Monica Crovetto



Sulla risarcibilità del danno da lucro cessante del coniuge che si dedica all'assisitenza delle vittima


Sulla risarcibilità del danno da lucro cessante del coniuge che si dedica
all'assisitenza delle vittima
 
di Monica Crovetto
 
 
CASSAZIONE CIVILE, III SEZIONE, 2 febbraio 2001, n. 1516 _ FAVARA Presidente _
PETTI Relatore _ IANNELLI P.M. (diff.) _ Lunetta e Cammarata (avv.ti Voltaggio Lucchesi
e Bianchini)-Ministero della Difesa-Veneziano
 
In caso di lesioni personali conseguenti a sinistro stradale attribuibile alla responsabilità di terzi, è risarcibile il danno da lucro cessante subito dal coniuge della vittima, che abbia anticipato il pensionamento dalla propria attività lavorativa per dedicarsi all'assistenza del congiunto. In tale fattispecie, il nesso tra danno e condotta imputabile si pone in termini di causalità giuridica, e non materiale, in quanto l'automobilista, che guida in modo imprudente, può prevedere che la possibile vittima sia parte di una comunità familiare e che, pertanto, le conseguenze dell'evento possano rivelarsi plurioffensive.
Sul punto affermato dalla massima in esame non esistono precedenti in termini.
La sentenza va segnalata per l'importante presa di posizione in ordine all'annosa questione della risarcibilità o meno dei danni subiti da soggetti diversi dalla vittima del fatto illecito.
Per la prima volta, infatti, la Corte si pronuncia favorevolmente per il ristoro del danno da lucro cessante subito dal coniuge di un soggetto leso in un incidente stradale in seguito al pensionamento (volontario) anticipato per la necessità di dover assistere il proprio consorte.
Nella sentenza in esame la Cassazione reimposta il problema, fino ad oggi affrontato sulla base della sola risarcibilità dei danni cd. "riflessi".
Infatti, era consolidato in giurisprudenza il principio secondo il quale, a mente dell'art. 1223 cod. civ., era riconosciuto il risarcimento di tali danni, subiti dunque da soggetti diversi dalla vittima iniziale dell'illecito, purchè la lesione fosse collegata all'evento "secondo una serie ordinata di cause ed effetti, da un nesso causale lineare e diretto" (v., per tutte, Cass. 19/5/1999, n. 4852, in Nuova Giur. comm., 2000, I, 266, con nota di Parodi, in Giur. it., 2000, 479, con nota di Patarnello, in Danno e Resp., 2000, 157, con nota di Grondona e, da ultimo, Cass. civ., III, sez., 9/5/2000, n. 5913, in Mass. 2000).
Sulla base di tale assunto, in primis, veniva ristorato il danno per la lesione del diritto coniugale ai rapporti sessuali, in conseguenza di un fatto lesivo che colpiva l'altro coniuge, impedendogli la prosecuzione di tali rapporti (Cass. 11 novembre 1986, n. 6607, in Giust. civ., 1987, I, 572 e 575, con note di Alpa e Botto, in Giur. it., 1987, I, 1, 2044, con nota di Patti, e in Foro it., 1987 I, 833, con nota di Princigalli; Trib. Ravenna 22 febbraio 1994, in Gius, 1994, 10153; Cass. 21 maggio 1996, n. 4671, id., 1996, 18, 2250).
In seguito, la Cassazione ampliava la gamma dei pregiudizi, ribadendo come fosse necessario individuare, tra le possibili posizioni giuridiche lese, quelle dei familiari della vittima che subivano direttamente, per via del rapporto coniugale o parentale, le conseguenze dannose sopportate dal loro congiunto (Cass., sez. III, 17 settembre 1996, n. 8305, in Giur. it., 1997, I, 1, 1372 e in Danno e Resp., 1997, 2251).
Proprio in considerazione di tale rapporto, il Supremo Collegio riconosceva il diritto, nel caso del coniuge, "a regolari rapporti coniugali (ivi compresi quelli sessuali) nell'ambito dei reciproci doveri di assistenza materiale e morale, che trova riscontro nell'art. 143 c.c.", e , per quanto riguarda la prole, "all'educazione e ad un sano sviluppo psico-fisico imposto dall'art. 147 c.c."
Un ragionamento diverso veniva approntato per le perdite patrimoniali, in particolare per quelle subite dal consorte che avesse optato per il pensionamento anticipato, lasciando la propria attività lavorativa al fine di assistere il coniuge vittima di un incidente stradale.
La Cassazione, fino ad oggi, ne escludeva la risarcibilità, in considerazione della loro non riconducibilità alle conseguenze normali ed ordinarie del fatto, secondo il pacifico principio della regolarità causale di cui all'art. 1223, richiamato dall'art. 2056 cod. civ.
Pioniere di tale orientamento è stata una pronuncia che occorre richiamare proprio per l'importanza che riveste nell'excursus giurisprudenziale e dottrinale che si va ad affrontare (Cass., III sez., 7 gennaio 1991, n. 60, in Giur. it., 1991, I, 1, 1192, con nota di Tedeschi Gardella, in Giust. civ., 1991, I, 3019, con nota di Fedi, in Foro it., 1991, I, 459, con nota di Simone, in Resp. civ., 1991, 446, in Arch. Giur. circ., 1991, 302, in Dir. e prat. ass., 1991, 132, con nota di Vianello).
Il caso era analogo a quello oggi esaminato: un lavoratore dipendente - che aveva richiesto il volontario pensionamento anticipato per assistere la moglie affetta da nevrosi depressiva a seguito di un sinistro stradale - agiva per ottenere il risarcimento del mancato guadagno derivante dalla prematura cessazione dell'attività lavorativa.
I Giudici di legittimità non si accontentavano di prendere per buono il menzionato, e fino ad allora consolidato, principio della risarcibilità dei cd. danni "riflessi" o "di rimbalzo" (così come definiti dalla dottrina francese) a favore di soggetti diversi dalla vittima iniziale del fatto illecito, bensì affrontavano un discorso più ampio ed articolato.
Innanzitutto, rilevavano come, nella fattispecie, non ci si potesse limitare ad individuare le sole posizioni giuridiche ingiustamente lese da uno stesso evento, bensì occorresse "un'individuazione selettiva in concreto, seguendo le varie serie causali, di quelle sole conseguenze che, con adeguata certezza, possano essere saldate a detta fonte di danno in considerazione di una sua peculiare e naturale efficienza lesiva al di là della persona della vittima iniziale, nonché in considerazione delle circostanze e caratteristiche tutte del caso singolo, le quali conclamino l'esistenza di un collegamento cogente e non diaframmato tra fatto ingiusto e pregiudizio del terzo".
Sulla base di questa ricostruzione, ritenevano applicabile l'art. 1223 ai fini della qualificazione oggettiva del nesso di causalità: il requisito della "consequenzialità immediata e diretta" implicava che si instaurasse un "vincolo di stretta lineare derivazione" tra l'evento lesivo lamentato e il fatto illecito ad altri ascrivibile.
Seguendo tale ragionamento, la Corte rigettava il ricorso dell'uomo, motivandolo proprio in considerazione del fatto che i danni dallo stesso lamentati erano sì un "riflesso" di quelli cagionati alla consorte, ma si ponevano con questi ultimi in un rapporto di consequenzialità, non normale ed ordinaria rispetto al fatto lesivo, bensì solamente mediata ed indiretta e, quindi, in contrasto con il detto principio.
La Corte non faceva altro che estendere al danno da lucro cessante ciò che già era stato in precedenza affermato per altri tipi di danni (sentenze n. 476/1980, in Rep. Foro it., 1980, voce Danni civili, 31; nn. 6587 e 6761/1982, id., 1982, v. cit., 63 e 25; n. 4661/1984, id., 1985, v. cit., 46; n. 6325/1987, id., 1987, v. cit., 86 e, per quanto riguarda i giudici d'Oltralpe, C.A. Rouen, 1° marzo 1949, in Dalloz, 1950, 215, con nota di Ripert), al fine di escluderli dal novero di quelli risarcibili qualora non risultassero collegati - all'evento lesivo - da un "nesso eziologico lineare e diretto", interrotto o impedito da circostanze estranee al comportamento dell'autore del fatto illecito. 
Dopo tale pronuncia si avvicendavano le prese di posizione della dottrina.
Vi era chi poneva in rilievo l'intento strenuamente perseguito dai Giudici attraverso l'applicazione dell'art. 1223 cod. civ. Essi infatti avrebbero privilegiato - su tutte - l'esigenza di limitare le pretese risarcitorie di cui potevano farsi portatori soggetti diversi dalla vittima primaria. Mentre la Corte riteneva all'uopo utile il ricorso al nesso di causalità, TEDESCHI GARDELLA (nota a Cass. n. 60/1991, cit., p. 1198) affermava che la problematica non rivestiva carattere esclusivamente giuridico, ravvisando in materia la necessità di un "assetto logico-sistematico più coerente e razionale".
L'Autore sottolineava altresì come il ricorso alla norma in parola - per escludere la risarcibilità del danno sofferto dal marito in conseguenza del sinistro che aveva colpito la consorte - risultava incongruente laddove i medesimi Giudici l'avrebbero accordata qualora la pretesa del coniuge avesse riguardato il costo di un'infermiera impegnata nell'assistenza! 
Sull'art. 1223 si soffermava anche COLOMBINI (Edgardo, Danno dei congiunti di persona sinistrata in un incidente, in Arch. Giur. circ., 1991, 13 e segg.), secondo il quale, dato per buono lo scopo perseguito con la pronuncia in parola, sarebbe stato preferibile - non parlare di danni riflessi o mediati bensì - individuare "la immediatezza di un danno diretto" anche nei confronti di soggetti che, sebbene risparmiati nella persona dalla lesione, abbiano della stessa risentito, atteso che "uno stesso fatto ... può danneggiare in diverso modo e sotto differenti aspetti contemporaneamente e direttamente più persone".
FEDI (nota a Cass. n. 60/1991, cit., pp. 3027 e segg.) riteneva, al contrario, che l'art. 1223 fosse da considerarsi estraneo al problema della causalità, riguardando esclusivamente quello della scelta - nel novero indifferenziato delle conseguenze del fatto illecito - dei danni da ristorare.
E proprio con riguardo allo scopo ricercato con la norma de qua - arginare la risarcibilità delle conseguenze dannose - l'Autore sosteneva come tale limitazione non potesse fondarsi su un mero rapporto causale, ma dovesse al contrario riguardare la condotta illecita e, in particolar modo, la sua ingiustizia.
Nel sottolineare che a differenti comportamenti ed attività corrispondono diversi rischi specifici, l'Autore assegnava un ruolo primario all'animo dell'azione, sia esso doloso o colposo: "... nella disamina volta a stabilire l'ambito della risarcibilità dovrà allora tenersi conto dell'animus di chi agiva, accordando un risarcimento più ampio quando i danni erano voluti dall'attore, un risarcimento più ristretto quando derivavano da semplice negligenza".
La sentenza del 1991 abbozzava tale concetto solamente allorché riteneva necessaria una "proporzionalità" tra risarcimento e circostanze dell'evento, ivi compreso il comportamento del suo autore. Oggi la Cassazione opera sulla materia un deciso revirement, dimostrandosi, nell'ammettere il risarcimento del danno de quo in favore di un soggetto costretto al pensionamento anticipato per accudire il coniuge, particolarmente sensibile nei confronti dei comportamenti di terzi, imprudenti e/o negligenti, i cui effetti possono talora stravolgere la vita della comunità familiare.
Prima d'ora solo due pronunce (Cass. 3/12/1993, n. 11999, in Giur. it., 1995, I, 1, 910 e in Giust. civ., 1996, I, 2949, e Cass. 16/4/1996, n. 3564, in Riv. Giur. Circolaz. e Trasp., 1996, 315 e in Arch. Giur. circ., 1996, 625) avevano sfiorato l'argomento, arenandosi peraltro in punto legittimazione all'azione.
La Corte appronta una soluzione rilevante che nasce dall'applicazione in campo civilistico di un principio finora proprio della dottrina penale, quello della "colpa cosciente".
I Giudici, infatti, individuano nel nesso di causalità tra evento e danno - non una natura materiale bensì - una natura giuridica, poiché - a loro dire - la condotta pericolosa di guida fa sì che l'agente debba prevedere, a causa della sua imprudenza o negligenza, che - fra le possibili vittime - possa essere colpito e, quindi, danneggiato un padre o una madre di famiglia e, quindi, vengano consapevolmente offesi altri soggetti.
La Corte, inoltre, discostandosi dal principio esaminato nella prima parte di questo commento, configura il danno della moglie della vittima - che per assistere il consorte rinunci alla propria attività di insegnamento - non più come "riflesso", bensì come danno diretto, sebbene consequenziale, per colei (vittima secondaria) che dall'evento risente un'"ingiusta menomazione della propria sfera patrimoniale".
La Corte riconosce quindi al congiunto la legittimazione ad agire jure proprio - nei confronti del responsabile del fatto dannoso - poiché egli subisce nell'occasione un pregiudizio immediato, sia esso di natura morale, patrimoniale e, in linea con l'evoluzione dottrinale e giurisprudenziale che propone quotidianamente nuove voci di danno alle persone, altresì esistenziale.