giunta ininterrotta fino a noi, e ci consegna l'idea che l'ingiustizia dell'uccisione ... sussista verso i familiari oltreché verso la vittima diretta», Sacco, L'ingiustizia di cui all'articolo 2043 c. c., in Foro Pad., 1960, I, 1441.

(11) Si osservi che nello stesso periodo il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Eu ropa, nella Risoluzione n. 7-75 finalizzata ad avviare il processo di armonizzazione del risarcimento del danno alla persona a livello europeo, si poneva invece a favore della risarcibilità del danno riflesso ai congiunti stretti (padre, madre, coniuge) della vittima iniziale, sia pure limitandolo a casi eccezionali di «sofferenza psichica». Le limitazioni delineate dalla Risoluzione trovavano la loro spiegazione espressamente nella preoccupazione che un eccessivo allargamento della tutela dei congiunti della vittima principale rischiasse in allora di compromettere l'armonizzazione dei diversi sistemi risarcitori. Il testo della Risoluzione è riportato in Monateri, Bona e Oliva, Il nuovo danno alla persona, Milano, 1999, 211 e segg. Sul tema della armonizzazione a livello europeo del danno alla persona cfr. Alpa, Il danno alla persona nella prospettiva europea, in Il diritto privato dell'Unione Europea, a cura di Tizzano, I, Torino, 2000, 787 e Bona, Verso una dimensione europea del danno alla persona, in Monateri, Bona e Oliva, Il nuovo danno alla persona, cit., 165.

(12) Minozzi, Studio sul danno non patrimoniale, Milano, 1917, 265; Scognamiglio, Il danno morale (Contributo alla teoria del danno extracontrattuale), in Riv. Dir. Civ., 1957, 317; Girardi, Sul concetto di danno morale, in Foro It., 1956, IV, 148; Bronzetti, La legittimazione attiva e passiva al risarcimento del danno non patrimoniale, in Arch. Resp. Civ., 1963, 249; Pogliani, Responsabilità e risarcimento da illecito civile, Milano, 1969, 439; Bianco, Limiti alla indennizzabilità del danno non patrimoniale ai parenti della vittima di sinistri, in Dir. e Prat. Assicuraz., 1970, 564; Sodaro, Il danno non patrimoniale, ivi, 1975, 415.

(13) Cass., 21 maggio 1976, n. 1845, in Giust. Civ., 1976, 1652, in Resp. Civ. e Prev., 1977, 282. Precedentemente cfr. Cass., 10 luglio 1968, n. 1412, in Resp. Civ. e Prev., 1969, 501; Id., 15 ottobre 1971, n. 2215, in Giust. Civ., 1971, 1331 e in Giur. It., 1972, I, 1, 294; Id., 25 maggio 1972, n. 1658, in Resp. Civ. e Prev., 1972, 586; Id., 13 aprile 1973, n. 1056, in Foro It., 1974, I, 508. L'orientamento positivo fu seguito solo in alcuni isolati e sporadici precedenti di merito: Trib. Perugia, 30 ottobre 1958, in Rass. Giur. Umbra, 1959, 189; App. Milano, 10 dicembre 1968, in Resp. Civ. e Prev., 1970, 329; Trib. Milano, 15 aprile 1969, in Riv. Circolaz. e Trasp., 1970, 238, con nota di Invernizzi; Id. Biella, 22 febbraio 1972, in Giur. It., 1972, I, 2, 916; Pret. Milano, 17 febbraio 1976, in Dir. Prat. Sin. Strad., 1976, 92.

(14) Cass., Sez. pen., 2 novembre 1983, in Dir. e Prat. Assicuraz., 1984, 697, in Riv. It. medicina legale, 1985, 628, in Cass. Pen., 1985, 97.

 (15) Vedi nota n. 13.

(16) Trib. Milano, 13 maggio 1982, in Resp. Civ. e Prev., 1983, 156.

(17) Il danno morale veniva risarcito nella misura di 50.000 per ciascun coniuge anche a fronte dell'incidenza sulla «serenità necessaria allo svolgimento delle normali relazioni sociali».

(18) Cfr. ad esempio Trib. Busto Arsizio, 21 settembre 1984, in Arch. Civ., 1985, 818; App. Venezia, 7 maggio 1985, in Mass. Giust. Civ., 1985, 1485; Trib. Treviso, 13 marzo 1986, in Resp. Civ. e Prev., 1987, 496.

(19) Cass., 11 novembre 1986, n. 6607, in Foro It., 1987, I, 833, con nota di Princigalli; in Giur. It., 1987, I, 1, 2043, con nota di Patti; in Giust. Civ., 1987, I, 573, con nota di Alpa; in Nuova Giur. Comm., 1987, I, 351, con nota di Ferrando.

(20) Invero, la Cassazione ebbe anche a contraddirsi sul punto negli anni subito successivi, riaffermando in Ente Ospedaliero per la maternità c. Micciantuono e Galera il principio della irrisarcibilità del danno non patrimoniale riflesso da lesione del congiunto: Cass., 16 dicembre 1988, n. 6854, in Resp. Civ. e Prev., 1990, 422, con nota di Mora. In particolare si legge nella decisione citata quanto segue: «non si nega che sul piano pratico la sofferenza della persona lesa possa provocare anche sofferenza dei prossimi congiunti. Però sul piano strettamente giuridico il problema consiste nello stabilire quali soggetti abbiano diritto alla liquidazione della pecunia doloris. Orbene, per il principio della risarcibilità del solo danno diretto e immediato stabilito dall'art. 1223 c. c., il risarcimento del danno non patrimoniale spetta soltanto a chi ha direttamente e immediatamente subito la sofferenza, cioè al soggetto leso e non anche ai suoi prossimi congiunti perché costoro, soffrendo per le sofferenze del proprio familiare, non sono colpiti in modo diretto e immediato dalla condotta lesiva del terzo». Il ripensamento della Cassazione, in netto contrasto con l'impostazione seguita dalla stessa Corte in Santarelli, rimase tuttavia sostanzialmente isolato nel contesto giurisprudenziale che seguí nel periodo immediatamente successivo all'ingresso del concetto del diritto alla serenità familiare. Ad esempio, due anni dopo (Cass., 7 gennaio 1991, n. 60, in Resp. Civ. e Prev., 1991, 446, con nota di Pellecchia; in Foro It., 1991, 459, con nota di Simone), la Suprema Corte, sia pure con riferimento al danno patrimoniale riflesso, ritornò ad affermare il principio per cui anche i danni mediati e indiretti sono suscettibili di risarcimento, purché inquadrabili come effetto normale del fatto illecito.

(21) Giannini, in AA. VV., Giornate di studio sul danno alla salute, Padova, 1990, 265; Id., Il danno biologico in caso di morte, in Resp. Civ. e Prev., 1989, 383.

(22) Trib. Milano, 18 febbraio 1988, in Resp. Civ. e Prev., 1988, 454, con nota di Scalfi; in Nuova Giur. Comm., 1989, I, 152, con nota di Visintini. Nello stesso anno si richiamò al precedente della Suprema Corte in Santarelli anche il Tribunale di Brescia in Fusari e Teccani c. Apostoli e c. Le Assicurazioni d'Italia, in cui una bambina aveva riportato una menomazione dell'integrità psicofisica valutata nella misura dell'80%: Trib. Brescia, 26 ottobre 1988, in Resp. Civ. e Prev., 1988, 1025.

(23) Il danno in questione fu poi individuato in concreto nella somma di lire 50 milioni per ciascun genitore.

(24) Trib. Milano, 18 giugno 1990, in Resp. Civ. e Prev., 1991, 886, in Giur. di Merito, 1992, 385, con nota di Caputo.

(25) Cass., 16 dicembre 1988, n. 6854, cit.

(26) Tuttavia siffatto allargamento della nozione di danno non patrimoniale non trovò poi il suo debito riscontro nel quantum liquidato, che risultò essere di lire 20 milioni per ciascun coniuge e dunque in una somma addirittura minore rispetto al precedente della stessa Corte in Sanna. In breve, la classica dimostrazione che non sempre alle declamazioni segue in concreto un pari risultato.

(27) Trib. Verona, 15 ottobre 1990, in Giur. It., 1991, I, 2, 697; in Foro It., 1991, I, 2161; in Nuova Giur. Comm., 1991, I, 357, con nota di Pucella; in Resp. Civ. e Prev., 1990, 1039, con nota di Navaretta.

(28) Per un excursus sul tema cfr. Bona e Virzí, Procreazione e danno, in Monateri, Bona, Oliva, Peccenini e Tullini, Il danno alla persona, I, Torino, 2000, 229 e segg.

(29) In merito alla rivisitazione dell'art. 1223 c. c. in relazione alla lesione del credito il Tribunale cita i seguenti precedenti: Cass., 5 dicembre 1989, n. 6132, in Foro It., 1989, I, 742; Id., 8 novembre 1980, n. 6008, ivi, 1981, I, 388.

(30) Tale voce di danno, sulla scorta dei precedenti milanesi, fu risarcita in lire 50 milioni per i genitori e in lire 5 milioni per la sorella della vittima.

(31) Il risarcimento per questa voce di danno fu piuttosto cospicuo: lire 150 milioni per ciascun genitore e lire 15 milioni per la sorella.

(32) Trib. Genova, 5 luglio 1993, in Giur. It., 1994, I, 2, 1048 e segg., con nota di Pinori.

(33) Come si è sopra posto in luce, la Cassazione, accanto a decisioni come Santarelli, fece un passo indietro in Ente Ospedaliero per la maternità c. Micciantuono e Galera (Cass., 16 dicembre 1988, n. 6854, cit.) e ribadí il suo precedente orientamento negativo nel 1992: Cass., 17 ottobre 1992, n. 11414, in Arch. Giur. Circolaz., 1993, 158.

(34) App. Roma, 17 marzo 1994, in Assicuraz., 1995, II, 2, 16; Trib. Milano, 4 giugno 1990, in Giur. di Merito, 1992, I, 369; Id. Treviso, 5 maggio 1992, in Resp. Civ. e Prev., 1992, 441, con nota di Comandè; Id. Milano, 26 giugno 1989, n. 5737, in Giannini, Il risarcimento del danno alla persona, Milano, 1991, 136; Id. Treviso, 13 marzo 1986, in Dir. e Prat. Assicuraz., 1987, 405.

(35) Trib. Treviso, 5 maggio 1992, cit. È interessante osservare che danno biologico e danno morale sono stati liquidati dal Tribunale di Treviso entrambi in lire 60.000.000.

(36) Trib. Milano, 2 settembre 1993, in Giur. It., 1994, I, 2, 886, con nota di Pellecchia; in Corriere Giur., 1994, 115, con nota di Giannini.

(37) Trib. Milano, 1° febbraio 1993, in Foro It., 1994, I, 1954, con nota di Salmè.

(38) Come dimostrato proprio dall'associazione tra due voci di danno: danno biologico + danno morale.

(39) Trib. Treviso, 5 maggio 1992, cit., 442. 

(40) Sul punto si veda in particolare la nota di Pellecchia alla sopra menzionata decisione del Tribunale di Milano in Bolignano e Iorio c. La Verde e U.A.P. Italiana S.p.A., Pellecchia, «Lutto e malinconia»: ovvero, della controversa risarcibilità del danno psichico cagionato dalla morte di un congiunto, cit. Comandè, a sua volta, ha rilevato il rischio per la categoria del danno alla salute di diventare «una catch all category, un «sacco» dentro il quale ... si può mettere di tutto, perdendosene cosí, a poco a poco, l'originaria funzione ed il retroterra dogmatico», Comandè, in Resp. Civ. e Prev., 1992, 444.

(41) App. Roma, 17 marzo 1994, in Assicuraz., 1994, II, 2, 16. In questo stesso senso Trib. Crema, 31 dicembre 1993, in Informazione prev., 1993, 1561.

(42) Sulla base di questo principio non è stato risarcito al minore, rimasto orfano di entrambi i genitori, il danno biologico. È stato, tuttavia, riconosciuto al minore il danno morale in lire 300.000.000.

(43) App. Milano, 11 ottobre 1994, in Nuova Giur. Comm., 1995, I, 490, con nota di Chindemi.

(44) Corte cost., 27 ottobre 1994, n. 372, cit.

(45) Trib. Firenze, 10 novembre 1993, in Foro It., 1994, I, 1954.

(46) In particolare: Giannini, La vittoria di Pirrone, cit.; Busnelli, Tre «punti esclamativi», tre «punti interrogativi», un «punto a capo», cit.; Navarretta, Dall'esperienza del danno biologico da morte all'impianto dogmatico sul danno alla persona: il giudizio della Corte costituzionale, cit.

(47) In questo modo la Corte costituzionale ha dato segno di ignorare totalmente la storia dei danni riflessi [su cui Pellecchia, Dal figlio indesiderato al desiderio di un figlio (e di un fratello): brevi note su ingiustizia del danno, danni riflessi e vittime secondarie, in Danno e Resp., 1998, 898; Id., La Corte di Cassazione e i cosiddetti danni riflessi: divagazioni e deviazioni sul tema, in Resp. Civ. e Prev., 1991, 451 e segg.] e l'orientamento della Cassazione, che solo qualche anno prima aveva rilevato in Dall'Olio e De Carli c. Soc. Lavoro e Sicurtà che «può ritenersi ormai acquisito, dalla coscienza sociale e dalla esperienza giurisprudenziale, il dato della ammissibilità, sulla base del disposto dell'art. 1223 richiamato dall'art. 2056 c. c., del risarcimento della lesione dei cosí detti "danni riflessi" o di rimbalzo, secondo l'incisivo usato dalla dottrina francese) di cui sono portatori soggetti diversi dalla vittima iniziale del fatto ingiusto altrui», Cass., 7 gennaio 1991, n. 60, in Resp. Civ. e Prev., 1991, 446. Inevitabile poi il riferimento al risarcimento della lesione del diritto di credito ed al celebre caso Meroni, giocatore del Toro rimasto vittima di un incidente.

(48) È chiaro che la Corte costituzionale in Sgrilli c. Colzi ha attribuito al concetto della prevedibilità un significato decisamente particolare (ed arcaico), per cui siffatta condizione sarebbe soddisfatta solo quando l'autore dell'illecito si rappresenti anche il pregiudizio delle vittime secondarie. Ma in realtà, il requisito della prevedi bilità non richiede l'effettiva rappresentazione, semmai la potenzialità della previsione. Non si comprende inoltre per quali motivi il problema della prevedibilità dovrebbe porsi solo in connessione con il danno biologico (lesione del diritto alla salute) e non invece con il danno patrimoniale subito dai congiunti (lesione del diritto di credito). Sul punto il Franzoni ha osservato che «resta inspiegabile perché del danno da perdita di alimenti il responsabile deve subire la condanna al risarcimento e non invece del danno per la lesione della salute del sopravvissuto. Perché la prevedibilità della colpa nel primo caso non svolge la funzione di filtro nel selezionare l'imputazione del danno, mentre ciò si verifica nel secondo?», Franzoni, Il danno alla persona, Milano, 1995, 222. Osservazioni di questo tipo si ritrovano anche in Navarretta, Dall'esperienza del danno biologico da morte all'impianto dogmatico sul danno alla persona: il giudizio della Corte costituzionale, in Resp. Civ. e Prev., 1994, 996 e segg. Infine, se si analizza il panorama giurisprudenziale, emerge chiaramente che il criterio della prevedibilità non costituisce l'unica via possibile per l'accertamento del nesso causale, ma vi sono, in realtà, diverse teorie (oltre quella della prevedibilità, la teoria della conditio sine qua non, la teoria della causalità adeguata, la teoria dello scopo della norma violata, la teoria della causalità come signoria del fatto), cosicché non è corretto (ma evidentemente strumentale) ricorrere ad una sola di queste. Va comunque qui ribadito che non è sotto il profilo del nesso causale che si può affrontare la questione della selezione dei legittimati attivi all'azione risarcitoria. L'ingiustizia è l'unico meccanismo attraverso cui selezionare le pretese sotto il profilo soggettivo: ciò, in primis, in ragione della stessa lettera dell'art. 2043 c. c. Esclusivamente l'ingiustizia attiene alla posizione del danneggiato rispetto a sue eventuali pretese nei confronti dell'autore dell'illecito. Sostanzialmente in questo senso cfr. anche Arrigo, Il danno alla persona come danno biologico. Le nuove tipologie di danni risarcibili ai congiunti. I criteri di quantificazione del danno, cit., 256-257.

(49) Per la Corte costituzionale l'art. 2059 c. c. costituirebbe, quindi, una fattispecie autonoma di responsabilità; inoltre, l'art. 2043 c. c. non potrebbe in alcun modo riguardare le vittime secondarie. Tuttavia questa impostazione è palesemente errata: il 2059 c. c., come invero si trae dalla sua stessa formulazione e dalla sua collocazione codicistica, svolge, infatti, esclusivamente la funzione di limite risarcitorio in relazione alla categoria del danno morale subiettivo, ma non configura un autonomo sistema di responsabilità, che sia in grado di permettere da solo l'individuazione del soggetto danneggiato. Per quanto riguarda poi l'impossibilità, asserita dalla Consulta, di riferire il 2043 c. c. alle vittime secondarie, non si vede per quali recondite ragioni l'ingiustizia del danno non possa riferirsi anche a questi soggetti laddove ciò che è centrale è la lesione di un interesse protetto dal nostro ordinamento e tale lesione può ben individuarsi anche in relazione ai congiunti della vittima iniziale.

(50) La Cassazione (ad es. cfr. Cass., 29 maggio 1996, n. 4991, in Danno e Resp., 1996, 41, con nota di Navarretta) e le Corti di merito (ad es. cfr.: Trib. Monza, 28 ottobre 1997, in Resp. Civ. e Prev., 1998, 1101 e segg.; Id. Trento, 19 maggio 1995, cit.; Id. Torino, 31 marzo 1995, in Riv. critica dir. lavoro, 1995, 1003) recepirono la decisione della Corte costituzionale solo limitatamente a due punti: 1) per quanto riguarda l'affermazione che «il danno biologico, al pari di ogni altro danno ingiusto, è risarcibile soltanto come pregiudizio effettivamente conseguente ad una lesione» e, pertanto, deve essere sempre dimostrata la sussistenza di una patologia; 2) in relazione alla linea differenziatrice tra danno morale e danno psichico, per cui il primo si esaurirebbe «in un patema d'animo o in uno stato di angoscia transeunte», mentre il secondo è «il momento terminale di un processo patogeno originato dal medesimo turbamento dell'equilibrio psichico che sostanzia il danno morale soggettivo», che degenera in un «trauma fisico o psichico». Vi sono tuttavia decisioni, che si sono discostate da questo indirizzo. Ad esempio, il Tribunale di Napoli, in Nicolella e Strofaldi c. Acampora e SIAD Ass. S.p.A., ha riconosciuto il danno biologico iure proprio sulla base che, per effetto del decesso del congiunto, gli attori avevano subito «una modificazione peggiorativa della qualità della vita, essendo venuto meno quel fascio di relazioni umane identificantesi nella stessa posizione di moglie e figlio», Trib. Napoli, 28 dicembre 1995, in Resp. Civ. e Prev., 1996, 993, con nota di Ziviz.

(51) Trib. Torino, 8 agosto 1995, in Resp. Civ. e Prev., 1996, 282, con nota di Ziviz.

(52) In particolare Ziviz, Alla scoperta del danno esistenziale, in Scritti in onore di R. Sacco, II, a cura di Cendon, Milano, 1994, 1299 e segg. e in La responsabilità extracontrattuale, a cura di Cendon, Milano, 1994, 41 e segg.; Cendon-Gaudino-Ziviz, Sentenze di un anno - 1993, in La responsabilità extracontrattuale, cit., 697. Sul danno esistenziale da uccisione: Ziviz, Il danno non patrimoniale, cit., 378; Monateri-Bona, Il danno alla persona, cit., 380; Lanotte, Il danno alla persona nel rapporto di lavoro, cit., 75; Ziviz, Quale futuro per il danno dei congiunti? (Riflessioni indotte dalla sentenza n. 372/94 della consulta), cit.

(53) Si noti che il Tribunale torinese, affermando la necessità di evitare «un sistema assolutamente automatico consistente nella presunzione che ad ogni compressione del diritto del congiunto ne consegua ipso iure il risarcimento del danno», non ha poi risarcito in concreto il danno esistenziale, ritenendolo nella specie insussistente, in quanto all'epoca dell'evento luttuoso l'attore, pur coabitando con la madre, aveva l'età di 45 anni ed era già coniugato con prole, cosicché non poteva assumersi la lesione del diritto costituzionalmente garantito dall'art. 2 Cost. e «normativamente previsto dall'art. 147 c. c., all'istruzione, all'educazione e al mantenimento».

(54) Trib. Milano, 21 maggio 1999, in Danno e Resp., 2000, 67, con nota di Caso. Nel liquidare il danno da lesione del rapporto parentale il Tribunale milanese ha osservato che, quando sia il decesso di un coniuge, il danno piú importante da risarcire va individuato nel venire meno dello status coniugale, «e cioè il sesso, la compagnia, l'affetto, il sostegno, l'aiuto morale, la costante presenza del compagno e della compagna della vita». Il danno in questione è stato quantificato nella metà della somma risarcita a titolo di danno morale.

(55) Trib. Treviso, 25 novembre 1998, in Danno e Resp., 2000, 67, con nota di Caso. Il Tribunale di Treviso ha liquidato siffatta categoria accanto a quella riconosciuta a titolo di danno morale: lire 80 milioni al coniuge, lire 60 milioni ai figli conviventi, lire 40 milioni al figlio non convivente.

(56) Cfr. nota n. 3.

(57) Cass., 17 settembre 1996, n. 8305, in Resp. Civ. e Prev., 1997, 123, con nota di Pellecchia.

(58) Cass., 23 aprile 1998, n. 4168, in Danno e Resp., 1998, con nota di De Marzo; in Resp. Civ. e Prev., 1998, 1409, con nota di Pellecchia.

(59) Cass., 19 maggio 1999, n. 4852, in Arch. Giur. Circolaz., 2000, 353. Inoltre, a dimostrazione ulteriore dell'apertura odierna della Suprema Corte ai danni riflessi, si rinvia a Cass., 1° dicembre 1998, n. 12195, in Guida al Dir., 1999, n. 8, 66, con nota di Profita, in cui è stato ritenuto risarcibile il danno subito da un marito di una donna, la quale aveva patito un danno alla salute dal mancato aborto e dalla conseguente nascita di un figlio con gravi malformazioni.

(60) Cfr. ad esempio Trib. Milano, Sez. V stralcio, 7 febbraio 2000, in Guida al Dir., 2000, n. 14, 96, con nota di Ridolfi. Nella sentenza si osserva che «i danni sopportati da soggetti diversi dalla vittima iniziale del fatto illecito sono ... apparentemente mediati, risultando eziologicamente collegati in via diretta ed immediata con il medesimo fatto illecito». Sotto il profilo del nesso di causa il Tribunale si richiama alla teoria della causalità adeguata.

(61) Dubbi che potevano fondarsi su un di un recente intervento della Sez. lav. della Suprema Corte: Cass., 23 febbraio 2000, n. 2037, in Arch. Giur. Circolaz., 2000, 847, con nota di Toninelli.

(62) Cfr. nota precedente.

(63) Il riferimento è in particolare alle diverse sentenze della House of Lords in relazione al disastro dello stadio di Hillsborough.

(64) Forse uno dei pochi casi in cui è dato riscontrare un consenso unanime da parte delle diverse scuole di pensiero. 

(65) L'Estensore della sentenza riprende sostanzialmente la sua tesi già formulata in un suo suggestivo contributo dottrinale: Petti, Il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale della persona, Torino, 1999 (in particolare pagg. 33-34).

(66) Su cui si rinvia a Petti, Il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale della persona, cit., 33-34.

(67) Su questi diversi progetti si rinvia a Bona e Oliva, Danno alla persona e nuove prospettive di riforma, in Giur. It., 2000, 437 e segg.

(68) Cfr. Petti, Il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale della persona, cit., 33-34.

(69) Una tale impostazione risolverebbe sicuramente in positivo la vexata quaestio circa la risarcibilità del danno morale nelle ipotesi di colpa presunta. Sul problema si rinvia a Bona, Danno morale e colpa presunta ex art. 2054 c. c.: malgrado tutto le antiche regole resistono, in Danno e Resp., 2000, 845 e segg. In merito al sistema risarcitorio che vede scisse le perdite non economiche tra art. 2043 e art. 2059 c. c., si ritiene di insistere in questa sede sull'opportunità che una sola norma disciplini indistintamente tutti i danni non patrimoniali. Questa disciplina non può che trovare casa nell'art. 2043 c. c. Il che non significa che tutto diventa risarcibile. La prova del pregiudizio subito ed a monte il giudizio di responsabilità sono fattori che già di per sé offrono filtri selettivi seri, senza contare che il rischio di una valanga di procedimenti al limite dell'insulso o comunque per inezie non costituisce affatto una prospettiva concreta e di cui darsi pena: infatti, i costi di accesso alla giustizia, il self control delle corti (sempre piú evidente anche nella liquidazione delle spese di causa), la stessa professione forense, la possibilità di accordi transattivi, il controllo esercitato dalle compagnie di assicurazioni sono tutti fattori che dimostrano come siano eccessive e smisurate le preoccupazioni circa una futura cascata di litigiosità. Del resto, le sentenze qui in commento, che si inseriscono nel solco del danno esistenziale e che per parte della dottrina sono fonte di allarmismi, non mi pare si occupino di danni marginali o di vittime che si lamentano per un nonnulla.

(70) Cfr. soprattutto Navarretta, Danno da morte e danno alla salute, in La valutazione del danno alla salute, cit., 321 e segg.

(71) Prima tra tutte cfr. Cass., Sez. I, 7 giugno 2000, n. 7713, cit.

(72) Cosí Navarretta, Danno da morte e danno alla salute, in La valutazione del danno alla salute, cit., 325.

(73) Cfr. Monateri, Danno morale e danno esistenziale (alle soglie di una nuova categoria), in Monateri, Bona e Oliva, Il nuovo danno alla persona, Milano, 1999, 25 e segg. L'approccio torinese al danno esistenziale, diversamente da quello seguito dalla scuola triestina, non mira ad inglobare anche il danno biologico nella categoria in questione, soprattutto quando il danno biologico, anche sotto il profilo del quantum, sia in grado di realizzare la restituito in integrum. In altri termini il danno esistenziale secondo la scuola torinese è una sorta di «danno morale civilistico», liberato una volta per tutte dai limiti di cui al 2059 c. c. («danno morale da reato subito»). Si deve tuttavia rilevare come le due diverse impostazioni coincidano perfettamente sotto il profilo degli obiettivi: realizzare un sistema risarcitorio che tuteli integralmente la persona in relazione a tutti gli aspetti che compongono l'esistenza di un soggetto. Sul punto cfr. Bona, Danno morale e danno esistenziale, in Monateri-Bona-Oliva-Peccenini-Tullini, Il danno alla persona, I, Torino, 2000, 100.

 (74) Tale tipologia di risarcimento richiama direttamente la categoria del «danno psichico temporaneo» già riconosciuta in diversi precedenti: Trib. Orvieto, 7 novembre 1997, n. 201, in CD-Arch. Giur. Circolaz. Sin. Strad.; Id., Sez. lav., 16 novembre 1999 e Id. Torino, Sez. lav., 30 dicembre 1999, in Danno e Resp., 2000, 403, con nota di Bona e Oliva.

(75) Riportata altresí in Guida al Dir., 2000, n. 25, 46, con nota di Martini; in Resp. Civ. e Prev., 2000, 1437, con nota di Ziviz; in Danno e Resp., 2001, 97, con nota critica di Ponzanelli.

(76) Corte distrettuale dell'Illinois, 15 novembre 1985, Sherrod v. Berry, Breen e città di Joliet, in Foro It., 1987, IV, 71, con nota di Ponzanelli, Danno edonistico: una versione nordamericana del danno alla salute?.

(77) Si osservi tuttavia che nella sentenza della Corte dell'Illinois non si discettava del danno riflesso sofferto dai congiunti della vittima, bensí della diversa problematica della risarcibilità della perdita della vita e della conseguente privazione del «valore edonistico della vita». Peraltro, il richiamo all'orientamento delle corti statunitensi non è del tutto corretto in quanto il danno edonistico risulta avere trovato riconoscimento solo nella decisione sopra ricordata. Altro discorso è riferirsi al diritto vivente d'oltreoceano per richiamare un sistema in cui il risarcimento del danno non patrimoniale incontra una dimensione decisamente piú dilatata rispetto a quella italiana, sia in termini di quantum liquidato e sia sotto i profili esistenziali presi in considerazione nella quantificazione del danno.

(78) In questo senso cfr. Ziviz, Il danno edonistico: un nuovo nome per il pregiudizio derivante dalla morte del congiunto, cit., 1445; Simeoli, Sul cosiddetto «danno edonistico», cit., 216; Martini, L'uscita da un sistema tradizionale di ristoro, in Guida al Dir., 2000, n. 81, 51 e segg.

(79) Nello stesso errore era incorso già il Trib. Treviso, 25 novembre 1998, in Danno e Resp., 2000, 68, che inquadrava il cosiddetto «danno da lesione del rapporto parentale» entro la categoria del danno biologico.

(80) Trib. Milano, 21 ottobre 1999, in Resp. Civ. e Prev., 1999, 1335, con nota di Ziviz e Id. Milano, 8 giugno 2000, ivi, 2000, 923, con nota di Ziviz.

(81) La sentenza si segnala all'interprete anche per gli interessanti rilievi che vengono formulati sull'art. 2050 c. c. e sulle interazioni tra questa norma e l'art. 2051 c. c. In particolare, la sentenza entra nel merito della questione circa il contenuto della prova liberatoria che l'esercente dell'attività pericolosa deve offrire. In via generale, sul punto si ricorda che l'esercente può essere esonerato dalla responsabilità, se dimostra di aver adottato tutte le misure idonee a prevenire il danno, o se dimostra che lo stesso è derivato da una causa a lui non imputabile. Tuttavia, ai fini della prova liberatoria non basta dimostrare di essersi attenuti alle disposizioni di legge o di regolamento. L'esercente deve provare di aver adottato tutte le regole di prudenza e diligenza suggerite dalle normali cognizioni tecniche e di comune esperienza. In pratica quest'onere probatorio finisce per equivalere alla dimostrazione del fortuito. In parole povere, infatti, il pregiudizio verificatosi deve risultare estraneo alla signoria di controllo dell'esercente, il che appunto si verifica quando il danno è derivato da una causa esterna a lui non imputabile. Nel caso di specie un'intera palazzina era crollata a causa dello scoppio verificatosi in un appartamento per la fuoriuscita di gas metano per ragioni non del tutto chiare. Tra le varie ipotesi piú probabili vi era anche quella per cui l'esplosione avrebbe avuto origine nel comportamento autolesionistico della signora che abitava l'appartamento in questione. Altra ipotesi avanzata era quella di un cattivo funzionamento di un dispositivo di sicurezza dello scaldabagno sito negli stessi locali. L'azienda si era difesa osservando che la sua responsabilità poteva individuarsi solamente per i sinistri verificatisi a valle del contatore, e che comunque sarebbe spettato agli utenti di tenere in perfetto stato di efficienza gli impianti. Il Tribunale, partendo dal presupposto che l'attività in questione è pericolosa e che la presunzione di responsabilità può essere vinta solo con una prova particolarmente rigorosa, ha ritenuto la responsabilità dell'azienda sulla base che questa aveva sí provato di avere adot tato tutte le misure imposte ex lege, ma non aveva dimostrato di avere effettuato, con la dovuta attenzione e periodicamente, controlli anche negli impianti a monte del contatore. Cosí afferma il Tribunale milanese: «non si può ... lasciare al singolo utente del gas l'adozione in via esclusiva delle necessarie misure di prevenzione e manutenzione degli impianti per evitare pericoli di fughe di gas e scoppi». Inoltre, si è osservato che l'azienda avrebbe dovuto installare negli appartamenti rilevatori di fughe di gas in modo da bloccare automaticamente l'erogazione una volta superata una certa concentrazione. Nella sentenza, accanto alla responsabilità dell'azienda erogatrice del gas, è stata poi altresí riconosciuta la responsabilità concorrente dei proprietari dell'alloggio in cui era avvenuto lo scoppio e dell'inquilino. Sul tema della responsabilità ex art. 2050 c. c. cfr. da ultimo: Recano, La responsabilità da attività pericolose, Padova, 2001; Alpa, La responsabilità civile, Milano, 1999, 683 e segg.; Visintini, Trattato breve della responsabilità civile, Padova, 1999, 734 e segg.; Monateri, La responsabilità civile, Torino, 1998.

(82) Sotto questo profilo la sentenza milanese si colloca nello stesso solco del precedente, sopra esaminato, del Tribunale di Agrigento, evidentemente influenzato dalle decisioni rese dal Dott. Chindemi.

(83) Sotto questo profilo la decisione del Tribunale milanese pare in tutto e per tutto condivisibile: essa fotografa esattamente le ragioni per cui il danno esistenziale ha fatto il suo ingresso nel nostro sistema. Tuttavia il decalogo in questione non va esente da dubbi interpretativi. In particolare, il primo punto configura sostanzialmente una ripetizione del secondo: deve essere rispettato il requisito dell'ingiustizia. La violazione del cosiddetto «diritto alla qualità di vita», che peraltro pare piuttosto generico, non dice nulla di piú di quanto non possa già dire il termine ingiustizia. Si tratta di diritti da riempire di contenuti, di scatole vuote affidate alla comunità degli interpreti. La precisazione che poi vi debba essere una «modificazione peggiorativa nella sfera personale del soggetto leso» semplicemente indica che accanto all'ingiustizia vi deve essere un pregiudizio, un salto negativo da una situazione iniziale antecedente l'illecito ad un nuovo (peggiore) status del soggetto leso. Il che non è altro che lo schema base del risarcimento aquiliano: ingiustizia + pregiudizio. I punti 3 e 4 del decalogo rinviano sostanzialmente al concetto del nesso di causa e non apportano nulla che non fosse già conosciuto. Ciò che dunque rimane a caratterizzare veramente l'impostazione del Tribunale di Milano è il punto 5: «mancanza di danno biologico», che in realtà è una sineddoche che sta per «mancanza di danno biologico risarcibile». Se c'è un danno biologico, questo potrà poi assorbire le alterazioni esistenziali che l'illecito produce nella vita della vittima; se invece non sussistono i presupposti per il risarcimento di questa voce di danno, ecco allora che potrà intervenire a rendere giustizia il danno esistenziale, che appunto colma la lacuna. E in questo caso il danno esistenziale potrà comprendere altresí profili psicologici, effetti sulla salute del soggetto leso. Sotto questo profilo, stante la circostanza che il danno morale non è ancora stato liberato del tutto dal giogo del 2059 c. c. (sul punto si dovrà attendere a vedere quale sarà il successo della decisione della Cassazione in Lunetta), non si comprende del tutto la critica di chi ha osservato che «i riflessi negativi che coinvolgono la psiche del soggetto possono - come tali - essere presi esclusivamente sotto il profilo del danno biologico, quando la modificazione negativa è tale da ingenerare una lesione della salute, ovvero di quello morale, ove essi si mantengano entro limiti che possono essere considerati fisiologici. Soltanto conservando ben nette queste distinzioni è possibile mantenere intatta l'identità del danno esistenziale, che risulterebbe invece inevitabilmente compromessa da qualsiasi tentativo di far confluire in quell'ambito le conseguenze di ordine psicologico della lesione», Ziviz, Continua il cammino del danno esistenziale, cit., 938-939. Come si osserverà piú avanti la vera identità del danno esistenziale non è data dai suoi contenuti o dalla sua etichetta, ma è data dalla sua genesi politica e dalle sue funzioni di traghettare il sistema risarcitorio da una situazione di chiusura ad una tutela a tutto campo della persona umana.

(84) Cosí Cass., 7 giugno 2000, n. 7713, cit.

(85) Su cui ad esempio Toscano, Danno biologico e morale, in AA. VV., Il danno, 2ª ed., Milano, 1995, 188-196.

(86) Fermo restando che il danno morale, nel caso sia risarcibile, dovrà essere quantificato (rectius, personalizzato), tenendo debitamente conto dei riflessi esistenziali diversi dal mero perturbamento psichico. Questa soluzione, a partire dal punto di vista pratico, sembra in tutto e per tutto condivisibile: si evitano rischi di duplicazione delle poste risarcitorie e non si gioca piú di tanto con le categorie di danno. In altri termini il danno esistenziale sarebbe una categoria quarta rispetto alle tre tradizionali (patrimoniale, biologico, morale), che interviene per sopperire, in materia di danni non patrimoniali, ad eventuali lacune.

(87) Numerosi gli echi di un recente contributo di Cendon, Esistere o non esistere, cit.

(88) In questo senso cfr. anche Trib. Locri, Sez. distaccata di Siderno, 6 ottobre 2000, in Giur. It., 2001, 735, con nota di Bona.

(89) Questa impostazione sembra rifarsi a quella seguita dalla Scuola triestina (cfr. da ultimo Ziviz, Danno biologico e danno esistenziale: parallelismi e sovrapposizioni, cit., 419): ad esempio, per l'Autrice citata, se le conseguenze esistenziali di segno negativo derivano dalla lesione della salute, allora esse vanno convogliate nel danno biologico; se invece non derivano dalla menomazione dell'integrità psicofisica, allora sono risarcibili entro il danno esistenziale «non biologico». Correttamente osserva il Tribunale di Palermo che la distinzione tra danno biologico e danno esistenziale (non biologico) non si gioca sul piano delle conseguenze, «trattandosi comunque di ripercussioni attinenti alla qualità della vita, bensí su ciò che in origine viene colpito: nel caso del danno biologico vi è un evento corrispondente alla lesione della salute di qualcuno (fisica, psichica), suscettibile di accertamento medico-legale ...; nell'altro caso - danno esistenziale non-biologico - ci si trova di fronte all'aggressione di posizioni d'altro genere (onore, libertà di movimento, ambiente, normalità familiare, etc.), senza la lesione del bene salute quale antecedente indefettibile». Tuttavia, la figura del danno biologico come sottotipo del danno esistenziale può porre qualche problema non privo di rilievo. Ricondurre, nei casi di lesioni dell'integrità psicofisica, i profili esistenziali all'accertamento medico-legale non rischia forse di mettere nelle mani dei medici legali questioni che sono solo giuridiche? Non si apre la prospettiva per questa via di ridurre la portata innovativa del danno esistenziale ogniqualvolta sia altresí risarcibile il danno biologico? In realtà, tutto ciò potrebbe anche funzionare, ma alla condizione che lo strumento della personalizzazione in via equitativa del quantum sia sempre correttamente applicato, lasciando dunque spazio a considerazioni prettamente giuridiche (ad esempio la valorizzazione di beni quali la personalità) che risultano a rischio in un sistema automatico di stretta (e comoda) correlazione tra percentuale medico legale e parametri monetari tabellari.

(90) Si osservi che nel caso concreto il Tribunale di Palermo nega la risarcibilità del danno esistenziale in capo al congiunto, essendo mancata la prova proprio di siffatta incidenza dell'evento letale sulla sfera qualitativa dell'esistenza della vittima.

(91) Come si dirà anche oltre, il rischio di fondare rigide distinzioni tra il danno esistenziale e le altre categorie di pregiudizi è di limitare l'operatività dell'idea che soggiace al danno esistenziale. Se infatti il danno esistenziale da categoria che riempie tutti gli spazi lasciati vuoti viene ad occupare solo piú l'ambito del «non poter piú fare» (cosí testulamente la sentenza palermitana), peraltro circoscritto dal punto di vista quantitativo (la gravità del non poter piú fare), esso diventa non risarcibile in tutta una serie di casi in cui pur la vittima ha sicuramente diritto ad essere risarcita per il solo «sentire» negativo che deriva dalla violazione dei suoi diritti. Si pensi, ad esempio, al caso del danno non patrimoniale da contravvenzioni amministrative illegittime, in cui non ricorre una fattispecie di reato, oppure al danno da protesto illegittimo, o ancora a diverse ipotesi di danno all'immagine.

(92) Sul tema cfr. in particolare Morozzo della Rocca, Il danno morale al concepito, ovvero il «già e non ancora» nella responsabilità civile, in Corriere Giur., 2001, 356 e segg.; Miotto, Il «danno del nascituro» e (molto) altro in una pronuncia della Cassazione penale: un'occasione per riflettere sulla svolta giurisprudenziale in tema di struttura dell'illecito civile, in Resp. Civ. e Prev., 2001, 340 e segg.; Miotto, Il nascituro e la responsabilità aquiliana ovvero della possibile diacronia di condotta illecita ed avveramento del danno, ivi, 1998, 1120 e segg.

(93) In questa direzione cfr. Arrigo, Il danno alla persona come danno biologico. Le nuove tipologie di danni risarcibili ai congiunti. I criteri di quantificazione del danno, cit., 259, il quale, osservando che «nella evoluzione giurisprudenziale la denominazione delle singole voci di danno risarcibili è sempre stata in corrispondenza del tipo di interesse sotteso», conclude che siffatta denominazione sarebbe piú «idonea a rappresentare con precisione l'interesse al quale si intende fare riferimento (ovvero quello alla conservazione del rapporto di famiglia come esistente in precedenza all'illecito)».

(94) Ovviamente, il discorso potrebbe essere diverso, se si ritenesse, come sembra suggerire la Sez. III della Suprema Corte nella decisione in commento, risarcibile ex art. 2043 c. c. anche il danno morale.

(95) Sul punto è sicuramente fondata «l'impressione che la creazione di nuove voci di danno sia, in qualche modo, giustificata dai limiti e dalla modestia delle somme che vengono concesse a titolo di danno non patrimoniale»: cosí Ponzanelli, Danno edonistico: verso la creazione di un tertium genus o verso la valorizzazione dei rimedi esistenti?, cit., 100. Invero, il riconoscimento del danno esistenziale nelle ipotesi di danni riflessi dei congiunti sembra trovare proprio giustificazione nella volontà dei Giudici di andare oltre i parametri monetari derivanti dall'esperienza del danno morale, poiché altrimenti non si spiegherebbe la liquidazione di due poste risarcitorie a fronte di pregiudizi sostanzialmente coincidenti sotto il profilo naturalistico. Certamente a ciò si potrebbe obiettare che il danno morale riguarda solo il lutto, mentre il danno esistenziale ha come riferimento il successivo stravolgimento della vita quotidiana: il «non poter piú fare» contrapposto all'immediato «sentire». Tuttavia è altresí chiaro che ben si potrebbe personalizzare il danno morale dei congiunti, tenendo conto anche dei vari ed eventuali «non poter piú fare».

(96) Su questa etichetta si rinvia alle osservazioni svolte in Bona, Lesioni mortali e danni tanatologici non pecuniari: danni risarcibili, quantificazione e questioni aperte, in Monateri, Bona e Oliva, Il nuovo danno alla persona, Milano, 1999, 122 e segg.

(97) Proprio per evitare che automatismi liquidatori intervengano in sfavore della vittima, molti avvocati oggi impostano le controversie prospettando al giudicante sostanzialmente due vie: o liquidare il danno biologico e quello morale tramite una corretta «personalizzazione» degli stessi che già consideri i risvolti esistenziali della lesione, oppure aggiungere una terza voce che, unitamente alle altre, permetta di giungere ad un quantum dei diversi danni non patrimoniali, che nel suo complesso realizzi la restitutio in integrum. Dal punto di vista pratico questa impostazione sembra corretta. Si tenga inoltre conto, proprio in relazione alle controversie che hanno per oggetto i danni riflessi, che tale impostazione, e cioè di accostare al danno psichico quello esistenziale, è spesso giustificata dall'imprevedibilità che governa il danno psichico in punto accertamento. Infatti, se le alterazioni psichiche non vengono ritenute dal CTU raggiungere la soglia della patologia (come ad esempio nel caso della decisione del Tribunale di Torino in commento), allora l'avere prospettato una soluzione quale il danno esistenziale può ritornare di estremo vantaggio, pur potendo poi il giudice decidere di percorrere altre vie (ad esempio il Tribunale di Torino ha salvato la situazione riconoscendo ai congiunti il danno biologico temporaneo).

(98) La dottrina contraria alla riconduzione entro il 2043 c. c. del concetto del danno esistenziale nella sua interezza osserva, tra le varie obiezioni, che, mentre il danno alla salute giustamente si colloca nella disciplina dettata da tale norma «in quanto pregiudizio misurato in proporzione alla stima medico-legale del danno biologico e dunque capace di rispettare le condizioni di obiettivabilità e di compensabilità che connotano globalmente l'art. 2043 c. c.», viceversa «nessuna altra voce di danno alla persona è stata invece sino ad oggi caratterizzata da un processo di obiettivazione e di misurabilità analogo a quello del danno alla salute ed è pertanto idonea ad attrarre la componente esistenziale nell'art. 2043 c. c.»: Navarretta, Danno da morte e danno alla salute, in La valutazione del danno alla salute, cit., 307. Siffatte osservazioni lasciano francamente perplessi. Infatti, a parte la constatazione che in realtà il riferimento alla categoria del danno alla salute non implica nella costruzione dell'Autrice una prospettiva risarcitoria piú ampia rispetto a quella già offerta dal danno biologico in quanto il danno alla salute viene strettamente collegato alla stima medico-legale, si deve in primo luogo rilevare come si ometta di considerare che l'art. 2043 c. c. non recita che «qualunque fatto doloso o colposo, che cagioni ad altri un danno ingiusto capace di rispettare condizioni di obiettabilità e di compensabilità, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno». In realtà il problema della «misurabilità» non riguarda la risarcibilità del danno, bensí la diversa questione della valutazione, disciplinata dagli artt. 1223 e seguenti e dall'art. 2056 c. c. In particolare, non può omettersi come l'art. 1226 c. c. indichi quale principio basilare quello della «valutazione equitativa», allorquando il danno non possa essere provato nel suo preciso ammontare (come accade per tutti i danni non patrimoniali). In base a questa norma, quindi, tutti i pregiudizi non economici, senza distinzione di sorta in merito al grado di misurabilità, risultano «compensabili»: si tratta di una riconduzione di valori impalpabili entro somme di denaro, secondo veri e propri schemi convenzionali. Ciò vale per tutti i danni non patrimoniali, compreso il danno biologico, che non risulta sottratto alla valutazione in via equitativa: è solo per convenzione, infatti, che si fa riferimento a tabelle elaborate dalle corti (oggi anche dal legislatore) e barème medico legali. Ma i valori indicati dalle tabelle di liquidazione elaborate dai Tribunali e dal legislatore non rappresentano forse il frutto di un lavoro giurisprudenziale? Non sono in fondo del tutto simili, nella filosofia e nella logica, al ricorso da parte dei giudici, nei casi di pregiudizi non patrimoniali diversi dal danno biologico, all'esperienza, al sentire sociale e soprattutto ai precedenti? Convenzione ed equità si muovono invero sullo stesso piano, in un cammino in cui la fictio juris della monetizzazione di valori impalpabili in denaro si ripete quotidianamente nelle corti. Dire che per il danno biologico si verifica un quid di diverso è come volere naturalizzare (rectius, mistificare) un dato ben diverso. Quanto all'obiettivazione del danno pure questa è una questione che non incide sulla distribuzione delle categorie di danno non patrimoniale tra le due norme in esame, bensí riguarda esclusivamente la prova del pregiudizio (prova che varia, come logico, a seconda delle lesioni). Seguendo il ragionamento dell'Autrice, bisognerebbe allora riflettere seriamente sulla correttezza della collocazione entro il 2043 c. c. del danno biologico permanente da distorsione del rachide cervicale. Gli stessi medici legali pongono al riguardo varie perplessità sulla oggettivazione di tali lesioni. Ad ogni modo non si dubita che un'alterazione dell'esistenza possa ben essere dimostrata oggettivamente secondo i consueti criteri probatori, esattamente come si sono dimostrati fino ad oggi pregiudizi non patrimoniali da lesioni dell'onore, piuttosto che da variazione in pejus di mansioni lavorative, o da vacanza rovinata. Si tratta di dimostrare, anche secondo criteri presuntivi, che la vittima non può piú svolgere o apprezzare deter minati aspetti della sua vita. Sembra quindi di cogliere nelle osservazioni sopra riportate lontani echi delle obiezioni (e preoccupazioni) che agli inizi dell'ottocento alcuni giuristi inglesi opponevano alla risarcibilità della loss of amenity o del pain and suffering. Del resto, danni all'immagine o da dequalificazione professionale, cosí come innumerevoli altri pregiudizi non patrimoniali derivanti da lesioni alla personalità, da decenni vengono risarciti al di fuori dell'art. 2059 c. c., pur non godendo del prezioso contributo della medicina legale. Ed ancora l'obiettivazione è un requisito che evidentemente cozza con la categoria ben nota all'interprete italiano del danno in re ipsa, per cui la lesione di un determinato bene contiene in sé il pregiudizio (inteso naturalisticamente e dunque come conseguenza) risarcibile. A meno di ritenere che sul punto la Cassazione e, ancor prima, la Consulta si siano del tutto sbagliate. In altri termini le condizioni poste dalla dottrina sopra citata per distinguere tra danni non patrimoniali risarcibili ex art. 2043 c. c. e danni non economici risarcibili ex art. 2059 c. c. non sono giuridiche, ma politiche in quanto vanno ben al di là di ogni possibile interpretazione delle norme esistenti e semmai sono da considerarsi quali suggestioni indirizzate de iure condendo al legislatore. Quanto poi all'osservazione che «l'essenza dell'inquadramento», entro il 2043 c. c., «del danno alla salute risiede tutta, anche storicamente oltre che concettualmente, nella stima e nell'obiettivazione del danno alla salute attuata dal medico-legale» non corrisponde affatto al vero: è sufficiente leggere le prime pronunce sul danno biologico per rendersi conto come la questione ruotasse intorno ad un'interpretazione dell'ingiustizia del danno e non già a problemi di quantificazione; inoltre, il sistema tabellare si è venuto ad affermare ben dopo l'ingresso del danno biologico nel 2043 c. c. A quanto consta la prima vera tabella elaborata da una corte risale del resto a quella milanese del 1995. Infine, risulta del tutto risibile sostenere che sia la medicina legale a determinare quali pregiudizi non patrimoniali si collochino entro il 2043 c. c. e quali nel 2059 c. c. A questo riguardo, si pensi solo che in Francia il danno morale soggettivo è pure esso misurabile e obiettivabile alla stessa stregua del danno fisico, avendo la medicina legale francese elaborato scale di gravità e collegato a queste il sistema di liquidazione. Se la dottrina medico legale italiana passasse ad introdurre tali schemi in Italia, allora dovremmo collocare anche il danno morale soggettivo entro il 2059 c. c.? La questione dei danni non patrimoniali risiede tutta qui? In realtà, i medici legali contribuiscono esclusivamente all'accertamento e valutazione delle lesioni, ma nulla dicono sul fondamento del diritto della vittima ad essere risarcita. E la collocazione dei danni non patrimoniali entro il 2043 c. c. è un problema di fondamenta (giuridiche) del sistema risarcitorio, fondamento che nulla deve spartire con la medicina legale. Tuttavia, su quest'ultimo punto mi sia concesso rinviare per ogni ulteriore approfondimento a Bona, Danno medico legale e danno giuridico: una distinzione fondamentale nel dibattito sulle definizioni delle categorie di danno e sul contributo del medico legale nel risarcimento delle alterazioni esistenziali, in Tagete - Rivista medico giuridica sul danno alla persona, 2001, n. 1, 90 e segg. Inoltre sulla questione della valutazione per il danno esistenziale si rinvia a Ziviz, La valutazione del danno esistenziale, in Trattato breve dei nuovi danni, a cura di Cendon, III, Padova, 2001, 2785 e segg.

(99) Cass., Sez. I, 7 giugno 2000, n. 7713, in Danno e Resp., 2000, 835, con note di Monateri e di Ponzanelli; in Giur. It., 2000, 1352, con nota di Pizzetti.

(100) Sulla portata di tale apertura si rinvia alle osservazioni di Monateri, «Alle soglie»: la prima vittoria in Cassazione del danno esistenziale, in Danno e Resp., 2000, 836. (101) Contra cfr. Ziviz, Continua il cammino del danno esistenziale, cit., 938-939.

(102) Cosí Ziviz, Il danno edonistico: un nuovo nome per il pregiudizio derivante dalla morte del congiunto, cit., 1445.

(103) È infatti indubbio che la critica, che può avanzarsi ad un approccio come quello del Tribunale di Firenze (danno edonistico + danno morale), o dei Tribunali di Milano e Treviso (danno da lesione parentale + danno morale) o del Tribunale di Torino (danno psichico temporaneo + danno morale), è quella della duplicazione dei danni.

(104) Cfr. ad esempio da ultimo Navarretta, Danno da morte e danno alla salute, in La valutazione del danno alla salute, cit., 321.

(105) Il riferimento è all'Inghilterra («general damages») e alla Germania («Schmerzensgeld»). Questo, in fondo, potrebbe essere anche il punto di arrivo dell'evoluzione in corso.

(106) Monateri, La responsabilità civile, Torino, 1998, 304. Chindemi, ad esempio, ha sostenuto che «ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale appare preferibile la determinazione di un'unica voce risarcitoria, con la specificazione al suo interno, delle poste liquidate a titolo di danno morale e danno biologico da morte "iure proprio", ove lo stesso sia ritenuto provato sussistente», Chindemi, Sulla prova del danno biologico da morte «iure proprio», in Nuova Giur. Comm., 1995, 495.

(107) Cosí Ziviz, Il danno esistenziale preso sul serio, cit.

(108) Come si è posto in luce entrambe le sentenze della Suprema Corte riportate in epigrafe rappresentano ulteriori «porte aperte» al danno esistenziale, nel solco del precedente della Cass. n. 7713/2000.

(109) Cass., Sez. III, 3 aprile 2001, n. 4881, in Guida al Dir., 2001, n. 19, 58, con nota di Bendinelli.

(110) Cass., Sez. III, 10 maggio 2001, n. 6507, in Guida al Dir., 2001, n. 21, con nota di Martini.

(111) Come prevedibile, il legislatore si troverà a discutere progetti molto simili a quelli presentati nel corso della precedente legislatura, sui quali si rinvia a Bona e Oliva, Verso la riforma del danno alla persona, in Monateri-Bona-Oliva-Peccenini-Tullini, Il danno alla persona, II, Torino, 2000, 787 e segg.

(112) Il che implica lavorare, in senso restrittivo, sui contenuti e sulla prova del danno esistenziale: l'operazione è in parte condivisibile, ma potrebbe condurre all'irrisarcibilità di una serie di pregiudizi che si reggono piú che altro sulla violazione in re ipsa di una posizione costituzionalmente garantita. In realtà piú che sui con tenuti sarebbe importante concentrarsi sulla prova dei pregiudizi non patrimoniali. In un certo senso alcuni sostenitori del danno esistenziale, forse per salvare la categoria dai ripetuti attacchi dei suoi oppositori, si sono rassegnati a lasciare gli «emotional distress» e le alterazioni esistenziali «soft» in mano al 2059 c. c.

(113) Navarretta, Danno da morte e danno alla salute, in La valutazione del danno alla salute, cit., 306 e segg.

(114) Il riferimento è ovviamente ai recenti interventi di riforma: cfr. Bona, D. L. n. 70/2000 e D. Lgs. n. 38/2000: verso quale riforma del danno alla persona?, in Giur. It., 2000, 1083-1089; Bona e Oliva, Novità legislative: riforma R.C.A. e riforma INAIL, in Monateri-Bona-Oliva-Peccenini-Tullini, Il danno alla persona, Torino, 2000, Addenda (2001).

(115) Ad esempio nel Regno Unito l'Association of Personal Injury Lawyers (APIL) raggruppa migliaia di avvocati specializzati in danno alla persona che assistono prevalentemente le vittime. Essa si contrappone, efficacemente, al lobbying delle compagnie assicuratrici.